parte 2, la prima è qui
- finansol -
Ma chi sono i protagonisti dei mercati finanziari, ossia i responsabili dell’attività speculativa?
Anzitutto le grandi banche, i grandi fondi di investimento, le grandi assicurazioni, gli hedge funds (fondi di investimento speculativi). Le prime 1000 banche del mondo gestiscono risorse pari a circa il doppio del Pil mondiale.
Questi soggetti fanno praticamente ciò che vogliono, le regole sono poche e deboli, del tutto insufficienti ad arginare le loro scorribande. Poi quando le borse crollano e accusano pesanti perdite intervengono gli Stati: nessuna grande banca fallisce veramente, poiché ci andrebbero di mezzo milioni di risparmiatori, quindi in caso di perdite vengono quasi sempre soccorse dai soldi pubblici. Che fare dunque? Sintetizzo di seguito alcuni spunti di riflessione e di azione.
- Prendere coscienza che il denaro non produce denaro. E’ una legge fisica. Sembra scontato ma non lo è affatto, dato che milioni di risparmiatori continuano a scommettere sulla finanza per integrare i propri magri salari, mentre i veri speculatori guadagnano miliardi. In questo modo è avvenuta la crisi dei mutui subprime negli Usa.
In altre parole la finanza non produce ricchezza, solo il lavoro ha questo potere. La finanza può semmai spostare ricchezza da alcuni soggetti ad altri o, come dice Gallino, estrarre valore (dal lavoro, dall’ambiente, ecc). Quando compriamo un prodotto finanziario che ci fa guadagnare il 5% all’anno dobbiamo sapere che quel rendimento non nasce magicamente dal nulla, ma viene preso dalla tasche di qualcun altro, siano essi lavoratori o altri risparmiatori. Se compro un titolo a 1 euro e lo rivendo a 2 euro, chi lo compra mi garantisce il guadagno, magari sperando che il valore salga ulteriormente. Ovviamente arriva il momento in cui tutto crolla e l’ultimo ne paga le conseguenze, ma come abbiamo visto a perderci in quel caso sono in tanti, anche i più “virtuosi”. Eticamente si tratta di un gioco di insensato e dannoso per la collettività: non si può guadagnare sul solo possesso e scambio di denaro. Per questo bisogna tornare alle “origini” e dare valore al lavoro come fonte di sostentamento. Cito testualmente le parole di Lanza Del Vasto, che parlando del commercio mette in luce come una visione delle vita centrata sull’uomo lo porti “dapprima a rifiutare ogni gioco sul frutto del lavoro degli altri, e ci proibisce il commercio. Non che il commercio sia illecito o maledetto, né che sia impossibile che un commerciante arrivi alla salvezza; ma quanto a noi, avremmo scrupolo a darci a un affare che ha come movente la concorrenza e come scopo un profitto senza prodotto. Ci è proibito comprare qualcosa per rivenderlo: non ci è proibito vendere quello che abbiamo fatto. Tuttavia la vendita è ridotta al meno possibile e al meno lontano possibile, e tende a rendere sicuri e ridotti gli scambi”.
E ancora: “Noi vendiamo finché non sappiamo fare tutto quello di cui abbiamo bisogno. Perché ci sono molte cose che non sappiamo fare. Ma l’acquisto non si fa senza scrupolo. Ci preoccupiamo di sapere perché un articolo costa così poco e se è frutto di un’ingiustizia, di un’oppressione, di un massacro, e se il nostro acquisto non è una complicità, un’acquiescenza alle operazioni che hanno portato quell’oggetto sul mercato”. Qui c’è un’anticipazione, molti anni prima, dell’idea del consumo critico.
- Informarsi. Non è sempre facile, ma oggi abbiamo alcuni canali alternativi di informazione, non condizionati dal potere economico e politico. Cito le riviste Altreconomia e Valori, che conosco, ma ce ne sono altre, anche internet ci offre diverse possibilità.
- Finanza etica e consumi alternativi. Abbiamo diverse opportunità per investire eticamente i nostri soldi: Banca Etica, le Mag (mutue di autogestione, che fanno microcredito) e altri strumenti. Si tratta di investimenti che escludono attività speculative e di conseguenza non offrono grandi rendimenti, i quali consentono solo di coprire l’aumento dei prezzi e di tutelare quindi il potere di acquisto. Anche sul fronte del consumo ci sono circuiti alternativi, come il commercio equo e solidale e alcuni prodotti locali, che seguono principi di sostenibilità sociale e ambientale.
- Agire per il cambiamento. La finanza etica e i consumi alternativi rientrano tra le cosiddette “buone pratiche”, che puntano a creare un sistema economico alternativo e rispondono all’esigenza di un nuovo modello di convivenza. Ma credo che esse da sole non bastino. Occorre intraprendere azioni di pressione sul sistema che inducano un cambiamento. In fondo è la stessa logica di Gandhi. Tolstoj, che fu uno dei maestri di Gandhi, propendeva per la prima strada, quella delle buone pratiche. Il grande scrittore confidava che agendo conformemente al Vangelo e ai principi umani più autentici – cosa che implicava anche la disobbedienza alle leggi ingiuste – si sarebbe instaurato il Regno di Dio, superando oppressione e ingiustizie. Gandhi a ciò aggiungeva il concetto di “nonviolenza attiva”: bisognava indurre il cambiamento attraverso azioni nonviolente creative e sorprendenti, che spiazzassero l’avversario mettendolo di fronte al male commesso e inducendo lui stesso a un cambiamento personale, oltre a una trasformazione complessiva. Così dovremmo fare anche noi, attraverso tutti gli strumenti nonviolenti che abbiamo.
Penso ad esempio alle campagne di pressione. Sulle banche esiste la campagna Banche Armate, che chiede ai risparmiatori di informarsi sulle banche coinvolte nel commercio di armi (c’è tutto sul sito www.banchearmate.it) per poi scrivere alla propria banca e se sarà il caso provvedere a chiudere il conto, dandone comunicazione al direttore. E’ una campagna che esiste da diversi anni e ha prodotto risultati importanti. Ma possiamo fare la stessa cosa prendendo in considerazione altri indicatori, come il finanziamento a progetti devastanti sul piano sociale e ambientale. Molte informazioni le troviamo sul sito www.vizicapitali.org. Si tratta in altre parole di farsi parte attiva del cambiamento, consapevoli che il sistema si regge sull’azione quotidiana (e politica) di milioni di cittadini, risparmiatori e consumatori.
Pubblicato Friday, 2 March 2012 RSS 2.0
- finansol -
Ma chi sono i protagonisti dei mercati finanziari, ossia i responsabili dell’attività speculativa?
Anzitutto le grandi banche, i grandi fondi di investimento, le grandi assicurazioni, gli hedge funds (fondi di investimento speculativi). Le prime 1000 banche del mondo gestiscono risorse pari a circa il doppio del Pil mondiale.
Questi soggetti fanno praticamente ciò che vogliono, le regole sono poche e deboli, del tutto insufficienti ad arginare le loro scorribande. Poi quando le borse crollano e accusano pesanti perdite intervengono gli Stati: nessuna grande banca fallisce veramente, poiché ci andrebbero di mezzo milioni di risparmiatori, quindi in caso di perdite vengono quasi sempre soccorse dai soldi pubblici. Che fare dunque? Sintetizzo di seguito alcuni spunti di riflessione e di azione.
- Prendere coscienza che il denaro non produce denaro. E’ una legge fisica. Sembra scontato ma non lo è affatto, dato che milioni di risparmiatori continuano a scommettere sulla finanza per integrare i propri magri salari, mentre i veri speculatori guadagnano miliardi. In questo modo è avvenuta la crisi dei mutui subprime negli Usa.
In altre parole la finanza non produce ricchezza, solo il lavoro ha questo potere. La finanza può semmai spostare ricchezza da alcuni soggetti ad altri o, come dice Gallino, estrarre valore (dal lavoro, dall’ambiente, ecc). Quando compriamo un prodotto finanziario che ci fa guadagnare il 5% all’anno dobbiamo sapere che quel rendimento non nasce magicamente dal nulla, ma viene preso dalla tasche di qualcun altro, siano essi lavoratori o altri risparmiatori. Se compro un titolo a 1 euro e lo rivendo a 2 euro, chi lo compra mi garantisce il guadagno, magari sperando che il valore salga ulteriormente. Ovviamente arriva il momento in cui tutto crolla e l’ultimo ne paga le conseguenze, ma come abbiamo visto a perderci in quel caso sono in tanti, anche i più “virtuosi”. Eticamente si tratta di un gioco di insensato e dannoso per la collettività: non si può guadagnare sul solo possesso e scambio di denaro. Per questo bisogna tornare alle “origini” e dare valore al lavoro come fonte di sostentamento. Cito testualmente le parole di Lanza Del Vasto, che parlando del commercio mette in luce come una visione delle vita centrata sull’uomo lo porti “dapprima a rifiutare ogni gioco sul frutto del lavoro degli altri, e ci proibisce il commercio. Non che il commercio sia illecito o maledetto, né che sia impossibile che un commerciante arrivi alla salvezza; ma quanto a noi, avremmo scrupolo a darci a un affare che ha come movente la concorrenza e come scopo un profitto senza prodotto. Ci è proibito comprare qualcosa per rivenderlo: non ci è proibito vendere quello che abbiamo fatto. Tuttavia la vendita è ridotta al meno possibile e al meno lontano possibile, e tende a rendere sicuri e ridotti gli scambi”.
E ancora: “Noi vendiamo finché non sappiamo fare tutto quello di cui abbiamo bisogno. Perché ci sono molte cose che non sappiamo fare. Ma l’acquisto non si fa senza scrupolo. Ci preoccupiamo di sapere perché un articolo costa così poco e se è frutto di un’ingiustizia, di un’oppressione, di un massacro, e se il nostro acquisto non è una complicità, un’acquiescenza alle operazioni che hanno portato quell’oggetto sul mercato”. Qui c’è un’anticipazione, molti anni prima, dell’idea del consumo critico.
- Informarsi. Non è sempre facile, ma oggi abbiamo alcuni canali alternativi di informazione, non condizionati dal potere economico e politico. Cito le riviste Altreconomia e Valori, che conosco, ma ce ne sono altre, anche internet ci offre diverse possibilità.
- Finanza etica e consumi alternativi. Abbiamo diverse opportunità per investire eticamente i nostri soldi: Banca Etica, le Mag (mutue di autogestione, che fanno microcredito) e altri strumenti. Si tratta di investimenti che escludono attività speculative e di conseguenza non offrono grandi rendimenti, i quali consentono solo di coprire l’aumento dei prezzi e di tutelare quindi il potere di acquisto. Anche sul fronte del consumo ci sono circuiti alternativi, come il commercio equo e solidale e alcuni prodotti locali, che seguono principi di sostenibilità sociale e ambientale.
- Agire per il cambiamento. La finanza etica e i consumi alternativi rientrano tra le cosiddette “buone pratiche”, che puntano a creare un sistema economico alternativo e rispondono all’esigenza di un nuovo modello di convivenza. Ma credo che esse da sole non bastino. Occorre intraprendere azioni di pressione sul sistema che inducano un cambiamento. In fondo è la stessa logica di Gandhi. Tolstoj, che fu uno dei maestri di Gandhi, propendeva per la prima strada, quella delle buone pratiche. Il grande scrittore confidava che agendo conformemente al Vangelo e ai principi umani più autentici – cosa che implicava anche la disobbedienza alle leggi ingiuste – si sarebbe instaurato il Regno di Dio, superando oppressione e ingiustizie. Gandhi a ciò aggiungeva il concetto di “nonviolenza attiva”: bisognava indurre il cambiamento attraverso azioni nonviolente creative e sorprendenti, che spiazzassero l’avversario mettendolo di fronte al male commesso e inducendo lui stesso a un cambiamento personale, oltre a una trasformazione complessiva. Così dovremmo fare anche noi, attraverso tutti gli strumenti nonviolenti che abbiamo.
Penso ad esempio alle campagne di pressione. Sulle banche esiste la campagna Banche Armate, che chiede ai risparmiatori di informarsi sulle banche coinvolte nel commercio di armi (c’è tutto sul sito www.banchearmate.it) per poi scrivere alla propria banca e se sarà il caso provvedere a chiudere il conto, dandone comunicazione al direttore. E’ una campagna che esiste da diversi anni e ha prodotto risultati importanti. Ma possiamo fare la stessa cosa prendendo in considerazione altri indicatori, come il finanziamento a progetti devastanti sul piano sociale e ambientale. Molte informazioni le troviamo sul sito www.vizicapitali.org. Si tratta in altre parole di farsi parte attiva del cambiamento, consapevoli che il sistema si regge sull’azione quotidiana (e politica) di milioni di cittadini, risparmiatori e consumatori.
Pubblicato Friday, 2 March 2012 RSS 2.0
Nessun commento:
Posta un commento