Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 28 gennaio 2012

Non dimenticare ... ieri e (Palestina) oggi.














"E' avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. E' avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire."
(Primo Levi, 1919-1987, "I sommersi e i salvati", 1986)

La legge del valore nel passaggio dal capitalismo industriale al nuovo capitalismo

di CARLO VERCELLONE. uninomade
Lo scopo di quest’articolo è di caratterizzare, nel quadro teorico post-operaista, il senso logico e storico della marxiana legge del valore, nel passaggio dal capitalismo industriale al capitalismo cognitivo.In questa prospettiva, l’analisi si svilupperà in tre stadi. Nel primo si proporrà di precisare cosa bisogna intendere per legge del valore/tempo di lavoro e in cosa consiste la sua articolazione alla legge del plusvalore di cui è una variabile dipendente e storicamente determinata. In riferimento a questa articolazione utilizzeremo la nozione di legge del valore/plusvalore. Nel secondo e nel terzo stadio, l’attenzione sarà focalizzata sulle principali dinamiche che spiegano la forza progressiva della legge del valore/plusvalore nel capitalismo industriale, quindi la sua crisi nel capitalismo cognitivo.

1. Due principali concezioni della legge del valore-lavoro

Nella tradizione marxista coabitano, come rileva Negri (1992), due concezioni della teoria del valore. La prima insiste sul problema quantitativo della determinazione della grandezza del valore. Essa considera il tempo di lavoro come il criterio di misura del valore delle merci. E’ quella che chiamiamo la teoria del valore tempo di lavoro. Questa concezione è ben definita, per esempio, da Paul Sweezy, quando afferma che in una società mercantile-capitalistica “il lavoro astratto è astratto soltanto nel senso, dichiarato nettamente, che sono ignorate tutte le caratteristiche speciali che differenziano un genere di lavoro dall’altro. In definitiva, l’espressione lavoro astratto, come risulta chiaramente dallo stesso uso che ne fa Marx, equivale a lavoro in generale; è ciò che è comune a ogni attività produttiva umana” (Sweezy, 1970, p. 35). In questa visione, la legge del valore è concepita essenzialmente come une legge astorica della misura e dell’equilibrio che regge l’allocazione delle risorse. La nozione di lavoro astratto diviene quasi una categoria naturale, una semplice astrazione mentale, libera da tutte le caratteristiche che, dall’alienazione mercantile all’espropriazione dell’atto del lavoratore, ne fanno una categoria specifica del capitalismo. Abbiamo qui un approccio più ricardiano che marxiano alla teoria del valore-lavoro, la cui genealogia rinvia a un ipotetico modo di produzione mercantile semplice per estendersi in seguito al capitalismo.

La seconda concezione insiste sulla dimensione qualitativa del rapporto di sfruttamento su cui riposa il rapporto capitale-lavoro, rapporto che presuppone la trasformazione della forza-lavoro in merce fittizia. E’ quella che si può chiamare teoria del valore/plusvalore. Essa concepisce il lavoro astratto come sostanza e fonte del valore in una società capitalistica retta dallo sviluppo delle relazioni mercantili e dal rapporto antagonistico capitale-lavoro. Notiamo, a tal proposito, che in Marx la legge del valore-lavoro è concepita direttamente in funzione della legge del plusvalore e non ha nessuna autonomia rispetto a quest’ultima, cioè alla legge dello sfruttamento. A tal proposito, la stessa scelta molto controversa di Marx, nel primo capitolo del libro I del Capitale, di partire dall’analisi della merce, non ha nulla a che vedere con l’ipotesi di una società mercantile semplice che avrebbe preceduto il capitalismo. Deriva, invece, dalla necessità di mostrare come la trasformazione della forza-lavoro in una merce fittizia – e dunque l’articolazione fra il suo valore di scambio e il suo valore d’uso (il lavoro stesso) – spieghi il mistero dell’origine del profitto. Insomma, in Marx non c’è nessun feticismo riguardante la legge del valore/tempo di lavoro, in quanto legge dello scambio di equivalenti, che ne farebbe una sorta di invariante strutturale del funzionamento dell’economia. Al contrario, la legge del valore-plusvalore deve essere qui pensata, innanzitutto sul piano macroeconomico dell’opposizione fra capitale sociale e lavoratore collettivo e non come una problematica della determinazione della misura del valore delle merci individuali. Questa lettura – ci sembra – è tanto più pertinente in quanto, come osserva Hai Hac “il capitale è indifferente al valore delle merci che produce, poiché ciò che gli interessa è solo il plusvalore di cui il valore è portatore. Inoltre, nella misura in cui il plusvalore cresce con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro sociale, il valore decresce in ragione dello stesso movimento, c’è dunque uno stesso processo che abbassa il valore delle merci ed eleva il plusvalore che esso contiene” (Hai Hac, p. 265, Tome I).

Chris Hedges, Perchè gli Stati Uniti distruggono il loro sistema scolastico

Autore: Gabriella Giudici Fonte: scienzeumanegiudici
Per capire com’è oggi il sistema che stiamo importando e le ragioni di questa scelta bisogna leggere il bellissimo articolo di Hedges, scrittore e giornalista del New York Times. Richiamando Socrate, Kant e Hannah Arendt, Hedges ricorda a quanti confondono l’educazione con l’addestramento che non insegnare ai giovani a pensare è un crimine di cui il mondo ha già conosciuto gli effetti.

Una nazione che distrugge il proprio sistema educativo, degrada la sua informazione pubblica, sbudella le proprie librerie pubbliche e trasforma le proprie frequenze in veicoli di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta. Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico e dell’istruzione. Celebra l’addestramento meccanico al lavoro e la singola, amorale abilità nel far soldi. Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato delle imprese. Li incanala in un sistema castale di gestori di droni e di sistemi. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese.

Gli insegnanti, con i loro sindacati sotto attacco, stanno diventando altrettanto sostituibili che i dipendenti a paga minima di Burger King. Disprezziamo gli insegnanti veri – quelli con la capacità di ispirare i bambini a pensare, quelli che aiutano i giovani a scoprire i propri doni e potenziali – e li sostituiamo con istruttori che insegnano in funzione di test stupidi e standardizzati. Questi istruttori obbediscono. Insegnano ai bambini a obbedire. E questo è il punto. Il programma ‘No Child Left Behind’, sul modello del “Miracolo Texano”, è una truffa. Non ha funzionato meglio del nostro sistema finanziario deregolamentato. Ma quando si esclude il dibattito, queste idee morte si autoperpetuano.Il superamento di test a scelta multipla [bubble test] celebra e premia una forma peculiare di intelligenza analitica. Questo tipo di intelligenza è apprezzato dai gestori e dalle imprese del settore finanziario. Non vogliono dipendenti che pongano domande scomode o verifichino le strutture e gli assiomi esistenti. Vogliono che essi servano il sistema. Questi testi producono uomini e donne che sanno leggere e far di conto quanto basta per occupare posti di lavoro relativi a funzioni e servizi elementari. I test elevano quelli che hanno i mezzi finanziari per prepararsi ad essi. Premiano quelli che rispettano le regole, memorizzano le formule e mostrano deferenza all’autorità. I ribelli, gli artisti, i pensatori indipendenti, gli eccentrici e gli iconoclasti – quelli che marciano al suono del proprio tamburo – sono eliminati.

“Immagina” ha detto un insegnante di scuola pubblica di New York che ha chiesto di non fare il suo nome, “ di andare ogni giorno al lavoro sapendo che molto di quello che fai è una truffa, sapendo che non stai in alcun modo preparando gli studenti alla vita in un mondo sempre più brutale, sapendo che se non continui, secondo copione, con i tuoi corsi di preparazione ai test, e anzi se non migliori al riguardo, resterai senza lavoro. Fino a pochissimo tempo fa, il preside di una scuola era qualcosa di simile a un direttore d’orchestra: una persona che aveva una profonda esperienza e conoscenza della parte e della collocazione di ogni membro e di ogni strumento. Negli ultimi dieci anni ho assistito all’emergere sia dell’Accademia della Leadership del [sindaco] Mike Bloomberg sia dell’Accademia dei Sovrintendenti di Eli Broad, entrambe create esclusivamente per produrre all’istante presidi e sovrintendenti che si modellano sugli amministratori delegati delle imprese. Come è possibile che una cosa del genere sia legale? Come vengono riconosciute tali accademie? Di leader di che qualità ha bisogno una “accademia della leadership”? Che tipo di società consente a persone simili di amministrare le scuole dei suoi bambini? I testi di alto livello possono essere inutili da punto di vista pedagogico ma sono un meccanismo brillante per minare il sistema scolastico, instillando paura e creando una giustificazione perché se ne impossessino le imprese. C’è qualcosa di grottesco nel fatto che la riforma dell’istruzione sia diretta non da educatori bensì da finanzieri e speculatori e miliardari.”

Mondo cane, mondo fame

Fonte: Beppe Grillo
A Davos i banchieri discutono della fame nel mondo. Il rappresentante dell'Unilever ha detto "Ogni sei secondi un bambino muore di fame. Il numero di persone che soffre la fame è aumentato dopo la crisi, in questi ultimi tre anni". Già, ma chi è il responsabile? Lo spread? I CDS? I derivati? Il fato? O le aziende che producono semi geneticamente modificati e rendono schiave dei loro prodotti intere popolazioni? O gli Stati che vendono armi alle nazioni più povere in cambio delle loro ricchezze? O le industrie che trasformano il grano in biofuel? O i Paesi che comprano terreni agricoli nel Terzo mondo, li fanno coltivare agli autoctoni, per predare quantità enormi di derrate alimentari? O le imprese che distruggono il clima e desertificano la Terra? O la trasformazione di terreni agricoli in allevamenti di carne? O la cementificazione selvaggia del territorio? O l'ipocrisia di chi dà un euro in beneficenza e butta nella spazzatura 10 euro di cibo avanzato?
L'India ha il maggior numero di persone che soffrono la fame. Quale dovrebbe essere la soluzione? Semi OGM Monsanto? Più produzione, stomaci pieni. Eppure, nel Paese più affamato del mondo, hanno avuto la forza di dire no. Il governo ha fatto una moratoria sull'introduzione dell'OGM nell'agricoltura "Non c'è urgenza di introdurre l'OGM con il pretesto della mancanza di cibo", ha detto il ministro indiano per lo sviluppo rurale Jairam Raimesh (*). Grandi industrie come Unilever, Nestlé e PepsiCo stanno aiutando lo sviluppo dell'agricoltura nel mondo con microfinanziamenti, semi e fertilizzanti. Ma in cambio di cosa? E l'ONU a che serve?
Il business della fame è uno dei più redditizi e sicuri del prossimo futuro. Infatti, entro il 2050 la popolazione mondiale aumenterà di altri due miliardi. Quota 9 miliardi. Una bonanza per le aziende produttrici di OGM. Strano un mondo che si preoccupa dello spread, ma ignora la morte per fame di cinque milioni di bambini ogni anno.
(*) fonte FT

Robert Fisk: The present stands no chance against the past

di Robert Fisk - indipendent
The Palestinians are not only, it seems, an "invented people" – courtesy of Newt Gingrich – but the only Arabs on the Mediterranean not to enjoy a Spring or an Awakening or even a Winter.

And Benjamin Netanyahu has been boasting that he was right about Egypt and Tunisia and Libya. He did not welcome their supposedly democratic revolutions last year – and who, he has been asking, blames him now for his silence? And the Israeli Prime Minister's silence, I notice, continues over Syria. Save for the accusation that the Assad regime was involved in the attempt by Palestinian refugees to cross the border via Golan last year – Netanyahu must be right about that – and a passing comment in June that "the young people of Syria deserve a better future", that's it. Israel, the beacon of democracy in the Middle East, has nothing more to say.

For some reason, we – in the press, on television, in our parliaments – are not discussing this silence. But, as Professor Ian Buruma pointed out recently, the political heirs of "deeply racist traditions" are the new champions of the Jewish state, whose policies now owe more to 19th-century ethnic chauvinism than to Zionism's socialist roots. All kinds of strange people now give their support to Israel. It is disturbing to note that the Oslo mass murderer, Anders Behring Breivik, supported the ethnic cleansing of Palestinians from the West Bank. That's not Israel's fault. But Republicans in America are now warning of an Islamic Sharia law takeover in the US. It's an idea fostered, according to The New York Times, by a 56-year-old Hasidic Jewish lawyer called David Yerushalmi and his Society of Americans for National Existence, who now has former CIA director James Woolsey and Republicans Newt Gingrich and Michele Bachmann echoing his views. The last two have actually signed a pledge "to reject Islamic law".

For what? Israel, which in the past could analyse events rationally, if not always correctly, appears, too, to have lost its ability to grasp events, its Prime Minister hiding behind self-delusional speeches when he should be understanding the typhoon sweeping across the Arab states around him. People who will no longer tolerate dictators are not going to accept peace treaties with an ever more expansionist Israel – 2,000 more colonisers' homes, Netanyahu decided last autumn, would be the latest punishment for the Palestinians who dare to demand statehood.
OLYMPICS GAMES 2020: YES OR NOT?
"Important is not to win, it is to have the money to hold them"

venerdì 27 gennaio 2012

BRIC: lotta per la supremazia industriale

di Vincenzo Comito - sbilanciamoci
Il Giappone frena, Corea e India crescono, ma è la Cina protagonista della lotta per diventare la potenza industriale dominante in Asia e nel mondo

Premessa
In Asia, nel corso dell’ultimo millennio, gli scontri militari tra Giappone, Corea, Cina, sono stati frequenti, la maggior parte delle volte su iniziativa del Giappone, che mirava a combattere soprattutto la Cina, più che la Corea, mentre il mondo indiano ha sempre sostanzialmente fatto storia a sé, non coinvolto nelle lotte tra gli altri attori. Oggi la contesa tra le attuali quattro grandi potenze del continente - lasciando da parte la Russia - si è spostata in gran parte sul terreno economico e, in particolare, su quello della conquista di posizioni nelle attività industriali dell’Asia e dell’intero pianeta. Anche in questo caso l’India, che pure partecipa alla contesa, appare relativamente defilata rispetto agli altri tre paesi. Speriamo che tale lotta non si traduca anche in una corsa agli armamenti, come qualcuno sembra temere (Emmott, 2008). Vediamo brevemente ed in maniera approssimata la situazione attuale e le prospettive dei quattro protagonisti.

la Corea

Nel corso della storia dell’ultimo millennio, la Corea si è trovata, per ragioni di posizionamento geografico, collocata com’è tra Cina e Giappone, grosso modo nella stessa situazione in cui in Europa si è dovuta barcamenare in tempi più recenti la Polonia, stretta anch’essa tra due giganti, la Germania e la Russia. Ma il paese asiatico è riuscito a cavarsela meglio di quello europeo, riuscendo quasi sempre a non fare le spese della lotta, o dell’accordo, tra i due contendenti. Oggi il sistema industriale coreano, per prosperare, si trova a dover affrontare ancora quello giapponese, apparentemente in declino ma sempre agguerrito, e quello cinese, invece in grande sviluppo. Come in passato sul terreno militare, oggi su quello industriale i coreani, attraverso in particolare il sistema dei chaebol, entrato in crisi in un periodo relativamente recente e che ora sembra invece rivivere rinnovato, stanno riuscendo a contrastare efficacemente le imprese giapponesi in diversi settori (Soble, 2011). Si consideri quello che è avvenuto nel campo dell’elettronica di consumo, dove imprese come LG e Samsung tendono a dominare i mercati avendo sopravanzato da tempo come risultati i loro omologhi giapponesi, mentre le grandi imprese di quest’ultimo paese, un tempo dominanti – citiamo soltanto la Sony - oggi sono in difficoltà. Qualcosa di ancora più decisivo è avvenuto nella cantieristica, dove i coreani, dopo aver debellato i rivali giapponesi, si trovano peraltro oggi di fronte a quelli cinesi, armati di ben altri mezzi. Intanto nel settore dell’auto, la Hyunday Motor sta riuscendo a sfidare con rilevanti successi la Toyota. L’economia coreana presenta comunque alcuni punti deboli di rilievo (Oliver, 2011): da una parte la struttura delle piccole e medie imprese è molto precaria, con i grandi chaebol che contribuiscono a mantenerla in uno stato di difficoltà; dall’altra parte le grandi imprese del paese sono, in parte almeno, dipendenti da quelle giapponesi per la fornitura di componentistica avanzata. La Corea presenta così un deficit rilevante della bilancia commerciale con il Giappone.

La Repubblica fondata sul profitto

di Alessandra Algostino - sbilanciamoci
Nell’era in cui gli uomini della Goldman Sachs e affini sono al vertice di governi e istituzioni, il conflitto è sedato, la giustizia sociale sostituita dal mantra della competitività, la concertazione collettiva svilita. Come e perché l’Italia è diventata una Repubblica fondata sul profitto

«Ogniqualvolta un notabile di Coketown si sentiva maltrattato – vale a dire, ogni volta che non gli si permetteva di fare il comodo suo e si avanzava l’ipotesi che potesse essere responsabile delle conseguenze dei suoi atti – si poteva star certi che costui se ne sarebbe uscito con la terribile minaccia che, piuttosto, avrebbe “gettato tutti i suoi beni nell’Atlantico”»

C. Dickens, Hard Times. For These Times, 1854

Il conflitto capitale-lavoro e la scelta della Costituzione

La storia della destrutturazione dei rapporti di lavoro è ormai lunga, dalle prime leggi sulla flessibilità al c.d. collegato lavoro, dalle concertazioni sul welfare agli “accordi” di Pomigliano e Mirafiori. Il lavoro, che la Costituzione disegna come strumento di dignità della persona e mezzo di emancipazione sociale, come fondamento della «Repubblica democratica» e trait d’union fra democrazia politica e democrazia economica, è sempre più solo merce. Il diritto dei lavoratori, che evoca diritti e garanzie, che ha come soggetto non la vendita di mano d’opera quanto la vita delle persone, è mistificato nella retorica dei lavori, della competitività, della “libertà” contrattuale del singolo lavoratore. La precarietà si ammanta e diviene flessibilità, quando non vuole essere ancor più affascinante e si fa flexicurity. La piena occupazione è sostituita dalla «propensione ad assumere» che, nel quadro dell’«efficientamento del mercato del lavoro», passa «attraverso una nuova [de-]regolazione dei licenziamenti» (così nella Lettera inviata dal governo italiano all’Unione europea, 26 ottobre 2011). Datori di lavoro e sindacati (nelle loro sigle maggiormente rappresentative a livello nazionale) concordano nel centrare le relazioni industriali sul profitto delle imprese (la loro competitività e produttività), nella prospettiva ordoliberale che da ciò possano discendere benefici per l’occupazione e le retribuzioni (per tutti, da ultimo, l’Accordo siglato il 28 giugno 2011 tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil).

Si è imposto, e si è optato, con il consenso o la tacita connivenza dei gruppi dirigenti delle principali forze politiche, per un modello che traduce nelle relazioni industriali il libero mercato. Dopo lo svuotamento del significato dell’art. 41 Cost., ormai così reinterpretato a tutela della libera concorrenza da non aver più nemmeno bisogno di essere modificato, si rovescia la Repubblica fondata sul lavoro (art. 1 Cost.) nella Repubblica fondata sul profitto.

Global corporate power



Fonte: sbilanciamoci
Chi sono le persone che rappresentano l’1%? Quali compagnie gestiscono? In che modo evitano la trasparenza? I grafici del Transnational Institute di Amsterdam dimostrano i costi sociali e ambientali del potere delle corporation globali

La crisi economica, sociale ed ecologica che l’umanità sta affrontando non è fortuita, ma il risultato di politiche perseguite da una elite circoscritta, che ha sistematicamente preso in ostaggio le scelte politico-economiche in tutto il mondo.

Questa elite globale – meglio conosciuta come la classe di Davos – si riunisce ogni anno nella cittadina-resort svizzera durante l’ultima settimana di gennaio, per ribadire la propria fede nell’ortodossia delle politiche economiche favorevoli alle corporation.

Continua a farlo, nonostante sia diventato ancora più evidente che i costi di queste politiche significano crisi del debito irrisolvibili, crescita della disoccupazione e della disuguaglianza e crisi ecologiche sempre più pressanti.

Nell’ambito di un progetto sul “corporate power”, il Transnational Institute di Amsterdam sta realizzando una serie di infografici per tutto il 2012, mostrando la realtà del “corporate power” e la necessità di un radicale cambio direzione.

Le corporation che governano il mondo:
Quali sono le più grandi compagnie al mondo? Quali corporation le controllano? Il loro potere, in che rapporto è con gli Stati?

Lo 0,001% globale:
10,9 milioni di persone controllano 42,7 trilioni di dollari, due terzi del prodotto interno lordo mondiale. Cosa potremmo farci, con quei soldi?

Gli uomini più ricchi del mondo:
Chi sono, e come hanno fatto i loro soldi? Quali sono i paesi in cui è meglio essere ricchi?

Gli architetti del neoliberismo:

Un’economia globale di cui beneficia solo un’elite circoscritta non è fortuita: è stata sapientemente delineata da politici che spesso hanno lavorato per le corporation transnazionali e che, una volta lasciato l’incarico, sono stati ricompensati.

Peoples of Europe Rise Up!!

Sciopero generale al Consiglio europeo
Alessandro Cardulli. - paneacqua
Lunedì prossimo si apre a Bruxelles un Consiglio europeo che si annuncia travagliato: il Belgio è in pieno sciopero generale, proclamato dai sindacati per manifestare contro il "fiscal compact". In Italia Senato e Camera hanno approvato mozioni sull' Unione europea a sostegno dell'operato di Monti, il quale si appresta a sostenere in Europa una linea su Eurobond, Fondo per gli stati in difficoltà, tassazione delle transazioni finanziarie, creazione di una agenzia europea di rating, Bce e ruolo del Parlamento europeo, che trova forti ostacoli da parte della Germania

Quando i Capi di Stato e di Governo arriveranno lunedì a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo troveranno un Paese, il Belgio appunto, con in corso uno sciopero generale proclamato dai sindacati per manifestare contro il "fiscal compact", il patto di bilancio che vincolerà i paesi dell'Ue. Si svolgeranno manifestazioni di protesta non solo a Bruxelles ma anche in altri Paesi europei. Lo sciopero a Bruxelles colpirà anche i trasporti, aerei compresi, e creerà disagi per l'arrivo dei partecipanti al Consiglio. La giornata di lotta fa parte di un programma di iniziative decise dalla Confederazione dei sindacati europei (Ces), che raggruppa 84 organizzazioni di lavoratori, che culmineranno nella "giornata di azione europea" prevista per il 29 febbraio, alla vigilia del vertice Ue del 1 marzo.

"Giornata di azione" decisa dai sindacati europei

Lo slogan della giornata di lotta sarà "Troppo, è troppo". "Le misure di austerità - ha dichiarato Bernadette Segol, segretario generale della Ces - non sono la sola risposta alla crisi". I risultati di una politica di austerità a senso unico (ma con il governo Berlusconi c'era anche qualcosa di più, dalla corruzione all'elogio dell'evasione fiscale sanata da condoni multipli) sono documentati dai dati negativi su occupazione, reddito, consumi, con uno stato di povertà che colpisce il 14,4% della popolazione.

Sassoli: deficit di bilancio e di democrazia

La decisione presa dal Comitato di direzione della Ces, riunito in seduta straordinaria, fa seguito alla bocciatura da parte del Parlamento europeo dell'accordo raggiunto, il patto di bilancio, da 26 Paesi - la Gran Bretagna si chiamò fuori - e che dovrà essere ratificato entro il mese di marzo. Di fatto si torna ad una Europa che fonda le sue scelte sul metodo intergovernativo, i rapporti fra i governi, quando sarebbe essenziale il metodo comunitario per caratterizzare la necessaria unione fiscale ed economica. "Al deficit di bilancio - il commento di David Sassoli, europarlamentare del Pd - si è scelto di aggiungere un deficit di democrazia, escludendo la Commissione ed il Parlamento europeo. Il metodo comunitario non è un optional ma l'unica strada per dare governo e stabilità all'Europa".

Piccola lezione di ideologia. Lo spot per l’aumento di capitale Unicredit

di Alessandro Robecchi.
Pubblicato in Varie & eventuali alessandrorobecchi
Dunque ci risiamo. Le ideologie sono morte, le ideologie non vanno più di moda (variante interessante: "Uh, come sei ideologico!"). Naturalmente ci sono molte eccezioni per cui le ideologie non sono morte per niente, anzi, pare stiano benissimo. Il caso degli spot attualmente in onda per l’aumento di capitale Unicredit possono fornirci una bella lezioncina in proposito. E poi dicono che non impariamo niuente dalle banche! Cominciamo dai numeri: un aumento di capitale di 7,5 miliardi di euro, una campagna pubblicitaria che pare sia costata attorno ai cinque milioni di euro tra affissioni, radio, tv, eccetera eccetera.La campagna stampa e affissioni affianca la bandiera italiana a quella di Unicredit. Messaggio chiaro e semplice: se aiutate la banca aiutate anche il Paese, anzi, sono una cosa sola, sventolano insieme sullo sfondo di un cielo azzurro… Il claim, poi, è addirittura didascalico: "Investite in una grande banca per far crescere insieme un grande Paese". Come dire che gli interessi di Unicredit e quelli dell’Italia sono la stessa cosa. Insomma: vuoi bene all’Italia? E cosa aspetti a sottoscrivere l’aumento di capitale di Unicredit? Passiamo allo spot radiofonico. Qui si cambia un po’ tiro. Nel senso che ciò che si sottolinea è lo sforzo comune, il "tutti insieme". La voce è di Ottavia Piccolo, ottima attrice di sincera fede democratica. Spiega il copy Marco Ferri, che con il Consorzio Creativi firma la campagna Unicredit: "Una bella persona di sesso femminile, non il solito cliché della velina". Già, ma quando mai si era vista una velina vendere prodotti finanziari? Mai. E poi ancora: "In un Paese in cui le donne vengono discriminate, scegliere Ottavia ci è sembrato il miglior modo per valorizzarle". Giusto. Unicredit è così una banca che vende il suo aumento di capitale in due modi: facendo un’equazione Unicredit-uguale-Italia e sostenenedo valori di coraggio e solidarietà, parlando di gesti concreti e… Ah, dimenticavo: valorizzando le donne.Ecco il testo dello spot radiofonico con la voce di Ottavia Piccolo: "Che cos’è un’azione concreta? E’ aiutare un amico. E’ non ostacolare la carriera della tua compagna. E’ non temere di esporsi per sostenere una questione di principio. Se sentite anche voi il bisogno di azioni concrete, partecipate all’aumento di capitale Unicredit. Investite in una grande banca per far crescere un grande Paese, il nostro". Ecco. Ora, naturalmente non sappiamo che amico aiuterete comprando azioni Unicredit (a meno che non siate amici dell’amministratore delegato o del presidente). E nemmeno sapremmo dire quale questione di principio sostenete così vigorosamente (a rischio di "esporsi", nientemeno! Così ecco una banca che si traveste da Robin Hood!). Quanto alla discriminazione della donna ("non ostacolare la carriera della tua compagna", perbacco!), basta un’occhiata al Consiglio di Amministrazione di Unicredit. Vediamo. Un presidente (uomo), quattro vicepresidenti (uomini), un amministratopre delegato (uomo), un segretario (uomo), sedici consiglieri di cui quattordici uomini e DUE donne. In totale, dunque la presenza femminile nel CdA Unicredit è dell’8,69 per cento… Altro che quote rosa! Presto! Chiamate Ottavia Piccolo!
Ma veniamo alla parte più divertente della piccola lezione di ideologia così abilmente offerta da Unicredit, lo spot televisivo. Firmato da Alessandro D’Alatri, (guardatelo qui), mostra una giovane donna che compie un gesto concreto. In sostanza il gesto concreto è questo: vede la bandiera italiana impigliata in cima a un pennone e si arrampica per farla sventolare liberamente, applaudita da tutti gli astanti. Nazionalismo, dunque, anzi, orgoglio nazionale. Il gesto concerto: far sventolare meglio la nostra bandiera. E se cascava? E se si rompeva la testa? Che razza di gesto concreto sarebbe stato restare anni e anni ricoverata sulle spalle del servizio sanitario nazionale che paghiamo tutti? Ma lasciamo perdere: il gesto concreto di far garrire al vento il nostro amato tricolore è alla portata di tutti: basta comprare azioni Unicredit. Una banca che soltanto tre mesi fa (ottobre 2011) è stata messa sotto inchiesta (con iscrizione nel registro degli indagati di 17 manager ed ex manager del gruppo) per frode fiscale (qui il pezzo del Sole 24 Ore).
Ecco, appunto, un gesto concreto. Tranquilli, niente che non si possa curare con un po’ di ideologia… Del resto, se fai bene alla banca fai bene al Paese, no? Non è quello che ci dicono ogni giorno con atti, parole opere e omissioni i nostri beneamati professori?
MEMORIAL DAY
FOR THE PALESTINE, AFTER 60 YEARS OF SLOW GENOCIDE, IT IS STILL THE ALZHEIMER DAY

giovedì 26 gennaio 2012

Liberalizzazioni? No, più regole

Lelio Demichelis da MicroMega online - sbilanciamoci
Liberalizzazioni? No grazie! Il Governo Monti è partito con un grande piano di (cosiddette) liberalizzazioni, ma davvero l’Italia potrà essere salvata e resa più moderna e competitiva se si faranno queste (e magari anche altre) liberalizzazioni? Più tassisti, più notai e più farmacie salveranno l’Italia?
In realtà, non di altre liberalizzazioni l’Italia e l’Europa avrebbero bisogno, ma di nuove e soprattutto urgenti regolamentazioni. E di nuove regole. Non solo di nuove regole elettorali, dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale dei due referendum – referendum non tanto elettorali quanto di ri-costruzione/ri-fondazione della cittadinanza. Non solo di nuove regole morali ed etiche capaci di ri-fondare, questa volta, il saper con-vivere decentemente in società (senza gli egoismi degli ultimi decenni, senza nuovi casi Cosentino e Malinconico). L’Italia e l’Europa hanno in realtà soprattutto bisogno di nuove regole e di nuove regolamentazioni ai mercati: regole e regolamentazioni (non liberalizzazioni) che ridiano ordine, senso e scopo – ma soprattutto giustizia, libertà, uguaglianza e (nuovamente) vera cittadinanza – ai cittadini, agli individui, alle persone.
Regole per il mercato del lavoro e regole per i mercati finanziari.
Mercati finanziari. E’ scandaloso che le agenzie di rating – soggetti privati e in cronico conflitto di interesse con i loro proprietari (fondi di investimento speculativi) e quindi in conflitto con l’interesse generale degli stati e delle società/collettività di cittadini – si arroghino il diritto di giudicare stati e società (e ancor più scandaloso è che stati e società concedano loro il potere/diritto di giudicare). E’ scandaloso che (come S&P, venerdì) giudichino negativamente l’Europa e lo facciano subito dopo un inizio di ripresa di fiducia dei mercati per i buoni andamenti delle aste di titoli pubblici di Spagna e Italia. Ma è scandaloso – soprattutto - che dopo l’ultima crisi finanziaria – generata e indotta dal finanzcapitalismo (secondo l’ottima definizione di Luciano Gallino) – governi, Europa, Fmi e Bce tutto abbiano fatto, prodotto e indotto per compiacere questo stesso finanzcapitalismo (recessione, minori diritti, impoverimento, ulteriore precarizzazione di lavoro e di vita, ossessioni da obbligo di pareggio di bilancio), ma non ciò che era invece più urgente e doveroso fare: regole ferree, stringenti, obbligatorie per il controllo e la regolamentazione dei mercati finanziari; regole/regolamentazioni altrettanto ferree contro le logiche di speculazione che per troppi anni (e con la compiacenza/correità dei governi) hanno messo sotto scacco la ricchezza dei cittadini, i loro sistemi di welfare, i loro diritti sociali e quindi anche politici, cittadini ormai non-più-cittadini-ma-sudditi-dei-mercati. Era necessario invertire radicalmente la rotta perversa e suicida di questi ultimi 30 anni – liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati, privatizzazioni, trasferimento imposto dei rischi sociali dallo stato e dalle imprese ai singoli cittadini – ma non è stato fatto.

La grande crisi dei debiti sovrani (2011-2012)

di Giorgio Gattei - campagnanorap
1. Tutti i debiti del mondo.
C’era un tempo in cui si teorizzava (sto esagerando, ma non di molto) che con il salario i lavoratori dovevano alimentare i consumi, i capitalisti volgere tutto il profitto a risparmio per l’investimento, le banche essere appena intermediarie tra l’investimento e il risparmio e lo Stato intervenire al minimo (al limite zero) negli affari economici, così che per:
(reddito) Y = W (salari) + Sc (risparmio dei capitalisti)
W = C (consumi)
Sc = I (investimento)
(spesa pubblica) G = 0
Nel Novecento questa rappresentazione ideale è stata sconvolta dall’avvento del credito bancario quale elemento nuovo di finanziamento delle imprese, così che nell’ipotesi estrema che tutto l’investimento venisse assicurato dalle banche, il profitto risparmiato poteva essere intercettato dallo Stato per finanziare la spesa pubblica con un proprio debito sovrano:
I = Fi (finanziamento alle imprese)
Sc = Ds (debito sovrano)
Ds = G > 0
A fronte dei due nuovi “motori” della produzione del reddito: l’indebitamento delle imprese verso le banche e l’indebitamento dello Stato verso i capitalisti, nella seconda metà del secolo è venuta a mutare anche la posizione finanziaria dei lavoratori perchè da un lato gli alti salari della produzione “fordista” hanno permesso di renderli anch’essi risparmiatori facendoli partecipare all’indebitamento dello Stato:
Ds = Sc + Sw (risparmio dei salariati)
mentre dall’altro l’accesso all’indebitamento presso le banche ha consentito loro di consumare anche al di là del salario guadagnato:
C = W + Df (debito alle “famiglie”)
In questa maniera lo Stato è diventato debitore sia verso i capitalisti che verso i lavoratori per l’ammontare del suo debito pubblico, mentre le banche si sono fatte creditrici sia verso le imprese che verso i lavoratori per l’ammontare dei debiti privati.
Se questo è lo stato di fatto attuale diventano incomprensibili quanti oggi inveiscono contro quei debiti sovrani che sono stati l’effetto del salvataggio del sistema finanziario da parte dei governi tra 2009 e 2010 (per un ammontare complessivo di circa 15.000 miliardi di dollari: cfr. L. Gallino, Finanzcapitalismo, Einaudi, 2011, p. 109) tacendo sul debito delle “famiglie” e delle imprese che pure incombe e che, se aggiunto al precedente, darebbe un livello d’indebitamento nel mondo attorno ai 100.000 miliardi di dollari (a fronte di un PIL planetario che non va oltre i 60.000 miliardi: L. Gallino, idem, p. 264). Considerando l’intero debito anche la graduatoria della pericolosità finanziaria delle diverse nazioni viene a cambiare notevolmente, come risulta dal prospetto seguente (tratto da “L’Espresso”, 21.7.2011) messo a confronto con il rating che l’agenzia Standard&Poor’s assegnava a luglio 2011 ai debiti sovrani dei singoli Stati:
% PIL Debito pubblico Debito privato Debito totale Rating S&P
Gran Bretagna 83 970 1153 AAA
Giappone 229 400 629 AA-
Spagna 64 408 472 AA
Francia 88 374 462 AAA
Area euro 87 362 449 non esiste
Italia 120 268 388 A
Stati Uniti 100 264 364 AA+
Germania 80 226 326 AAA
Grecia 152 160 312 CCC
Ci sarà comunque una ragione che giustifica l’accanimento contro il solo debito pubblico, soprattutto europeo! E la ragione rimanda alla natura dello scontro finanziario che si è aperto dal 2011 tra l’Unione Monetaria Europea ed i cosiddetti “mercati”.
CROCODILE (italian press jargon for obituary) FOR PRESS FREEDOM INDEX: ITALY 61th

mercoledì 25 gennaio 2012

Una doverosa precisazione

Rossana Rossanda - ilmanifesto
25.01.2012
Alberto Asor Rosa si è doluto che io abbia interpretato il suo articolo del 19 gennaio scorso come un appoggio al governo Monti. Ebbene sì, confesso di averlo letto appunto in questi termini, dando poca attenzione a qualche aguzzo segnale sparso nel testo (leggi l'editoriale di Rossanda del 20 gennaio). Asor Rosa invece mi ha spiegato che nelle sue intenzioni la sottolineatura della compattezza marmorea e super partes dell'accordo fra presidenza della Repubblica, governo e parlamento, che ha sbarcato Berlusconi, mirava invece a metterci in guardia dalla speranza di cavarcela senza opporgli un altrettanto solido programma. Non posso quindi che dare atto ad Asor Rosa di questa "bevuta", supplicandolo di non contare troppo, d'ora in poi, sulle mie capacità di decriptare, leggendola al secondo grado, una scrittura deliberatamente paradossale.

Ma mi chiedo anche perché l'ho letto in questo modo. Prima ragione: il vedere tante persone, e di assoluta serietà, sollevate dal vedersi levar di torno il cavaliere e di avere a palazzo Chigi un esecutivo di una correttezza privata cui erano disabituate. Fino a prendere sul serio per neutre le misure che esso decide. È super partes tassare in uguale proporzione ricchi e poveri, più il lavoro che il capitale, più il capitale produttivo che la finanza, privatizzare i residui servizi pubblici, fingere di non capire il senso del referendum sull'acqua? Era ai ragazzini che don Milani spiegava come nulla sia più ingiusto che offrire la stessa tazza di minestra a chi è affamato e a chi si è stancato del caviale. Noi adulti ce lo siamo scordato?

La seconda ragione è che non apprezzo affatto l'improvviso decisionismo del presidente della Repubblica. Fino a mezzora prima di scaricare Berlusconi, Giorgio Napolitano esortava implacabilmente destra e sinistra a non confliggere, e si difendeva da qualsiasi richiesta di prendere posizione.

Né aveva usato il messaggio alle camere per richiamare al rispetto della divisione dei poteri chi vituperava i magistrati una volta alla settimana, se mai invitava i magistrati a maggior temperanza. Ha preferito disinnescare il parlamento basandosi su qualche «allora vado a casa» farfugliato dal cavaliere, e scegliendo fulmineamente senza troppe consultazioni il professor Mario Monti, piuttosto che sciogliere le Camere come è forse in suo potere. Lasciandovi Berlusconi e i suoi che, fra un anno, in campagna elettorale, giocheranno ancora una volta sul populismo rifiorente in tutta l'Europa proprio contro le politiche di rigore.

Terza ragione, non penso che fossimo un mese fa all'ultima spiaggia. Ma su questo, come del resto sugli altri punti, sono largamente d'accordo con gli articoli di Ida Dominijanni ("Effetti collaterali", il manifesto 12/11 e "Baciare il rospo?" 19/11). Sotto il profilo politico l'erosione è avvenuta da un pezzo, da quando l'Urss è saltata e il Pci è saltato a piedi uniti sul carro liberista, come è avvenuto con Occhetto e D'Alema (ed era vagheggiato ben prima dai fautori dell'unità nazionale). Sotto il profilo economico se è vero che l'Italia è molto in basso - tre miseri BBB, rispetto agli sgargianti tre AAA della Germania e ai due della Francia - il suo indebitamento non s'è formato ieri, non per colpa precipua di Berlusconi, non è tutto in preda alle banche estere come quello greco, sarà un poco alleviato dalla manovra con la quale la Bce si svincola dalla stupida proibizione tedesca di finanziare i debiti degli stati. E soprattutto non si può ignorare che il rigore prediletto da Monti, a sua volta prediletto dal nostro Presidente, ha paralizzato la crescita - siamo dovunque in recessione (perfino la Germania rallenta), cresce dovunque la disoccupazione e calano le entrate pubbliche.

I sette pilastri della saggezza borghese vacillano non perché non seguano Bruxelles, ma perché la seguono come pecore. Basta guardare le misure, identiche, che nella crisi si prendono in Francia e in Italia. Se invece che Monti ci si fosse rivolti a qualcuno dei molti che del liberismo non ne possono più, non saremmo a goderci una reazione tanto onesta quanto spietata. Su questo siamo d'accordo?

Se lo dice lui ...


Schwab, patron di Davos, sconfessa capitalismo: non funziona piu'
Finanza e politica non sono riuscite ad evitare perversioni

Roma, 25 gen. (TMNews) - Il sistema capitalistico non si adatta più alla nostra società, parola di Klaus Schwab. In un'intervista al Financial Times Deutschland nel giorno dell'avvio del World Economic Forum, il patron di Davos mette in dubbio l'attualità della ricetta capitalistica: "Viviamo ormai in un mondo assolutamente interconnesso", spiega Schwab, in cui non si può più parlare di "elite" nel senso tradizionale del termine.

"Le vecchie strutture di forza non funzionano più - spiega Schwab - perché ormai i centri di potere si sono spostati su livelli differenti, ci sono un'infinità di nuovi attori, un'economia globale interconnessa, più trasparenza e maggiori possibilità di espressione delle proprie opinioni e della propria influenza".

Poi il fondatore di Davos riconosce: "I politici, ma in definitiva tutti noi, abbiamo rinunciato a porre dei paletti agli eccessi della finanza. E non siamo stati in grado di introdurre quelle regole necessarie ad evitare una pervesione generale del sistema". "Si può ben dire - continua Schwab - che il sistema capitalistico, nella sua formulazione attuale, non si adatta più al nostro mondo".

Libia: L’Occidente si dichiara proprietario di Al-Brega e Ras Lanuf

Posted by GilGuySparks in Africa, Libyan Chronicles, Mondo gilguysparks
trad di B. Durruti per GilGuySparks
Gli aggressori occidentali che stanno occupando la Libia, hanno richiesto rinforzi davanti alla situazione d’emergenza che è iniziata nel paese. Il dr. Yosef Shakir ha dichiarato che le città di Al-Brega e Ras Lanuf nel golfo di Sirte si son dichiarate proprietà dell’occidente con controlli francesi che non lasciano passare alcun libico, sia ribelle o della Jamahiriyah. Forze speciali della NATO controllano le città.
Misratah e Bengasi si trovano in stato di massima allerta, garantendo posti di blocco e punti di accesso alla città. Pesanti scontri.

La tribù Warfala, la più grande tribù della Libia, ha distrutto nella città di Bani Walid il battaglione Ouhida AbdelSalem Saed, il Battaglione 28 maggio. Attualmente la città libica di Bani Walid sventola bandiere verdi ed è difesa da parte dell’esercito della Jamahiriyah. Mercenari della NATO e di Al Qaeda di Belhaji sono andati a Bani Walid per attaccare la città e i libici che vivono in essa.
In questo momento la radio e si sentono in tutta la città i discorsi del leader Muammar al-Gheddafi. “Anche se arriva un momento in cui non si sente la mia voce. Non arrendetevi Continuate a lottare.” …
Hanno iniziato a combattere a Tripoli nella zona di Sukal Juma. La zona di Gash a Tripoli è ora completamente verde.
Sirte: le persone stanno bruciando la bandiera tricolore e si difendono contro i mercenari di Misratah. … “Mio padre è morto per mano di traditori, mio ​​fratello è morto per mano dei traditori. Ora è il momento di fargliela pagare.”
Una grande manifestazione a Bengasi prosegue contro il CNT. Anche se questi gruppi di aggressori chiamati CNT usano armi e attaccano i manifestanti.
Il NLC (National Libyan Council) ha portato solo morte, distruzione, terrorismo e altri sbandati in Libia.
Nessuno vuole il CNT. Chi può sostenere gente che non ha rispetto per la vita?

http://leonorenlibia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=894:occidente-se-declara-propietaria-de-al-brega-y-ras-lanuf&catid=10:catcron

- Si è dimesso il leader del governo provvisorio libico

Storia di una compagna taxista

di stefano.galieni - controlacrisi
«Mio nonno era un taxista. Ha fatto questo mestiere dal 1939 al 1958, lavorava sotto padrone come tutti all’epoca. La sera tornava alla rimessa, lasciava l’incasso all’azienda, la “Citti e Piccini”, si prendeva una percentuale e tornava a casa. Mio nonno lottò insieme agli altri suoi colleghi per potersi autogestire il lavoro. Una battaglia fatta propria dal Pci dell’epoca. Ottennero una grande vittoria, una licenza individuale per guidare un taxi ad ognuno. Mio nonno non fece in tempo a prenderla, morì il giorno prima che glie la inviassero. Sui taxi all’epoca, c’erano spesso le bandiere rosse».

Vania Mancini è una taxista romana, una compagna da sempre impegnata anche nel sociale, soprattutto con i rom, a chiedergli delle ragioni della loro protesta diviene un fiume inarrestabile. Ha tanto da dire e tanto da spiegare. Quella che segue è una lunga intervista che permette di vedere le ragioni di una protesta con gli occhi di chi la sta portando avanti.

«Oggi abbiamo bloccato tutto e non ci fermeremo qui. Il decreto del governo mette in difficoltà il futuro delle famiglie. Il nostro è un lavoro da operaio, 9 ore al giorno senza tredicesima e quattordicesima. Nessuno ci rimborsa se stiamo in malattia, abbiamo le polizze assicurative più alte d’Italia, paghiamo la benzina come tutti ma ne consumiamo molta di più e non abbiamo alcun sostegno. Cosa che invece c’era negli anni Sessanta. Quando non siamo più in grado di lavorare ci ritroviamo con 600 euro di pensione. Il nostro Tfr è costituito dalla licenza, quella diventa la nostra liquidazione se non vale più niente siamo rovinati anche per il futuro. Mi domando perché la sinistra difenda solo le altre categorie. Noi siamo solo lavoratori».

Ma tu quanto guadagni al netto ogni mese?

«Ogni tassista guadagna diversamente. Se fai una corsa dall’aeroporto ci impieghi molto e hai la tariffa definita. Altrimenti dipende dai turni, dalla giornata. Non c’è niente di certo. Ma siamo sempre in giro e bastano due incidenti in un mese per rovinarti. Per noi i pezzi di ricambio e le riparazioni costano come per chiunque, dopo 3 anni una vettura è usurata e se si ferma non possiamo lavorare, quindi non guadagniamo. Aggiungi le spese per l’allestimento taxi e per mantenere l’autovettura pulita, che altrimenti rischiamo. Io sono in una cooperativa che è stata rovinata dalle manovre, debbo pagare fra contributi e assicurazione circa 1000 euro al mese. E non sono soldi che vanno alla cooperativa. La manutenzione dobbiamo farla al di fuori dall’orario di lavoro e anche quella è una fatica non retribuita. Il Comune non interviene neanche per contrastare l’abusivismo. Senza contare di quando ci rompiamo noi…».

Donne, Lavoro e accumulazione di capitale.

Traduzione a cura della redazione di Connessioni
di Jayati Ghosh
Uno dei miti perduranti riguardo il capitalismo che continua ad essere perpetuato nei libri di testo di economia mainstream e in altre strategie pedagogiche è che l'offerta di lavoro sia qualcosa di esogeno al sistema economico. L'offerta di lavoro è tipicamente pensata, specialmente nelle teoria della crescita standard, come determinata dal tasso di crescita della popolazione, che a sua volta è vista come “al di fuori” del sistema economico piuttosto che in interrelazione con esso.

La realtà è, ovviamente, molto differente: l'offerta di lavoro è perlopiù il risultato di processi economici, non qualcosa di estraneo ad essi. Attraverso la sua storia, il capitalismo si è dimostrato abile nel far sì che le strutture di offerta di lavoro cambiassero in accordo con la domanda. La migrazione- che sia di schiavi, lavoro a contratto o liberi lavoratori- è stata strumentale a questo riguardo. L'uso di lavoro minorile, similmente, è stato sanzionato e incoraggiato o disapprovato e soppresso col variare delle condizioni economiche. Ma la capacità del capitalismo di generare il suo lavoro non è stata più evidente da nessun'altra parte che nel caso del lavoro femminile.


Le donne hanno fatto parte della classe lavoratrice sin dall'inizio del capitalismo, perfino quando esse non sono state riconosciute totalmente come lavoratrici nei propri diritti. Perfino quando esse non erano lavoratrici pagate, il loro contributo spesso sconosciuto e non retribuito alla riproduzione sociale, così come a molte attività economiche, è stato assolutamente essenziale per il funzionamento del sistema. Tutte le donne sono di solito lavoratrici, che siano o no definite o riconosciute come tali. In tutte le società, e particolarmente nei paesi in via di sviluppo, permangono attività non pagate (quali cucinare, pulire e altri lavori domestici, fornitura di bisogni essenziali della famiglia, cura dei bambini, dei malati e degli anziani, così come attività legate alla comunità) che sono largamente viste come responsabilità delle donne. Questa struttura di lavoro non pagato tende ad esistere perfino quando le donne sono occupate in lavoro fuori casa in cambio di un reddito, come lavoratrici dipendenti o autonome. Donne da famiglie povere che sono impegnate in lavoro fuori casa di solito non si possono permettere di assumerne altre per compiere quei compiti, perciò molto spesso questi sono passati alle giovani donne e alle donne anziane nella famiglia, o (questi compiti, ndt ) divengono un “doppio fardello” di lavoro per tali donne. Questi processi sono anche parte integrante del capitalismo: la produzione sia di valori d'uso che di valori di scambio da parte delle donne è essenziale per il processo di accumulazione e, se non altro, questa dipendenza è divenuta più marcata negli anni recenti.
THE STATE OF THE UNION

Trionfo delle teste di cazzo

di Stefano Galieni - controlacrisi
Fotografarsi al Giglio
Che bel Paese. Mentre stanno per arrivare i primi colpi dell’iceberg che affonderà la nave Italia, ci sono le teste di cazzo, si è giusto chiamarle con il proprio nome, che trovano il tempo per andare all’Isola del Giglio, prenotare il biglietto ( crescita del 600% del turismo) per farsi immortalare con moglie, marito, amante, bambini, cani e quant’altro, avendo ben visibile sullo sfondo il cadavere di metallo della Concordia. Roba che ti fa smorzare la rabbia anche contro il sedicente comandante Schettino, contro la Costa Crociere, vera e propria catena di montaggio di sfruttatori disposti a passare sulle vite altrui, sul circo mediatico alla Bruno Vespa che si è scatenato sul tema. Si perché quelle foto di cretini sorridenti e beati, con lo sfondo del mare blu scuro che nasconde la morte, sono la metafora di un fallimento sociale, culturale e antropologico, il trionfo sguaiato e misero della società dello spettacolo. Non nasce da oggi, viene da lontano, da quell’odore di cadaveri che attirava le folle alle esecuzioni nella pubblica piazza, viene multimedializzato oggi con programmi da tv del dolore dove sedicenti giornalisti alla Cucuzza o alla Giletti, infilano la forbice della telecamera sulla crudeltà della vita, si estende anche ai giornali che dovrebbero fare opinione e invece vanno a caccia oscena del dettaglio macabro o meschino. Non c’è voglia di giustizia, solo bisogno di mostrare qualcosa di più. Onori alla pornografia allora è più onesta e diretta, non si nasconde dietro l’ipocrisia pelosa della pietà o della voglia di informare. Ma le foto squallide del Concordia sono state scattate da una tipologia umana diffusa e onnipresente. Quelli che andavano a curiosare a casa Scazzi, nei pressi del pozzo in cui hanno trovato i resti di Sara, quelli che cercavano l’odore di Yara e gli ultimi spasimi del piccolo Tommaso, quelli e quelle che vanno ai funerali e alle camere ardenti nella speranza di farsi immortalare da una tv anche locale, magari con lo sguardo mesto, la lacrima pronta come la banale battuta. Fa schifo questa pornografia del dolore, ridotto a merce, misero e vigliacco, superficiale e sciatto, segno indiscutibile di un Paese morente. Viene da dire a queste stesse persone: dove cazzo state quando una persona senza telecamere muore in carcere o sul lavoro, di miseria o di razzismo, di freddo o di indifferenza? Dove cazzo state quando vi chiude una fabbrica, vi tolgono un servizio sociale, vi levano una strada o un autobus? Vi girate, vi rassegnate, chinate la testa e fate finta di nulla? Cercate altre soluzioni individuali alla faccia del vicino, del collega di lavoro nella logica del mors tua vita mea? Forse che indignarsi insieme ad altri per assumersi responsabilità e lottare per un diritto, è un crimine? Dove stanno molti – per fortuna non tutti – fra i giornalisti lo ha scritto Giorgio Gaber nel 1980 “Compagni giornalisti, avete troppa sete, non sapete approfittare, della libertà che avete. Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate, e in cambio pretendete, la libertà di scrivere, e di fotografare. Immagini geniali e interessanti, di presidenti solidali e di mamme piangenti , e in questa Italia piena di sgomento, come siete coraggiosi voi che vi gettate, senza tremare un momento. Cannibali! Necrofili! Deamicisiani e astuti
e si direbbe proprio compiaciuti. Voi vi buttate sul disastro umano, col gusto della lacrima in primo piano.

martedì 24 gennaio 2012

Rifondazione capitalista

di Giorgio Cremaschi in micromega
Ma l’Italia è diventata un paese dove trionfano i diritti dei lavoratori? Così parrebbe, vedendo quello che sta succedendo in questi giorni. La protesta sociale dilaga tra i tassisti e gli autotrasportatori, tra le categorie colpite dalle liberalizzazioni. E’ questo il quadro reale del paese? E se non è così, chi ha la responsabilità di questa falsificazione?

Da un lato è evidente che il governo Monti ci sta semplicemente prendendo in giro, con grande abilità peraltro. Far credere che i tassisti o i benzinai o anche i farmacisti, sono al vertice della crisi e che sconfiggendo le loro resistenze corporative l’Italia ripartirà, è una stupidaggine poco inferiore a quella di sostenere che Ruby fosse la vera nipote di Mubarak. Eppure tutta la grande informazione italiana segue queste vicende come se attorno ad esse ruotasse il futuro economico e sociale del paese. Bravo il governo a depistare dalle questioni vere, il peso del debito, la Germania che ci manda a quel paese, il lavoro che non c’è e che non ci sarà, ma pessimi anche tutti coloro che si prestano a questo incredibile gioco.

Tra le cose pessime metto a questo punto anche il documento e l’approccio di Cgil, Cisl e Uil al confronto con il governo. Il sindacato confederale avrebbe dovuto già esser in piazza per la catastrofe delle pensioni, per la caduta dell’occupazione, per le previsioni di recessione. (…) Invece ha fatto un documentino all’acqua di rose, prodotto da qualche confuso ufficio studi a cui è stato detto di essere il più morbido possibile. Il sindacato confederale non chiede sostanzialmente nulla a loro, se non di non esagerare, di attenuare, di aggiustare un pochino. Sembrerebbe davvero che in Italia fossimo immersi in un socialismo nel quale i lavoratori godono di diritti e benessere tali da avere ben poco da chiedere.

Il governo ha aumentato di alcuni anni l’orario di lavoro, che effetti avrà sull’occupazione? E le politiche di liberalizzazioni e privatizzazioni, su cui il governo si sta scatenando, non interessano al sindacato confederale, che di solito si occupa di tutto? La privatizzazione delle grandi aziende comunali va bene al sindacato confederale? Il fatto che nei trasporti ferroviari siamo l’unico paese continentale che sta seguendo la catastrofica linea dei governi inglesi degli ultimi trent’anni, cioè la privatizzazione, non rappresenta un punto di scontro e di conflitto? Invece di tutto questo non si parla e il tavolinetto tra governo e sindacati deve affrontare la riforma del mercato del lavoro.

Ora tocca alla cassa integrazione

di Zag in ListaSinistra
Con l'inversione di rotta della ministro Fornero e l'obbiettivo della cassa integrazione come male assoluto, senza peraltro abbandonare l'art 18, credo che ormai dovrebbe essere chiaro che questi professoroni abbiano avuto il mandato di riportare la legislazione italiana in materia del sociale e del lavoro agli standard minimi europei. Là dove esiste una maggiore protezione questa deve essere riportata allo standard degli altri paese senza tener conto che a differenza degli altri paesi, qui non esiste nulla a difesa , nulla a paragone con gli altri paesi tale da poter paragonare questi a quelli. Ma non è questa l'anomalia.
Si è vero in germania, per esempio, non esiste nulla che possa paragonarsi all'art 18 , ma altrettanto il comitato di gestione( al quale fa parte anche il sindacato) al quale deve passare il vaglio dei licenziamenti individuali, mai si sognerebbe di acconsentire un licenziamento individuale. E infatti non esiste proprio una cosa del genere.
Si è vero non esiste la cassa integrazione, ma esistono in tutti i paesi europei tranne la grecia e qualcun'altro , il salario di cittadinanza che assicura per tutti coloro che non hanno un lavoro un minimo di sopravvivenza. >E non solo ,ma una rete di protezione che per noi è inimmaginabile Persino in Francia le donne madri hanno casa , e generi di prima necessità per il figlio fino all'età di tre anni, gratis, o se hanno un reddito, a prezzi minimi.
Ma per i nostri Professori tutti questo è solo un dettaglio, un particolare trascurabile. Loro sono come gli scultori per Michelangelo. Sono per il levare il di più.
Infatti la Fornero ( io la chiamo ancora con l'articolo in quanto vorrei dire la signora Fornero, ma mi risparmio il termine "signora" e lascio solo il "la". Così come appello il Monti anche qui mi risparmio il termine "signore" e lascio solo l'articolo), la Fornero dicevo dichiara, dopo le ondate di " a parole" disapprovazione che " Ma qualcosa bisogna pur fare!" Come a dire che bisogna fare qualcosa altrimenti " cosa vado a dire se no all'Europa?"
Infatti dicevo la disapprovazione " a parole" Come il 40 parola magica che non si tocca della Camusso e poi abbiamo visto se si è toccato e come si è toccato!
Per quanto riguarda il CUI ( il contratto unico) un modo come un altro per aggirare il beneamato art 18 e quindi il licenziamento individuale, forse si sono accorti che questo, tra l'altro è un duplicato del contratto di apprendistato e quindi vi è qualche ripensamento tra l'altro se persino Angeletti ammette che " con la crescita l'art 18 non c'entra nulla" beh vorrà ben dire qualcosa o no? Insomma se lo dice lui!

Il water della democrazia

di Beppe Grillo.
Ho una sensazione di freddo alla schiena. Guardo Rigor Montis, la Frignero, Passera e le facce di cera dei vari ministri e vedo dei contabili, degli esattori, dei curatori fallimentari, degli ESTRANEI. Chi li ha invitati? Chi li ha votati? Mi ricordano la pubblicità degli anni '80 della Johnson, la signora Luisa, la domestica seria e precisa, dal fare sicuro, che si presentava alla tua porta, dal motto "Comincia presto, finisce presto e di solito non pulisce il water" perché usava la schiuma attiva di Magic Water.
Il governo di Magic Monti sta facendo le pulizie di casa nostra senza preoccuparsi di chi ci abita in questa casa. Le categorie sociali gli sono indifferenti. Pensionati, camionisti, tassisti, cassintegrati, piccoli imprenditori è come se non ci fossero, come se non avessero mai abitato in Italia. I ministri non fanno parte del tessuto sociale, non sono stati eletti, non devono rispondere a nessuno, non discutono con le controparti, eseguono il loro mandato. Sembrano alieni in visita ispettiva, alteri. Indifferenti a tutto tranne che alle banche. Ospiti che sono diventati padroni, che dopo tre mesi cominciano a puzzare tremendamente e il water non lo puliscono mai.
Mi inquieta la perdita totale, definitiva della democrazia e la accettazione di questa perdita da parte degli italiani come se fosse ineluttabile, ovvia, scontata. Come se la democrazia fosse un optional. Negli anni '70 andava di moda l'esproprio proletario. Si entrava in un supermercato e si faceva la spesa senza pagare. Si usava così. Oggi assistiamo all'esproprio bancario, una sottrazione dei diritti dei cittadini, dall'art.18 alla cassa integrazione, fatta alla luce del sole con rigidità burocratica da persone grigie, in giacca e cravatta, per salvare le banche e l'euro. Li guardo e non vedo umanità, ma lo sguardo fisso e indecifrabile degli squali. Il Paese va a fuoco, ma per loro è solo una pratica da chiudere al più presto. Magic Monti, la schiumattiva che mantiene il water profumato.
UK RAISES CONCERN OVER ISRAEL'S TREATMENT OF PALESTINIAN CHILDREN

lunedì 23 gennaio 2012

Contro l’ideologia delle privatizzazioni

di Pierfranco Pellizzetti. micromega
Ci risiamo: la mamma dei liberisti credere-obbedire-combattere è sempre incinta. Mentre sul Corriere della Sera il ben noto diacono mercatista Francesco Giavazzi scarica tutto il suo risentimento contro il governo, pur guidato dal collega bocconiano Mario Monti, in quanto – ad oggi – non apparirebbe sufficientemente ortodosso nelle sue pratiche di fede rivolte al dio-Mercato, venerdì scorso gli dava controcanto su Repubblica il chierichetto Alessandro De Nicola agitando il turibolo delle privatizzazioni (“Troppi freni alle privatizzazioni, ma le vendite di Stato frutterebbero 600 miliardi”).

L’effetto sarebbe sostanzialmente ridicolo se solo queste manifestazioni fondamentalistiche si riducessero a reperti di un argomentario vintage. Il grosso guaio – invece – è che risultano concreti ed inquietanti segnali della persistenza di un pensiero mainstream che condiziona in larga misura il dibattito pubblico; che inocula modelli di rappresentazione arcaici, tipo la rappresentazione paranoide dello Stato quale “Leviatano” (il mostro antropofago descritto da Hobbes qualcosa come mezzo millennio fa). E neppure intacca tale cieca credenza in siffatti dogmi la considerazione che quello Stato tanto esecrato come liberticida, per buona parte del Novecento, è risultato il primo promotore di cittadinanza inclusiva attraverso le strategie di welfare; che ha consentito straordinari processi di sviluppo materiale mediante le politiche industriali; che ha temperato e controllato grazie alle pratiche regolative/amministrative le pulsioni degli spiriti animali capitalistici; che ha stabilizzato i conflitti sociali canalizzandoli in forme saggiamente compromissorie tra borghesie finanziario-industriali e classi lavoratrici organizzate (il cosiddetto “patto keynesiano-fordista”).

Soprattutto, questi fanatici mercatisti/liberisti neppure sono sfiorati dal dubbio che – semmai – “il nuovo Leviatano” in questa fase storica va incarnandosi nella finanza ombra turbocapitalista, svincolata a partire dall’ultimo quarto del secolo scorso da ogni forma di controllo attraverso la globalizzazione dei flussi del denaro (e che, così facendo, egemonizza la politica in combutta con il Potere Mediatico oligopolistico).
Difatti, incurante delle dure repliche della cronaca di questi tempi, il De Nicola arriva a fornire la lista della spesa per le privatizzazioni prossime future: Fincantieri, Poligrafico, Rai, Cinecittà, Poste, Grandi Stazioni e Trenitalia, Cassa Depositi e Prestiti… e via andando.

Come muoiono i giganti del mare

Di Lorenzo Romani ibtimes
Il varo di una nave rappresenta un momento solenne. Una bottiglia di champagne viene lanciata contro le mura di prua, poi vengono rimossi i blocchi che vincolano lo scafo alle impalcature di costruzione, e con un muggito metallico il gigante scivola lentamente in mare, sollevando la prima delle infinite onde che lo sfideranno. Di solito, centinaia se non migliaia di persone si assiepano lungo i cantieri e un applauso fragoroso accoglie il gigante non appena il suo corpo è immerso fino alla linea di galleggiamento. La nave risponde al plauso con un colpo di sirena, un assordante boato in tonalità di Do maggiore.

Molto meno solenne, invece, è il momento della fine, e in pochi si chiedono come mercantili, transatlantici e petroliere si congedino da decenni di navigazione.

Non tutti i giganti del mare, infatti, fanno la fine della Costa Concordia: spesso piuttosto vanno a infoltire un mercato nero dei resti marini che tutto è tranne che degno della gloriosa tradizione navale dell'Occidente.

Rottamare un vascello non è come rottamare un'auto. Migliaia di tonnellate di acciaio devono esser bonificate, smantellate, catalogate. Ma c'è molto di più: equipaggiamento interno, scialuppe di salvataggio, cablaggi e tubature, materiali isolanti, componenti meccaniche dei motori e - i più pericolosi - liquidi di raffreddamento, olii incombusti e lubrificanti, residui di serbatoio.

La nave deve essere attentamente e meticolosamente sviscerata di tutte le sue componenti, per scongiurare danni ambientali irreversibili ma anche contaminazioni e malattie gravi per gli addetti. Ovviamente c'è un regolamento per tutto, ma le norme internazionali comportano costi e i costi, come sappiamo, non sono il miglior amico delle multinazionali.
Ecco allora che spesso e volentieri si trova una terza via per evitare di sborsare i capitali necessari al "decommissioning". A questo punto entrano in gioco le coste sabbiose dell'Asia minore.

E' soprattutto il caso di Chittagong, il più grande porto del Bangladesh con i suoi quattro milioni di abitanti, e contemporaneamente uno dei centri di brokeraggio più importanti.

Qui le grandi navi invertono il loro segno nei bilanci delle compagnie: da costo di bonifica diventano attivo commerciale. Ci sono anche altri metodi: le navi vengono affondate, e le assicurazioni pagano. Un rischio per le compagnie, qualora la truffa venga scoperta.

Spesso, invece, vecchi scafi vengono rivenduti in paesi del terzo mondo, dove gli stati o i privati non possono - o non vogliono - ordinare nuovo naviglio nei cantieri occidentali. Acquistano così mezzi di seconda mano che, spesso, non sono sicuri nemmeno da un punto di vista strutturale: il sale non alza solo la pressione, ma corrode le strutture e i giunti metallici, indebolisce lo scheletro dei giganti del mare, li rende fragili e a volte basta una forte onda oceanica ad accartocciare le pareti di una vecchissima nave come se fossero di carta stagnola.

Quel bene comune chiamato sole

di Guglielmo Ragozzino. sbilanciamoci
L'"imperativo energetico" dello studioso tedesco Hermann Scheer è un formidabile documento su un modello di produzione energetica alternativa al petrolio, al carbone e all'atomo. E che prevede una sua gestione decentrata e autorganizzata, dai singoli e dalle popolazioni locali.

Il vantaggio competitivo tedesco nei confronti dell’economia italiana – qualcuno lo chiama familiarmente spread – risiede in misura preponderante nel formidabile attivo della Germania negli scambi internazionali di merci e servizi, a differenza del passivo che caratterizza l’Italia. È questa la spiegazione sulla quale insistono i più rinomati tra gli economisti, (talvolta anche di sinistra); e in molti suggeriscono di risalire la china, riconvertendo il sistema economico e sociale del paese per disporre di merci esportabili, contenenti più innovazione di prodotto, oppure di produrne attraverso processi più efficienti (leggi: con licenziamenti di massa).
Sommessamente suggeriamo un’altra via. Quella di imitare sul serio i tedeschi, ma nella loro transizione alle energie rinnovabili e al contemporaneo abbandono delle energie fossili, nucleare compreso. Questo percorso è quello che un autore, un vero e proprio scienziato-politico, Hermann Scheer, sociologo, ha descritto per intero nel suo ultimo libro, Imperativo energetico pubblicato alla fine del 2011 nei Kyoto Books delle Edizioni Ambiente (pp. 269, euro 25). Il tema è riassunto nelle frasi che completano il titolo originale: «100% rinnovabile ora! Come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energetico».

L’avvocato del verde
Scheer, salutato come «avvocato del sole», «eroe verde», se ne è andato nell’ottobre del 2010. Il suo ruolo non è stato soltanto quello di pensare il futuro «rinnovabile» e di scrivere libri per spiegarlo e renderlo familiare ai tedeschi e agli altri, in Europa e nel mondo, ma anche quello di costruire una straordinaria opera di convinzione, attraverso associazioni come Eurosolar. Scheer ha reso davvero il «suo» futuro più vicino e abbordabile, nell’azione di ogni giorno, scrivendo libri, partecipando a convegni, tenendo conferenze. Ma ha fatto ben di più, operando senza tregua nella sfera politica, utilizzando in parlamento, nel suo partito, l’Spd e anche nelle amministrazioni delle città e dei Länder, ogni spazio consentito. Alla ricerca continua di scelte concrete, di leggi per rendere il mondo «rinnovabile» pratico, vantaggioso e convincente. L’imperativo energetico è tra i lavori del suo ultimo tempo ed è insieme scienza, informazione, politica. Di certo va letto come un programma molto concreto per coloro che continueranno la sua opera e si dedicheranno alla riconversione energetica della società, o meglio alla rivoluzione sociale praticata attraverso il cambio di paradigma energetico.
L’energia di origine solare deve sostituire del tutto e al più presto quella oggi utilizzata che è quasi interamente di origine fossile. Per Scheer non vi sono mediazioni possibili, le lungaggini risultano intollerabili; non si possono accettare compromessi, soluzioni pasticciate. Le grandi imprese tradizionali: del gas, del petrolio, elettriche, atomo compreso, mostrano ormai per lo più un atteggiamento tollerante nei confronti delle energie rinnovabili. È falso. Fingere di fare spazio alle novità è una mossa che consente di mostrarsi alla moda, serve per dare una patina di eleganza a un mondo energetico ancora e sempre dominato dalle energie fossili. Scheer rifiuta questo atteggiamento compiacente. Il modello rinnovabile non deve e non può essere solo una variante, un riempitivo; e neppure l’offerta di un’area di sosta gratuita e a tempo indeterminato per svolgere in tutta calma sperimentazioni, in attesa che le energie fossili si esauriscano.
Al contrario, Scheer è mosso dall’urgenza. Non è solo convinto che le energie fossili siano in esaurimento accelerato, molto più vicino di quanto non si pensi, e che perciò si dovrà comunque farne a meno quanto prima. Esse sono da eliminare oggi, in quanto dannose per l’inquinamento che determinano, per i disastri naturali crescenti e il riscaldamento globale che provocano. Quindi – ne è sicuro – prima ce ne liberiamo, meglio è; anzi è l’unica via per consentire un futuro all’umanità, è un imperativo categorico se si vuole non solo sopravvivere, ma restare umani. In questo senso va messo al bando ogni compromesso. Il solare non può coesistere con il fossile, con le sue reti estese per ogni dove.

ITALIA TERRA DI CONQUISTA

108 ACQUISIZIONI NEL 2011, PER UN TOTALE DI 18 MILIARDI
DI ALFREDO FAIETA
ilfattoquotidiano.it donchisciotte

Nell'anno appena concluso le aziende italiane in crisi per debiti o liquidità sono state oggetto prediletto dell'interesse dei grandi gruppi esteri. A cominciare da quelli francesi e cinesi, sostenuti - soprattutto i secondi - dal grande capitale di Stato. Il controvalore delle operazioni è cresciuto dell'80% rispetto al 2010 e vale oggi quasi la metà della finanziaria del governo. E il 2012 non si annuncia migliore

L’ultima in ordine di tempo è la Ferretti group, passata alla società cinese Shandong Heavy Industry Group – Weichai.

Solo il tempo di festeggiare il Capodanno (occidentale) del 2012 e il Dragone ha messo il sigillo su un gioiello dell’industria italiana, maggior produttore mondiale di yacht di lusso. Ferretti era incappata nei guai per l’eccesso di debiti accumulati in successivi passaggi di mano di fondi di private equity, e i cinesi hanno vinto la partita grazie all’accollo dell’indebitamento con un esborso complessivo di 374 milioni di euro – di cui 178 milioni in investimenti e 196 milioni per il finanziamento del debito del gruppo – per il 75% della società italiana. Il compratore è una società statale, dotata quindi di fondi pressoché illimitati, ma assolutamente estranea al mondo degli yacht. Non è un problema, l’importante è accaparrarsi le tecnologie e il “saper fare” artigianale degli italiani, farli propri e svilupparli successivamente in madre patria, dove i milionari sono molti e gli yacht di lusso un giocattolo sempre più ambito.

Compratori attenti, i cinesi. Venditori distratti del loro patrimonio manifatturiero gli italiani. La nostra manifattura è la seconda in Europa per importanza, dietro solo a quella tedesca e a prezzi di realizzo causa crisi e (apparente) disinteresse degli imprenditori italiano. I dati elaborati dalla società di consulenza Kpmg non lasciano dubbi. Nel 2011 le imprese straniere hanno fatto man bassa delle aziende italiane. Sono in tutto 108 acquisizioni tra grandi e piccole, per un controvalore totale di 18 miliardi di euro. Per fare un paragone, stiamo parlando della metà della manovra finanziaria lorda con cui il governo Monti ha messo in sicurezza i conti statali a fine 2011. Tanti, tanti soldi per un periodo di crisi, contando che sono scomparsi i cosiddetti “megadeal” tipici dei periodi di espansione economica, grandi acquisizioni con numeri talvolta superiori al Prodotto interno lordo di interi stati africani o centroamericani. Nel 2010 le operazioni “estero su Italia” come si chiamano nel gergo della finanza, erano state 83, con una crescita quindi del 30 per cento e addirittura del 76 per cento se si considerano i controvalori investiti, che nel 2010 sono stati 10 miliardi. Vale la pena di notare che le imprese italiane si accontentano di affari minori. Le operazioni “Italia su Italia” e “Italia su estero” sono state rispettivamente 157 e 64, ma la somma del loro controvalore totale è pari a 10 miliardi di euro. L’80 per cento meno degli stranieri.
BANK

domenica 22 gennaio 2012

I tre signorini della TOIKA (che compongono oggi l'esecutivo di Atene) al termine della riunione di ieri. Decisioni prese:
- Immediata chiusura di 100 enti statali e parastatali con 10.000 licenziamenti.
- Taglio di 13me e 14me
- Blocco degli aumenti di stipendio maturati nei settori pubblico e privato.
- Riduzione delle pensioni ausiliarie.
- Riduzione del costo del lavoro negli enti e societa’ partecipate e le banche.
- Liberalizzazione di tutte le professioni senza sconti ed eccezioni.

Ieri la Wehrmacht, oggi lo spread

di Lucio Garofalo. Fonte: dazebaonews
ROMA - Dietro il “nein” pronunciato dalla signora Merkel si nasconde il segno inequivocabile di una volontà di egemonia tedesca nell’area dell’euro e di un espansionismo finanziario che si avvale di armi più potenti, devastanti e penetranti dei panzer, quali lo “spread”.

Si conferma in tal modo l’ipotesi secondo cui sta prevalendo chiaramente un orientamento verso una crescente e progressiva “germanizzazione” dell’euro-zona, una tendenza funzionale esclusivamente agli interessi del capitale finanziario internazionale.
Ciò che in tempi passati non riuscì al cancelliere imperiale prussiano, Otto von Bismarck, né al Führer del Terzo Reich, Adolf Hitler, sta riuscendo oggi alla signora Angela Merkel.
Il progetto egemonico tedesco era palese fin dall’inizio, ma si sta concretizzando seriamente e prepotentemente soltanto oggi. Basti pensare alle insopportabili condizioni-capestro imposte dalla Germania ai Paesi dell’euro-zona che versano in evidenti difficoltà finanziarie. Ma è un dato di fatto assolutamente innegabile che nessun Paese europeo, neppure la Francia, possa permettersi di pagare un prezzo simile.
Tuttavia, mentre le mire espansionistiche del regime hitleriano si limitavano a voler imporre un predominio militare tedesco in Europa, il capitale finanziario cosmopolita, che si ripara dentro il bunker tedesco, conquista e divora le ricchezze del mondo intero.
Recentemente, i titoli di Stato decennali tedeschi, messi all’asta, hanno dato un interesse negativo. Ciò vuol dire che gli investitori finanziano lo Stato tedesco affinché questo gli conservi i loro soldi. Non è mai successo nella storia dell’economia finanziaria: non solo ci rimettono l’inflazione, non solo perdono la mobilità dei propri capitali, ma addirittura pagano affinché i propri soldi siano assicurati dentro il bunker tedesco.
La signora Merkel sta riuscendo ad addomesticare la Francia per farne un potente vassallo della propria economia. Per il resto il povero Monti continua a chiedere che “la Germania faccia la sua parte” per l’Europa, senza capire, o (meglio) non potendo affermare, che è esattamente questa la parte della Germania, ossia solo per sé stessa.
Alludendo alla Germania, Monti ha anche affermato: “Nessun Paese europeo è talmente forte da pensare di andare avanti da solo ad affrontare l’economia globale”. Ebbene, simili dichiarazioni sono tutto quello che Monti e gli altri possono tentare di fare, cioè scombinare le carte prima che Berlino concluda il gioco. Non hanno altro a cui ricorrere.

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