Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 12 novembre 2011

Meno male ...

UN MODELLO VINCENTE

13 novembre 2011
Zitta zitta, la società civile segna punti a Catania…
di Riccardo Orioles. Fonte: ucuntu
Mi sarebbe piaciuto scrivere un bell'arti¬colo di politica, sul governo di pri¬ma e su quello che verrà. Ma non posso farlo per¬ché non sono più autorizzato. Sono infatti un cittadino, o meglio un consumat¬ore, ita¬liano ed è stato appena deciso che di fac¬cende del genere non debbono occuparsi più i cittadini (troppo ignoranti e emotivi per occuparsene) ma degli esperti bravissi¬mi, molto molto più bravi di me e di voi. Saranno loro a decidere per tutti.
Questo è già successo diverse volte nella storia. In Grecia, quando è finita la polis, a Roma, quando è arrivato Cesare, nel me¬dioevo in Italia, quando dopo i Comuni sono arrivate le Signorie.
Non è che la gen¬te fosse contraria, in questi casi. Troppa chiacchiera, troppi disordini, troppo poca abitudine - poco a poco – a uscir di casa. Meglio un governo tranquillo, un sovrano benevolo, che pensa per tutti.
Sta succedendo in Italia, e non so se è bene o male. Certo, dopo tutto quel Berlu¬sconi qualcosa bisognava fare. E chi dice che gli abitanti italiani, dopo aver creato un Berlusconi, non ne creassero prima o poi qualche altro? Europa e Ger¬mania non si sono fidate. E noi, lavoran¬do poco (preca¬rio non è lavorare) dipen¬diamo da loro.
* * *
Può darsi che vada bene così. Certo, non è democrazia. Ma chi la vuole davvero? Il veneti? I commercialisti? I banchieri? I boss mafiosi? I calabresi, Catania? Gl'im¬prenditori del Ponte, quelli dell'Ex¬po, la Borsa? Nessuno di questi soggetti, che or¬mai sono il baricentro della Nazione, ha mai avuto molto a che fare con la democra¬zia. Ovvio che si sia sfaldata così, nell'in¬differenza generale, senza problemi.
E nemmeno l'Europa, così com'è, ha mol¬to a che fare con la democrazia. E' sorta at¬torno all'euro, e come primo passo anda¬va bene. Ma è stato pure l'ultimo, purtrop¬po.
L'Europa, la nostra Europa, si suicidò traumaticamente nel '14, cent'anni fa. Sta¬volta si sta suicidando piano, per avarizia e noia. Senza popolo, senza stato, con tante banche ma neanche una su mae¬stra di scuo¬la o un giardiniere.

L’Europa e noi, tra passato e futuro

di Rossana Rossanda. Fonte: sbilanciamoci
Dalle radici dell'idea europea al vizio originario dell'euro, che presenta il conto con la crisi attuale. Cosa può fare la politica? Le conclusioni di Rossanda al forum "La rotta d'Europa", che ha sviluppato alcune prime proposte possibili, contro le tendenze criminali della finanza, l'ineguaglianza crescente, il rigore che si accanisce su chi ha meno

A luglio, quando è precipitata la crisi greca, ho chiesto ad alcuni padri dell’Unione europea se e quale era stato l’errore nell’impianto ormai scricchiolante della Ue. Con Sbilanciamoci e Opendemocracy è iniziata una discussione che si è presto spostata dal “perché” si è arrivati a questo punto al “che cosa fare perché la situazione non si aggravi”. Ad essa hanno portato contributi preziosi molti economisti e sociologi, e sarà pubblicata interamente come ebook. In essa si sono confrontate alcune voci, peraltro interessanti, che hanno proposto l’uscita dall’euro dei paesi in maggiore difficoltà, primo la Grecia, mentre la maggioranza ha ragionato su come mantenere l’euro e la Ue dandole un nuovo indirizzo. Condivido queste ipotesi correttive, esposte da Mario Pianta su sbilanciamoci e sul manifesto del 6 novembre. Ma quali forze politiche le porteranno avanti?

Il nodo sociale dell'Europa

L’Europa è nata male. Una federazione europea, che era stata un ideale antifascista di pochi, sarebbe diventata più forte con la vittoria sul nazismo e sul fascismo: l’orrore del secondo conflitto mondiale avrebbe finalmente indotto il bellicoso continente ad andare a una pace perpetua dotandosi d’una qualche struttura federale. E pareva ovvio che un’avanzata democrazia sociale ne sarebbe stata la natura e il fine.

L’Europa era stata non solo la madre del pensiero politico moderno, che si sarebbe diffuso in Occidente, ma l’unico continente che ne aveva portato a fondo il nodo, lasciato irrisolto dal 1789, fra eguaglianza e libertà, sciogliendolo nella necessità di ravvicinare le condizioni di vita dei cittadini perché potessero effettivamente esercitare i diritti di libertà loro promessi. Era la questione sociale, divenuta dirompente fra il XIX e il XX secolo. Essa aveva prodotto un forte movimento operaio fondato sulla necessità di un modo di produzione diverso dal capitalismo, basato sull’abolizione della proprietà privata dei mezzi per produrre (terra e capitali); su questo, in seguito ai grandi moti del 1848, si sarebbero delineate a fine secolo le correnti socialiste, la I e la II internazionale e nel 1917 si produceva in Russia la rivoluzione comunista della III internazionale, dando luogo alla Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Che il nodo fosse sociale riconosceva anche negli Usa il presidente Roosevelt, reagendo alla crisi del 1929 con un forte intervento pubblico, correttivo, il New Deal. E lo confermava la violenta reazione delle altre potenze europee, sviluppatesi nel liberismo, non solo con il tentativo di bloccare la giovane rivoluzione sovietica ma lasciandosi andare, prima con il fascismo in Italia, poi con il nazismo in Germania, e negli anni Trenta anche in Grecia e in Spagna, a forme estreme di reazione di destra, incontrollate fino alla tesi della sottoumanità delle “razze” ebraica e zingara e al loro sterminio. Ci sarebbe voluta la seconda guerra mondiale perché l’alleanza fra l’Urss e l’occidente democratico, Stati Uniti inclusi, ne avesse ragione, distruggendo il III Reich.

L’Italia commissariata da Goldman Sachs

di Guglielmo Forges Davanzati* Fonte: repubblicait
C’è da dubitare che lo tsunami finanziario che ha investito (e sta investendo) l’Italia sia interamente imputabile alla scarsa credibilità del Governo Berlusconi, sebbene sia indiscutibile che questa esperienza di governo sia stata caratterizzata da un immobilismo irresponsabile. Per dimostrarlo, occorre ripercorrere sinteticamente ciò che è accaduto negli ultimi mesi, e chiarire preliminarmente i termini del problema. Dalla scorsa estate, l’Italia è stata oggetto di ‘attacchi speculativi’ di inaudita intensità, ovvero di vendita in massa di titoli del debito pubblico, con successiva difficoltà nel collocarli sui mercati anche a tassi di interesse elevati. La riduzione del prezzo dei titoli di Stato implica, infatti, che il tasso di interesse ottenibile dai risparmiatori aumenta, ponendo lo Stato italiano nella condizione di dover offrire un tasso più elevato per i nuovi titoli emessi.

E’ così aumentato il differenziale dei rendimenti fra i titoli italiani – in particolare i buoni del Tesoro con scadenza decennale – e i titoli del debito pubblico tedeschi, prefigurando una condizione nella quale lo Stato italiano potrebbe trovarsi impossibilitato a ripagare il debito contratto con i sottoscrittori dei buoni del Tesoro e dichiarare fallimento.

L’opinione dominante fa propria la convinzione secondo la quale questo fenomeno sia stato, in ultima analisi, determinato dal basso tasso di crescita dell’economia italiana (il che è condivisibile) e, soprattutto, dalla scarsa credibilità del Governo in carica (il che dà adito a qualche dubbio). Innanzitutto, va chiarito – ove ve ne fosse bisogno – che non è possibile dare una misurazione della ‘credibilità’ di un’Istituzione. Stando all’opinione dominante, la credibilità di un Governo la si concepisce – in questa fase, e nel nostro caso – sulla base del rispetto delle ‘raccomandazioni’ della Banca Centrale Europea. Le quali – è opportuno ricordarlo – suggeriscono misure di austerità ancora più drastiche rispetto a quelle fin qui messe in atto: riduzione della spesa pubblica, maggiore precarizzazione del lavoro e facilità dei licenziamenti, privatizzazioni, liberalizzazioni, aumento dell’età pensionabile, riduzione dei costi della pubblica amministrazione e suo snellimento, con possibile riduzione degli stipendi – e maggiore mobilità - dei lavoratori del settore pubblico.

Truffati e truffatori.

di Anonimo. Fonte: sinistrainrete
Non solo il debito non lo paghiamo, ma rivogliamo indietro i nostri soldi!
“Noi il debito non lo paghiamo!”
“Come: ti hanno prestato dei soldi e adesso non li vuoi restituire?”

Detta così sembra che in torto ci siamo noi.
Invece questa della “crisi del debito” non è altro che l’epilogo di una serie di truffe che si sono sommate tra loro, dove i protagonisti sono sempre gli stessi e di cui viene chiesto a noi adesso di saldare il conto.

La prima truffa è stata fatta nel 2001 ed è continuata fino al 2009 e riguarda la Grecia.

Per poter entrare nell’Euro nel 2001 la Grecia, visto che non era in regola con nessuno dei parametri previsti dal trattato di Maastricht, si è rivolta a due banche d’affari, la Goldman Sachs e la JP Morgan Chase che le hanno suggerito come fare.

La truffa consisteva nel falsificare i bilanci pubblici utilizzando alcuni strumenti finanziari che si chiamano derivati. In particolare si trattava, attraverso l’uso dei Cross Currency Swap, di ristrutturare il debito pubblico del settore sanitario, convertendolo prima in Dollari, poi in Yen e quindi in Euro ad un tasso di cambio particolarmente favorevole per le casse elleniche.

Ovviamente, in cambio del fatto che la Grecia si sarebbe trovata qualche miliardo di euro in meno nel proprio debito pubblico grazie a questa operazione, la Goldman Sachs e la JP Morgan Chase si beccavano gli incassi futuri delle tasse aeroportuali greche, dei pedaggi autostradali greci e delle lotterie dello stato greco.

L’aspetto truffaldino dell’operazione è che in realtà si trattava di un prestito concesso dalle due banche alla Grecia ottenuto in cambio di entrate a cui lo stato greco avrebbe rinunciato. Insomma, il debito rimaneva, solo veniva spalmato sugli anni a venire sotto la forma di minori entrate per lo stato e spariva dalla contabilità nazionale.

Il totalitarismo dell’era presente

di Marco Rovelli. Fonte: nazioneindiana
Siamo arrivati al capolinea. Adesso inizia un’altra corsa. A guidare l’aereo più pazzo del mondo c’è Mario Monti. Già international advisor di Goldman Sachs (il cui ruolo nello scatenamento della crisi globale è noto), e membro di Trilateral e Bilderberg, insomma il gotha del capitalismo mondiale. Non sarà che con lui la finanza ha preso il controllo diretto del paese, dopo che il messo Silvio Berlusconi ha fallito per eccesso di amor proprio? Del resto proprio Monti ha affermato: “Berlusconi va ringraziato, nel ’94 ci salvò dalla sinistra di Occhetto e avviò la rivoluzione liberale in Italia”. Ma appunto poi questa rivoluzione liberale non è stata fatta, e allora ci si prendono le chiavi di casa. Consegnate direttamente dai derubati, peraltro, implorando mercé.

Nessuno, sui grandi media, dice una verità essenziale: che il 90% dei derivati – lo strumento principale della speculazione finanziaria internazionale – è controllato da cinque grandi società (Deutsche Bank, Goldman Sachs, Morgan Stanley, UBS, HSBC). Nessuno dice che 10 banche e Sim (società di intermediazione mobiliare) controllano circa il 70% dei flussi finanziari mondiali: un controllo indiretto, nel senso che non ne hanno evidentemente la proprietà, ma li gestiscono e ne determinano il senso. Questo controllo oligopolistico globale determina conseguenze molto concrete sulle vite delle persone. Per questo si parla di biopotere.
Così, adesso, si è deciso di attaccare l’Italia. Come ha ben spiegato Andrea Fumagalli, uno degli economisti più lucidi in circolazione, non c’erano motivi particolarmente drammatici per arrivare al collasso in cui siamo precipitati. Il rapporto debito-pil viaggia al 120%, più o meno come vent’anni fa. Più preoccupante, se mai, la situazione degli Usa, dove il rapporto è del 100%, dove però cinque anni fa era al 60%. I motivi, allora, sono inerenti alla stessa logica interna al finanzcapitalismo.
Dopo che la Goldman Sachs ha fatto a pezzi la Grecia (vedi qui), la Deutsche Bank ha fatto a pezzi l’Italia.
Seguo ancora Fumagalli: da aprile 2011 la Deutsche Bank ha iniziato a vendere 8 miliardi di Btp: non molto, ma nel meccanismo emulativo proprio dei mercati finanziari (dove la determinazione del valore dipende da comportamenti mimetici, basati sull’autorevolezza dell’attore) ciò ha generato aspettative che si sono espanse a macchia d’olio. Di qui, la quotazione dei titoli alla borsa di Londra, che a maggio era ancora 102, a giugno scende a 90. Questa è schock economy. Oppure possiamo anche chiamarlo terrorismo finanziario.
Perché la Deutsche Bank ha fatto questo? Perché se attivi aspettative al ribasso, il valore degli altri titoli che assicurano contro il fallimento – i Cds, credit default swaps – schizzano alle stelle. Il valore di questi Cds infatti è salito di cinque volte. E chi detiene gran parte di questi titoli assicurativi? Cinque società, e più degli altri la Deutsche Bank stessa. La Deutsche Bank ha fatto un doppio guadagno: prima ha venduto i Btp a un prezzo buono (poi appunto si sono deprezzati), dopodiché ha generato enormi plusvalenze grazie al rialzo dei Cds.
A questo occorre aggiungere poi il ruolo che la Germania ha successivamente svolto nello scaricare la crisi sui Btp salvaguardando le sue banche piene di quei titoli tossici che hanno dato origine alla crisi mondiale (vedi qui).
Insomma, tutto sembra dirigersi verso una direzione chiara: sacrificare un intero paese alle logiche delle plusvalenze. Chi è in grado, adesso, di impedire la macelleria sociale che verrà? C’est la lutte finale, verrebbe da cantare.

venerdì 11 novembre 2011

Yes We Can do it

Ormai non è più possibile nasconderlo...

Fonte: fabionews
LA DEMOCRAZIA è FINITA!!!

Avevamo già sostenuto che la presenza di Berlusconi era funzionale a nascondere (dietro la finta contrapposizione Berlusconi o non
Berlusconi) i veri problemi del "sistema" e l'inconsistenza totale di un'alternativa politica nella forze attuali! Adesso il velo è caduto e ... il re è nudo!

In Italia come in Grecia c'è stato un vero COLPO DI STATO.

Nel XXI secolo non c'è bisogno di carri armati o di bombardare i palazzi governativi, bastano le armi finanziarie a disposizione dei mercati, il controllo dell'informazione e l'inconsistenza totale di una classe politica degna di questo nome, indipendente dal controllo dei cittadini e succcube dei poteri economici.

Non siamo più noi "popolo-elettore" a sceglierechi ci deve governare, non esistono più istituzioni "democratiche" dove vengono decise in maniera libera e indipendente le politiche di questo Stato...

Da tempo diciamo che "dietro" le varie forze politiche ci sono "interessi forti" che tirano i fili.. bene oggi questi "interessi forti" spazzano via la politica e si siedo direttamente a capo delle nostre istituzioni.

I Mercati e le banche, che sono causa primaria di questa crisi, che hanno spolpato gli Stati per i loro affari prima e per non fallire dopo, che ci hanno privati da tempo (con l'Euro e il signoraggio) della sovranità monetaria, adesso hanno deciso di dirigere direttamente i nostri Stati senza quei fastidiosi intralci dei governi e delle istituzioni democratiche (almeno senza tutti quei governi che non erano in grado di eseguire gli ordini velocemente e senza discutere... ).

Così per uscire dalla crici in Grecia viene buttato nei rifiuti il fantomatico referendum che al solo parlarne aveva mandato in crisi tutta l'Europa (ma quando mai nella storia dell'Europa un referendum è stato visto di buon occhio??) e viene insediato "a forza" Lucas
Papademos: ex numero due della Bce già governatore della Banca centrale di Atene nonchè membro storico della Commissione Trilaterale
: filiazione diretta del Gruppo Bilderberg

In Italia, dove di referendum non sentiremo mai parlare, viene insediato "a forza" l'illustre e stimato (da chi?!?) Mario Monti l’uomo di Rockefeller e della Goldman Sachs, della Commissione Trilaterale e del Gruppo Bilderberg.

Cosa possiamo aspettarci da questi "signori"?

Un colpo di Stato è un colpo di Stato. Bisogna chiedere elezioni subito

Fonte: blog personale di Stefano G. Azzarà / e-mail s.azzara@uniurb.it
di Stefano G. Azzarà

I principi generali vanno applicati in maniera generale e con obiettività, senza lasciarsi condizionare dalle preferenze personali. Bisogna allora chiamare le cose con il loro nome: quello a cui stiamo assistendo in tempo reale, intontiti dalla retorica dell'interesse nazionale, è un colpo di Stato a tutti gli effetti. E' il colpo di Stato della BCE e della grande borghesia europea, che impone la propria dittatura commissaria all'Italia, annientandone la sovranità nazionale. Solo incidentalmente questo "golpe democratico" colpisce il governo Berlusconi: esso avrebbe colpito alla stessa stregua qualunque governo in carica.

La tecnica è quella più volte sperimentata: si crea lo stato d'eccezione e da esso si trae la legittimazione per sospendere la normalità costituzionale, forzando le procedure parlamentari. Nulla allora deve contare nel giudizio politico il fatto che la vittima immediata sia l'odiato Berlusconi. Questo fatto contingente, serve semmai a coprire la sostanza degli eventi e a suscitare il consenso più vasto, creando nell'opinione pubblica l'illusione che la sospensione della democrazia sia necessaria per la salvezza del paese e per il ripristino della democrazia stessa.

Ma questo colpo di Stato è in realtà contro l'Italia e contro le classi subalterne di questo paese e il suo obiettivo consiste nell'imporre quelle misure di austerità che il ceto politico, in condizioni normali, non avrebbe la forza mettere in atto.

Non è affatto paradossale che proprio coloro che hanno combattuto il tiranno, autoproclamandosi difensori della democrazia e delle sue regole, stiano ora appoggiando gli eventi per il solo fatto che viene colpito Berlusconi. Tra i danni peggiori dell'epoca berlusconiana, si può dire, c'è proprio l'antiberlusconismo volgare: l'atteggiamento di chi accetta qualunque cosa, basta che non sia Berlusconi a farla.

Bisogna opporsi al golpe e chiedere immediatamente le elezioni politiche. A quel punto, sarà la questione fiscale, la questione della redistribuzione della ricchezza, il banco di prova delle forze politiche. Perché è questa questione che decide chi dovrà pagare la crisi.

Gli ex Botteghe Oscure e la nomenklatura della “opposizione” ...


Gli ex Botteghe Oscure e la nomenklatura della “opposizione” dovrànno spiegare l’acritico, succube, incondizionale e sviscerato amore per tutto quel che è targato Goldman Sachs.
Fonte: altravocedelsannio
Prodi, Dini, Padoa Schioppa, Mario Monti, Mario Draghi aparatchik di Goldman Sachs catapultati nel potere pubblico.
di Tito Pulsinelli
E’ ormai vicino il giorno in cui gli ex Botteghe Oscure e la nomenklatura della “opposizione”dovrà spiegare l’acritico, succube, incondizionale e sviscerato amore per tutto quel che è targato Goldman Sachs.
Gli orfanelli di Mosca, approdati al liberalismo nell’epoca della sua storica estinzione, hanno disinvoltamente calzato la sua negazione -lo spurio surrogato “neoliberista”- con verace furore sadomasochista.
Non come astratta teoria ad uso delle madrasse accademiche o “bocconiche”, bensì come recidiva politica economica dei suoi governi. Romano Prodi, capo del più longevo governo di “centro-sinistra”, svolse la mansione di “senior advisor” di Goldman Sachs, sian dal marzo 1990.
Tra il 2007 e il 2009, Romano fu il prode paladino delle banche e firmò vari decreti disegnati sulla misura degli speculatori finanziari.
Con il consunto paravento del “governo tecnico”, Botteghe Oscure ha sempre affidato la conduzione dell’economia ai vari Dini, ai Padoa Schioppa che in Grecia svolse l’ultima missione di proconsole-becchino plenipotenziario del FMI.
Che cosa c’è dietro questa succube love story con tecnocrati che hanno sempre lavorato per i grandi centri internazionali della speculazione finanziaria?
Costoro, non sono mai stati servitori di due padroni -banchieri e salariati- ne hanno servito sempre uno solo. Anche Mario Monti è stato -dal 2005- advisor di Goldman Sachs.
Per Mario Draghi, la nomenklatura della sinistra neoliberista non arrossiva a indicarlo come capo dei futuri governi post-Berlusconi. Eppure, l’attuale boss della BCE, aveva raggiunto il gradino gerarchico più alto, dal 2002 al 2005, come vicepresidente e responsabile di Goldman Sachs per l’Europa.
Bisogna arrendersi all’evidenza: dirigere e pianificare la speculazione finanziaria globale non è un ostacolo per condurre l’economia di una nazione; bene pubblico ed interesse delle elites sono una unica e identica cosa.
In sostanza, per chi si vergogna di Gramsci -molto apprezzato nei think tank della loro patria adottiva usamericana- e persino di Keynes, la ricetta idonea per difendere dal tracollo definitivo i salariati, classe media ed impresa nazionali, sono gli aparatchik del globalismo.
La nomenklatura affida volentieri i malati alle cure dei funzionari d’alto bordo che hanno propagato con foga l’epidemia. Li agevolano persino ad arrivare alla testa delle banche centrali o dei ministeri dell’economia, affinchè possano usare l’erario pubblico per il “salvataggio” dei bancarottieri. E per adottare politiche catastrofiche tendenti a svendere i patrimoni nazionali con privatizzazioni forzate. A vantaggio degli ex datori di lavoro del capo della BCE e dei ministri economici preferiti a Botteghe Oscure.

Sovranità e moneta: alcuni appunti ai tempi di Mario Bilderberg Monti.

di Felice Sardi – Megachip. Fonte: megachipdue
Non sono soltanto i popolin sono soltanto i popoli estenuati a festeggiare - ma per poco - il rapido declino di consolidate dinastie politiche ormai incapaci di gestire le contraddizioni dei loro paesi, bombardati da pressioni finanziarie insopportabili. Il crollo dei Papandreu e dei Berlusconi si accompagna allo smottamento della sovranità di Grecia e Italia, preceduto dall’incubazione della perdita della sovranità monetaria. È un cambio storico la cui reversibilità sarà difficilissima, perché strettamente sorvegliato in nome dello “stato d’eccezione” proclamato da governi tecnici emanati dalla dittatura eurocratica atlantista, sempre meno mascherata. (Vero, Mario Bilderberg Monti? Vero, Loukas Trilateral Papademos?).

L'interesse di certi poteri va in direzione diametralmente opposta a quella di un ritorno alla sovranità monetaria nazionale. Anzi, si potrebbe forse dire che uno dei punti fondamentali delle loro strategie di lungo periodo sia consistito proprio nel limitare prima (con le teorie "monetariste" che attaccavano la discrezionalità delle politiche monetarie) e sottrarre poi (con l'Euro ad esempio) la sovranità monetaria ai singoli stati, perché consapevoli dell'enorme potenziale di una politica monetaria correttamente "canalizzata" in attività di incremento della produttività del sistema economico.

L'effetto inflazionistico della creazione di moneta dipende infatti, in modo cruciale, dal modo in cui la nuova moneta viene impiegata. Se la nuova moneta è canalizzata verso attività di consumo o verso attività di investimento finanziario si avrà rispettivamente inflazione sul mercato dei beni di consumo e inflazione sul mercato dei capitali (bolle finanziarie); ma se fosse canalizzata in investimenti che migliorano la produttività complessiva del sistema (infrastrutture, educazione, ricerca, etc) la maggiore quantità di moneta si distribuirebbe su un maggior numero di beni e servizi (o di maggior valore) evitando quindi l'insorgere di qualsiasi forma di inflazione (nell'equazione di Fisher PY=MV cioè, l'aumento di moneta M verrebbe compensato da un aumento del reddito Y e non del livello dei prezzi P).

Ogni stato sarebbe così autorizzato a finanziare (con emissioni monetarie dirette o con garanzie statali) ogni progetto in grado di aumentare la produttività del sistema aumentando così costantemente l'efficienza e il livello di occupazione delle risorse. Gli unici vincoli alla crescita dovrebbero essere quelli fisici delle risorse naturali e quelli tecnologici, ma mai economici.

La moneta è un unità di misura (di valori economici) e come tale non dovrebbe mai essere scarsa; come qualcuno ha brillantemente detto: «dire che un investimento socialmente valido non può essere attuato per mancanza di risorse monetarie è come dire che un ponte non può esser costruito per mancanza di kilometri ... »)

Riguardo a questi fondamentali temi economici, nel caso i lettori fossero interessati, segnalo gli studi sulle teorie istituzionali della moneta del gruppo di ricerca facente capo a Randall Wray, l'ebook "Creating New Money" di Joseph Huber e James Robertson (http://www.jamesrobertson.com/book/creatingnewmoney.pdf) e l'unico libro di macroeconomia che secondo me merita di essere letto, "New Paradigm in Macroeconomics" di Richard Werner.

Sono letture utili, un ottimo antidoto rispetto all'intossicazione di "pensiero unico" che vi propineranno in questi mesi da ogni direzione, approfittando della vostra soddisfazione per l'eclisse di Silvio Berlusconi.

giovedì 10 novembre 2011

Grecia e Italia. Vite parallele.

THE INSPECTOR OF THE INTERNATIONAL MONETARY FUND

La fine della Seconda Repubblica.

di Beppe Grillo.
Il Cavalier Silvio Berlusconi è stato ricevuto al Quirinale dalla controfigura di Umberto II, l'ultimo re d'Italia. La scena nei modi e nella sua rappresentazione è la medesima del 1943, quando a Villa Savoia Vittorio Emanuele III comunicò al Cavalier Benito Mussolini il suo licenziamento. In entrambi i casi il successore venne scelto dal regnante. Ieri fu Badoglio, adesso è Monti. La caduta del fascismo avvenne per una guerra mondiale persa. Quella del berlusconismo per un disastro economico di livello europeo. I liquidatori furono allora gli angloamericani, oggi i tedeschi e i francesi. Lo spread sopra i 500 punti ha cacciato queste caricature di governanti, di ministri e ministresse, non l'opposizione. Se fosse stato per il Pdmenoelle, questo governo sarebbe durato per sempre.
Un fantasma si aggira per l'Europa, quello del fallimento dell'euro. Il detonatore è l'Italia e il suo debito pubblico che vanno messi sotto tutela prima che sia troppo tardi. Ma è già troppo tardi... Nel frattempo però, come quando un'azienda fallisce, i creditori vogliono recuperare il massimo possibile prima del default italiano. Il Governo Monti ridurrà l'esposizione internazionale del nostro debito. La patrimoniale è cosa già fatta, insieme all'introduzione dell'Ici sulla prima casa e al taglio dei dipendenti pubblici.
Berlusconi è un vecchio zombie, era già morto politicamente nel 2008. Lo resuscitò Waterloo Veltroni, e le opposizioni, per tre anni che sono sembrati lunghissimi, lo hanno protetto in innumerevoli voti di fiducia e regalandogli deputati a piene mani, da Calearo a Razzi, per tacer di Scilipoti. La Seconda Repubblica volge al termine. Ci ha fatto largamente rimpiangere la Prima. I partiti si sono impadroniti dello Stato e se ne sono nutriti. Chi grida "Elezioni, elezioni!", non sa di cosa parla, o forse pensa solo alle poltrone. La data delle elezioni è già stata decisa a Washington, Parigi e Londra, con tutta probabilità sarà il 2013. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale siamo un Paese a libertà limitata con basi americane che presidiano tutta la penisola. Ora siamo stati messi anche ai domiciliari. La politica economica non è più di nostra competenza, ma del FMI e della BCE. Riceviamo lettere dalla UE che sono l'equivalente di ordini, ultimatum. Mussolini, all'uscita del colloquio con il re, fu caricato su un'ambulanza. Gli venne detto che era per proteggerlo. In realtà, il mezzo era pieno di Carabinieri che lo arrestarono. Ieri sera l'ambulanza non c'era davanti al Palazzo del Quirinale e neppure i Carabinieri. Peccato. Sarebbe stata una degna e appropriata uscita di scena. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

mercoledì 9 novembre 2011

The Revolt of the Debtors




by Daniel Gros. Fonte: projectsyndicate
BRUSSELS – Greek Prime Minister George Papandreou’s call to hold a referendum on the rescue package agreed at the eurozone summit in late October has profound implications for European governance, despite the fact that the referendum will not now go ahead. It may also determine the future of the euro.

Papandreou had to reverse course quickly in response to both internal and external pressure, but the option that he put on the table will not go away whatever the fate of the present Greek government. As long as the Greek people have to be asked to accept one austerity package after another, they might wonder when they will have a direct say on this matter.

Less than one week before Papandreou dropped his bombshell, eurozone leaders had spoken unequivocally: “The introduction of the European Semester has fundamentally changed the way our fiscal and economic policies are coordinated at European level, with co-ordination at EU level now taking place before national decisions are taken.” Simply put, pan-eurozone financial governance had supposedly won the day.

Technically, Papandreou’s proposed referendum was not directly about fiscal or economic policy, but it is a decision that would have had huge economic ramifications for the eurozone. Despite that, it was taken without any coordination with other eurozone leaders. Moreover, if Greece’s voters had rejected the deal that has just been proposed to them, the outcome might have foreclosed any further coordination on the country’s debt problems with the European Union. Greece would have sunk or swum on its own.

So, only days after the eurozone’s heads of state and government congratulated themselves on their summit success, the concept of coordination was shown to be meaningless for the one country where coordination matters most. Papandreou’s move also exposes the fatal flaw of grand plans for a political or fiscal union to support the euro: the “people,” not governments, remain the real sovereign. Governments may sign treaties and make solemn commitments to subordinate their fiscal policy to the wishes of the EU as a whole (or to be more precise, to the wishes of Germany and the European Central Bank); but, in the end, the people may reject any adjustment program that “Brussels” (meaning Berlin and Frankfurt) might want to impose.

The EU remains a collection of sovereign states, and it therefore cannot send an army or a police force to enforce its pacts or collect debt. Any country can leave the EU – and, of course, the eurozone – when the burden of its obligations becomes too onerous. Until now, it had been assumed that the cost of exit would be so high that no country would consider it. This no longer seems to be the case – or so the Greeks, at least, seemed to believe.

“Se salta la moneta unica, potrebbe saltare anche il mercato unico”


Manuele Bonaccorsi intervista Emiliano Brancaccio. Fonte: sinistrainrete
Siamo a un passo dal baratro: la recessione, la fine dell’euro e forse persino il default dell’Italia. Secondo Emiliano Brancaccio, docente di Economia politica all’università del Sannio, tra i più noti esponenti del pensiero economico “critico”, occorre capire se in Germania i favorevoli all’euro prevarranno su chi vorrebbe ormai sbarazzarsi della moneta unica. E bisogna pure valutare il ruolo dei partiti socialisti europei, i quali si stanno rendendo conto della situazione e hanno avanzato proposte di riforma che vanno nella giusta direzione. Ma il rischio è che si stiano muovendo in ritardo.

Brancaccio, Berlusconi risponde alle sollecitazioni dell’Ue sostenendo che la libertà di licenziamento è una via per la crescita. È vero?

No. Le ricerche dell’ultimo decennio ci dicono che la precarizzazione del lavoro non riduce la disoccupazione e non fa crescere la produttività. Inoltre, agevolando i licenziamenti nei periodi di crisi, la flessibilità aggrava le recessioni. E’ vero peraltro che rendere i contratti ancora più precari indebolisce i lavoratori e può favorire la riduzione dei salari. Secondo alcuni economisti questo potrebbe accrescere la competitività dell’Italia. Il problema è che questa strada l’abbiamo già praticata, dagli anni ‘90, provocando una compressione salariale senza precedenti. Ciò nonostante la nostra posizione competitiva non è migliorata, anzi il disavanzo commerciale si è accentuato. È una politica fallimentare. Che non risolve le contraddizioni alla base della crisi, ma le amplia.


Per quale motivo?

Perché lo stesso fenomeno è avvenuto in tutta Europa. In particolare in Germania, dove nell’ultimo decennio i salari reali sono rimasti al palo, nonostante un forte aumento della produttività. Se il Paese leader dell’Ue insiste con una politica restrittiva e di competizione salariale, gli squilibri strutturali della zona euro sono destinati ad accentuarsi. In questo modo, infatti, la Germania contiene le importazioni, accresce le esportazioni e aumenta il suo surplus verso l’estero. Di conseguenza, l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo e la stessa Francia aumentano i loro deficit verso l’estero. La politica restrittiva e competitiva del Paese leader genera dunque uno squilibrio insostenibile. È questo il principale tallone d’Achille dell’Europa, che accresce i famigerati “spreads” più dei debiti pubblici.


Si dice pure che la crescita economica in Italia potrebbe derivare dalla privatizzazione di aziende pubbliche. Che ne pensa?

Ricordiamoci che negli anni ‘90 l’Italia ha realizzato il record mondiale delle privatizzazioni, dopo il Regno Unito. Oggi sappiamo che le privatizzazioni non sempre determinano un incremento di efficienza, e spesso producono un aumento dei prezzi. L’azienda privatizzata licenzia per aumentare la produttività, ma tiene alti i prezzi per garantire il profitto agli azionisti. Inoltre, immaginare di privatizzare oggi, con valori del capitale così bassi, significa soltanto fare un favore a una cricca di speculatori.

Viva l’Italia, ma quella del 99%


di Augusto Illuminati. Fonte: sinistrainrete
Non siamo eguali! Non siamo assolutamente eguali! Gliel’ha gridato così bene Vanessa in faccia a Diego Della Valle durante Servizio pubblico di Santoro che non è il caso di aggiungerci niente. Una scarpa in faccia allo scarparo mastelliano. Sì, il 99% non è eguale al residuo 1% e poco importa se quell’1% sia composto da politici corrotti o da politici falliti, da imprenditori di successo o da magliari assatanati. Ci dividono il reddito e i progetti, il bilancio del passato e le volontà di futuro. La divisione non passa fra generazioni o fra politica e società civile, non passa neppure fra garantiti e non garantiti –come vorrebbero compassionevoli riformisti e allucinati insurrezionalisti– ma fra chi pratica la democrazia e rifiuta di pagare la crisi e chi usa la crisi per accrescere i profitti e strangolare la democrazia. Di volta in volta (e fa poco differenza, se non tattica) in nome del partito della gnocca o delle larghe intese, dell’Europa o della sovranità nazionale, della Bce o di Bankitalia, rinserrati nel bunker di Bab al-Graziolya o indaffarati a comporre un governo da Fini a Di Pietro. Il partito dell’amore contro il partito della sfiga. E finiamola pure con il moralismo, perché è spassoso ridere di Scilipoti e Brunetta, ma –siamo oggettivi– che dire di Rutelli o di Bocchino, delle bischerate di Renzi o di Fini passato dalla sala operativa di Genova 2001 alle risse di Ballarò? Eguali un cazzo! E le intercettazioni di Lavitola dovrebbero distrarci dai guai che ci arrivano dalla corrispondenza di Draghi o dagli impegni libici di Napolitano e dai suoi appelli sacrificali? Tutti i “regalini” del cavalier Pompetta alle olgettine sono molto meno dei soldi che dobbiamo cacciare di tasca nostra per salvare le banche, sanare le difficoltà delle multinazionali e bombardare, in conto Usa, ieri la Libia domani l’Iran.

Investimenti pubblici, rilancio dei salari, riequilibrio dell’Europa. Le proposte di Emiliano Brancaccio per uscire dalla crisi.


di Roberto Polidori. Fonte: siderlandia
Emiliano Brancaccio è docente di Fondamenti di Economia Politica ed Economia del Lavoro presso l’Università del Sannio a Benevento; è uno tra i più autorevoli analisti e critici delle teorie economiche dominanti. La ferrea rigorosità scientifica del ragionamento, l’impressionante conoscenza storica degli avvenimenti economici e la chiarezza nell’esposizione di argomenti complessi lo rendono ospite particolarmente gradito sulle colonne di importanti testate giornalistiche italiane e in numerose trasmissioni televisive. Il prof. Brancaccio, promotore con altri colleghi dell’Appello degli economisti del 2006 e della Lettera degli economisti dello scorso anno per un indirizzo alternativo di politica economica, è una delle “cassandre” che aveva previsto la crisi della zona euro, argomento tristemente attuale.

Prof. Brancaccio, vuole spiegare in parole semplici al lettore qual è il compito di un economista, cosa significhi “applicare il metodo scientifico” per prendere decisioni di politica economica e perché, per dirla con i Prof. Roncaglia, molto spesso gli “economisti sbagliano”?

Talvolta si usa dire che l’economia politica è quella scienza che tenta di rispondere alle seguenti domande: cosa produrre; quanto produrre; come produrre; come distribuire i prodotti realizzati all’interno di un dato sistema sociale. Il problema è che le risposte cambiano a seconda del contesto storico, e possono essere più o meno agevoli. Per esempio, per quanto riguarda il modo di produzione capitalistico, comprendere le sue “leggi di movimento” per rispondere a quelle domande è cosa molto difficile. Il motivo è che, a differenza dei sistemi precedenti, il capitalismo si caratterizza per un meccanismo impersonale, decentrato, che cioè regola i comportamenti di una miriade di soggetti non coordinati tra di loro. E’ proprio questa intrinseca complessità del capitalismo che ha dato luogo alla nascita della scienza economica, che prima non esisteva. Naturalmente, mi si potrebbe obiettare che una “scienza” può dirsi tale se, oltre a saper descrivere i fenomeni, sa anche prevederli. Accetto volentieri la provocazione. E dico, a questo riguardo, che la scienza economica, oltre ad essere più “giovane”, è anche più difficile delle scienze cosiddette “dure”, come ad esempio la fisica e la chimica. Il motivo è che la previsione delle conseguenze degli atti umani è un’ambizione gigantesca, persino superiore a quella di Galileo, che puntava più modestamente a prevedere il movimento degli astri. Tuttavia, pur nelle difficoltà di una scienza “giovane”, è già possibile attribuire all’economia una capacità non solo descrittiva ma anche previsionale. Sotto questo aspetto è necessario chiarire l’affermazione di Alessandro Roncaglia, il quale si riferiva non agli economisti in generale, ma ad una particolare categoria di economisti: vale a dire gli esponenti del cosiddetto mainstream, cioè della teoria economica attualmente dominante. Questi, secondo Roncaglia, ma anche secondo me, si sono fatti portatori di una visione del funzionamento del sistema capitalistico discutibile nelle sue premesse, che conduce a valutare il meccanismo capitalistico in termini più ottimistici di quanto non sia. E’ per questo che gli economisti del mainstream sono rimasti spiazzati – secondo le loro stesse ammissioni – dalla crisi economica esplosa tra il 2007 e il 2008.

BERLUSCONI: yes I am going…but…after the austerity budget passed

martedì 8 novembre 2011

Franco Berardi Bifo: cosa faremo




L’interminabile imbarazzante agonia del governo Berlusconi annuncia e proroga lo scontro vero. Il mammasantissima è stato così occupato a far gli affari suoi che non ha avuto tempo di portare ad esecuzione i diktat della banca centrale europea. Per questo cercano ora di farlo fuori coloro stessi che lo avevano invece sostenuto o tollerato quando le sue colpe erano soltanto quelle di favorire la mafia e l'evasione fiscale, distruggere la scuola pubblica, comprare deputati e senatori, corrompere i giudici e seminare ignoranza e servilismo per mezzo del monopolio mediatico che gli è stato consentito accumulare.

Ora che si rivela incapace di stringere il cappio al collo della società italiana, perché non ha la forza e la credibilità per strangolarci ecco efficienti aguzzini apprestarsi a prendere il suo posto, perché a loro il polso non trema. Incitati da un Presidente inflessibile solo quando si tratta di salvaguardare gli interessi della classe finanziaria globale, i cani latrano tirando sul laccio che li trattiene. Vogliono azzannare gli efficienti adoratori dell'impietosa divinità che si chiama Mercato

Ma non c'è più nessun mercato, in verità, solo un campo di battaglia. Di là l'esercito aggressivo dei predoni accumula bottino - privatizza i servizi, licenzia, aumenta le ore di lavoro straordinario non pagate, nega la pensione a chi l'attende con buon diritto, elimina spese inutili come la scuola e la sanità. Di qua l'esercito disordinato dei lavoratori trasformato in esercito di precari poveri senza speranza, arretra lanciando urla che promettono una vendetta che non verrà, perdendo metro dopo metro i suoi pochi averi, il prodotto dei suoi risparmi e del suo lavoro, la speranza di mandare i figli a scuola.

I sindacati chiamano allo sciopero. Per l'ennesima volta sfileremo portando cartelli che dicono: diritto a questo e diritto a quello. E chi se ne frega dicono ai piani alti del palazzo, tanto del vostro lavoro non abbiamo più bisogno perché vi stiamo sostituendo uno per uno con schiavi che non possono scioperare.
CONSTIPATED HOURGLASS

lunedì 7 novembre 2011

Non solo in Italia ....

IL GOVERNO UNICO DELLE BANCHE SPIEGATO AL POPOLO
Fonte: controlacrisi
C'era una volta l'alternanza bipolarista, era una situazione simile a quella di uno stadio di calcio. Da una parte c'era una curva con il capo degli ultras che mandava i cori insultando l'altra che rispondeva con altri insulti. In mezzo c'era un popolo che guardava la partita, e un arbitro che ogni tanto fissava le regole. Il campo su cui si giocava, era lo stesso di quello di oggi. Uguali le linee che ne delimitavano lo spazio, il liberismo come pensiero unico dominante, la fine del conflitto sociale come elemento positivo nell'affermazione dei diritti, il lento declino del welfare, la competitività giocata sui diritti dei lavoratori. Ogni 90 minuti l'arbitro fischiava la fine, prendeva la palla, e l'alzava in aria. Poi si votava, a volte si cambiava il colore delle magliette, ma i giocatori e lo schema rimanevano sempre lo stesso. Una noia, tant'è che molti spettatori delle tribune cominciavano a non pagare più il biglietto, standosene fuori dello stadio. Ad un certo punto l'arbitro è stato chiamato dall'autoparlante, ha interrotto il gioco ed è sceso negli spogliatoi dove ad attenderlo c'erano i creditori internazionali. A quanto si è capito in una riunione ristretta, loro -le banche ed i padroni - hanno dato all'arbitro una letterina riservata nella quale c'era scritto che i mercati che mettono gli sponsor volevano che il gioco cambiasse le proprie regole. Certo, le linee sono rimaste sempre le stesse, anche se sono ancora più ristrette le strisce del patto di stabilità, i vincoli del fuori gioco, e la speculazione può entrare direttamente in campo senza chiedere il permesso a nessuno e decidere quando fare goal ai nostri conti pubblici. Hanno inoltre imposto all'arbitro che le squadre devono avere una sola maglietta, che i 22 giocatori si uniscono in un solo nome, e che le due curve dello stadio devono mandare cori unici. Hanno chiamato questo schema tra il vecchio catenaccio e la zona di Sacchi, governo di transizione, ma il vero nome sarebbe governo unico delle banche. La finalità è semplice, tutti uniti perchè il gioco continui e il biglietto, rincarato, lo pagheranno sempre gli stessi. Per chi sgarra, Maroni propone la tessera del manifestante e nessuno può permettersi di contestare. Tutto per avere credibilità ovviamente, non importa se per far questo i raccattapalle saranno ancora di più massacrati socialmente. Non conta se i massaggiatori andranno in pensione a 70 anni. Da quanto inoltre hanno annunciato i giornali sportivi anche l'arbitro cambia, non più un arbitro nazionale votato dal popolo, ma tre arbitri e tre guardalinee per lato mandati rispettivamente dal Fondo Monetario Internazionale, dalla BCE e dalla Commissione Europea che vigileranno che tutto proceda come deve e fischieranno continuamente il rigore dei conti.

Una noia mortale sta diventando il calcio in Italia...

Michel Husson*: Nazionalizzare le banche!

di Michel Husson* Fonte: controlacrisi
La crisi è sintomatica: l'Europa su basi neoliberali era una macchina mal concepita che si è sfasciata con il passare degli anni e sembra incapace di resistere allo stress test della crisi1. Non vi sono che due prospettive: che ognuno riprenda le sue bocce, oppure si rifonda il tutto. Ma si sta passando da un fai da te all'altro. Le sorti della Grecia servono ad illustrare percorsi esitanti: tutto il mondo sa che non potrà pagare il suo debito, ma ognuno fa come se fosse in grado di riuscire - grazie a piani di salvataggio e a proroghe ridimensionate - in questa prodezza impossibile: distruggere la sua economia per pagare il debito.
L'altro lato del problema è evidentemente quello di esporre le banche europee al rischio di fallimento della Grecia, anche se sono loro ad aver spinto il paese nel baratro dell'indebitamento2 Se il Portogallo, l'Irlanda e la Grecia falliscono, la perdita sarebbe di 100 miliardi di euro; ma se vi si aggiungono anche la Spagna e l'Italia (per i due terzi del loro debito) si giungerà agli 800 miliardi3, molto più di quanto dispone il Fondo europeo di stabilità finanziaria (250 miliardi oggi, e 440 a termine).

Il fatto che il prossimo presidente della BCE, Mario Draghi, sia l'ex dirigente della succursale europea della Goldman Sachs, che come noto aveva aiutato la Grecia a truccare i conti, la dice lunga sulla commedia alla quale assistiamo.

Quando è scoppiata la crisi gli Stati sono intervenuti per salvare le banche senza pretendere una regolamentazione del funzionamento della finanza. Per citare un solo esempio, i credit default swap (Cds) "nudi", non sono entrati in prescrizione e permettono oggi di speculare sui debiti pubblici, senza neppure possederli. La fattura della crisi è passata dal privato al pubblico e gli Stati cercano nuovamente di farla ricadere sui contribuenti, con quel senso di imparzialità noto a tutti. I debiti non sono stati saldati, ma solo spostati: e così si spiega il persistere della crisi. Il tutto è ancor più intricato perché i conti degli Stati ed i bilanci bancari sono inspiegabilmente contorti e con una mancanza totale di trasparenza Non è nemmeno sicuro che le banche sappiano esattamente in quale situazione si trovino. Ma quel che è certo è che gli stress-test che devono valutare la resistenza delle banche oscillano tra il "comico" e il "patetico", per dirla con le parole di Jacques Attali4. È qui l’origine della dichiarazione di Christine Lagarde sulla necessità "urgente" di ricapitalizzare un certo numero di banche europee. Ma le banche non sono d'accordo e preferiscono lamentarsi delle regole troppo esose (per i loro profitti) fissate dalle norme di "Basilea III".
7th november 1917 - 7th november 2011
"WOMEN WORKERS TAKE UP YOUR RIFLES"
A souvenir! A wish!

domenica 6 novembre 2011

COME USCIRE DA QUARANT'ANNI DI LIBERISMO ?


DI ALEXANDER COCKBURN.

DA ATENE A OAKLAND

Fonte: ilmanifesto + comedonchisciotte

Tra appena un anno gli americani decideranno se rieleggere
Barack Obama o probabilmente Mitt Romney. Ma c'è almeno uno tra i candidati
attuali, Obama incluso, che sappia offrire una risposta alla terribile
situazione dell'America - una crisi causata da quarant'anni di assalto
neoliberista? No, perché non c'è risposta possibile nei termini e
confini della situazione presente. Riassumiamo. Due terzi della classe
media sono precipitati nella penuria. La cassaforte dei valori e risparmi
americani - cioè la casa - non vale più nulla. Le reti di sicurezza sociale sono
erose, gli studenti escono dall'università schiacciati dai debiti. Trenta
milioni di americani sono senza lavoro o lavorano part-time.Quasi 6
milioni di posti di lavoro nelle manifatture negli Usa sono scomparsi dal 2000,
e oltre 40mila fabbriche hanno chiuso. Gli afro-americani hanno subìto la più
grande perdita di beni collettivi della loro storia. Gli ispanici hanno visto il
valore delle loro reti crollare di due terzi. Milioni di bianchi sono stati
spinti nella povertà e disperazione.E' su questo terreno che è nato il
movimento Occupy Wall Street, Ows. La sua forza sta nella semplicità e verità
del suo messaggio fondamentale: pochi sono ricchi, molti sono poveri. Rispetto
alle sue pretese, il capitalismo ha fallito. Con tutta la sua verità
però, che capacità di resistenza ha dimostrato finora il messaggio di Occupy
Wall Street? In termini di potere repressivo, il sistema non ha fallito. A oggi
il movimento Ows non ha neppure affrontato l'élite danarosa con una minaccia
delle dimensioni delle proteste di Seattle nel 1999. Per il momento tutti amano
questo movimento. Il Financial Times ha scritto un editoriale a suo favore. Ma
alla fine, per riformare il capitale finanziario devi offendere le persone e
istituzioni che lo rappresentano, incluso il Financial Times.Tra le
cronache quotidiane dai campi di battaglia del movimento Ows negli Stati uniti
(Zuccotti Park a Manhattan, Oscar Grant Plaza a Oakland, e poi Austin, Chicago,
Philadelphia, Atlanta, Nashville, Portland...), i miei occhi scorrono sul
mappamondo fino alla Grecia. Ecco, penso, là annusiamo una situazione
pre-rivoluzionaria! Dev'essere il leninista che è in me, anche dopo anni di
terapia. Sazio della gentilezza democratica del movimento Ows, tiro giù dallo
scaffale le Tesi d'Aprile di Vladimir Illich, 1917: mettere fine alla guerra,
confiscare le grandi proprietà terriere, fondere tutte le banche in una sola
banca nazionale... Mi brillano gli occhi.

Le ultime ore di Palazzo Grazioli


di Alessandro Robecchi. Pubblicato in Il Manifesto
Ieri, nel corso di una frettolosa cerimonia, al cospetto degli ultimi fedelissimi rimasti nel bunker di palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi, ha sposato Eva Braun. Poi si è di nuovo piegato sulle carte, valutando la situazione, constatando lo sfarinamento delle sue divisioni, il tradimento di molti ufficiali e la capitolazione di alcuni avamposti considerati strategici per la difesa del quartier generale. Ha ordinato di promuovere e decorare gli ultimi gerarchi fedeli, ha mandato due panettoni e un orologio del Milan ad Alfano e Verdini e firmato i moduli per la fucilazione di una ventina di colonnelli infedeli, che si sono consegnati al nemico. Chi si aggira per Berlino in queste ore disperate può osservare della situazione in tutta la sua gravità, anche se in un comunicato del governo si legge che “i ristoranti sono pieni”. Intanto, affluiscono al comando alleato decine di messaggi tutti da interpretare. “Berlusconi? Mai conosciuto”, ha scritto Valter Lavitola dal suo rifugio segreto. Gli ha fatto eco una nota del ministro Rotondi: “Berlusconi? Questo nome l’ho già sentito… gioca nel Napoli?…”. La notizia che il corpo motorizzato dei Responsabili, recentemente creato per rafforzare l’artiglieria, ha defezionato nottetempo fuggendo a piedi verso il Gruppo Misto, ha gettato nello sconforto il Führer, che ha subito convocato una riunione d’emergenza con i più stretti collaboratori. Gelmini e La Russa non si sono presentati perché erano dal dentista a farsi innestare una capsula di cianuro in un molare. Solo la lettura della Sallusti Zeitung ha un poco rincuorato gli animi nel bunker. Il titolo a tutta pagina diceva: “Abbiamo l’arma segreta, presto conquisteremo il mondo”, ma è stato un sollievo di breve durata, perché è subito giunta la notizia della cattura di Renato Brunetta, scovato dagli alleati sotto il tendone del circo Medrano, dove tentava di passare inosservato. A tarda sera, il comando alleato ha intercettato una lettera di Ghedini diretta a Norimberga e composta da una semplice telegrafica domanda: “Quando scatta la prescrizione?”.

ECCO CHI SOSTIENTE IL DEFAULT

di FELICE ROBERTO PIZZUTI. Fonte: controlacrisi
Come si può sostenere la giusta battaglia per i beni comuni e contemporaneamente auspicare il fallimento dell’istituzione collettiva che dovrebbe gestirli e amministrarli?
Gli «indignati» – di qualsiasi età, ma soprattutto i giovani – hanno molte buone ragioni per esserlo. Tuttavia, anche le migliori ragioni trovano difficoltà ad affermarsi se sostenute in modo ambiguo e controproducente. Ad esempio, lo slogan «la vostra crisi non la paghiamo» non può essere confuso con la sua parodia «il debito non si paga» o con la sua più becera versione «chi se ne frega del default», il cui sapore avanguardista evoca la violenza prevaricatrice del «blocco nero».
La «indignazione» è un sentimento spontaneamente sorto in tutto il mondo dalla giusta e crescente insofferenza verso il modello socio-economico che nell’ultimo trentennio, favorendo pochi a danno di molti, ha umiliato il lavoro, ha precarizzato la vita, ha saccheggiato la natura, ha aumentato le sperequazioni reddituali e ha subordinato le scelte democratiche prese nell’ambito delle istituzioni pubbliche a quelle decise da poche persone nell’ambito dei mercati. Dalla generalizzata presa di coscienza di queste tendenze e dalla conseguente indignazione potrebbero svilupparsi la forza e le indicazioni politiche per un superamento dello stato di cose presenti; c’è però anche il rischio che questo movimento spontaneo, anziché strutturarsi, sia risucchiato da uno sterile ribellismo qualunquista – praticato nelle piazze e sui giornali – che sarebbe propedeutico ad un esito regressivo.
La crisi globale in corso si avvia a diventare la più grave della storia capitalistica. Per come si manifesta, le sue cause principali sembrerebbero essere di natura finanziaria, ma non è così. Le sue motivazioni sono più strutturalmente connesse alla difficoltà progressivamente aumentata nell’ultimo trentennio nelle economie sviluppate di equilibrare le crescenti capacità produttive con una domanda effettiva (cioè corredata di mezzi di pagamento) adeguata. Tuttavia, al centro del dibattito sulla crisi e come superarla non ci sono gli effetti dovuti alle accresciute diseguaglianze di reddito e ricchezza, allo squilibrio che la globalizzazione ha generato nei rapporti tra le istituzioni pubbliche e i mercati, alla conseguente autonomizzazione dei mercati dalle esigenze produttive e di consumo socialmente ed ecologicamente compatibili.
Invece, la questione che anche in ambienti progressisti ha preso il sopravvento è come fronteggiare i debiti, in particolare quelli degli stati; e sia tra conservatori che tra chi aspira a innovazioni radicali emerge la soluzione del default, ma con differenze che pure vanno notate. Ad esempio, i conservatori tedeschi – sorvolando sia sulle proprie responsabilità per le controproducenti politiche comunitarie e di contrasto alla crisi sia sui vantaggi particolarmente elevati che la Germania ha finora avuto dall’Unione europea e dall’euro – pretendono il default dello stato greco (e poi, se servirà, di quelli italiano, portoghese, spagnolo, ecc.) perché ritengono immorale il comportamento dei suoi cittadini e governanti che vivono al di sopra delle loro possibilità. I fautori nostrani del default lo chiedono invece per il proprio paese, ignorandone gli effetti drammatici, in primo luogo per la maggioranza d’italiani che più sta subendo le cause e le conseguenze della crisi.

Tutti al ristorante!!




di stefano galieni Fonte: controlacrisi
Ristoranti sempre pieni ed aerei in overbooking per le vacanze, questo il Paese immaginato e raccontato senza pudore dal premier al termine del G20. Spandere ottimismo a tutto spiano, raccontando fandonie da cretino medio è una scelta comunicativa ben precisa. Quella che gli ha permesso e gli permette di godere ancora di un discreto successo in patria ma che poco funziona fra i gelidi analisti del mercato. Ma nei mezzi di informazione italiani questo ottimismo piace, alimenta il circuiti pubblicitario in una eterna reiterazione tale che la distanza fra realtà e percezione della stessa resta incolmabile. Affermare che il premier stia dicendo una minchiata pazzesca di fatto corrisponderebbe ad un boicottaggio dell’economia che deve ancora sopravvivere nella illusione di poter continuare a comperare anche se i soldi non ci sono. Un messaggio negativo crea 1000 consumatori in meno, si comincia a pensare – chi ancora può farlo – che è meglio risparmiare in attesa di un periodo ancora più duro. Perché non provare a smontare parola per parola le parole del grande venditore utilizzando semplici dati materiali? Intanto ad essere pieni, chissà come mai, sono i ristoranti frequentati dal Cavaliere e dai suoi sodali, posti in cui il conto è tranquillamente a 4 zeri e non ci si scandalizza per il costo di una bottiglia di buon vino. Sono tante e tante le piccole trattorie, spesso a conduzione familiare che invece chiudono i battenti, in cui non occorre più neanche prenotare un posto il venerdì. Si tratta di un’altra dimostrazione di come la forbice si si stia allargando. Nel frattempo è cresciuta a dismisura non solo l’utilizzo delle mense Caritas, da parte di insospettabili impiegati, ma anche il frugare nei cassonetti vicini ai mercati alla ricerca di verdure ancora mangiabili. Non a caso sono molti i Comuni da “legge e ordine” in cui i sindaci hanno emanato ordinanze anti rovistaggio. “Cittadini dediti a queste pratiche deturpano l’immagine della città” è stato scritto di fatto lo scorso anno dal primo cittadino della Capitale.Aumenta poi la percentuale di persone che arriva a rubare nei supermercati. Pratica considerata da chi viene individuato umiliante e degradante, ma spesso necessaria. Secondo Coldiretti nel 2011 c’è stata una impennata del 7,8% rispetto all’anno precedente. Si portano via prodotti proibiti dalla pensione o dal magro stipendio come la carne, il formaggio, il vino – la cifra denunciata finora è di circa 3 miliardi di euro di merce sottratta. In pratica 150 euro per famiglia l’anno, l1,39% del totale delle vendite al dettaglio. La Coldiretti se la prende molto con i dipendenti “infedeli” dei supermercati, chiedendo più rigidità nei controlli e migliori sistemi di sicurezza per la merce ma, chiunque ne è stato testimone, è difficile che un commesso o una cassiera assunti con contratti da fame, a tempo determinato e in forme di sfruttamento para schiavistiche, spesso non se la sentono e non hanno alcuna ragione di fermare e denunciare un anziano pensionato, una giovane madre che si infilano nelle tasche ciò che possono. Da notare come, non solo per ragioni di facilità, si cerchi di portar via prodotti per l’igiene personale, giacche impermeabili e cappotti, prodotti per l’infanzia. Oggetti non certo di marca che chiunque dovrebbe poter possedere.
Altra storia quella dei trasporti. Viaggiare spesso è necessario, altro che vacanze, un viaggio da Roma a Milano prenotato per tempo in aereo costa meno di 100 euro, in treno il doppio, ancora meno per tratte come Palermo, Reggio Calabria, Torino. Sono i treni della tanto decantata alta velocità, le Frecce rosse, argento, blu e di ogni colore ad avere posti vuoti e a risultare impossibili come costi e come tempi di percorrenza. Nel frattempo sono spariti i treni interregionali, quelli per pendolari, vetture vetuste e perennemente prive di manutenzione, quelli che vanno lentamente ma fermano in tante stazioni e costano comunque meno degli avveniristici treni per ricchi. Chiedere che questa realtà venga raccontata è una pretesa rivoluzionaria? Oppure la prossima mossa deve essere quella di riempire i ristoranti, inviando il conto ai signori della crisi?

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