Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

mercoledì 22 gennaio 2014

Liberismo, l'ultima frontiera è la borsa degli organi umani

Autore: fabio sebastiani
                   
E’ il commercio degli organi l’ultima frontiera del liberismo. Si stenta a crederlo ma la proposta di arrivare a una sorta di borsa del corpo umano arriva da un premio Nobel per l’economia, Gary Becker. L'unico modo per aumentare la disponibilita' di reni per i trapianti e' permettere alle persone interessate di vendere un proprio rene, in un vero e proprio mercato con prezzi fissati dall'autorita' pubblica. Il massimo premio scientifico Becker lo ottenne, pensate, per aver dimostrato come le leggi del mercato si applichino anche ad altri campi della vita quotidiana. Il sistema, scrive un editoriale sul Wall Street Journal insieme al collega argentino Julio Elias, sarebbe applicabile anche ad altri trapianti, con pagamenti anche a chi acconsente a farsi espiantare gli organi dopo la morte.

L'articolo parte dalla considerazione che negli Usa la lista di attesa per i trapianti dura 4,5 anni, il doppio rispetto ad appena dieci anni fa, e che le politiche per incentivare i trapianti da consanguinei o i cosiddetti 'trapianti domino', con lo scambio di organi tra membri di famiglie diverse compatibili, non riescono a ridurre le attese e i costi connessi. Nessuno dei metodi in uso oggi e' in grado di eliminare la carenza di reni”, scrivono gli autori. I due si sono anche sbizzarriti a fare qualche calcolo ed hanno scoperto che con un prezzo intorno ai 15mila dollari (11mila euro) il numero di organi disponibili crescerebbe molto senza incidere eccessivamente sul costo del trapianto''.

Gli scettici: "Il mercato non ridurrà le liste di attesa"
Un identico ragionamento, scrivono gli autori, dovrebbe essere fatto per gli altri organi. ''La presunta immoralita' di un mercato degli organi andrebbe confrontata con la possibilita' di evitare la morte dei pazienti in lista d'attesa''. Quelli ricchi, ovviamente. Non e' d'accordo con l'analisi degli economisti Alessandro Nanni Costa, presidente del Centro Nazionale Trapianti. ''Da noi il principio e' totalmente diverso - sottolinea Costa -. Per noi la donazione degli organi deve essere un atto 'libero e gratuito'. Una parte del corpo umano non andrebbe mai venduta, non solo per i principi cristiani ma per qualunque etica. Inoltre, dal punto di vista della sicurezza un mercato sarebbe pericolosissimo, perche' chi vende lo fa sempre per necessita', e questa porta a nascondere eventuali problemi di salute''. Costa e' scettico anche sulla possibilita' che un mercato riduca effettivamente le liste d'attesa. ''C'e' anche un possibile problema di discriminazione, perche' se si mettono in vendita gli organi vengono meno l'universalita' e la gratuita', tra i principali pregi del Sistema Sanitario Nazionale. Il mercato - conclude il presidente del Cnt - non e' la soluzione al problema delle liste d'attesa, che vanno ridotte rendendo consapevoli le famiglie e creando negli ospedali un ambiente che favorisca le donazioni''.

Il traffico illegale
L’Organizzazione mondiale della sanita' stima che almeno il 10% di tutti i trapianti di rene a livello mondiale sarebbe stato frutto di un traffico illegale.
Sono Asia e Sud America, secondo gli esperti, i paesi dove il fenomeno del traffico illegale di organi raggiunge i livelli piu' preoccupanti. Dopo che alcuni paesi come Cinae India hanno introdotto alcuni provvedimenti per arginare il fenomeno le traiettorie si sarebbero spostate verso nuovi paesi come la Colombia, ma anche il Pakistan e le Filippine. Oltre alla Colombia, anche in India la compravendita di organi viaggia sempre di piu' via Internet. Secondo dati recenti, sfruttando le comunita' virtuali di incontro, molto popolari in India e tra gli indiani all'estero, migliaia di persone alimentano il traffico di organi. Negli anni scorsi, e' stato ad esempio calcolato che nel social network Orkut fossero almeno 35 le comunita' nelle quali cercare e vendere soprattutto un rene. I gestori di Orkut precisarono pero' di aver cambiato le regole e cancellato quelle microcomunita' dove esplicitamente si poteva verificare la vendita di organi, che pero', secondo alcuni osservatori, continuerebbe sottobanco.

Tutto quel che (non) ci ha insegnato la crisi

di Vincenzo Comito

 

La crisi scoppiata ufficialmente nel 2007-2008 ci ha insegnato molte cose.
Tra l’altro, essa ci ha svelato chiaramente la reale struttura del potere esistente nelle società occidentali, che è apparso molto concentrato in una ristretta oligarchia politico-industrial-finanziaria; ci ha mostrato anche, altrettanto chiaramente, le crescenti differenziazioni di reddito e di ricchezza che tale struttura genera nei vari paesi. Essa ci ha anche indicato i meccanismi finanziari attraverso i quali cresce e si riproduce in maniera allargata nel tempo.
Si poteva pensare, e molti lo hanno fatto, che la stessa crisi avrebbe spinto le classi dirigenti dei paesi ricchi ad apportare dei mutamenti rilevanti nei meccanismi di funzionamento della macchina finanziaria, che non apparivano chiaramente più adeguati ad una marcia ordinata delle cose; ma tali mutamenti, che pure non sono mancati, sono indubbiamente risultati, almeno sino ad oggi, pochi, tardivi e modesti. Sino a questo momento viene così smentita la indubbia capacità del sistema capitalistico, sempre manifestatasi in passato, di rispondere alle crisi e alle difficoltà con rinnovata energia e mettendo comunque in campo tutte le innovazioni necessarie ad innescare nuovi cicli di accumulazione.
E è forse anche per tale stato delle cose che, negli ultimi tempi, si è sviluppato un dibattito tra gli economisti occidentali, avviato da Larry Summers e sul quale abbiamo a suo tempo fornito qualche informazione su questo stesso sito, sul cosa fare davanti alla stagnazione di lungo periodo che sembra caratterizzare ormai le economie occidentali, al di là di qualche oscillazione congiunturale più o meno favorevole che si manifesta qua e la.
Una serie di notizie molto recenti sul fronte finanziario che vengono dai due lati dell’Atlantico confermano le preoccupazioni; esse vanno dal ritorno in forze dei processi di cartolarizzazione, all’approvazione delle nuove deboli disposizioni in materia di separazione delle attività di banca ordinaria da quelle di banca di investimento, agli altrettanto deboli orientamenti sulla struttura finanziaria delle banche che stanno avanzando in sede di Basilea III, alle stesse astronomiche cifre pagate dalle grandi banche internazionali a fronte della recente ondata di scandali, notizia solo apparentemente positiva.
Il ritorno delle cartolarizzazioni
Per quanto riguarda la prima questione, molti ricorderanno che, all’origine della crisi del sub-prime, stava, tra l’altro, questo meccanismo di prestiti immobiliari fatti irresponsabilmente a chi non avrebbe potuto restituirli e poi però ceduti dalle banche, attraverso le tecniche della cartolarizzazione (incorporazione di tali diritti in titoli negoziabili sul mercato), ad altri investitori. Questo processo provocava, tra l’altro, una totale irresponsabilità in chi concedeva il prestito, perché, sapendo che esso avrebbe potuto essere ceduto facilmente del mercato, la banca che emetteva il titolo non si preoccupava molto della qualità dello stesso. È così che sono proliferati i vari Cdo, Clo, Abs, Mbs e prodotti collegati, di cui tanto male e tanto a lungo si è parlato.
Ora, come ci informa la stampa economica (si veda, ad esempio, The Economist, 2014), i vari strumenti sopra citati stanno tornando in forze sul mercato e tutti, o quasi, ne gioiscono. La stessa Bce e i regolatori bancari di tutto il mondo, come ci informa lo stesso settimanale, appaiono molto contenti.
Alcuni ritocchi migliorativi portati nel frattempo dagli stessi regolatori alle normative in proposito e una maggiore auspicabile attenzione degli investitori, che dovrebbero ricordare le negative esperienze passate ed essere più cauti nelle loro operazioni, non avrebbero però dovuto, a nostro parere, essere sufficienti a provocare tali entusiasmi. Né avrebbero dovuto esserlo le speranze che, con l’aumento delle operazioni di cartolarizzazione, si dia anche una mano alla ripresa dei flussi di credito delle banche verso gli operatori economici.
Va peraltro sottolineato che, nonostante la ripresa dell’attività nel settore, siamo ancora oggi lontani dal raggiungere i livelli di scambio degli anni d’oro, dal 2005 al 2007.
Come è andata a finire con il rapporto Liikanen
Su un altro fronte, in un recente articolo pubblicato su questo stesso sito, in data 7 gennaio 2014, avevamo analizzato il varo definitivo della cosiddetta Volckler rule negli Stati Uniti e avevamo sottolineato i molti problemi che la formulazione della nuova normativa comportava. Ma qualche tempo fa (Barker, 2014) sono stati anticipati sui media i contorni del progetto equivalente messo a punto dall’Unione Europea e siamo quasi sconcertati per la pochezza dello stesso, ancora più riduttivo delle norme statunitensi.
Tutto era cominciato da noi qualche tempo fa, nel 2012, con la presentazione del Liikanen Report, dal nome del governatore della banca centrale finlandese che era stato nominato presidente della commissione che doveva studiare la questione. Il rapporto finale si sforzava, sia pure con qualche limitazione, di suggerire il perseguimento del principio della netta separazione tra attività di banca commerciale e attività di speculazione in proprio con i soldi dei correntisti.
Ma alle conclusioni del rapporto si sono a suo tempo opposte non solo molte banche, ciò che era del resto prevedibile, ma anche la Germania e la Francia. Va sottolineato come, in generale, sin dall’inizio la presidenza Hollande si sia caratterizzata come molto sensibile ai desideri del mondo della finanza.
Così le lobbies finanziarie hanno avuto un gioco facile nel riuscire a far modificare in peggio il primitivo rapporto Liikanen.
In sintesi, con la riforma le banche europee non saranno automaticamente obbligate a separare le operazioni di prestito da quelle di trading. Tra l’altro viene concessa ampia discrezione alle autorità di controllo nazionali nell’applicazione delle normative.
In ogni caso viene fornita nel progetto una definizione molto restrittiva sul tipo di operazioni di proprietary trading che verrebbero proibite.
Come ha correttamente commentato un parlamentare verde tedesco, le nuove regole rischiano di non avere nessun effetto sul settore bancario, se non quello di aggiungere ulteriore burocrazia alla gestione delle operazioni.
E lasciamo da parte le nuove, inaccettabili regole sugli hedge fund e sui fondi di private equity su cui ha scritto in data 7 gennaio 2014 Andrea Baranes su questo stesso sito.
Le nuove regole di Basilea
È noto come da tempo il comitato di Basilea stia approntando le nuove normative in tema di struttura finanziaria delle banche, in particolare per quanto riguarda i capital ratio ( rapporto tra i mezzi propri e il totale delle attività ponderate per il rischio), i leverage ratio (rapporto tra mezzi propri e totale attività), i liquidity ratio (che misurano la capacità di un istituto di far fronte ai suoi impegni finanziari di breve termine). È noto peraltro che i nuovi orientamenti entreranno in vigore solo fra parecchi anni.
È pronto ora un rapporto sulle modalità di calcolo dei leverage ratio. Intanto non sappiamo ancora a quale livello preciso sarà fissato lo stesso indice, ma si presume che esso verrà determinato nella misura del 3,0 per cento delle attività, misura sicuramente troppo bassa. Un tale rapporto significherebbe infatti che le banche potrebbero finanziarsi con 3 euro di capitale ogni 97 euro di debiti. Gli americani, che stanno come al solito lavorando al problema per conto loro, dovrebbero in realtà fissarlo ad un livello abbastanza più elevato, mentre da varie parti si chiede che esso lo sia ad un valore di almeno il 10%.
Ma sono pronte le misure per definire i criteri di calcolo dell’indice ed esse, come veniamo informati (Fleming, Chon, 2014), appaiono deludenti. Le lobbies bancarie hanno fatto ancora una volta un buon lavoro. In effetti, vengono molto allentati i criteri per calcolare il peso dei derivati e di altre operazioni finanziarie sul totale delle attività; da notare che tali voci costituiscono una parte quantitativamente molto importante dei bilanci bancari.
Gli accordi tra autorità statunitensi e grandi banche
L’ultima notizia fa riferimento agli accordi in via di definizione tra le autorità statunitensi ed una serie di grandi banche per far sì che queste ultime rispondano finanziariamente delle pratiche scorrette a suo tempo portate avanti sul fronte delle operazioni sub-prime. Già la JPMorgan ha accettato di pagare oltre 13 miliardi di dollari per chiudere l’affare. Ora altri grandi istituti, secondo notizie di stampa, si apprestano a dare il loro contributo ed alla fine le penalità complessive che le banche presenti nel paese dovrebbero pagare potrebbero arrivare alla somma astronomica di 50 miliardi di dollari.
Tutto bene allora? Certamente no. Ci sono almeno due osservazioni da fare. La prima è quella che le somme citate verranno facilmente assorbite nei bilanci delle grandi banche, che negli ultimi anni hanno ripreso a fare grandi profitti e comunque esse saranno al massimo a carico degli azionisti degli istituti e non dei responsabili in prima persona dei fatti. La seconda è quella che i grandi manager degli stessi, che hanno a suo tempo sviluppato le operazioni incriminate, restano per la gran parte al loro posto, vedono i loro bonus crescere nel tempo e non sono chiamati sostanzialmente a pagare penalmente per le loro azioni.
Alla fine ha pagato solo Harry Madoff, che gestiva soltanto una piccola boutique finanziaria.


Testi citati nell’articolo
-Barker A., Europe set to soften bank split reform, Financial Times, 6 gennaio 2014
-Fleming S., Chon, G., Banks win Basel concessions on debt rules, www.ft.com, 12 gennaio 2014
-The Economist, The return of securitisation, 11 gennaio 2014

martedì 21 gennaio 2014

Cuperlo


Ho scritto al segretario Matteo Renzi. Per comunicargli che mi dimetto da presidente dell'assemblea nazionale del PD. Ecco il testo della lettera:

Caro Segretario, dal primo minuto successivo alle primarie ho detto due cose: che quel risultato, così netto nelle sue dimensioni e nel messaggio, andava colto e rispettato, e che da parte mia vi sarebbe stato un atteggiamento leale e collaborativo senza venir meno alla chiarezza di posizioni e principi che, assieme a tante e tanti, abbiamo messo a base della nostra proposta congressuale. Ho accettato la presidenza dell’Assemblea nazionale con questo spirito e ho cercato di comportarmi in modo conseguente. Prendendo parola e posizione quando mi è sembrato necessario, ma sempre nel rispetto degli altri a cominciare da chi si è assunto l’onere e la responsabilità di guidare questa nuova fase. Nella direzione di ieri sono intervenuto sul merito delle riforme e sul metodo che abbiamo seguito. Ho espresso apprezzamento per l’accelerazione che hai impresso al confronto e condiviso il traguardo di una riforma decisiva per la tenuta del nostro assetto democratico e istituzionale. Non c’era alcun pregiudizio verso il lavoro che hai svolto nei giorni e nelle settimane passate. Lavoro utile e prezioso, non per una parte ma per il Paese tutto. Ho anche manifestato alcuni dubbi – insisto, di merito – sulla proposta di nuova legge elettorale. In particolare gli effetti di una soglia troppo bassa – il 35 per cento – per lo scatto di un premio di maggioranza. Di una soglia troppo alta – l’8 per cento – per le forze non coalizzate e di un limite serio nel non consentire ancora una volta ai cittadini la scelta diretta del loro rappresentante. Dubbi che, per altro, ritrovo autorevolmente illustrati stamane sulle pagine dei principali quotidiani da personalità e studiosi ben più autorevoli di me. Infine ho espresso una valutazione politica sul metodo seguito nella costruzione della proposta e ho chiuso con un richiamo a non considerare la discussione tra noi come una parentesi irrilevante ai fini di un miglioramento delle soluzioni. Nella tua replica ho ascoltato la conferma che le riforme in discussione rappresentano un pacchetto chiuso e dunque – traduco io – non emendabile o migliorabile pena l’arresto del processo, almeno nelle modalità che ha assunto. Sino ad un riferimento diretto a me e al fatto che avrei sollevato strumentalmente il tema delle preferenze con tutta la scarsa credibilità di uno che quell’argomento si è ben guardato dal porre all’atto del suo (cioè mio) ingresso alla Camera in un listino bloccato. E’ vero. Per il poco che possano valere dei cenni personali, sono entrato per la prima volta in Parlamento nel giugno del 2006 subentrando al collega Budin che si era dimesso. Vi sono rientrato da “nominato” nel 2008 e nuovamente nel listino da te rammentato a febbraio di un anno fa. La mia intera esperienza parlamentare è coincisa con la peggiore legge elettorale mai concepita nella storia repubblicana. Sarebbe per altro noioso per te che io ti raccontassi quali siano stati la mia esperienza e il mio impegno politico prima di questa parentesi istituzionale. Però la conosco io, e tanto può bastare. Quanto al consenso non so dire se in una competizione con preferenze ne avrei raccolte molte o poche. So che alcuni mesi fa, usando qualche violenza al mio carattere, mi sono candidato alla guida del nostro partito. Ho perso quella sfida raccogliendo però attorno a quella nostra proposta un volume di consensi che io considero non banali. Comunque non è questo il punto. Il punto è che ancora ieri, e non per la prima volta, tu hai risposto a delle obiezioni politiche e di merito con un attacco di tipo personale. Il punto è che ritengo non possano funzionare un organismo dirigente e una comunità politica – e un partito è in primo luogo una comunità politica – dove le riunioni si convocano, si svolgono, ma dove lo spazio e l’espressione delle differenze finiscono in una irritazione della maggioranza e, con qualche frequenza, in una conseguente delegittimazione dell’interlocutore. Non credo sia un metodo giusto, saggio, adeguato alle ambizioni di un partito come il Pd e alle speranze che questa nuova stagione, e il tuo personale successo, hanno attivato. Tra i moltissimi difetti che mi riconosco non credo di avere mai sofferto dell’ansia di una collocazione. Ieri sera, a fine dei nostri lavori, esponenti della tua maggioranza hanno chiesto le mie dimissioni da presidente per il “livore” che avrei manifestato nel corso del mio intervento. Leggo da un dizionario on line che la definizione del termine corrisponde più o meno a “sentimento di invidia e rancore”. Ecco, caro Segretario, non è così. Non nutro alcun sentimento di invidia e tanto meno di rancore. Non ne avrei ragione dal momento che la politica, quando vissuta con passione, ti insegna a misurarti con la forza dei processi. E io questo realismo lo considero un segno della maturità. Non mi dimetto, quindi, per “livore”. E neppure per l’assenza di un cenno di solidarietà di fronte alla richiesta di dimissioni avanzata con motivazioni alquanto discutibili. Non mi dimetto neppure per una battuta scivolata via o il gusto gratuito di un’offesa. Anche se alle spalle abbiamo anni durante i quali il linguaggio della politica si è spinto fin dove mai avrebbe dovuto spingersi, e tutto era sempre e solo rubricato come “una battuta”. Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero. Mi dimetto perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere. Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso. Voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità. Auguro buon lavoro a te e a tutti noi. Gianni

domenica 19 gennaio 2014

Intervista a Marx

Lo storico Donald Sassoon ha provato a contattare nell’aldilà l’autore del “Capitale”. Il risultato è uno sguardo sull’oggi: ironico, ma non solo


di DONALD SASSOON
- larepubblica -
Allora, dottor Marx, lei è davvero messo in soffitta adesso, o no? Quindici anni fa le sue teorie dominavano mezzo mondo. Adesso cosa rimane? Cuba? La Corea del Nord?

«Le mie “teorie”, come le chiama lei, non hanno mai “dominato”. Ho avuto dei seguaci che non mi sono scelto o cercato, e per i quali ho meno responsabilità di quante ne abbiano Gesù per Torquemada o Maometto per Osama bin Laden. I seguaci che si nominano da soli sono il prezzo del successo. La maggior parte dei miei contemporanei ci metterebbe la firma per essere “in soffitta” come lei pensa io sia. Scrissi che la questione era non di spiegare il mondo, ma di cambiarlo. E quanti eminenti vittoriani hanno fatto altrettanto?».
Ok. Nessuno sottovaluta la sua fama. Ma su questo deve essere d’accordo: il marxismo non è più quello di un tempo…
«In realtà il mio lavoro non è mai stato importante come adesso. Negli ultimi cinquant’anni ha conquistato le università dei Paesi più avanzati del mondo. Storici, economisti, politologi e anche, con mia grande sorpresa, alcuni critici letterari si sono tutti dati alla concezione materialista. La storia più interessante prodotta attualmente in Europa e negli Stati Uniti è più “marxistica” che mai. Basta andare alle convention della American Social Science History Association, che io visito regolarmente da spettro. Lì si esamina attentamente l’interconnessione di strutture istituzionali e politiche e del mondo della produzione. Parlano tutti di classi, strutture, determinismo economico, rapporti di potere, oppressi e oppressori. E fanno tutti finta di avermi letto – un chiaro segno di successo».
Calma. Andiamo avanti. Devo chiederle questo: l’Unione Sovietica, i gulag, il terrore comunista.
«Me l’aspettavo. Devo ammettere di essere vanitoso come chiunque altro e che tutto questo culto della personalità e venerazione di Marx mi ha toccato. Mi solleticava il vedere la mia faccia sulle banconote della vecchia DDR e una Marxplatz in ogni città prussiana. Certo, grazie alle abilità di marketing di Engels, gli sforzi di Bernstein e di quel noiosone di Kautsky, subito dopo la mia morte divenni il grande guru del movimento socialista. Di conseguenza gli occidentalizzatori russi mi presero sul serio come l’elettricità. Così non mi sorpresi quando Lenin decise di trasformarmi nella Bibbia. Lenin era un politico intelligente con un buon istinto. Ma era anche un fondamentalista determinato a trovare nel mio lavoro la giustificazione per qualunque cosa volesse fare. Inventò il “marxismo” man mano che andava avanti. Questa detestabile abitudine, tipica delle religioni da tempo immemorabile, si sparse ovunque. Cominciai ad avere la sensazione che anche le mie liste della spesa fossero arruolate al servizio di questa o quella fazione del movimento. Prenda il concetto di “dittatura del proletariato”. Era una formula che avevo escogitato per suggerire, seguendo l’antico uso dei Romani, un governo eccezionale in tempo di crisi. Avrò usato quest’espressione non più di una decina di volte in vita mia. Non le sto a dire la sorpresa quando la vidi riemergere come idea centrale del marxismo, usata per giustificare il regime a partito unico. Che posso dire? E fui abbastanza sorpreso quando la prima cosiddetta rivoluzione socialista, tra tutti i popoli, avvenne in un Paese così profondamente primitivo e governato da slavi. Quello che stavano facendo i bolscevichi era compiere la rivoluzione borghese che la borghesia russa era troppo esigua e stupida per compiere. I comunisti usarono lo Stato per creare un sistema industriale moderno. Se questa è “dittatura del proletariato”…».
E a proposito dei suoi primi scritti sull’alienazione? I manoscritti del 1844 erano famosi negli anni Sessanta. Vi si vedeva un’attinenza col mondo contemporaneo.
«Sciocchezze. La ragione per cui non li pubblicai era perché erano sproloqui irrilevanti. È ovvio che l’intellighenzia piccolo borghese disillusa ci sarebbe andata a nozze. Sono una perdita di tempo».
Dunque non pensa che il suo rapporto con Hegel…
«Oddio, Hegel! Le dirò un segreto. Non ho mai veramente letto se non nel modo più superficiale, la
Fenomenologia dello spirito di Hegel o la sua Logica. La vita è troppo breve».
Che ne pensa del socialismo di oggi?
«È stato in coma per molto tempo. Ha raggiunto il suo scopo: civilizzare il capitalismo nella sua terra d’origine. Non gli si poteva chiedere di più. Adesso si sta estinguendo serenamente. Anche il comunismo è crollato, ora che ha raggiunto il suo, di scopo: la costruzione del capitalismo. Lo hanno capito bene in Cina, dove si giocherà il prossimo secolo. In Russia, dove stiamo assistendo alla transizione da lumpen- comunismo a lumpen-capitalismo, è un altro discorso. Ma cosa vuole mai costruire con i russi? Uno deve leggere i loro romanzi, ascoltare la loro musica, ma per quel che riguarda un’economia solida…».
E Blair, la terza via?
«Davvero devo esprimermi su gente del genere? Dire che la storia li dimenticherà è troppo. Non se ne accorgerà nemmeno. E questo mostra quanto siete scesi in basso. Ai miei tempi ce la vedevamo con Bismarck, Lincoln, Gladstone e Disraeli… Veri nemici ».
E l’America?
«Mi sono sempre piaciuti gli yankee: niente feudalesimo, niente tradizioni imbelli. Un sacco di ipocrisia e religione, certo. Ma escono in qualche modo più forti da ogni crisi capitalista. Un fantastico sistema di governo: democrazia truccata, elezioni truccate, sistema politico truccato, circondato da impostori e gretti avvocati. Questo consente al business di svolgere il proprio compito, comprare i candidati, una tangente qui, una tangente là. La gente non è coinvolta. La metà se ne frega di votare. Per l’altra metà la politica è un innocuo divertimento, come guardare Chi vuole essere milionario?».
E lei? Come passa il tempo?«Io? Mi diverto. Con Friedrich giochiamo su internet. Lo sapeva che “Karl Marx” dà più di quattro milioni di risultati su Google? Abbiamo entrambi molti amici su Facebook e molti che ci seguono su Twitter».
Traduzione di Leonardo Clausi © 2014 Lit Edizioni Srl

Blog curato da ...

Blog curato da ...
Mob. 0039 3248181172 - adakilismanis@gmail.com - akilis@otenet.gr
free counters