Traduzione a cura della redazione di Connessioni
di Jayati Ghosh
Uno dei miti perduranti riguardo il capitalismo che continua ad essere perpetuato nei libri di testo di economia mainstream e in altre strategie pedagogiche è che l'offerta di lavoro sia qualcosa di esogeno al sistema economico. L'offerta di lavoro è tipicamente pensata, specialmente nelle teoria della crescita standard, come determinata dal tasso di crescita della popolazione, che a sua volta è vista come “al di fuori” del sistema economico piuttosto che in interrelazione con esso.
La realtà è, ovviamente, molto differente: l'offerta di lavoro è perlopiù il risultato di processi economici, non qualcosa di estraneo ad essi. Attraverso la sua storia, il capitalismo si è dimostrato abile nel far sì che le strutture di offerta di lavoro cambiassero in accordo con la domanda. La migrazione- che sia di schiavi, lavoro a contratto o liberi lavoratori- è stata strumentale a questo riguardo. L'uso di lavoro minorile, similmente, è stato sanzionato e incoraggiato o disapprovato e soppresso col variare delle condizioni economiche. Ma la capacità del capitalismo di generare il suo lavoro non è stata più evidente da nessun'altra parte che nel caso del lavoro femminile.
Le donne hanno fatto parte della classe lavoratrice sin dall'inizio del capitalismo, perfino quando esse non sono state riconosciute totalmente come lavoratrici nei propri diritti. Perfino quando esse non erano lavoratrici pagate, il loro contributo spesso sconosciuto e non retribuito alla riproduzione sociale, così come a molte attività economiche, è stato assolutamente essenziale per il funzionamento del sistema. Tutte le donne sono di solito lavoratrici, che siano o no definite o riconosciute come tali. In tutte le società, e particolarmente nei paesi in via di sviluppo, permangono attività non pagate (quali cucinare, pulire e altri lavori domestici, fornitura di bisogni essenziali della famiglia, cura dei bambini, dei malati e degli anziani, così come attività legate alla comunità) che sono largamente viste come responsabilità delle donne. Questa struttura di lavoro non pagato tende ad esistere perfino quando le donne sono occupate in lavoro fuori casa in cambio di un reddito, come lavoratrici dipendenti o autonome. Donne da famiglie povere che sono impegnate in lavoro fuori casa di solito non si possono permettere di assumerne altre per compiere quei compiti, perciò molto spesso questi sono passati alle giovani donne e alle donne anziane nella famiglia, o (questi compiti, ndt ) divengono un “doppio fardello” di lavoro per tali donne. Questi processi sono anche parte integrante del capitalismo: la produzione sia di valori d'uso che di valori di scambio da parte delle donne è essenziale per il processo di accumulazione e, se non altro, questa dipendenza è divenuta più marcata negli anni recenti.
Nonostante questo, ci volle un lungo periodo perchè le lotte delle donne fossero accettate come parte integrante delle lotte della working class per una società migliore. Per più di un secolo, sindacati e altre organizzazioni dei lavoratori tendevano ad essere conservatrici in senso maschile , basati sul modello di famiglia del “maschio capofamiglia” , nel quale il marito/padre lavorava al di fuori della casa per guadagnare denaro e la moglie/madre non guadagnava reddito al di fuori di casa e si occupava del lavoro domestico. C'è voluta una lotta prolungata e una mobilitazione determinata per generare un maggiore riconoscimento sociale del ruolo delle donne come lavoratrici salariate in forme differenti, e per esplorare l'importanza economica cruciale del lavoro non pagato e del lavoro basato sulla comunità. Nelle prime lotte dei lavoratori in Europa dopo la rivoluzione industriale, la riduzione delle ore lavorative era la richiesta maggiore. Lo spostamento al lavoro nelle fabbriche (al quale partecipò anche un largo numero di donne e bambini, ad un salario più basso degli uomini) fu generalmente non regolato e comportò un orario lavorativo davvero lungo, che era compresa fra le 10 fino ad un massimo di 16 ore al giorno. Donne e bambini in Inghilterra guadagnarono la giornata lavorativa da 10 ore nel 1847. In Fracia, i lavoratori ottennero la giornata da 12 ore dopo la rivoluzione di Febbraio del 1848. Fu necessario attendere fino alla prima parte o alla metà del 20esimo secolo per il lavoratori nella maggior parte dei paesi industriali per essere garantiti del diritto legale per la limitazione della giornata lavorativa a 8 ore con il pagamento di straordinari per ore addizionali di lavoro. Ovviamente ciò ignorava ancora il significativo ammontare di tempo speso dalle donne nel lavoro non pagato, di solito nelle loro famiglie.
Comunque, nella maggioranza dei paesi in via di sviluppo, dove una larga parte della forza lavoro non è coperta da protezione e regolazione del lavoro, perfino la condizione di regolare il tempo speso nel lavoro pagato è ancora ben lontano dall'essere raggiunto per la maggioranza dei lavoratori. Il problema di lunghe ore di lavoro è inoltre di solito associato con paghe relativamente basse, il che incide sulla salute dei lavoratori e sulla possibilità di vivere una vita un minimo soddisfacente. Per le donne lavoratrici il problema dell'orario di lavoro lungo è appesantito dal significativo ammontare di lavoro non pagato che viene loro richiesto.
Ciò significa che i problemi riguardanti il lavoro femminile sono qualitativamente differenti da quelli dei lavoratori maschi. Un semplice incremento del lavoro pagato non sempre significa un miglioramento nelle condizioni delle donne lavoratrici, poiché esso può portare a un doppio fardello sulle donne i cui obblighi domestici devono ancora essere portati a termine. Perciò ci deve essere attenzione sulla qualità, il riconoscimento e la remunerazione del lavoro femminile nei paesi in via di sviluppo, così come sulle condizioni che lo facilitano, come ad esempio una soluzione alternativa al lavoro domestico e alla cura dei bambini. Tutte queste variabili sono influenzate in maniera determinante dalle relazioni sociali così come dalle politiche e dai processi economici, che determinano se un incremento dell'attività nel mercato del lavoro da parte delle donne è associato con un genuino miglioramento nelle loro condizioni economiche.
C'è una qualche evidenza storica che con il progresso materiale in una società, la condizione socio-economica delle donne tende ad incrementare. Ma questo non è automatico; esso riflette il risultato delle lotte delle donne per l'equità e la giustizia. La crescente importanza del lavoro pagato delle donne è un aspetto di questo. Nei tempi recenti, l'abilità del movimenti femminili di combattere per maggiori diritti e empowerment è stata condizionata da processi economici più grandi che hanno determinato l'esplicita partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Vi sono stati progressi così come passi indietro, ed è evidente che i primi risultati in alcune società non possono essere considerati come garantiti.
Processi Globali che riguardano le donne
Sebbene l'imperialismo rimanga un carattere connotativo dell'economia mondiale, i suoi contorni stanno cambiando. Il dominio del capitale finanziario, l'emergere di nuovi collegamenti commerciali e l'espansione della catena di produzione globale basata sul dividere il processo di produzione in differenti luoghi hanno tutti drammaticamente cambiato le strutture produttive e i mercati del lavoro nel mondo. Sia i settori finanziari che quelli produttivi sono divenuti più concentrati, causando un relativo declino nelle piccole imprese che sono tipicamente a maggior intensità di lavoro. Eccetto che per un incremento nelle politiche di spesa pubblica immediatamente dopo la crisi finanziaria globale nel 2008, i governi sono stati meno desiderosi o capaci di usare politiche macroeconomiche per mantenere o espandere l'occupazione. La liberalizzazione degli scambi ha distrutto alcuni mezzi di vita, creando al contempo alcune nuove opportunità per la creazione di reddito e occupazione, sebbene ad un livello minore. Queste trasformazioni si sono riflesse nelle trasformazioni nei mercati del lavoro in paesi differenti. Perciò il tasso di disoccupazione ufficiale è cresciuto, e l'occupazione formale ed organizzata è diminuita come proporzione della forza lavoro nel mondo. Al contempo, una spesa sociale ridotta nel “settore sociali” ha avuto la tendenza di incrementare il lavoro non pagato sulle spalle delle donne nelle famiglie con maggiori compiti di riproduzione sociale.
A causa del declino nell'occupazione formale, i lavoratori hanno affollato i settori delle attività “informali”, perpetuando un circolo vizioso di povertà che portava a bassa creazione di lavoro, che portava alla povertà. Le catene di produzione mondiale stanno crescendo in importanza come risultato dei cambiamenti tecnologici, rendendo la produzione e la forza lavoro in paesi differenti più interdipendenti. Vi è stato anche un incremento globale nel lavoro non pagato nelle famiglie- perlopiù (ma non esclusivamente) svolto dalle donne, poiché il governo è venuto meno alle responsabilità sociali di base per la fornitura di beni e servizi pubblici e una parte maggiore dell'economia di cura è localizzate nel settore non pagato.
Questi cambiamenti sono stati particolarmente marcati nell'Asia in via di sviluppo, che è divenuta la regione sia più “globalizzata” che più economicamente dinamica del mondo. E le donne in Asia hanno sostenuto l'impatto dei cambiamenti, con rapidi spostamenti nel (e fuori dal) lavoro pagato, un maggiore ruolo nel fornire reddito al di fuori di casa per le famiglie, tassi incrementati di migrazione per lavoro e maggiore coinvolgimento nel lavoro non pagato. Le donne si sono spostate- volontariamente o forzatamente- alla ricerca di lavoro nelle e attraverso i paesi e le regioni, più di quanto avessero mai fatto. I loro mezzi di sussistenza nelle aree rurali, in maniera predominante nell'agricoltura, sono stati colpiti dalla crisi agraria che si è ora diffusa nelle nazioni più sviluppate. Nelle le società della regione (l'Asia, ndt) massicci incrementi nella disponibilità di differenti beni per il consumo ,a causa della liberalizzazione dei commerci, hanno accompagnato declini nell'accesso a beni e servizi pubblici di base. L'espansione della catena di produzione globale che si fonda sul lavoro delle donne, specialmente in coda, ha trasformato le strutture del lavoro pagato. Inoltre, c'è una importante globalizzazione dei servizi, che coinvolge sia spostamenti locali della forza lavoro sia migrazione delle donne nei settori di “cura” della economie. Allo stesso tempo, cambiamenti tecnologici hanno reso la comunicazione e la trasmissione di forme culturali più estensive e rapide di quanto potesse mai essere immaginato nel passato. Tutti questi cambiamenti hanno avuto effetti davvero sostanziali e complessi sulla posizione delle donne e sulla loro abilità di controllare le proprie vite.
Inoltre, questi cambiamenti economici hanno altre conseguenze sociali avverse per le donne. La crescente enfasi sui mercati e la profittabilità richiede di attrarre più consumatori nel circuito dell'acquisto tramite la pubblicità e tentativi di manipolare i gusti e le scelte delle persone. In questo sforzo, le compagnie pubblicitarie hanno notoriamente usato le donne come oggetto per reclamizzare i loro prodotti. La relazione duale con le donne, come oggetto da essere usato per vendere beni e come enorme, potenziale mercato per i beni, crea un processo particolare a cui le donne sono incoraggiate e persuase a partecipare attivamente alla propria “oggettificazione”. L'enorme attenzione dei media dati ai concorsi di bellezza, modelle di “successo”e all'aspetto ha nutrito l'industria della bellezza, rapidamente in espansione, nell'Asia in via di sviluppo, industria che include non solo cosmetici e aiuti alla bellezza, ma anche agenti dimagrenti, istituti di bellezza, cliniche per la perdita di peso, e così via. Molte di queste mode contribuiscono alle più indesiderabili e retrograde attitudini verso sia le donne sia il loro aspetto, che può portare le donne verso più nuove forme di oppressione sociale che non sono meno umilianti che le precedenti forme esplicitamente patriarcali.
Il contributo di Peter Custers
Questo è il contesto politico più ampio nel quale il notevole e illuminante lavoro di Peter Custers sull'accumulazione di capitale e sul lavoro delle donne nelle economie asiatiche dovrebbe essere collocato. Il libro fu originariamente pubblicato nel 1997, ma ha una freschezza e una importanza attuale che sono degni di nota. Questo perchè Custers combina una ampia prospettiva teoretica Marxista con le intuizioni e le innovazioni delle studiose femministe, dalla scuola femminista tedesca a altri filoni come l'eco-femminismo e il femminismo della scuola dello sviluppo, fornendo perciò una ricca descrizione analitica ed empirica di quanto sia stato strettamente collegati il lavoro delle donne in varie forme con l'evoluzione e le attuali pratiche della accumulazione capitalista, non soltanto globalmente ma anche a livello nazionale e locale.
Custers offre un ampio range di visioni, che non possono essere tutte riassunte qui. Ma alcune delle più significative di esse meritano di essere sottolineate e notate, specialmente perchè esse sono state più che confermate dalle recenti opere di erudizione femministe e dalla esperienza attuale e perchè esse sono probabilmente destinate a divenire perfino più importanti per coloro che sono preoccupati con le lotte emancipatorie delle donne in futuro. Quattro questioni in particolare sono degne di nota: l'importanza del lavoro femminile nell'estrazione di plusvalore relativo e assoluto; il ruolo del lavoro non pagato; i modi nei quali le donne lavoratrici hanno influenzato le pratiche capitaliste del controllo del lavoro e a loro volta sono state influenzate da esse; e la parte giocate dalle donne nel formare l'esercito di riserva di lavoro. Tali questioni sono tutte mostrate tramite dettagliati casi-studio di donne lavoratrici in differenti paesi dell'Asia (India, Bangladesh, Giappone) così come in discussioni più ampie che ricostruiscono la storia del capitalismo. I filoni teoretici che contribuiscono alla comprensione di questi processi sono inoltre identificati, nonostante in ciascuno di essi Custers offra anche i suoi validi contributi.
Donne lavoratrici e l'estrazione del plusvalore assoluto e relativo
Una delle importanti intuizioni che emerge dal lavoro di Custer è come la divisione del lavoro dovuta al genere-quella che lui chiama “la divisione sessuale settoriale del lavoro” (“sectoral sexual division of labor”)- è flessibile, cambia nel tempo a seconda del bisogno di preservare il potere maschile sulle donne e di assicurare un maggiore sfruttamento economico delle donne che incontri i bisogni del capitale. In un impressionante esempio dal Bangladesh, egli mostra come la tradizionale divisione del lavoro tra uomini e donne nell'agricoltura è cambiato a causa della modernizzazione, mentre due casi contrastanti di donne coinvolte nella produzione tessile e di indumenti nel Bengala Occidentale mostrano quanto la costruzione sociale della divisione sessuale del lavoro possa alterare la localizzazione, i rendimenti e la mobilità coinvolti nel lavoro delle donne. L'uso del monopolio maschile sui mezzi di produzione per relegare le donne a compiti con minor produttività è esemplificato nella sua discussione ( basata sul famoso lavoro di Maria Mies) della produzione di CROP nella regione rurale del Andrha Pradesh in India.
Il punto è che questi segmentati mercati del lavoro ,poi, hanno maggiori effetti nel deprimere i salari delle donne e nel permettere una estrazione di plusvalore perfino maggiore dal loro lavoro. Custers identifica molte strategia per incrementare le ore lavorative e ridurre i salari delle donne, (strategie ) che contribuiscono ad incrementare sia il plusvalore assoluto che quello relativo. Il lavoro a cottimo è un'arma particolarmente importante a questo riguardo, particolarmente perchè esso combina inoltre altri vantaggi come la riduzione del bisogno di supervisione. Questo uso di relazioni sociali patriarcali diviene fondamentale al processo di accumulazione stesso, che allo stato attuale richiede il continuo impoverimento di una certa sezione per il suo successo.
Questa discussione è particolarmente significativa dati i recenti macro-processi in Asia che hanno colpito la partecipazione delle donne al lavoro pagato. Vi sono stati spostamenti molto rapidi nel mercato del lavoro nello spazio di meno di una generazione, così che le donne Asiatiche sono state prima coinvolte nel lavoro pagato, specialmente nel settore dell'export, e poi espulse da esso. La fase dello sproporzionatamente alto uso delle donne nella manifattura orientata all'importazione in numerose economie asiatiche, che erano rapidamente in crescita, negli anni '80 e nella prima parte degli anni '90 è stata seguita da un periodo di susseguente spostamento di donne più anziane di di alcune controparti più giovani in forme di occupazione più fragili e insicure, o in forme di auto-occupazione, o perfino indietro al lavoro domestico non pagato. Gosh e Seguino hanno mostrato come l'ineguaglianza dei salari legata al genere abbia stimolato la crescita nell'Asia in via di sviluppo, con le economie asiatiche che svantaggiarono le donne in più rapida crescita dal 1975 al 1990. Bassi salari femminili hanno spronato gli investimenti e l'export con la diminuzione del costo unitario del lavoro, fornendo la moneta straniera per comprare capitale e beni intermedi che incrementano la produttività e i tassi di crescita. Questa tendenza verso la femmilizzazione dell'occupazione nei paesi asiatici è stata causata dai bisogni dei datori di lavori di fonti di lavoro più economiche e “flessibili”, che significò più precarietà del lavoro, uno spostamento verso i contratti di lavoro part-time o a cottimo e l'insistenza su una maggiore libertà di assumere e licenziare. Tutti questi aspetti di quella che è ora descritta come “flessibilità del mercato del lavoro” divenne necessaria una volta che la competitività esterna divenne l'importante scopo dei policy makers locali e definì la cornice nei quali imprenditori locali e stranieri operavano. Le donne lavoratrici erano preferiti dagli imprenditori nelle attività di export in primo luogo per via delle inferiori condizioni di lavoro e paga che essere erano solitamente disposte ad accettare. Esse avevano un salario di riserva minore che le loro controparti maschili, erano più disposte ad accettare orari di lavoro più lunghi e spiacevoli e spesso insane o pericolose condizioni della fabbrica; tipicamente non aderivano a sindacati o si impegnavano in altre forme di contrattazione collettiva per migliorare le condizioni e non chiedevano contratti permanenti. Esse erano perciò più facili da assumere e licenziare a seconda della volontà, o in accordo alle condizioni esterne della domanda. Cambiamenti nel ciclo di vita come il matrimonio o la nascita di un figlio potevano essere usati come una sbrigativa causa di fine della loro occupazione e ingaggiare quindi un gruppo più giovane e “fresco” di lavoratrici donne. Perciò ai datori di lavoro fu permessa una maggiore flessibilità di offrire contratti meno sicuri. Inoltre, in certi settori delle industrie più giovani del tardo ventesimo secolo, come (le industrie di) computer hardware o elettronica di consumo, la natura della catena di montaggio- ripetitiva e dettagliata, con un'enfasi sulla destrezza manuale e sulla finezza dell'elaborazione- era percepita come essere adatta specialmente alle donne. Questo alto “sovraffaticamento” associato con alcune di queste attività significò che gli imprenditori preferivano assumere lavoratori che potevano essere periodicamente rimpiazzati, cosa che era più facile quando il gruppo dei lavoratori assunti consisteva di giovani, perlopiù nubili, donne che potevano andare avanti in altre fasi del loro ciclo di vita. Che la femminilizzazione del lavoro nelle industrie orientate all'esportazione fosse dipendente dalla relativa inferiorità della remunerazione e delle condizioni di lavoro era evidente anche perchè risultò essere un fenomeno piuttosto breve. Già dalla metà degli anni '90- il picco del boom dell'export- la percentuale di donne nella forza lavoro occupata nel settore manifatturiero aveva raggiunto il picco nella maggior parte delle economie della regione, e in alcuni paesi essa susseguentemente declino in termini assoluti. Una parte di ciò riflette il fatto che tale occupazione nell'industria dell'importazione semplicemente si mosse verso regioni più economiche tramite investimenti stranieri di ricollocazione: dalla Malesia all'Indonesia e al Vietnam; dalla Thailandia alla Cambogia e Myanmar e così via..Ma perfino nelle nuove collocazioni, i recenti problemi di vari settori dell'export, come l'industria del vestiario, avevano significato a livello globale che i posti di lavoro (specialmente per donne lavoratrici) venivano creati e poi persi nello spazio di pochi anni.
Quando le donne divennero una parte determinata della forza lavoro pagata, e perfino la parte dominante in certi settori ( come certamente esse divennero nei settori tessili, abbigliamento pret à porter ed elettronica di consumo dell'Asia Orientale), divenne più difficile esercitare il tipo tradizionale di discriminazione di genere sul posto di lavoro. Oltre ad una pressione verso l'alto sui loro salari, che fece sì che il gap di genere dei salari diminuisse in un certo grado, vi erano altre pressione per una legislazione per migliorare le loro (delle donne) condizioni complessive di lavoro.
Tuttavia queste strategie, designate per incrementare le condizioni delle donne lavoratrici, tendevano a ridurre la loro attrattività relativa per i loro datori di lavoro in termini di assunzione e licenziamento per tenere i loro (dei datori) costi bassi e rinforzare la profittabilità del proprio export. Anche la crescita nei salari ebbe lo stesso effetto. Quando la loro (delle donne) remunerazione effettiva migliorò (in termini di pacchetto totale di salari e di condizioni contrattuali e di lavoro), la loro attrattività per i datori di lavoro diminuì.
Di conseguenza, la produzione manifatturiera in Asia tendeva ad occupare sempre più una posizione di minor importanza nell'occupazione totale delle donne, ed inoltre essa si fondava meno sull'occupazione femminile al margine. E' di crescente evidenza che la produzione orientata all'export non sempre risulta in una formale femminilizzazione della forza lavoro, che è essenzialmente dipendente dalla relativa inferiorità dei salari femminili e delle condizioni di lavoro e dall'uso di relazioni patriarcali per stabilire controllo sulle donne lavoratrici e tenere i salari bassi. Se la meccanizzazione e le nuove tecnologie richiedono l'uso di lavoro più qualificato, o se il gap tra salari maschili e femminili non è sufficientemente largo, le attività di export non hanno bisogno di basarsi su maggiore lavoro femminile. In condizioni nelle quali sia lavoratori che lavoratrici ono stati forzati da condizioni avverse nel mercato del lavoro ad accettare contratti di lavoro sottopagati ed insicuri, come accaduto non solo nell'Asia Orientale dopo la crisi ma in altri paesi della regione, c'è stata una minore manifesta preferenza per giovani donne lavoratrici di quanto fu precedentemente osservato.
La natura di tale lavoro è inoltre cambiata negli anni recenti. Esso è stato già basato maggiormente su contratti di breve periodo piuttosto che su occupazione a tempo indeterminato per le donne; ora c'è un affidamento molto maggiore su di esse come lavoratrici in piccole unità o in produzioni svolte in casa, in coda ad una complessa catena di sub-contrattazione. Questo spostamento divenne perfino più marcato nella fase di aggiustamento dopo la crisi. Nell'Asia Sudorientale, le donne hanno rappresentato una significativa proporzione della forza lavoro della industria manifatturiera informale, nei laboratori di vestiario, nelle industrie di scarpe,e nelle industrie di artigianato. Molte donne inoltre portano avanti attività informali, temporanee, nell'allevamento o nell'industria delle costruzioni. Coloro che lavorano a casa, lavorando per se stessi o su sub-contratti, fanno prodotti con un range che va dall'abbigliamento e le scarpe ai fiori artificiali, tappeti, elettronica e teleservizi.
Il crescente uso dell'outsourcing non è confinato alle industrie esportatrici. Comunque, a causa della flessibilità offerta dalla sub-contrattazione, (l'outsourcing) è chiaramente di perfino maggiore vantaggio nei settori intensamente competitivi dell'export e, perciò, tende ad essere usato perfino più ampiamente qui. Molta di questo outsourcing transnazionale ha le sue basi in Asia nonostante, come nota Custers, il movimento possa essere attraverso i luoghi geografici, perfino ritornando a Nord quando collassi nell'occupazione (come in Europa, recentemente) forzano le donna ad intraprendere ancora una volta alcuni lavori informali svolti in casa. I produttori soggetti a subcontratto variano in grandezza e in capacità produttiva, dalle fabbriche di media dimensione fino al semplice intermediario che raccoglie il prodotto finito di coloro che lavorano a casa.
Il ruolo cruciale delle donne lavoratrici in tali attività internazionali di produzione con base in Asia è ora sempre più riconosciuto, sia esso lavoro salariato in piccole fabbriche e laboratori posseduti da sub-appaltatori, o siano esse lavoratrici in casa che trattano con intermediari in una complessa catena di produzione. Una proporzione sostanziale di tale subcontrattazione si estende giù fino al lavoro in casa, che offre un' opportunità sostanziale per l'auto-sfruttamento, specialmente quando il pagamento è a cottimo; inoltre tale lavoro è tipicamente lasciato non protetto dalle leggi del lavoro e dai programmi di welfare. Comunque, perfino tale lavoro in casa potrebbe essere in crisi, poiché le esportazioni tessili e di vestiario dai paesi in via di sviluppo incontra crescenti difficoltà nei mercati globali e la pressione delle forze competitive forza gli esportatori a cercare ulteriori metodi di taglio dei costi. L'estrema volatilità della domanda di lavoro che caratterizza la produzione in fabbrica, orientata all'export, è divenuta una caratteristica anche del lavoro in casa per la produzione per l'export.
Il ruolo del lavoro non pagato
Il lavoro di Custers è significativo perchè egli enfatizza che la teoria deve preoccuparsi sia delle forme di sfruttamento pagate che di quelle non pagate usate per guadagnare profitti nel capitalismo moderno. Come ha notato Elson, i servizi non pagati e ripetuti che le donne compiono regolarmente nelle famiglie spesso lo (il lavoro non pagato, ndt) rendono invisibile in termini economici, nonostante la sua natura critica sia per la riproduzione sociale che per quella economica. Ovviamente, ciò è stato un carattere significativo dell'accumulazione capitalista attraverso la sua storia. Ma esso ha una forte risonanza oggi in particolare a causa del cambiamento delle politiche macroeconomiche che ha influenzata l'allocazione relativo del lavoro pagato e non pagato.
Perciò, una caratteristica fondamentale dei processi di lavoro nel mondo è stata l'incremento nel lavoro non pagato nelle famiglie- in maniera predominante (ma non esclusivamente) compiuto dalle donne- poiché i governi si sono sottratti alle le responsabilità sociali di base per l'offerta di beni e servizi pubblici, e una parte maggiore dell'economia di cura diviene appannaggio del settore non pagato. La combinazione particolare di crescente disoccupazione e crescente bisogno di lavoro non pagato è perciò un attributo di mercati del lavoro globalmente. Le politiche macroeconomiche dei governi nazionali che hanno sistematicamente ridotto le opportunità di impiego sia per gli uomini che per le donne, e che hanno permesso all'agricoltura nel Sud di divenire una occupazione precaria e impraticabile hanno inoltre ridotto la qualità di e l'accesso a i beni e i servizi pubblici e lasciato molte parti della vita di tutti i giorni ai processi di mercato, che incrementano l'ineguaglianza. In generale, queste politiche economiche sono state nell'interesse del grande capitale delle corporation. Le ricche,e specialmente grandi, corporations hanno beneficiato dall''offerta competitiva di sostanziosi e crescenti tax benefits, mentre alle persone comune è stato detto che non c'è denaro nelle casse pubbliche per i beni e i servizi pubblici di base. La sicurezza del cibo è stata minacciata nei paesi poveri; altri diritti economici sono stati negati; i settori sociali come la salute e l'educazione sono stati sotto-finanziati; e la protezione dei lavoratori è stata ridotta. La crescente enfasi sui mercati ha implicato la commodificazione di molti aspetti della vita che erano precedentemente visti come naturalmente forniti dallo Stato e dalle Comunità, o semplicemente non soggetti a transazioni di mercato e a relazioni di proprietà. Per esempio, l'inabilità o il rifiuto di diversi governi di fornire acqua potabile ha portato alla crescita esplosiva dell'industria dell'acqua in bottiglia. Un ampia fetta di servizi e utilities precedentemente pubblici, come la distribuzione dell'energia e le telecomunicazioni è stata privatizzata. Perfino il crescente riconoscimento accordato ai diritti di proprietà intellettuali segna l'ingresso del mercato entro sfere costantemente nuove.
Tutto ciò colpisce donne e uomini più direttamente. Quando i redditi da lavoro delle famiglie diminuisce, le donne sono forzate a cercare qualsiasi forma di occupazione che permetterà di mandare avanti la famiglia. Quando c'è minor accesso al cibo, donne e figlie tendono a mangiare meno. Quando i servizi sanitari sono inadeguati, le donne (specialmente le madri) non solo soffrono maggiormente, ma esse devono inoltre sopportare la responsabilità di prendersi cura dei malati e degli anziani. Quando alle scuole mancano i servizi di base o innalzano le tasse, le studentesse trovano difficile frequentarle e sono relegate alle faccende domestiche. Quando il gasolio per cucinare o l'acqua potabile sono difficili da procurare, le donne devono in qualche modo procurarli per la famiglia. Perciò, tali politiche governative hanno portato a larghi incrementi nel lavoro non pagato delle donne, e perciò contribuito ad un peggioramento delle loro qualità della vita. Una considerazione del livello di lavoro non pagato svolto dalle donne indica che un sostanziale ammontare del tempo delle donne è dedicato al lavoro non pagato, spesso alle spese del riposo e del recupero delle energie. E' probabile che tale lavoro non pagato si sia incrementato nel tempo, specialmente nella decade passata. Le politiche pubbliche hanno giocato un ruolo nel causare l'aumento del tempo di lavoro non pagato svolto dalle donne a causa della riduzione della spesa sociale che colloca un maggiore fardello di cura sulle spalle delle donne, (a causa della) privatizzazione o della degradazione della proprietà comune di risorse, servizi infrastrutturali inadeguati che incrementano il tempo speso nel fornire beni essenziali per le famiglie, o semplicemente perchè perfino politiche con buone intenzioni(come ad esempio la riforestazione) sono spesso cieche alla variabile di genere.
Donne lavoratrici e tecniche di controllo del lavoro
Mentre alcune di queste precedenti caratteristiche dell'interazione tra lavoro femminile e capitalismo sono ora più conosciute e discusse, specialmente nei recenti lavori socialisti-femministi, un contributo maggiore fornito dal libro di Custers si trova nelle intuizioni che egli fornisce riguardo come ciò abbia influenzato i sistemi di controllo del lavoro. In un capitolo particolarmente importante, Custers traccia una distinzione tra i sistemi Fordisti ( o Tayloristi) di produzione di massa e ciò che egli descrive come il sistema giapponese, o “Toyotismo”. Egli nota che il secondo possiede 2 caratteristiche distintive: “il circolo di controlo qualità di lavoratori maschi e femmine teso ad assoggettarli mentalmente al dominio della corporation, e la struttura di sub-contrattazione che implica il trasferimento del rischio di produzione ai produttori di componenti e alla forza lavoro assunta da essi”. Egli enfatizza come il coinvolgimento di lavoratrici donne in fondo alla gerarchia del sistema di produzione nella produzione di massa giapponese abbia generato questa tendenza che susseguentemente fu usata per creare categorie segmentate di lavoratori con diritti e potere contrattuale differenziati.
A livello globale, il capitalismo si sta muovendo in maniera crescente verso questo sistema di produzione perchè esso permette agli imprenditori di “risolvere” alcuni delle barriere ad una produzione agevole. Mentre la produzione seriale di beni di massa non è stata abolita nel sistema di produzione alla Giapponese, le relazioni gerarchiche interne nelle imprese e le relazioni esterne sono entrambe profondamente ristrutturate. Custers descrive questo come il risultato del processo laddove le multinazionali hanno continuato a cercare vie per ottenere il massimo controllo sui processi mentali dei lavoratori delle fabbriche.
Il tratto distintivo del Toyotismo è la combinazione della decentralizzazione interna con una centralizzazione esterna. La decentralizzazione interna si riflette nella formazione di “gruppi di lavoro” che sono ricompensati con incentivi comuni per una produzione maggiore per permettere il dispositivo disciplinare di pressione fra pari (“peer pressure”). Questo riduce il bisogno per una supervisione dettagliata o per il monitoraggio e assicura una “auto-disciplina” molto maggiore. Ben lontano dall'umanizzazione delle relazioni di lavoro, Custers nota che ciò ha l'effetto di ridurre la solidarietà tra i lavoratori e inoltre di diminuire il loro potere collettivo. E' interessante notare che questo metodo di controllo manageriale è stato copiato in maniera crescente dalle compagnie in tutto il mondo, e si è perfino diffuso oltre la sfera di produzione in quella della finanza. Il micro-credito, per esempio, che è stato attivamente promosso come una “panacea per lo sviluppo” da organizzazioni multilaterali e da molti governi, si è basato sul creare gruppi di donne che beneficiano in comune di prestiti ( in quelli che sono eufemisticamente chiamati “gruppi di auto-aiuto”) così che la pressione fra pari per il ri-pagamento sostituisce l'assenza di una garanzia offerta dal debitore nel prestito.
Combinato con questo c'è la centralizzazione esterna, che influenza anche i lavoratori negativamente. Una larga parte delle relazioni delle corporations con i fornitori sono sempre più regolate dai principi della consegna “just-in-time” (kanban in Giapponese). Questi fornitori, a turno, assumono lavoratori con uno status chiaramente “secondario” in termini di diritti dei lavoratori che sono dipendenti dalla instabilità e dall'insicurezza del guadagno dei loro datori di lavoro. Metodi di trasferimento dei rischi ai lavoratori sono strettamente intrecciati con la natura informale della maggior parte dei contratti di lavoro, la dipendenza dai lavoratori part-time e l'uso dei salari a cottimo. Ancora una volta, questa descrizione è in maniera rimarchevole presciente dei processi correnti, poiché tali metodi sono divenuti globali nella loro natura. La “dis-integrazione” verticale dei processi di produzione in complesse catene geograficamente disparate ma controllate ne è la corrente espressione, come è evidente dalle più recenti ricerche. Due maggiori tipi di cambiamenti hanno drammaticamente incrementato le possibilità di ricollocazione nella produzione internazionale. I cambiamenti tecnologici hanno permesso che differenti parti del processo di produzione venissero verticalmente divisi e localmente separati, ed essi crearono differenti tipi di bisogno di lavoro, comprendenti pochi lavoratori altamente qualificati e un vasto ammontare di lavoratori semi-qualificati per i quali il “sovraffaticamento” nel tempo è maggiormente diffuso del learning by doing. Essi (i cambiamenti tecnologici, ndt) permisero anche una ricollocazione geografica nelle attività dei servizi che in precedenza erano rigide per quanto riguarda la loro locazione. Cambiamenti organizzativi sono stati associati con concentrazioni di proprietà e controllo, così come con una maggior dispersione e maggiori livelli di outsourcing e sub-contrattazione di particolari attività e di parti del processo di produzione. Perciò ora abbiamo l'emergere di fornitori internazionali di beni e servizi che dipendono meno sulla produzione dirette in una specifica località e più sul sub-appaltare una maggiore parte delle loro attività di produzione e distribuzione. Ciò ha portato all'emergere e alla dominazione del mercato delle “imprese manifatturiere senza fabbriche”, come aziende multinazionali quali Nike e Adidas che effettivamente si basano su un complesso sistema di produzione delocalizzata e sub-appaltata fondata su un design e su un controllo qualità stabiliti centralmente. Delocalizzazioni più recenti nei servizi, dalla pubblicazione fino al lavoro back-office (Il back office comprende sia le attività di gestione dell'organizzazione (Affari Generali, Personale), sia quelle di gestione dei procedimenti amministrativi, ndt) , combinano un certo ammontare di flessibilità (che implica un maggior controllo sui lavoratori) con un controllo centralizzato. In tutte queste attività, le lavoratrici donne sono sia essenziali sia dominano il punto più basso dei processi lavorativi in termini di paga e mancanza di controllo.
Le donne e l'esercito di riserva di lavoro
Custer identifica correttamente l'importanza delle donne come riserva di lavoro per il capitalismo. In una considerazione sulle donne giapponesi, egli nota che esse hanno sempre a carico le caratteristiche che Marx descrive per le maggiori categorie dell'esercito industriale di riserva: latente, stagnante e mobile. Egli inoltre nota come la disponibilità di tali donne è condizionata dalle più ampie condizioni economiche, così che la maggiore povertà i miseria delle famiglie spedisce un maggior numero di donne (spesso le più giovani) in cerca di lavoro pagato. Questo è anche influenzato dalle pressioni sociali sul ciclo della vita. Egli nota che donne sposate di mezza età assunte come lavoratrici part-time spesso soddisfano al massimo grado di chiarezza i criteri generali per essere parte della riserva di lavoro. Esse sono disponibili come riserva di lavoro poco costosa precisamente a causa della loro forzata assenza dal mercato del lavoro per la cura dei bambini e per la loro crescita, ma le relazioni patriarcali alla base di questo cementano il loro ruolo di lavoratrici insicure, subordinate, e sottopagate che possono essere portate dentro o espulse dai posti di lavoro ogni volta che i datori di lavoro lo richiedano.
Una tendenza degna di nota nei mercati del lavoro globali è l'incremento nel tasso di disoccupazione ufficiale nel mondo. Dall'inizio del secolo corrente, i tassi di disoccupazione nella maggior parte dei paesi industriali erano più alti di quanto lo fossero mai stati in ogni tempo sin dalla grande depressione degli anni '30. Ma ,cosa perfino più importante e in rottura rispetto al passato, la disoccupazione ufficiale era molto alta nei paesi in via di sviluppo. Essa ha continuato a crescere quindi, nonostante il fatto che la generale assenza di offerta di sicurezza sociale o di benefits per la disoccupazione nei paesi in via di sviluppo di solito voglia dire che le persone intraprendono una certa attività, quantunque pagata poco, e di solito in forma di auto-occupazione. E' da notare che la disoccupazione ufficiale sta crescendo nelle nazioni in via di sviluppo che sono allo stato attuale considerate come le più dinamiche nell'economia mondiale, come la Cina, i paesi dell'Asia Orientale e Sudorientale e l'India e in molte di queste economie essa si è combinata con tassi di sotto-occupazione persistentemente alti. Il declino nell'occupazione nel settore formale, specialmente nei paesi in via di sviluppo, è stato associato con la proliferazione di lavoratori impegnati nel settore informale, specialmente in occupazioni a basso salario e bassa produttività che sono le caratteristiche dei “settori rifugio” nei mercati del lavoro. Mentre ci sono alcuni posti di lavoro ad alto valore aggiunto che vengono trovati essere auto-occupazione “informale” (includendo, per esempio, software e alcuni servizi di information technology che permettono un lavoro professionale in casa), questi sono relativamente piccoli in numero e certamente troppo pochi per fare più di un'ammaccatura nel trend complessivo, specialmente nei paesi dove il vasto ammontare di forza lavoro è dequalificata o relativamente poco qualificata. A sua volta, ciò ha significato che il ciclo di povertà-bassa creazione di occupazione- povertà è stato perpetuato e perfino accentuato a causa della diminuita volontà o abilità dei governi di intervenire positivamente nell'espandere la creazione di lavoro.
É degno di nota che una delle importante risposte delle donne asiatiche a questi cambiamenti è stata la migrazione economica. L'asia è divenuta una delle più importanti regioni al mondo sia per il movimento transnazionale di beni e capitali sia per il movimento delle persone. La rappresentazione della migrazione delle donne in Asia oggi è complessa, poiché riflette gli apparenti vantaggi per le donne di redditi più alti e riconoscimento del lavoro, ma anche i pericoli e le difficoltà del migrare verso situazioni nuove e sconosciute con il potenziale per vari tipi di sfruttamento. Essa (la migrazione) è stata anche associata con innovative forme di catena di produzione: la globalizzazione dell'economia di cura, con donne migranti verso nuove (più ricche) destinazioni dove il reddito pro capite delle famiglie e le strutture demografiche insieme producono l'incremento dell'outsourcing del lavoro di cura in casa che precedentemente era il lavoro non pagato delle donne facenti parte di queste famiglie. Il grande valore nel libro di Custers sta nella sua succinta descrizione di come così tanti aspetti delle relazioni di genere le forme particolari che il patriarcato assume, sono strettamente interdipendenti con i processi di accumulazione capitalista. La sua analisi ha chiara e profonda importanza oggi per la comprensione non solo della posizione delle donne e delle possibilità per una emancipazione sociale in generale, ma specialmente per il disvelamento della complessa natura del capitalismo contemporaneo.
di Jayati Ghosh
Uno dei miti perduranti riguardo il capitalismo che continua ad essere perpetuato nei libri di testo di economia mainstream e in altre strategie pedagogiche è che l'offerta di lavoro sia qualcosa di esogeno al sistema economico. L'offerta di lavoro è tipicamente pensata, specialmente nelle teoria della crescita standard, come determinata dal tasso di crescita della popolazione, che a sua volta è vista come “al di fuori” del sistema economico piuttosto che in interrelazione con esso.
La realtà è, ovviamente, molto differente: l'offerta di lavoro è perlopiù il risultato di processi economici, non qualcosa di estraneo ad essi. Attraverso la sua storia, il capitalismo si è dimostrato abile nel far sì che le strutture di offerta di lavoro cambiassero in accordo con la domanda. La migrazione- che sia di schiavi, lavoro a contratto o liberi lavoratori- è stata strumentale a questo riguardo. L'uso di lavoro minorile, similmente, è stato sanzionato e incoraggiato o disapprovato e soppresso col variare delle condizioni economiche. Ma la capacità del capitalismo di generare il suo lavoro non è stata più evidente da nessun'altra parte che nel caso del lavoro femminile.
Le donne hanno fatto parte della classe lavoratrice sin dall'inizio del capitalismo, perfino quando esse non sono state riconosciute totalmente come lavoratrici nei propri diritti. Perfino quando esse non erano lavoratrici pagate, il loro contributo spesso sconosciuto e non retribuito alla riproduzione sociale, così come a molte attività economiche, è stato assolutamente essenziale per il funzionamento del sistema. Tutte le donne sono di solito lavoratrici, che siano o no definite o riconosciute come tali. In tutte le società, e particolarmente nei paesi in via di sviluppo, permangono attività non pagate (quali cucinare, pulire e altri lavori domestici, fornitura di bisogni essenziali della famiglia, cura dei bambini, dei malati e degli anziani, così come attività legate alla comunità) che sono largamente viste come responsabilità delle donne. Questa struttura di lavoro non pagato tende ad esistere perfino quando le donne sono occupate in lavoro fuori casa in cambio di un reddito, come lavoratrici dipendenti o autonome. Donne da famiglie povere che sono impegnate in lavoro fuori casa di solito non si possono permettere di assumerne altre per compiere quei compiti, perciò molto spesso questi sono passati alle giovani donne e alle donne anziane nella famiglia, o (questi compiti, ndt ) divengono un “doppio fardello” di lavoro per tali donne. Questi processi sono anche parte integrante del capitalismo: la produzione sia di valori d'uso che di valori di scambio da parte delle donne è essenziale per il processo di accumulazione e, se non altro, questa dipendenza è divenuta più marcata negli anni recenti.
Nonostante questo, ci volle un lungo periodo perchè le lotte delle donne fossero accettate come parte integrante delle lotte della working class per una società migliore. Per più di un secolo, sindacati e altre organizzazioni dei lavoratori tendevano ad essere conservatrici in senso maschile , basati sul modello di famiglia del “maschio capofamiglia” , nel quale il marito/padre lavorava al di fuori della casa per guadagnare denaro e la moglie/madre non guadagnava reddito al di fuori di casa e si occupava del lavoro domestico. C'è voluta una lotta prolungata e una mobilitazione determinata per generare un maggiore riconoscimento sociale del ruolo delle donne come lavoratrici salariate in forme differenti, e per esplorare l'importanza economica cruciale del lavoro non pagato e del lavoro basato sulla comunità. Nelle prime lotte dei lavoratori in Europa dopo la rivoluzione industriale, la riduzione delle ore lavorative era la richiesta maggiore. Lo spostamento al lavoro nelle fabbriche (al quale partecipò anche un largo numero di donne e bambini, ad un salario più basso degli uomini) fu generalmente non regolato e comportò un orario lavorativo davvero lungo, che era compresa fra le 10 fino ad un massimo di 16 ore al giorno. Donne e bambini in Inghilterra guadagnarono la giornata lavorativa da 10 ore nel 1847. In Fracia, i lavoratori ottennero la giornata da 12 ore dopo la rivoluzione di Febbraio del 1848. Fu necessario attendere fino alla prima parte o alla metà del 20esimo secolo per il lavoratori nella maggior parte dei paesi industriali per essere garantiti del diritto legale per la limitazione della giornata lavorativa a 8 ore con il pagamento di straordinari per ore addizionali di lavoro. Ovviamente ciò ignorava ancora il significativo ammontare di tempo speso dalle donne nel lavoro non pagato, di solito nelle loro famiglie.
Comunque, nella maggioranza dei paesi in via di sviluppo, dove una larga parte della forza lavoro non è coperta da protezione e regolazione del lavoro, perfino la condizione di regolare il tempo speso nel lavoro pagato è ancora ben lontano dall'essere raggiunto per la maggioranza dei lavoratori. Il problema di lunghe ore di lavoro è inoltre di solito associato con paghe relativamente basse, il che incide sulla salute dei lavoratori e sulla possibilità di vivere una vita un minimo soddisfacente. Per le donne lavoratrici il problema dell'orario di lavoro lungo è appesantito dal significativo ammontare di lavoro non pagato che viene loro richiesto.
Ciò significa che i problemi riguardanti il lavoro femminile sono qualitativamente differenti da quelli dei lavoratori maschi. Un semplice incremento del lavoro pagato non sempre significa un miglioramento nelle condizioni delle donne lavoratrici, poiché esso può portare a un doppio fardello sulle donne i cui obblighi domestici devono ancora essere portati a termine. Perciò ci deve essere attenzione sulla qualità, il riconoscimento e la remunerazione del lavoro femminile nei paesi in via di sviluppo, così come sulle condizioni che lo facilitano, come ad esempio una soluzione alternativa al lavoro domestico e alla cura dei bambini. Tutte queste variabili sono influenzate in maniera determinante dalle relazioni sociali così come dalle politiche e dai processi economici, che determinano se un incremento dell'attività nel mercato del lavoro da parte delle donne è associato con un genuino miglioramento nelle loro condizioni economiche.
C'è una qualche evidenza storica che con il progresso materiale in una società, la condizione socio-economica delle donne tende ad incrementare. Ma questo non è automatico; esso riflette il risultato delle lotte delle donne per l'equità e la giustizia. La crescente importanza del lavoro pagato delle donne è un aspetto di questo. Nei tempi recenti, l'abilità del movimenti femminili di combattere per maggiori diritti e empowerment è stata condizionata da processi economici più grandi che hanno determinato l'esplicita partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Vi sono stati progressi così come passi indietro, ed è evidente che i primi risultati in alcune società non possono essere considerati come garantiti.
Processi Globali che riguardano le donne
Sebbene l'imperialismo rimanga un carattere connotativo dell'economia mondiale, i suoi contorni stanno cambiando. Il dominio del capitale finanziario, l'emergere di nuovi collegamenti commerciali e l'espansione della catena di produzione globale basata sul dividere il processo di produzione in differenti luoghi hanno tutti drammaticamente cambiato le strutture produttive e i mercati del lavoro nel mondo. Sia i settori finanziari che quelli produttivi sono divenuti più concentrati, causando un relativo declino nelle piccole imprese che sono tipicamente a maggior intensità di lavoro. Eccetto che per un incremento nelle politiche di spesa pubblica immediatamente dopo la crisi finanziaria globale nel 2008, i governi sono stati meno desiderosi o capaci di usare politiche macroeconomiche per mantenere o espandere l'occupazione. La liberalizzazione degli scambi ha distrutto alcuni mezzi di vita, creando al contempo alcune nuove opportunità per la creazione di reddito e occupazione, sebbene ad un livello minore. Queste trasformazioni si sono riflesse nelle trasformazioni nei mercati del lavoro in paesi differenti. Perciò il tasso di disoccupazione ufficiale è cresciuto, e l'occupazione formale ed organizzata è diminuita come proporzione della forza lavoro nel mondo. Al contempo, una spesa sociale ridotta nel “settore sociali” ha avuto la tendenza di incrementare il lavoro non pagato sulle spalle delle donne nelle famiglie con maggiori compiti di riproduzione sociale.
A causa del declino nell'occupazione formale, i lavoratori hanno affollato i settori delle attività “informali”, perpetuando un circolo vizioso di povertà che portava a bassa creazione di lavoro, che portava alla povertà. Le catene di produzione mondiale stanno crescendo in importanza come risultato dei cambiamenti tecnologici, rendendo la produzione e la forza lavoro in paesi differenti più interdipendenti. Vi è stato anche un incremento globale nel lavoro non pagato nelle famiglie- perlopiù (ma non esclusivamente) svolto dalle donne, poiché il governo è venuto meno alle responsabilità sociali di base per la fornitura di beni e servizi pubblici e una parte maggiore dell'economia di cura è localizzate nel settore non pagato.
Questi cambiamenti sono stati particolarmente marcati nell'Asia in via di sviluppo, che è divenuta la regione sia più “globalizzata” che più economicamente dinamica del mondo. E le donne in Asia hanno sostenuto l'impatto dei cambiamenti, con rapidi spostamenti nel (e fuori dal) lavoro pagato, un maggiore ruolo nel fornire reddito al di fuori di casa per le famiglie, tassi incrementati di migrazione per lavoro e maggiore coinvolgimento nel lavoro non pagato. Le donne si sono spostate- volontariamente o forzatamente- alla ricerca di lavoro nelle e attraverso i paesi e le regioni, più di quanto avessero mai fatto. I loro mezzi di sussistenza nelle aree rurali, in maniera predominante nell'agricoltura, sono stati colpiti dalla crisi agraria che si è ora diffusa nelle nazioni più sviluppate. Nelle le società della regione (l'Asia, ndt) massicci incrementi nella disponibilità di differenti beni per il consumo ,a causa della liberalizzazione dei commerci, hanno accompagnato declini nell'accesso a beni e servizi pubblici di base. L'espansione della catena di produzione globale che si fonda sul lavoro delle donne, specialmente in coda, ha trasformato le strutture del lavoro pagato. Inoltre, c'è una importante globalizzazione dei servizi, che coinvolge sia spostamenti locali della forza lavoro sia migrazione delle donne nei settori di “cura” della economie. Allo stesso tempo, cambiamenti tecnologici hanno reso la comunicazione e la trasmissione di forme culturali più estensive e rapide di quanto potesse mai essere immaginato nel passato. Tutti questi cambiamenti hanno avuto effetti davvero sostanziali e complessi sulla posizione delle donne e sulla loro abilità di controllare le proprie vite.
Inoltre, questi cambiamenti economici hanno altre conseguenze sociali avverse per le donne. La crescente enfasi sui mercati e la profittabilità richiede di attrarre più consumatori nel circuito dell'acquisto tramite la pubblicità e tentativi di manipolare i gusti e le scelte delle persone. In questo sforzo, le compagnie pubblicitarie hanno notoriamente usato le donne come oggetto per reclamizzare i loro prodotti. La relazione duale con le donne, come oggetto da essere usato per vendere beni e come enorme, potenziale mercato per i beni, crea un processo particolare a cui le donne sono incoraggiate e persuase a partecipare attivamente alla propria “oggettificazione”. L'enorme attenzione dei media dati ai concorsi di bellezza, modelle di “successo”e all'aspetto ha nutrito l'industria della bellezza, rapidamente in espansione, nell'Asia in via di sviluppo, industria che include non solo cosmetici e aiuti alla bellezza, ma anche agenti dimagrenti, istituti di bellezza, cliniche per la perdita di peso, e così via. Molte di queste mode contribuiscono alle più indesiderabili e retrograde attitudini verso sia le donne sia il loro aspetto, che può portare le donne verso più nuove forme di oppressione sociale che non sono meno umilianti che le precedenti forme esplicitamente patriarcali.
Il contributo di Peter Custers
Questo è il contesto politico più ampio nel quale il notevole e illuminante lavoro di Peter Custers sull'accumulazione di capitale e sul lavoro delle donne nelle economie asiatiche dovrebbe essere collocato. Il libro fu originariamente pubblicato nel 1997, ma ha una freschezza e una importanza attuale che sono degni di nota. Questo perchè Custers combina una ampia prospettiva teoretica Marxista con le intuizioni e le innovazioni delle studiose femministe, dalla scuola femminista tedesca a altri filoni come l'eco-femminismo e il femminismo della scuola dello sviluppo, fornendo perciò una ricca descrizione analitica ed empirica di quanto sia stato strettamente collegati il lavoro delle donne in varie forme con l'evoluzione e le attuali pratiche della accumulazione capitalista, non soltanto globalmente ma anche a livello nazionale e locale.
Custers offre un ampio range di visioni, che non possono essere tutte riassunte qui. Ma alcune delle più significative di esse meritano di essere sottolineate e notate, specialmente perchè esse sono state più che confermate dalle recenti opere di erudizione femministe e dalla esperienza attuale e perchè esse sono probabilmente destinate a divenire perfino più importanti per coloro che sono preoccupati con le lotte emancipatorie delle donne in futuro. Quattro questioni in particolare sono degne di nota: l'importanza del lavoro femminile nell'estrazione di plusvalore relativo e assoluto; il ruolo del lavoro non pagato; i modi nei quali le donne lavoratrici hanno influenzato le pratiche capitaliste del controllo del lavoro e a loro volta sono state influenzate da esse; e la parte giocate dalle donne nel formare l'esercito di riserva di lavoro. Tali questioni sono tutte mostrate tramite dettagliati casi-studio di donne lavoratrici in differenti paesi dell'Asia (India, Bangladesh, Giappone) così come in discussioni più ampie che ricostruiscono la storia del capitalismo. I filoni teoretici che contribuiscono alla comprensione di questi processi sono inoltre identificati, nonostante in ciascuno di essi Custers offra anche i suoi validi contributi.
Donne lavoratrici e l'estrazione del plusvalore assoluto e relativo
Una delle importanti intuizioni che emerge dal lavoro di Custer è come la divisione del lavoro dovuta al genere-quella che lui chiama “la divisione sessuale settoriale del lavoro” (“sectoral sexual division of labor”)- è flessibile, cambia nel tempo a seconda del bisogno di preservare il potere maschile sulle donne e di assicurare un maggiore sfruttamento economico delle donne che incontri i bisogni del capitale. In un impressionante esempio dal Bangladesh, egli mostra come la tradizionale divisione del lavoro tra uomini e donne nell'agricoltura è cambiato a causa della modernizzazione, mentre due casi contrastanti di donne coinvolte nella produzione tessile e di indumenti nel Bengala Occidentale mostrano quanto la costruzione sociale della divisione sessuale del lavoro possa alterare la localizzazione, i rendimenti e la mobilità coinvolti nel lavoro delle donne. L'uso del monopolio maschile sui mezzi di produzione per relegare le donne a compiti con minor produttività è esemplificato nella sua discussione ( basata sul famoso lavoro di Maria Mies) della produzione di CROP nella regione rurale del Andrha Pradesh in India.
Il punto è che questi segmentati mercati del lavoro ,poi, hanno maggiori effetti nel deprimere i salari delle donne e nel permettere una estrazione di plusvalore perfino maggiore dal loro lavoro. Custers identifica molte strategia per incrementare le ore lavorative e ridurre i salari delle donne, (strategie ) che contribuiscono ad incrementare sia il plusvalore assoluto che quello relativo. Il lavoro a cottimo è un'arma particolarmente importante a questo riguardo, particolarmente perchè esso combina inoltre altri vantaggi come la riduzione del bisogno di supervisione. Questo uso di relazioni sociali patriarcali diviene fondamentale al processo di accumulazione stesso, che allo stato attuale richiede il continuo impoverimento di una certa sezione per il suo successo.
Questa discussione è particolarmente significativa dati i recenti macro-processi in Asia che hanno colpito la partecipazione delle donne al lavoro pagato. Vi sono stati spostamenti molto rapidi nel mercato del lavoro nello spazio di meno di una generazione, così che le donne Asiatiche sono state prima coinvolte nel lavoro pagato, specialmente nel settore dell'export, e poi espulse da esso. La fase dello sproporzionatamente alto uso delle donne nella manifattura orientata all'importazione in numerose economie asiatiche, che erano rapidamente in crescita, negli anni '80 e nella prima parte degli anni '90 è stata seguita da un periodo di susseguente spostamento di donne più anziane di di alcune controparti più giovani in forme di occupazione più fragili e insicure, o in forme di auto-occupazione, o perfino indietro al lavoro domestico non pagato. Gosh e Seguino hanno mostrato come l'ineguaglianza dei salari legata al genere abbia stimolato la crescita nell'Asia in via di sviluppo, con le economie asiatiche che svantaggiarono le donne in più rapida crescita dal 1975 al 1990. Bassi salari femminili hanno spronato gli investimenti e l'export con la diminuzione del costo unitario del lavoro, fornendo la moneta straniera per comprare capitale e beni intermedi che incrementano la produttività e i tassi di crescita. Questa tendenza verso la femmilizzazione dell'occupazione nei paesi asiatici è stata causata dai bisogni dei datori di lavori di fonti di lavoro più economiche e “flessibili”, che significò più precarietà del lavoro, uno spostamento verso i contratti di lavoro part-time o a cottimo e l'insistenza su una maggiore libertà di assumere e licenziare. Tutti questi aspetti di quella che è ora descritta come “flessibilità del mercato del lavoro” divenne necessaria una volta che la competitività esterna divenne l'importante scopo dei policy makers locali e definì la cornice nei quali imprenditori locali e stranieri operavano. Le donne lavoratrici erano preferiti dagli imprenditori nelle attività di export in primo luogo per via delle inferiori condizioni di lavoro e paga che essere erano solitamente disposte ad accettare. Esse avevano un salario di riserva minore che le loro controparti maschili, erano più disposte ad accettare orari di lavoro più lunghi e spiacevoli e spesso insane o pericolose condizioni della fabbrica; tipicamente non aderivano a sindacati o si impegnavano in altre forme di contrattazione collettiva per migliorare le condizioni e non chiedevano contratti permanenti. Esse erano perciò più facili da assumere e licenziare a seconda della volontà, o in accordo alle condizioni esterne della domanda. Cambiamenti nel ciclo di vita come il matrimonio o la nascita di un figlio potevano essere usati come una sbrigativa causa di fine della loro occupazione e ingaggiare quindi un gruppo più giovane e “fresco” di lavoratrici donne. Perciò ai datori di lavoro fu permessa una maggiore flessibilità di offrire contratti meno sicuri. Inoltre, in certi settori delle industrie più giovani del tardo ventesimo secolo, come (le industrie di) computer hardware o elettronica di consumo, la natura della catena di montaggio- ripetitiva e dettagliata, con un'enfasi sulla destrezza manuale e sulla finezza dell'elaborazione- era percepita come essere adatta specialmente alle donne. Questo alto “sovraffaticamento” associato con alcune di queste attività significò che gli imprenditori preferivano assumere lavoratori che potevano essere periodicamente rimpiazzati, cosa che era più facile quando il gruppo dei lavoratori assunti consisteva di giovani, perlopiù nubili, donne che potevano andare avanti in altre fasi del loro ciclo di vita. Che la femminilizzazione del lavoro nelle industrie orientate all'esportazione fosse dipendente dalla relativa inferiorità della remunerazione e delle condizioni di lavoro era evidente anche perchè risultò essere un fenomeno piuttosto breve. Già dalla metà degli anni '90- il picco del boom dell'export- la percentuale di donne nella forza lavoro occupata nel settore manifatturiero aveva raggiunto il picco nella maggior parte delle economie della regione, e in alcuni paesi essa susseguentemente declino in termini assoluti. Una parte di ciò riflette il fatto che tale occupazione nell'industria dell'importazione semplicemente si mosse verso regioni più economiche tramite investimenti stranieri di ricollocazione: dalla Malesia all'Indonesia e al Vietnam; dalla Thailandia alla Cambogia e Myanmar e così via..Ma perfino nelle nuove collocazioni, i recenti problemi di vari settori dell'export, come l'industria del vestiario, avevano significato a livello globale che i posti di lavoro (specialmente per donne lavoratrici) venivano creati e poi persi nello spazio di pochi anni.
Quando le donne divennero una parte determinata della forza lavoro pagata, e perfino la parte dominante in certi settori ( come certamente esse divennero nei settori tessili, abbigliamento pret à porter ed elettronica di consumo dell'Asia Orientale), divenne più difficile esercitare il tipo tradizionale di discriminazione di genere sul posto di lavoro. Oltre ad una pressione verso l'alto sui loro salari, che fece sì che il gap di genere dei salari diminuisse in un certo grado, vi erano altre pressione per una legislazione per migliorare le loro (delle donne) condizioni complessive di lavoro.
Tuttavia queste strategie, designate per incrementare le condizioni delle donne lavoratrici, tendevano a ridurre la loro attrattività relativa per i loro datori di lavoro in termini di assunzione e licenziamento per tenere i loro (dei datori) costi bassi e rinforzare la profittabilità del proprio export. Anche la crescita nei salari ebbe lo stesso effetto. Quando la loro (delle donne) remunerazione effettiva migliorò (in termini di pacchetto totale di salari e di condizioni contrattuali e di lavoro), la loro attrattività per i datori di lavoro diminuì.
Di conseguenza, la produzione manifatturiera in Asia tendeva ad occupare sempre più una posizione di minor importanza nell'occupazione totale delle donne, ed inoltre essa si fondava meno sull'occupazione femminile al margine. E' di crescente evidenza che la produzione orientata all'export non sempre risulta in una formale femminilizzazione della forza lavoro, che è essenzialmente dipendente dalla relativa inferiorità dei salari femminili e delle condizioni di lavoro e dall'uso di relazioni patriarcali per stabilire controllo sulle donne lavoratrici e tenere i salari bassi. Se la meccanizzazione e le nuove tecnologie richiedono l'uso di lavoro più qualificato, o se il gap tra salari maschili e femminili non è sufficientemente largo, le attività di export non hanno bisogno di basarsi su maggiore lavoro femminile. In condizioni nelle quali sia lavoratori che lavoratrici ono stati forzati da condizioni avverse nel mercato del lavoro ad accettare contratti di lavoro sottopagati ed insicuri, come accaduto non solo nell'Asia Orientale dopo la crisi ma in altri paesi della regione, c'è stata una minore manifesta preferenza per giovani donne lavoratrici di quanto fu precedentemente osservato.
La natura di tale lavoro è inoltre cambiata negli anni recenti. Esso è stato già basato maggiormente su contratti di breve periodo piuttosto che su occupazione a tempo indeterminato per le donne; ora c'è un affidamento molto maggiore su di esse come lavoratrici in piccole unità o in produzioni svolte in casa, in coda ad una complessa catena di sub-contrattazione. Questo spostamento divenne perfino più marcato nella fase di aggiustamento dopo la crisi. Nell'Asia Sudorientale, le donne hanno rappresentato una significativa proporzione della forza lavoro della industria manifatturiera informale, nei laboratori di vestiario, nelle industrie di scarpe,e nelle industrie di artigianato. Molte donne inoltre portano avanti attività informali, temporanee, nell'allevamento o nell'industria delle costruzioni. Coloro che lavorano a casa, lavorando per se stessi o su sub-contratti, fanno prodotti con un range che va dall'abbigliamento e le scarpe ai fiori artificiali, tappeti, elettronica e teleservizi.
Il crescente uso dell'outsourcing non è confinato alle industrie esportatrici. Comunque, a causa della flessibilità offerta dalla sub-contrattazione, (l'outsourcing) è chiaramente di perfino maggiore vantaggio nei settori intensamente competitivi dell'export e, perciò, tende ad essere usato perfino più ampiamente qui. Molta di questo outsourcing transnazionale ha le sue basi in Asia nonostante, come nota Custers, il movimento possa essere attraverso i luoghi geografici, perfino ritornando a Nord quando collassi nell'occupazione (come in Europa, recentemente) forzano le donna ad intraprendere ancora una volta alcuni lavori informali svolti in casa. I produttori soggetti a subcontratto variano in grandezza e in capacità produttiva, dalle fabbriche di media dimensione fino al semplice intermediario che raccoglie il prodotto finito di coloro che lavorano a casa.
Il ruolo cruciale delle donne lavoratrici in tali attività internazionali di produzione con base in Asia è ora sempre più riconosciuto, sia esso lavoro salariato in piccole fabbriche e laboratori posseduti da sub-appaltatori, o siano esse lavoratrici in casa che trattano con intermediari in una complessa catena di produzione. Una proporzione sostanziale di tale subcontrattazione si estende giù fino al lavoro in casa, che offre un' opportunità sostanziale per l'auto-sfruttamento, specialmente quando il pagamento è a cottimo; inoltre tale lavoro è tipicamente lasciato non protetto dalle leggi del lavoro e dai programmi di welfare. Comunque, perfino tale lavoro in casa potrebbe essere in crisi, poiché le esportazioni tessili e di vestiario dai paesi in via di sviluppo incontra crescenti difficoltà nei mercati globali e la pressione delle forze competitive forza gli esportatori a cercare ulteriori metodi di taglio dei costi. L'estrema volatilità della domanda di lavoro che caratterizza la produzione in fabbrica, orientata all'export, è divenuta una caratteristica anche del lavoro in casa per la produzione per l'export.
Il ruolo del lavoro non pagato
Il lavoro di Custers è significativo perchè egli enfatizza che la teoria deve preoccuparsi sia delle forme di sfruttamento pagate che di quelle non pagate usate per guadagnare profitti nel capitalismo moderno. Come ha notato Elson, i servizi non pagati e ripetuti che le donne compiono regolarmente nelle famiglie spesso lo (il lavoro non pagato, ndt) rendono invisibile in termini economici, nonostante la sua natura critica sia per la riproduzione sociale che per quella economica. Ovviamente, ciò è stato un carattere significativo dell'accumulazione capitalista attraverso la sua storia. Ma esso ha una forte risonanza oggi in particolare a causa del cambiamento delle politiche macroeconomiche che ha influenzata l'allocazione relativo del lavoro pagato e non pagato.
Perciò, una caratteristica fondamentale dei processi di lavoro nel mondo è stata l'incremento nel lavoro non pagato nelle famiglie- in maniera predominante (ma non esclusivamente) compiuto dalle donne- poiché i governi si sono sottratti alle le responsabilità sociali di base per l'offerta di beni e servizi pubblici, e una parte maggiore dell'economia di cura diviene appannaggio del settore non pagato. La combinazione particolare di crescente disoccupazione e crescente bisogno di lavoro non pagato è perciò un attributo di mercati del lavoro globalmente. Le politiche macroeconomiche dei governi nazionali che hanno sistematicamente ridotto le opportunità di impiego sia per gli uomini che per le donne, e che hanno permesso all'agricoltura nel Sud di divenire una occupazione precaria e impraticabile hanno inoltre ridotto la qualità di e l'accesso a i beni e i servizi pubblici e lasciato molte parti della vita di tutti i giorni ai processi di mercato, che incrementano l'ineguaglianza. In generale, queste politiche economiche sono state nell'interesse del grande capitale delle corporation. Le ricche,e specialmente grandi, corporations hanno beneficiato dall''offerta competitiva di sostanziosi e crescenti tax benefits, mentre alle persone comune è stato detto che non c'è denaro nelle casse pubbliche per i beni e i servizi pubblici di base. La sicurezza del cibo è stata minacciata nei paesi poveri; altri diritti economici sono stati negati; i settori sociali come la salute e l'educazione sono stati sotto-finanziati; e la protezione dei lavoratori è stata ridotta. La crescente enfasi sui mercati ha implicato la commodificazione di molti aspetti della vita che erano precedentemente visti come naturalmente forniti dallo Stato e dalle Comunità, o semplicemente non soggetti a transazioni di mercato e a relazioni di proprietà. Per esempio, l'inabilità o il rifiuto di diversi governi di fornire acqua potabile ha portato alla crescita esplosiva dell'industria dell'acqua in bottiglia. Un ampia fetta di servizi e utilities precedentemente pubblici, come la distribuzione dell'energia e le telecomunicazioni è stata privatizzata. Perfino il crescente riconoscimento accordato ai diritti di proprietà intellettuali segna l'ingresso del mercato entro sfere costantemente nuove.
Tutto ciò colpisce donne e uomini più direttamente. Quando i redditi da lavoro delle famiglie diminuisce, le donne sono forzate a cercare qualsiasi forma di occupazione che permetterà di mandare avanti la famiglia. Quando c'è minor accesso al cibo, donne e figlie tendono a mangiare meno. Quando i servizi sanitari sono inadeguati, le donne (specialmente le madri) non solo soffrono maggiormente, ma esse devono inoltre sopportare la responsabilità di prendersi cura dei malati e degli anziani. Quando alle scuole mancano i servizi di base o innalzano le tasse, le studentesse trovano difficile frequentarle e sono relegate alle faccende domestiche. Quando il gasolio per cucinare o l'acqua potabile sono difficili da procurare, le donne devono in qualche modo procurarli per la famiglia. Perciò, tali politiche governative hanno portato a larghi incrementi nel lavoro non pagato delle donne, e perciò contribuito ad un peggioramento delle loro qualità della vita. Una considerazione del livello di lavoro non pagato svolto dalle donne indica che un sostanziale ammontare del tempo delle donne è dedicato al lavoro non pagato, spesso alle spese del riposo e del recupero delle energie. E' probabile che tale lavoro non pagato si sia incrementato nel tempo, specialmente nella decade passata. Le politiche pubbliche hanno giocato un ruolo nel causare l'aumento del tempo di lavoro non pagato svolto dalle donne a causa della riduzione della spesa sociale che colloca un maggiore fardello di cura sulle spalle delle donne, (a causa della) privatizzazione o della degradazione della proprietà comune di risorse, servizi infrastrutturali inadeguati che incrementano il tempo speso nel fornire beni essenziali per le famiglie, o semplicemente perchè perfino politiche con buone intenzioni(come ad esempio la riforestazione) sono spesso cieche alla variabile di genere.
Donne lavoratrici e tecniche di controllo del lavoro
Mentre alcune di queste precedenti caratteristiche dell'interazione tra lavoro femminile e capitalismo sono ora più conosciute e discusse, specialmente nei recenti lavori socialisti-femministi, un contributo maggiore fornito dal libro di Custers si trova nelle intuizioni che egli fornisce riguardo come ciò abbia influenzato i sistemi di controllo del lavoro. In un capitolo particolarmente importante, Custers traccia una distinzione tra i sistemi Fordisti ( o Tayloristi) di produzione di massa e ciò che egli descrive come il sistema giapponese, o “Toyotismo”. Egli nota che il secondo possiede 2 caratteristiche distintive: “il circolo di controlo qualità di lavoratori maschi e femmine teso ad assoggettarli mentalmente al dominio della corporation, e la struttura di sub-contrattazione che implica il trasferimento del rischio di produzione ai produttori di componenti e alla forza lavoro assunta da essi”. Egli enfatizza come il coinvolgimento di lavoratrici donne in fondo alla gerarchia del sistema di produzione nella produzione di massa giapponese abbia generato questa tendenza che susseguentemente fu usata per creare categorie segmentate di lavoratori con diritti e potere contrattuale differenziati.
A livello globale, il capitalismo si sta muovendo in maniera crescente verso questo sistema di produzione perchè esso permette agli imprenditori di “risolvere” alcuni delle barriere ad una produzione agevole. Mentre la produzione seriale di beni di massa non è stata abolita nel sistema di produzione alla Giapponese, le relazioni gerarchiche interne nelle imprese e le relazioni esterne sono entrambe profondamente ristrutturate. Custers descrive questo come il risultato del processo laddove le multinazionali hanno continuato a cercare vie per ottenere il massimo controllo sui processi mentali dei lavoratori delle fabbriche.
Il tratto distintivo del Toyotismo è la combinazione della decentralizzazione interna con una centralizzazione esterna. La decentralizzazione interna si riflette nella formazione di “gruppi di lavoro” che sono ricompensati con incentivi comuni per una produzione maggiore per permettere il dispositivo disciplinare di pressione fra pari (“peer pressure”). Questo riduce il bisogno per una supervisione dettagliata o per il monitoraggio e assicura una “auto-disciplina” molto maggiore. Ben lontano dall'umanizzazione delle relazioni di lavoro, Custers nota che ciò ha l'effetto di ridurre la solidarietà tra i lavoratori e inoltre di diminuire il loro potere collettivo. E' interessante notare che questo metodo di controllo manageriale è stato copiato in maniera crescente dalle compagnie in tutto il mondo, e si è perfino diffuso oltre la sfera di produzione in quella della finanza. Il micro-credito, per esempio, che è stato attivamente promosso come una “panacea per lo sviluppo” da organizzazioni multilaterali e da molti governi, si è basato sul creare gruppi di donne che beneficiano in comune di prestiti ( in quelli che sono eufemisticamente chiamati “gruppi di auto-aiuto”) così che la pressione fra pari per il ri-pagamento sostituisce l'assenza di una garanzia offerta dal debitore nel prestito.
Combinato con questo c'è la centralizzazione esterna, che influenza anche i lavoratori negativamente. Una larga parte delle relazioni delle corporations con i fornitori sono sempre più regolate dai principi della consegna “just-in-time” (kanban in Giapponese). Questi fornitori, a turno, assumono lavoratori con uno status chiaramente “secondario” in termini di diritti dei lavoratori che sono dipendenti dalla instabilità e dall'insicurezza del guadagno dei loro datori di lavoro. Metodi di trasferimento dei rischi ai lavoratori sono strettamente intrecciati con la natura informale della maggior parte dei contratti di lavoro, la dipendenza dai lavoratori part-time e l'uso dei salari a cottimo. Ancora una volta, questa descrizione è in maniera rimarchevole presciente dei processi correnti, poiché tali metodi sono divenuti globali nella loro natura. La “dis-integrazione” verticale dei processi di produzione in complesse catene geograficamente disparate ma controllate ne è la corrente espressione, come è evidente dalle più recenti ricerche. Due maggiori tipi di cambiamenti hanno drammaticamente incrementato le possibilità di ricollocazione nella produzione internazionale. I cambiamenti tecnologici hanno permesso che differenti parti del processo di produzione venissero verticalmente divisi e localmente separati, ed essi crearono differenti tipi di bisogno di lavoro, comprendenti pochi lavoratori altamente qualificati e un vasto ammontare di lavoratori semi-qualificati per i quali il “sovraffaticamento” nel tempo è maggiormente diffuso del learning by doing. Essi (i cambiamenti tecnologici, ndt) permisero anche una ricollocazione geografica nelle attività dei servizi che in precedenza erano rigide per quanto riguarda la loro locazione. Cambiamenti organizzativi sono stati associati con concentrazioni di proprietà e controllo, così come con una maggior dispersione e maggiori livelli di outsourcing e sub-contrattazione di particolari attività e di parti del processo di produzione. Perciò ora abbiamo l'emergere di fornitori internazionali di beni e servizi che dipendono meno sulla produzione dirette in una specifica località e più sul sub-appaltare una maggiore parte delle loro attività di produzione e distribuzione. Ciò ha portato all'emergere e alla dominazione del mercato delle “imprese manifatturiere senza fabbriche”, come aziende multinazionali quali Nike e Adidas che effettivamente si basano su un complesso sistema di produzione delocalizzata e sub-appaltata fondata su un design e su un controllo qualità stabiliti centralmente. Delocalizzazioni più recenti nei servizi, dalla pubblicazione fino al lavoro back-office (Il back office comprende sia le attività di gestione dell'organizzazione (Affari Generali, Personale), sia quelle di gestione dei procedimenti amministrativi, ndt) , combinano un certo ammontare di flessibilità (che implica un maggior controllo sui lavoratori) con un controllo centralizzato. In tutte queste attività, le lavoratrici donne sono sia essenziali sia dominano il punto più basso dei processi lavorativi in termini di paga e mancanza di controllo.
Le donne e l'esercito di riserva di lavoro
Custer identifica correttamente l'importanza delle donne come riserva di lavoro per il capitalismo. In una considerazione sulle donne giapponesi, egli nota che esse hanno sempre a carico le caratteristiche che Marx descrive per le maggiori categorie dell'esercito industriale di riserva: latente, stagnante e mobile. Egli inoltre nota come la disponibilità di tali donne è condizionata dalle più ampie condizioni economiche, così che la maggiore povertà i miseria delle famiglie spedisce un maggior numero di donne (spesso le più giovani) in cerca di lavoro pagato. Questo è anche influenzato dalle pressioni sociali sul ciclo della vita. Egli nota che donne sposate di mezza età assunte come lavoratrici part-time spesso soddisfano al massimo grado di chiarezza i criteri generali per essere parte della riserva di lavoro. Esse sono disponibili come riserva di lavoro poco costosa precisamente a causa della loro forzata assenza dal mercato del lavoro per la cura dei bambini e per la loro crescita, ma le relazioni patriarcali alla base di questo cementano il loro ruolo di lavoratrici insicure, subordinate, e sottopagate che possono essere portate dentro o espulse dai posti di lavoro ogni volta che i datori di lavoro lo richiedano.
Una tendenza degna di nota nei mercati del lavoro globali è l'incremento nel tasso di disoccupazione ufficiale nel mondo. Dall'inizio del secolo corrente, i tassi di disoccupazione nella maggior parte dei paesi industriali erano più alti di quanto lo fossero mai stati in ogni tempo sin dalla grande depressione degli anni '30. Ma ,cosa perfino più importante e in rottura rispetto al passato, la disoccupazione ufficiale era molto alta nei paesi in via di sviluppo. Essa ha continuato a crescere quindi, nonostante il fatto che la generale assenza di offerta di sicurezza sociale o di benefits per la disoccupazione nei paesi in via di sviluppo di solito voglia dire che le persone intraprendono una certa attività, quantunque pagata poco, e di solito in forma di auto-occupazione. E' da notare che la disoccupazione ufficiale sta crescendo nelle nazioni in via di sviluppo che sono allo stato attuale considerate come le più dinamiche nell'economia mondiale, come la Cina, i paesi dell'Asia Orientale e Sudorientale e l'India e in molte di queste economie essa si è combinata con tassi di sotto-occupazione persistentemente alti. Il declino nell'occupazione nel settore formale, specialmente nei paesi in via di sviluppo, è stato associato con la proliferazione di lavoratori impegnati nel settore informale, specialmente in occupazioni a basso salario e bassa produttività che sono le caratteristiche dei “settori rifugio” nei mercati del lavoro. Mentre ci sono alcuni posti di lavoro ad alto valore aggiunto che vengono trovati essere auto-occupazione “informale” (includendo, per esempio, software e alcuni servizi di information technology che permettono un lavoro professionale in casa), questi sono relativamente piccoli in numero e certamente troppo pochi per fare più di un'ammaccatura nel trend complessivo, specialmente nei paesi dove il vasto ammontare di forza lavoro è dequalificata o relativamente poco qualificata. A sua volta, ciò ha significato che il ciclo di povertà-bassa creazione di occupazione- povertà è stato perpetuato e perfino accentuato a causa della diminuita volontà o abilità dei governi di intervenire positivamente nell'espandere la creazione di lavoro.
É degno di nota che una delle importante risposte delle donne asiatiche a questi cambiamenti è stata la migrazione economica. L'asia è divenuta una delle più importanti regioni al mondo sia per il movimento transnazionale di beni e capitali sia per il movimento delle persone. La rappresentazione della migrazione delle donne in Asia oggi è complessa, poiché riflette gli apparenti vantaggi per le donne di redditi più alti e riconoscimento del lavoro, ma anche i pericoli e le difficoltà del migrare verso situazioni nuove e sconosciute con il potenziale per vari tipi di sfruttamento. Essa (la migrazione) è stata anche associata con innovative forme di catena di produzione: la globalizzazione dell'economia di cura, con donne migranti verso nuove (più ricche) destinazioni dove il reddito pro capite delle famiglie e le strutture demografiche insieme producono l'incremento dell'outsourcing del lavoro di cura in casa che precedentemente era il lavoro non pagato delle donne facenti parte di queste famiglie. Il grande valore nel libro di Custers sta nella sua succinta descrizione di come così tanti aspetti delle relazioni di genere le forme particolari che il patriarcato assume, sono strettamente interdipendenti con i processi di accumulazione capitalista. La sua analisi ha chiara e profonda importanza oggi per la comprensione non solo della posizione delle donne e delle possibilità per una emancipazione sociale in generale, ma specialmente per il disvelamento della complessa natura del capitalismo contemporaneo.
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