di Ugo Marani* - sinistrainrete -
La storia di frequente propone ricorsi paradossalmente speculari alle modalità con le quali gli avvenimenti si sono inizialmente presentati. E’ il caso della Germania che si presenta oggi in Europa, nella gestione della crisi del debito sovrano greco e nei preliminari dei nuovi accordi comunitari sulle politiche fiscali, in un ruolo del tutto antitetico a quanto era successo, in ben altro momento, all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Il paragone storico sembrerà irriverente; le implicazioni economiche probabilmente no.
Il ventotto giugno del 1919 la delegazione tedesca alla Conferenza di Parigi, guidata dal ministro degli Esteri Brockdorff-Rantzau è chiamata, nel Salone degli Specchi della reggia di Versailles, a firmare il Trattato di Pace con Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. E’ l’atto finale, tragico, che sancisce un trattamento della nazione sconfitta assai più severo di quanto la delegazione tedesca, confinata all’Hotel des Rèservoirs di Versailles, possa immaginare: il bacino della Saar, la Polonia, la Slesia, ovvero il tredici per cento del territorio, il dieci per cento della popolazione e oltre centoventi miliardi di dollari di riparazioni (MacMillan, 2003).
E’ la logica conclusione di un approccio, quello del primo ministro francese Clemenceau di fatto subito da Lloyd George e da Woodrow Wilson, che poggia su due assunti basilari: la Germania va considerata la responsabile unica del conflitto bellico; il Trattato di Pace deve, di conseguenza, caratterizzarsi per i principi di “Punizione-Pagamento-Prevenzione”(d’ora in avanti PPP; Trachtenberg, 1982).
Il principio della responsabilità unica della Germania, da cui discende il rigore delle sanzioni è l’aspetto più criticato dalla società tedesca, anche da quella meno benevola nei confronti del militarismo prussiano. Max Weber afferma: “Noi non neghiamo la responsabilità di coloro che erano al potere prima e durante la guerra; crediamo però che tutte le grandi potenze d’Europa coinvolte nel conflitto siano colpevoli” (Luckau, 1971). Il modello PPP prevale su quello della responsabilità collettiva.
Pochi giorni prima della stipula del Trattato e dopo le sue dimissioni dalla delegazione britannica, Keynes scrive a Lloyd George esprimendo, ancora una volta, tutto il suo dissenso per i contenuti degli accordi: “…ho continuato a sperare che trovaste il modo di fare del Trattato un documento giusto e conveniente. Ma ora è troppo tardi, evidentemente. La battaglia è perduta.” (Skidelsky,1992 e 1994).
E questa insoddisfazione costituirà il retroterra delle memorabili pagine de Le Conseguenze Economiche della Pace e delle meno conosciute, ma forse più importanti, valutazioni, nel biennio che segue la Pace di Parigi, sulle relazioni monetarie internazionali.
La storia di frequente propone ricorsi paradossalmente speculari alle modalità con le quali gli avvenimenti si sono inizialmente presentati. E’ il caso della Germania che si presenta oggi in Europa, nella gestione della crisi del debito sovrano greco e nei preliminari dei nuovi accordi comunitari sulle politiche fiscali, in un ruolo del tutto antitetico a quanto era successo, in ben altro momento, all’indomani della Prima Guerra Mondiale. Il paragone storico sembrerà irriverente; le implicazioni economiche probabilmente no.
Il ventotto giugno del 1919 la delegazione tedesca alla Conferenza di Parigi, guidata dal ministro degli Esteri Brockdorff-Rantzau è chiamata, nel Salone degli Specchi della reggia di Versailles, a firmare il Trattato di Pace con Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. E’ l’atto finale, tragico, che sancisce un trattamento della nazione sconfitta assai più severo di quanto la delegazione tedesca, confinata all’Hotel des Rèservoirs di Versailles, possa immaginare: il bacino della Saar, la Polonia, la Slesia, ovvero il tredici per cento del territorio, il dieci per cento della popolazione e oltre centoventi miliardi di dollari di riparazioni (MacMillan, 2003).
E’ la logica conclusione di un approccio, quello del primo ministro francese Clemenceau di fatto subito da Lloyd George e da Woodrow Wilson, che poggia su due assunti basilari: la Germania va considerata la responsabile unica del conflitto bellico; il Trattato di Pace deve, di conseguenza, caratterizzarsi per i principi di “Punizione-Pagamento-Prevenzione”(d’ora in avanti PPP; Trachtenberg, 1982).
Il principio della responsabilità unica della Germania, da cui discende il rigore delle sanzioni è l’aspetto più criticato dalla società tedesca, anche da quella meno benevola nei confronti del militarismo prussiano. Max Weber afferma: “Noi non neghiamo la responsabilità di coloro che erano al potere prima e durante la guerra; crediamo però che tutte le grandi potenze d’Europa coinvolte nel conflitto siano colpevoli” (Luckau, 1971). Il modello PPP prevale su quello della responsabilità collettiva.
Pochi giorni prima della stipula del Trattato e dopo le sue dimissioni dalla delegazione britannica, Keynes scrive a Lloyd George esprimendo, ancora una volta, tutto il suo dissenso per i contenuti degli accordi: “…ho continuato a sperare che trovaste il modo di fare del Trattato un documento giusto e conveniente. Ma ora è troppo tardi, evidentemente. La battaglia è perduta.” (Skidelsky,1992 e 1994).
E questa insoddisfazione costituirà il retroterra delle memorabili pagine de Le Conseguenze Economiche della Pace e delle meno conosciute, ma forse più importanti, valutazioni, nel biennio che segue la Pace di Parigi, sulle relazioni monetarie internazionali.