di Michel Husson* Fonte: controlacrisi
La crisi è sintomatica: l'Europa su basi neoliberali era una macchina mal concepita che si è sfasciata con il passare degli anni e sembra incapace di resistere allo stress test della crisi1. Non vi sono che due prospettive: che ognuno riprenda le sue bocce, oppure si rifonda il tutto. Ma si sta passando da un fai da te all'altro. Le sorti della Grecia servono ad illustrare percorsi esitanti: tutto il mondo sa che non potrà pagare il suo debito, ma ognuno fa come se fosse in grado di riuscire - grazie a piani di salvataggio e a proroghe ridimensionate - in questa prodezza impossibile: distruggere la sua economia per pagare il debito.
L'altro lato del problema è evidentemente quello di esporre le banche europee al rischio di fallimento della Grecia, anche se sono loro ad aver spinto il paese nel baratro dell'indebitamento2 Se il Portogallo, l'Irlanda e la Grecia falliscono, la perdita sarebbe di 100 miliardi di euro; ma se vi si aggiungono anche la Spagna e l'Italia (per i due terzi del loro debito) si giungerà agli 800 miliardi3, molto più di quanto dispone il Fondo europeo di stabilità finanziaria (250 miliardi oggi, e 440 a termine).
Il fatto che il prossimo presidente della BCE, Mario Draghi, sia l'ex dirigente della succursale europea della Goldman Sachs, che come noto aveva aiutato la Grecia a truccare i conti, la dice lunga sulla commedia alla quale assistiamo.
Quando è scoppiata la crisi gli Stati sono intervenuti per salvare le banche senza pretendere una regolamentazione del funzionamento della finanza. Per citare un solo esempio, i credit default swap (Cds) "nudi", non sono entrati in prescrizione e permettono oggi di speculare sui debiti pubblici, senza neppure possederli. La fattura della crisi è passata dal privato al pubblico e gli Stati cercano nuovamente di farla ricadere sui contribuenti, con quel senso di imparzialità noto a tutti. I debiti non sono stati saldati, ma solo spostati: e così si spiega il persistere della crisi. Il tutto è ancor più intricato perché i conti degli Stati ed i bilanci bancari sono inspiegabilmente contorti e con una mancanza totale di trasparenza Non è nemmeno sicuro che le banche sappiano esattamente in quale situazione si trovino. Ma quel che è certo è che gli stress-test che devono valutare la resistenza delle banche oscillano tra il "comico" e il "patetico", per dirla con le parole di Jacques Attali4. È qui l’origine della dichiarazione di Christine Lagarde sulla necessità "urgente" di ricapitalizzare un certo numero di banche europee. Ma le banche non sono d'accordo e preferiscono lamentarsi delle regole troppo esose (per i loro profitti) fissate dalle norme di "Basilea III".
Il solo mezzo razionale per trovare una via d'uscita dai debiti sarebbe di nazionalizzare le banche europee per ripartire da zero, una volta per tutte, e per organizzare quel fallimento inevitabile dei paesi più esposti. Verrebbe così proibita la distribuzione di dividendi e la revisione pubblica dei conti permetterebbe di determinare i debiti illegittimi. Queste nazionalizzazioni potrebbero essere definitive (nella versione radicale) o temporanea (nella versione moderata) come in Svezia negli anni '90. Delirio di sinistra? No, semplice analisi obiettiva. E' interessante notare come due economisti, autori di un libro5 a difesa dei meriti del mercato contro il "fantasma francese", giungano alla medesima constatazione: "Le ricapitalizzazioni devono avvenire con la partecipazione dello Stato ed in alcuni casi con nazionalizzazioni temporanee"6.
Che dei liberali constatino che la logica delle banche "va contro l'interesse generale" e chiedano la "coercizione" dovrebbe far riflettere. In questa ottica, la dappocaggine dei socialisti è preoccupante. Quando non si adeguano ai dettami dei mercati finanziari, come Papandreou o Zapatero, rivaleggiano nel difendere la politica di rigore. Hollande: "Occorre riequilibrare i nostri conti pubblici a partire dal 2013 (…) Non lo dico per cedere a una qualche pressione dei mercati o delle agenzie di rating". Aubry: "il 3% nel 2013, perché questa é la regola".
La finanza trema!
* Michel Husson - Rebelión e hussonet portail Michel Husson. Articolo apparso sulla rivista Politis num. 1168 del 15 settembre 2011. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà Ticino
1 "Comment réussir sa crise européenne" : Claude Jacquin propone la sua ricetta sul sito Entre les lignes, entre les mots.
2 Eric Toussaint, " Dans l'oeil du cyclone : la crise de la dette dans l'Union européenne ", CADTM, 26 agosto 2011.
3 " Bazooka or peashooter ", The Economist, 30 luglio 2011.
4 Jacques Attali, " Le modèle des banques françaises n'est pas durable ", Challenges, 1° settembre 2011.
5 Augustin Landier & David Thesmar, " Le grand méchant marché ", Flammarion, 2007.
6 Augustin Landier & David Thesmar, " Un fonds européen pour recapitaliser les banques ", Les Echos, 7 settembre 2011.
L'altro lato del problema è evidentemente quello di esporre le banche europee al rischio di fallimento della Grecia, anche se sono loro ad aver spinto il paese nel baratro dell'indebitamento2 Se il Portogallo, l'Irlanda e la Grecia falliscono, la perdita sarebbe di 100 miliardi di euro; ma se vi si aggiungono anche la Spagna e l'Italia (per i due terzi del loro debito) si giungerà agli 800 miliardi3, molto più di quanto dispone il Fondo europeo di stabilità finanziaria (250 miliardi oggi, e 440 a termine).
Il fatto che il prossimo presidente della BCE, Mario Draghi, sia l'ex dirigente della succursale europea della Goldman Sachs, che come noto aveva aiutato la Grecia a truccare i conti, la dice lunga sulla commedia alla quale assistiamo.
Quando è scoppiata la crisi gli Stati sono intervenuti per salvare le banche senza pretendere una regolamentazione del funzionamento della finanza. Per citare un solo esempio, i credit default swap (Cds) "nudi", non sono entrati in prescrizione e permettono oggi di speculare sui debiti pubblici, senza neppure possederli. La fattura della crisi è passata dal privato al pubblico e gli Stati cercano nuovamente di farla ricadere sui contribuenti, con quel senso di imparzialità noto a tutti. I debiti non sono stati saldati, ma solo spostati: e così si spiega il persistere della crisi. Il tutto è ancor più intricato perché i conti degli Stati ed i bilanci bancari sono inspiegabilmente contorti e con una mancanza totale di trasparenza Non è nemmeno sicuro che le banche sappiano esattamente in quale situazione si trovino. Ma quel che è certo è che gli stress-test che devono valutare la resistenza delle banche oscillano tra il "comico" e il "patetico", per dirla con le parole di Jacques Attali4. È qui l’origine della dichiarazione di Christine Lagarde sulla necessità "urgente" di ricapitalizzare un certo numero di banche europee. Ma le banche non sono d'accordo e preferiscono lamentarsi delle regole troppo esose (per i loro profitti) fissate dalle norme di "Basilea III".
Il solo mezzo razionale per trovare una via d'uscita dai debiti sarebbe di nazionalizzare le banche europee per ripartire da zero, una volta per tutte, e per organizzare quel fallimento inevitabile dei paesi più esposti. Verrebbe così proibita la distribuzione di dividendi e la revisione pubblica dei conti permetterebbe di determinare i debiti illegittimi. Queste nazionalizzazioni potrebbero essere definitive (nella versione radicale) o temporanea (nella versione moderata) come in Svezia negli anni '90. Delirio di sinistra? No, semplice analisi obiettiva. E' interessante notare come due economisti, autori di un libro5 a difesa dei meriti del mercato contro il "fantasma francese", giungano alla medesima constatazione: "Le ricapitalizzazioni devono avvenire con la partecipazione dello Stato ed in alcuni casi con nazionalizzazioni temporanee"6.
Che dei liberali constatino che la logica delle banche "va contro l'interesse generale" e chiedano la "coercizione" dovrebbe far riflettere. In questa ottica, la dappocaggine dei socialisti è preoccupante. Quando non si adeguano ai dettami dei mercati finanziari, come Papandreou o Zapatero, rivaleggiano nel difendere la politica di rigore. Hollande: "Occorre riequilibrare i nostri conti pubblici a partire dal 2013 (…) Non lo dico per cedere a una qualche pressione dei mercati o delle agenzie di rating". Aubry: "il 3% nel 2013, perché questa é la regola".
La finanza trema!
* Michel Husson - Rebelión e hussonet portail Michel Husson. Articolo apparso sulla rivista Politis num. 1168 del 15 settembre 2011. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà Ticino
1 "Comment réussir sa crise européenne" : Claude Jacquin propone la sua ricetta sul sito Entre les lignes, entre les mots.
2 Eric Toussaint, " Dans l'oeil du cyclone : la crise de la dette dans l'Union européenne ", CADTM, 26 agosto 2011.
3 " Bazooka or peashooter ", The Economist, 30 luglio 2011.
4 Jacques Attali, " Le modèle des banques françaises n'est pas durable ", Challenges, 1° settembre 2011.
5 Augustin Landier & David Thesmar, " Le grand méchant marché ", Flammarion, 2007.
6 Augustin Landier & David Thesmar, " Un fonds européen pour recapitaliser les banques ", Les Echos, 7 settembre 2011.
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