Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 26 marzo 2011

26 marzo. Una data da ricordare.


Democrazia in cammino. - di Guglielmo Ragozzino
- Fonte: il manifesto
Oggi si chiude la settimana dell'acqua, con una grande manifestazione per i due Sì al referendum del 12 e 13 giugno. Il tema dell'acqua, bene comune, avrà voce insieme ad altri beni comuni: salute e sicurezza, giustizia; e poi il rifiuto della guerra, quella guerra che l'Italia ripudia.
Un coro potente, appassionato, un concerto non dissonante, allegro. L'acqua in primo luogo. Il successo clamoroso nella raccolta delle firme ha un valore in sé, ma descrive anche una forma di partecipazione, alternativa a quella democrazia che si risolve in un sol giorno, in un solo voto e poi rimette le scelte degli altri giorni a un migliaio di professionisti politici, talvolta capaci, talvolta inaffidabili. Il governo dell'acqua lo vorremmo invece affidato a persone competenti e motivate, al corrente delle cento caratteristiche locali di domanda e di offerta idrica.
I referendum e la manifestazione che li lancia servono proprio a collegare queste diversità in un impegno comune. A risparmiare e risanare; e inoltre a estinguere tutte le seti con equità; a non sprecare mai, non sporcare mai il bene prezioso. Il modello partecipativo ha due pregi, tra gli altri. Mette al sicuro l'acqua da inopinate vendite di comuni indebitati a padroni multinazionali. Si evita così di sottoporre l'acqua di tutti alla finanza che, come si sa, non ha mai sete di acqua, ma sempre e solo di dividendi.

Basta mettere la testa sotto la sabbia.


Voglio che cambi parecchio e alla svelta: nucleare, sbarchi di disperati, terremoti. Basta mettere la testa sotto la sabbia
di Riccardo Orioles. Fonte: domaniarcoiris

“No all’emotività! Forza, nucleare!” Sarebbe facile polemizzare col nostro signor governo e la nostra confindustria che, mentre i tedeschi chiudono le centrali e i giapponesi cercano disperatamente di salvarsi la pelle, non sanno dire altro che “È successo qualcosa?”
Facile, ma in fondo ingiusto. Perché la bestialità della nostra orribile classe dirigente, la più disumana e la più ignorante che questo disgraziato Paese abbia mai avuto, fa leva sul nostro sogno, sulla nostra inespressa ma convintissima utopia: che possiamo andare avanti tranquillamente così, sfruttando sempre più la natura, picchiando chi riceve di meno e ruttando felici in un dopo-pranzo sempre più inacidito.

Non è così. Il Giappone, molto più civile e tecnologico di noi, era sopravvissuto a duemila anni di terremoti e tsunami: e adesso sta crepando semplicemente perché (a dispetto di una sua cultura antichissima, bollata come “vecchia” e “superata”) s’è messo a costruire centrali nucleari in mezzo alle faglie sismiche. Modernissime, “sicure”, dotate (tranne quella mantenuta in servizio per le pressioni dei politici) della migliore tecnologia. E sono saltate per aria. Perché?
Per lo stesso motivo per cui si rompe un vaso in una stanza in cui si gioca a pallone, per semplice statistica: prima o poi.

Il lupo, il gatto, la Libia e l'Egitto.


di Sherif El Sebaie. Fonte: sinistrainrete

In Libia è finita esattamente come anticipato su questo blog, e cioè con la vecchia e cara "guerra umanitaria" dettata dalla "necessità di proteggere i civili" (che - sia detto per inciso - hanno bombardieri, carri armati, cannoni e un sito internet registrato nel Surrey).
Chi frequenta questo sito sa che sono contrario alle intromissioni occidentali nelle vicende interne arabe per diversi e validi motivi. Sono talmente contrario che qualche anno fa scrissi (e la cosa venne puntualmente strumentalizzata) che avrei preferito il figlio di Mubarak al potere che un'intromissione esterna in Egitto, da cui non si poteva attendere niente di buono (Iraq e Afghanistan docet).
L' "Occidente" è infatti un lupo che perde il pelo ma non il vizio: sappiamo tutti che le sue intromissioni "à la carte" non sono affatto disinteressate e che spesso sono persino montate ad arte per giustificare la successiva spartizione della torta. Peccato che questi interventi si rivelino puntualmente controproducenti sia per chi li ha subiti che per chi li ha attuati, esclusa quella piccola élite di multinazionali specializzata nel ricostruire ciò che ha appena distrutto.

Come andrà a finire? Difficile dirlo, ma vale la pena ricordare il detto arabo che recita "Io e mio fratello contro mio cugino ed io e mio cugino contro l'estraneo": il rischio che i libici, magari assai tentati fino all'altro giorno di scannarsi tra di loro, reagiscano oggi all'intromissione straniera stringendosi intorno al Fratello Colonnello piuttosto che intorno alle tribù a lui avverse e ai loro alleati "crociati", come definiti da Gheddafi (e da Putin), è tutt'altro che remoto. Soprattutto se consideriamo che l'unico risultato finora raggiunto dai suoi democratici oppositori è quello di essere riusciti a far bombardare le città libiche prima dall'esercito libico quindi dalla coalizione dei "volenterosi" a cui hanno dovuto ricorrere (segno che non avevano abbastanza sostegno per resistere nelle proprie posizioni, figuriamoci avanzare). Niente male, per un paese che fino a qualche settimana fa vantava uno dei redditi procapite più alti dell'area e che proprio recentemente era riuscito ad ottenere dall'Italia lauti risarcimenti per la parentesi coloniale (il centenario della quale ricorre proprio quest'anno

THE PASSING CLOUD OVER EUROPE

venerdì 25 marzo 2011

Comunismo debole.


Appunti da un convegno sul comunismo (marzo 2009)
Note della relazione di Gianni Vattimo al convegno "On the Idea of Communism", Birbeck College, London (con Alain Badiou, Terry Eagleton, Peter Hallward, Michael Hardt, Jean-Luc Nancy, Jacques Rancière, Slavoj Zizek) - Fonte: giannivattimo

1. Il titolo sembra una banalità. Il comunismo è oggi più debole che mai come forza politica. L’espressione qui vuole avere un altro significato, che però non è del tutto estraneo alla debolezza politica attuale del comunismo. Suggerisce che il comunismo dovrebbe essere debole per ritrovare una presenza rilevante tra le forze politiche con cui ritrova a fare i conti nella società in generale prima ancora che sul terreno elettorale nei vari paesi.

2. La debolezza a cui intendo alludere è una debolezza teorica che dovrebbe correggere le pretese “metafisiche” che hanno caratterizzato il comunismo originario nella sua formulazione marxiana. Non è solo perché ha, finora, perso la sua battaglia storica contro il capitalismo che il comunismo deve diventare teoricamente “debole”. Non si intende dire, cioè, che se Lenin e Stalin fossero stati meno filosoficamente metafisici (leggi della storia, proletariato investito di una missione quasi divina, sviluppo economico garantito da una economia pianificata...) il comunismo reale risultato dalla Rivoluzione di Ottobre sarebbe ancora vivo e avrebbe potuto trionfare dei suoi nemici. Che le cose siano andate così è effetto di un gioco di forze (e di debolezze) che non si può ridurre a una spiegazione così semplice, e soprattutto che dipende solo in minima parte dalla teoria. Eppure pensare a un comunismo “debole” ha il senso di riprendere il messaggio di Marx, e anzitutto la definizione leniniana del comunismo come “elettrificazione più soviet” (se era così) in termini che vogliono cercare di corrispondere meglio alla situazione attuale (con tutta la vaghezza che questa espressione non può evitare).

Seconda lettera ad un amico tunisino.

di TONI NEGRI - Fonte: uninomade

Caro A.,
ci siamo sentiti dopo che l’”alleanza dei volenterosi” ha cominciato a bombardare la Libia, in nome dei “diritti dell’uomo”. Ignobile, assassina mascherata. Tu noti correttamente: la controrivoluzione è cominciata. La Libia è il punto debole, equivoco della rivoluzione araba – ecco dunque dove si poteva prima di tutto attaccare, imputando alle buffonate di un Raìs la causa di una generale restaurazione. Si sono messi tutti d’accordo: ogni mezzo è buono per abbattere un tiranno…
Gheddafi è certo un tiranno – tu aggiungi – ma gli altri, i Sark, i Cameron, i Berlusca e – dulcis in fundo – Obama, non sono dei tiranni ma una sola volontà li muove: controllare, cioè disciplinare e/o neutralizzare, la rivoluzione araba. L’intervento contro la Libia costituisce il precedente giuridico, la punta di diamante di un dispositivo che si presenta come “ingerenza morale” e difesa della ribellione della Cirenaica – non è dunque un intervento imperialista, neocoloniale ma democratico e fraterno, attento ai diritti dell’uomo. Abbiamo altre volte chiamato imperiale tale dispositivo. Attaccando un mostro si prendono le misure per costruire per tutti nuove regole di controllo. Sono regole diverse per ciascun paese, una governance di controllo e/o repressione della rivoluzione. Ma questa rivoluzione – tu insisti – non la si può controllare. Quando le moltitudini si ribellano sono esse che decidono che cosa vogliono fare del loro avenire. E se al loro interno riconoscono germi o residui di tirannia, sono esse che se ne liberano. Questo noi credevamo si chiamasse democrazia!

A proposito ...


..... quando il "mostro" era la Serbia
di Maria R. Calderoni su Liberazione - Fonte
Il 24 marzo 1999 iniziava la guerra umanitaria Allied Force per il Kosovo. Primo ministro era allora Massimo D'Alema
Dejà vu, già visto, patito, pianto. Era cominciato proprio oggi (ieri per chi legge), 24 marzo 1999, l'attacco alla Serbia, in era governo D'Alema; l'attacco proprio da lui fieramente voluto ed acclamato (e il tono era proprio quello stesso, identico, con il quale ieri, 24 marzo 2011, è intervenuto alla Camera per dare la sua entusiasta approvazione alla guerra in Libia).
Degià vu, e noi andavamo in corteo, con la t-shirt bianca e bersaglio disegnato sopra all'altezza del petto, a gridare «sparate qua, sparate anche a noi». Eravamo arrabbiati, arrabbiatissimi; un atto di guerra infame approvato proprio da un governo "amico" con tanto di primo ministro ex comunista, volenteroso collaboratore di un delitto internazionale detta allora non "Odissea all'alba" ma "Allied Force" (vale la pena di ricordare che l'alta compagine governativa era allora formata, tra gli altri, da Bersani, Ciampi, Dini, Rosy Bindi, Giovanna Melandri, Giuliano Amato, anche Oliviero Diliberto...).

Fotocopia che mette i brividi. Stessi prodromi. Stesse parole. Stessi strumenti. Si è cominciato allo stesso modo, la costruzione del "mostro" (allora era Milosevic). Una identica, massiccia, planetaria campagna mediatica si è incaricata di demonizzare la Serbia, che improvvisamente è sbattuta davanti all'opinione pubblica mondiale come il nuovo carnefice, lo Stato-canaglia colpevole di genocidio nei confronti delle inermi genti del Kosovo.

Impediamo che i beni comuni vadano in pasto al mercato.


di Pietro Raitano. Fonte: liberazione
Il 12 e 13 giugno saremo chiamati a votare 4 quesiti referendari. Due riguardano la privatizzazione dei servizi idrici integrati, uno gli investimenti sull’energia nucleare, il quarto il cosiddetto “legittimo impedimento”. Pur se con origini molto diversi, i 4 quesiti sono intrinsecamente legati.
La Costituzione italiana dichiara sin dal primo articolo che la sovranità appartiene al popolo. Essa prevede tre strumenti di “democrazia diretta”, ovvero di potere esercitato da cittadini non eletti.
Si tratta della petizione (art. 50), dell’iniziativa legislativa popolare (art. 71), e del ricorso alle varie forme di referendum: quello abrogativo (art. 75) e quello confermativo (art. 138) a livello nazionale, e quello abrogativo, consultivo e propositivo a livello locale.
Tutte queste forme di democrazia diretta sono rimaste sempre armi spuntate. Solo alcuni referendum abrogativi nazionali si sono dimostrati, nel corso della storia della Repubblica, i soli in grado di mobilitare le coscienze, l’opinione pubblica e, quindi, l’intervento dei cittadini sulla politica, al di là dell’evento delle lezioni, ovvero del processo di delega.
Ecco qual è il filo rosso che lega i 4 prossimi referendum. Essi sono l’arma più potente, che ci piaccia o no, per ribadire la volontà di partecipare alle decisioni del governo, e con essa ribadire le nostre convinzioni. Ovvero dire con forza che i diritti non si vendono, che il futuro non può essere messo a rischio dalla voracità di alcuni, e che la legge è uguale per tutti.
Il tentativo di privatizzazione dei servizi idrici, innescato con la legge Ronchi del 2009, ma in realtà ultimo atto di un processo molto più lungo, contiene in sé tutti gli elementi di questo attentato ai nostri diritti, alla loro mercificazione.

giovedì 24 marzo 2011

E se i buoni non fossero così buoni?


di Maurizio Matteuzzi - 24/03/2011 - Da: ariannaeditrice
- Fonte: Il Manifesto [scheda fonte]

Uno scenario troppo semplificato che può riservare sorprese I buoni contro i cattivi, i nostri contro i loro, il 7° cavalleggeri contro gli indiani. Una semplificazione molto televisiva per un caso molto complicato. Il cattivo non può essere che Gheddafi. Il suo ruolo se l'è guadagnato di diritto in 40 anni di potere assoluto, abusi ed eccessi, bizzarrie ed eccentricità (anche se non tutto quello che ha fatto è stato una schifezza).
I buoni sono i ribelli di Bengasi (ribellarsi è giusto), i «rivoluzionari del 17 febbraio» che hanno strappato a Gheddafi tutto l'est libico, l'indocile Cirenaica. Quelli che quasi tutti fin dall'inizio hanno chiamatio i «civili» (così da accreditare la guerra giusta dell'Onu).
«Civili», ma non come quelli del boulevard Bourghiba di Tunisi, della piazza Tahir del Cairo, della Piazza della perla di Manama. Dalle stesse immagini tv i «civili» di Bengasi sono miliziani armati di tutto punto, con tank e contraerea capaci di abbattere aerei governativi e pilotare jet da combattimento. Sono loro che, una volta conclusa la guerra umanitaria dell'Occidente e liquidato finalmente Gheddafi, saranno la nuova Libia.
Ma chi sono «loro», i buoni del film? E come sarà la nuova Libia post-gheddafiana e quindi, presumibilmente, democratica, rispettosa delle libertà civili e dei diritti umani, etc, etc? La Libia è un boccone troppo appetitoso e la fretta degli umanitari (guidati dal triste clown Napoleone Sarkozy) a correre in suo soccorso è un po' sospetta.
AB TORTO COLLO (pun about latin AB TORTO COLLO (not really willing)"in doubt, sign up!)the italian president, Giorgio Napolitano, signs the appointment of the agricoltural minister, regardless of suspect mafia connections associated with the person.

Libia, dove si spellavano i gatti.


Sovente, e ahinoi ultimamente sempre, si sospetta che dietro una guerra ci sia il petrolio. Ma le guerre non si fanno per “prendersi il petrolio” tout court: quasi sempre si può ottenerlo comodamente firmando un accordo e con una stretta di mano. Chi ha il petrolio ha infatti bisogno di venderlo. Certo, l’aumento della domanda e la diminuzione della risorsa hanno condotto a un mercato del venditore, anziché del compratore, ma l’obiettivo di entrambi resta il medesimo.
Il problema quindi non è “prendersi i pozzi”, ma ottenere accordi molto favorevoli. Il che non sempre è possibile, specialmente quando il Paese produttore ha una forte compagnia nazionale oppure delle leggi che non consentono a compagnie straniere di fare il bello e il cattivo tempo. Alcuni esempi? L’Iraq di Saddam, a cui dopo la guerra fu imposta la molto discussa legge per il petrolio, che in pratica toglieva al popolo iracheno la sovranità sul proprio sottosuolo; il Venezuela di Chávez, o la Libia di Gheddafi.
Quest’ultima, attraverso la compagnia nazionale Noc, ha un sistema di accordi diverso da quelli in uso nel resto del mondo. L’accordo Epsa, che molte compagnie stipulano in LIbia, non prevede royalties, divisione delle spese operative, tasse: nulla di tutto ciò. Più semplicemente, il governo prende la sua parte dalla produzione lorda. Le compagnie operano a proprie spese, non pagano tasse né diritti, e dividono con la Libia la produzione. Ma non pensate che si tratti di un fifty-fifty, neanche per sogno.

La rifondazione mancata.


Una recensione del libro di Salvatore Cannavò sulla storia del Prc e la crisi della sinistra radicale, uscita su "il manifesto" nel giorno del congresso della Federazione della sinistra

di Franco Russo. Fonte: ilmegafonoquotidiano
Che fine ha fatto il progetto della rifondazione comunista? Negli anni ci sono state scissioni, distacchi di singole persone dovute a scelte drammatiche sul governo Dini e su quello di D'Alema fino alle esperienze dei governi Prodi. Sembrerebbe che la questione del governo sia stata la causa delle fratture di questa sinistra. Ancora oggi, è su questo tema che si palesano divergenze, insieme a quello di come, e se, riunificare la sinistra radicale, avendo SeL scelto con nettezza la via della riproposizione del centrosinistra.
Utile per comprendere il retroterra dell'attuale situazione di questa parte della sinistra è il volume di Salvatore Cannavò - Rifondazione mancata (Edizioni Alegre, 2009). Ripercorre la vicenda specificamente di Rc, ne analizza i passaggi, dalla sua nascita a ridosso del Congresso di Rimini del 1991 - nacque il Pds e contemporaneamente il Movimento per la Rifondazione comunista - fino alle esperienze del secondo governo Prodi nel 2006, poi della lista Arcobaleno (2008, la sinistra fuori dal Parlamento), e del congresso di Chianciano con l'ultima e più pesante scissione.

Dove va la sinistra Usa?



Si è svolto il Left Forum, luogo di confronto e dibattito delle varie sinistre statunitensi che ha visto riunire circa 3000 persone.

Felice Mometti
La scelta del luogo dove si è tenuto il Left Forum 2011 potrebbe anche avere una valenza simbolica: a due passi da Wall street, nel centro del Distretto finanziario di New York. Quasi una sfida al cuore dell’impero portata dalla sinistra statunitense, da quella “liberal” che ancora rimane nel Partito Democratico ai gruppi anarchici passando per l’associazionismo di base, le organizzazioni della sinistra di classe, sindacalisti “radical” e intellettuali molto critici e delusi da Obama.
Tre giorni di dibattiti, confronti e scambi di esperienze avvenuti in 300 workshops che hanno visto la partecipazione di circa 3000 persone. Un appuntamento che si ripete, con alterne vicende, interruzioni, cambiamenti di nome e formule organizzative dagli anni ’60. In questa edizione i temi più dibattuti sono stati la crisi del capitalismo e le politiche di attacco ai servizi pubblici, le rivolte nei paesi arabi, il cambiamento climatico, il femminismo, i nuovi approcci al pensiero di Marx e Rosa Luxemburg.
Nelle discussioni tra i partecipanti, nelle due grandi plenarie e in molti workshops anche se non erano messe a tema emergevano in continuazione valutazioni, impressioni, proposte riferite alla lotta dei cittadini del Wisconsin che per la sinistra Usa ha assunto un valore straordinario, quasi paradigmatico.
La volontà di Scott Walker, governatore del Wisconsin, di azzerare qualsiasi diritto dei dipendenti pubblici riducendogli anche lo stipendio e la risposta di un settore consistente di popolazione arrivando anche a occupare il palazzo del governatore, scavalcando le direzioni sindacali che avevano già dichiarato di essere disponibili a trattare a condizione che non venisse messo in discussione il loro ruolo, hanno aperto uno spazio di riflessione sulle politiche e le pratiche dell’intera sinistra nordamericana.

mercoledì 23 marzo 2011

Beni comuni e predazione privata.


Autore: Fonte: eddyburgit
In un celebre brano della Ricchezza delle Nazioni, Adam Smith osservava «Le cose che hanno il maggiore valore d'uso hanno spesso poco o nessun valore di scambio; e, al contrario, quelle che hanno maggior valore di scambio hanno spesso poco o nullo valore d'uso. Nulla è più utile dell'acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa (...) Un diamante al contrario, ha difficilmente qualche valore d'uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni».
A quasi due secoli e mezzo di distanza possiamo misurare il cammino percorso nel frattempo dal capitalismo. Quella che era una risorsa fondamentale alla vita umana, ma libera, perché non appartenente a nessuno ( res nullius) e priva di valore in quanto straordinariamente abbondante, è oggi diventata una preziosissima merce. E' il diamante della nostra epoca. La sua scarsità in rapporto ai bisogni della popolazione, e le possibilità tecniche della sua distribuzione e partizione la rendono un bene di mercato.
Ma l'acqua che diventa merce non racconta solo un tratto di storia, ci parla anche del nostro presente e ci proietta negli scenari dell'avvenire. Le risorse fondamentali dell'umanità, la terra fertile, le foreste, i mari, il patrimonio genetico delle piante agricole, la biodiversità, l'aria salubre, i minerali e le fonti di energie del sottosuolo, proprio perché diventano sempre più scarsi, e in virtù delle crescenti possibilità tecniche del loro utilizzo, si trasformano in merci sempre più ambite e «recintabili» dai privati. L'accaparramento oggi in corso delle terre agricole in Africa, da parte della Cina, Arabia Saudita, ecc. ci illustra con eloquenza il fenomeno ormai in atto.
Così possiamo facilmente prevedere l' aspro conflitto che si para davanti a noi.

Gino Strada: ecco cosa si doveva fare.


GAZA
The children were playing football
(The particulars in the inside pages, away from UN sight)

martedì 22 marzo 2011

L'Italia tradisce sempre.


di Marco Travaglio in beppegrilloblog
Buongiorno a tutti, non sono un esperto di guerre, né di strategie, né di politica estera, quindi è inutile che mi metta a parlare con voi di quello che sta succedendo e di quello che potrebbe succedere di seguito alla guerra in Libia.

La guerra degli altri
E' una guerra alla quale gli italiani alla solita maniera, ma alla fine aggregandosi all’ultimo momento hanno deciso di partecipare anche direttamente con i nostri caccia militari, vedremo.
Non c’è grande fiducia negli esperti che in questi anni, le hanno sbagliate tutte, dal Kosovo, alla Serbia, alla Somalia, all’Afghanistan, all’Iraq, a tutti i luoghi dove non siamo andati, anche se le ragioni che ci hanno spinti a andare altrove, ci avrebbero dovuti spingere a andare pure lì, mi riferisco per esempio al Rwanda e al Darfur, ma queste cose le lasciamo agli esperti e così li lasciamo sbagliare in pace, l’unica cosa che sappiamo è che non sappiamo niente, non possiamo prevedere niente, non possiamo prevedere innanzitutto quanto durerà e soprattutto non possiamo prevedere cosa succederà dopo, tanto più oggi dove siamo di fronte a una strana faccenda che non si riesce bene a distinguere tra guerra civile, rivolta per la libertà, rivoluzione, non si sa neanche come chiamarla, visto che manca una leadership, manca un’analisi seria sulla natura, sui componenti di questa ribellione che è in parte tribale, in parte sicuramente aspira a più libertà, in parte è islamica, non sappiamo quanto fondamentalista islamica e soprattutto non sappiamo quali saranno le possibili ritorsioni che ha in animo Gheddafi e che può permettersi Gheddafi nei confronti di chi lo ha attaccato, quando sento dire dal nostro governo che Gheddafi non è in grado di colpirci mi vengono i sudori freddi a ricordare tutte le dichiarazioni trionfalistiche che sono state fatte negli ultimi anni sulla grande vittoria in Iraq,

L'intervento militare in Libia avvelena la rivoluzione araba.


di Fulvio Beltrami. Fonte: altravocedelsannio
Riproduco l’articolo di Seumas Milne pubblicato il 2 marzo 2011 sul quotidiano inglese The Guardian e riprodotto in lingua italiana sul sito
L’articolo ci illustra chiaramente quali sono i veri interessi di un intervento armato occidentale nella crisi libica.
Dietro il paravento di difendere la popolazione libica dall’eccidio voluto dal dittatore Gheddafi si nasconde la volonta’ dell’America e dell’Europa di appropriarsi del processo rivoluzionario in Liba creando un governo "amico" che attui cambiamenti cosmetici che consentirebbero il controllo del paese (petrolio e gas compresi) e la continuazione degli interessi occidentali come nel precedente regime ma senza Gheddafi.
Questo tentativo e’ gia’ in atto in Tunisia e in Egitto.
Anche se molto improbabile l’utilizzo di truppe occidentali nel suolo libico i raid arerei portano con se’ il rischio di infliggere un duro colpo al processo rivoluzionario che sta dilagando non solo in Libia ma nel mondo arabo.
Questo tentativo dell’Occidente si sta scontrando contro la richiesta di liberta’ democratica e il desiderio di inipendenza e autodeterminazione delle popolazioni arabe.
Augurandoci che il regime di Gheddafi sia sconfitto, la vera battaglia rivoluzionaria iniziera’ proprio nel periodo post Gheddafi.
Due gli esiti possibili: il controllo del governo da parte dell’Occidente attuando la famosa politica del gattopardo o una vera democrazia popolare e nazionale in Libia.
Per il bene del Continente Africano, del Mondo Arabo e del mondo intero, ardentemente spero che il vento rivoluzionario non sia soffocato ma che riesca ad arrivare anche nell’Occidente.
Fulvio Beltrami
21 marzo 2011
Kampala Uganda. Fulviobeltrami1966@gmail.com

Yes Fly Zone: Israele bombarda Gaza e le sue cliniche.


Scritto da InfoPal - Fonte: megachip
Martedì 22 Marzo 2011 09:33
Guerra e verità - Gaza - Ma'an, Pal-Info, InfoPal. 18 feriti, tra cui 8 bambini e 7 donne: è l'ultimo aggiornamento del tragico bilancio proveniente dalla Striscia di Gaza.
Ieri sera è tornato il terrore tra la popolazione palestinese assediata. L'aviazione israeliana è stata impegnata fino a tarda notte a bombardare numerose aree di Gaza, principalmente a Gaza City e nel nord.
F-16 israeliani hanno bombardato la postazione della polizia intitolata al leader di Hamas assassinato da Israele, 'Abdel 'Aziz ar-Rantisi, ubicata nell'area di at-Tuwam, a nord-ovest di Gaza City.
E' stata colpita anche la clinica medica "Hijaz", struttura ospedaliera già distrutta nel corso della vasta guerra israeliana su Gaza, tra il 2008 e il 2009, "Piombo Fuso", e in seguito ricostruita. Fonti medico-ospedaliere hanno confermato il bombardamento della clinica e gli ingenti danni riportati dalle strutture nei reparti.
La clinica "Hijaz" fornisce assistenza in diversi settori medici a circa 10mila cittadini palestinesi.
Molto grave il bombardamento sferrato da Israele ad est del quartiere di ash-Shuja'yah, a Gaza City. Qui un garage per le riparazioni di autovetture è andato totalmente in fiamme. Al suo interno vi erano ammassati pneumatici e i due missili qui lanciati dall'aviazione israeliana hanno anche colpito una zona deserta sul retro del cimitero "Khaza'ah". Nessun ferito.
Nella catena di bombardamenti israeliani anche una fabbrica di blocchi di cemento è stata colpita a nord della Striscia di Gaza. Per l'esattezza di tratta di un cantiere situato a Jabal ar-Ra'is (Jabaliya est).
Altri missili sono stati lanciati dagli aerei da guerra israeliana contro Gaza City: nel quartiere di az-Zaytun è stata distrutta una fabbrica metallurgica di proprietà della famiglia ad-Daya. Anche qui, non si sono riportati feriti.

Guerra in Libia. Quali costi e conseguenze?


I motivi possibili di un attacco, presentato ancora una volta come umanitario, che minaccia di tradursi in un disastro di lungo periodo, alle porte di una Europa che rischia di pagare un conto elevatissimo.

di Carlo Ruta. Fonte: accadeinsicilia

In Libia è partita una guerra, che i governi dell’Occidente e gran parte dei mezzi d’informazione presentano ancora una volta come umanitaria. Di cosa si tratta realmente? Per comprendere quanto sia credibile tale motivo, è utile partire da un paio di dati storici recenti.
Israele alcuni anni fa ha pianificato e attuato in Palestina una operazione che ha denominato con coerenza «piombo fuso». L’esito è stato di qualche migliaio di morti, quasi tutti civili. Ma nessuno ha minacciato una guerra «umanitaria». Nessuno si è guardato bene dal metterla in opera, come nessuno si era esposto a tanto già nella precedente operazione «Pace in Galilea», dagli esiti analoghi. Altro caso istruttivo è quello dello sterminio delle popolazioni cecene pianificato e attuato da circa venti anni dai governi della Russia, prima con Eltsin poi con Putin. Si tratta per certi versi di una guerra infinita, che ha provocato centinaia di migliaia di morti, in massima parte civili. Fino ad oggi nessuno Stato ha invocato però l’avvio di guerre «umanitarie». Nella Libia di Gheddafi tale tipo di azione, in difesa dei diritti delle popolazioni, è stata invece voluta risolutamente dalle nazioni forti dell’Occidente, su input degli Stati Uniti e con la convalida del consiglio di sicurezza dell’ONU. A quali costi, in termini di vite umane?

In Libia è in atto una virulenta repressione di regime, che in un mese ha fatto centinaia di morti, forse qualche migliaio. Ma l’attacco «umanitario» promette di tradursi in una ecatombe, con numeri di vittime di molto superiori. Gli strateghi della Nato e del Pentagono sono troppo avvertiti per non mettere nel conto esiti di questo tipo, trattandosi di disarticolare una forza militare che, allo stato delle cose, non è di poco conto. Non solo. È prevedibile che occorra neutralizzare le reti militari non convenzionali, anche queste non indifferenti, costituite anzitutto dalle unità terroristiche e mercenarie del regime di Gheddafi. E, come testimoniano le casistiche belliche degli ultimi decenni, se si intende centrare quest’ultimo obiettivo, le stragi di civili, dette comunemente «effetti collaterali», tanto più difficilmente saranno evitabili. Nelle prime fasi della guerra preventiva in Iraq, per eliminare cellule del regime deposto, i comandi americani non hanno esitato a pianificare a Baghdad la distruzione di interi isolati in cui risultavano annidate, con l’uccisione di tutti i civili che li abitavano. E, come attestano numerose cronache, tale regola non scritta ha funzionato e vige ancora in Afghanistan.
DISPUTE FRANCE- ITALY (over strategic command )
"Shall I bomb Paris?" (italian minister of defence)

lunedì 21 marzo 2011

Silvio "à la guerre" con l’amico Sarkozy.


di Alessandro Robecchi - Fonte voi siete qui
pubblicato in Il Manifesto

Baciamano per baciamano, ora per Silvio nostro è meglio inchinarsi a Sarkozy che al Puzzone di Tripoli (già fatto). Chissà, verranno buone tutte quelle chanson francesi che ama tanto. Ora ci tocca tirar giù a colpi di missile gli aerei di Gheddafi per difendere i libici, i francesi sapranno bene come fare visto che i caccia al Colonnello glieli hanno venduti loro.
Noi, invece, lo abbiamo riempito di soldi per far fare ai libici i lavori che gli italiani non vogliono più fare, tipo i campi di concentramento per migranti. Silvio si è detto “amico del popolo libico”, anche se abbracciava e baciava il tipo che “il popolo libico” lo bombarda, ma non è il momento di cercare il pelo nell’uovo.
Per la riunione delle commissioni Esteri e Difesa, l’altro giorno, è scattato l’allarme rosso, tutti al telefono per cercare i leghisti che si erano dati alla macchia: spiacente, il numero chiamato non è disponibile, riprovare più tardi. Suonava a vuoto anche il cellulare dei Responsabili, i Calearo, gli Scilipoti, gente così, tutta presa dalla sacra missione etica di portare a casa un paio di sottosegretari e il ministero dell’agricoltura per un tale Saverio Romano, chiunque sia.
Per Silvio nostro, una guerra è una guerra, altroché, gli evita di andare al processo Mills, che non è male, meglio di Ghedini. I leghisti non ci stanno per un afflato pacifista: vedono già arrivare barconi di profughi che sarà impossibile rimpatriare durante una guerra e quindi, pur di non essere umani, si fingono umanitari.
Il colonnello La Russa dott. Ignazio si batte per il “diritto” di bombardare. D’Alema Massimo chiede l’ombrello della Nato. Frattini è Frattini e francamente non gli si può chiedere di più, prima dice che la democrazia non si esporta, ora invece che si esporta, uno stratega di prima grandezza. Questo, più o meno, il punto della situazione. Ma mi mancano due righe per chiudere la rubrica, che ci metto? Ah, si: i diritti umani, la democrazia dal basso, le moltitudini del Maghreb in rivolta e i ragazzi di Bengasi che rischiano il massacro.
Vabbé, dettagli. Un’altra volta, eh?

Libia. Dalla guerra civile alla guerra del petrolio.


Perché è saltato l’equilibrio di potere di Gheddafi? Chi sono “quelli di Bengasi”? Questa è una vera guerra del petrolio, rivelatrice della competizione globale e piena di incognite
di Sergio Cararo * Fonte: contropiano
“E’ una rivolta dei giovani. Sono loro che hanno iniziato la rivoluzione… noi ora la stiamo completando”. In questa breve considerazione che il colonnello Tarek Saad Hussein riferisce al settimanale statunitense “Time” a fine febbraio, è possibile comprendere gran parte del processo che è stato impropriamente definito come “rivoluzione libica” (1)

Il col. Hussein è uno degli alti ufficiali del regime di Gheddafi passato quasi subito con i ribelli di Bengasi. Insieme a lui c’è tutto un settore rilevante dell’apparato statale del regime che ha dato vita allo scontro mortale con Gheddafi per sostituirlo con una nuova leadership. E’ vero, hanno mandato prima avanti i giovani. A Bengasi il 15 febbraio erano stati i giovani e i familiari dei prigionieri politici della rivolta del 2006 nella capitale della Cirenaica ad essere scesi in piazza davanti al commissariato dentro cui era stato rinchiuso l’avvocato Ferhi Tarbel, difensore degli arrestati nella rivolta di cinque anni prima. La manifestazione del 15 febbraio era stata repressa duramente – come purtroppo è la norma in Libia e in tutti i paesi del Medio Oriente. Due giorni dopo, una nuova manifestazione, vedeva però i manifestanti, già armati, passare subito all’escalation sul piano militare contro i poliziotti del regime di Gheddafi (2)

Una tempistica rapidissima e bruciante che non ha avuto neanche il tempo di manifestarsi come rivolta popolare di piazza per diventare subito una guerra civile. E’ vero, hanno iniziato i giovani, esattamente come avevano fatto i loro coetanei in Tunisia, Egitto, Algeria o – in tempi e modi diversi – nelle strade di Roma o nelle banlieues francesi. Avevano tutte le ragioni per farlo, anche nella Libia di Gheddafi. Ma dietro i giovani libici, hanno preso subito la situazione in mano – piegandola ai loro interessi - gli uomini del vecchio apparato di regime in rotta con il leader e ansiosi di ridefinire gli equilibri interni sconvolti dalla crisi finanziaria del 2008/2009 e dalle misure “liberiste ma non liberali” introdotte da Gheddafi nel 2003.

EMERGENCY CONDANNA LA GUERRA IN LIBIA.

Da EmergencyTorino

COMUNICATO STAMPA

Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Oggi la guerra
è “contro Gheddafi”: ci viene presentata, ancora una volta, come
umanitaria, inevitabile, necessaria.

Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata
distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. “La
guerra umanitaria” è la più disgustosa menzogna per giustificare
la guerra: ogni guerra è un crimine contro l’umanità.

Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono alla fine
inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle. Se i
governanti si impegnassero a costruire rapporti di rispetto, di
equità, di solidarietà reciproca tra i popoli e gli Stati, se
perseguissero politiche di disarmo e di dialogo, le situazioni di
crisi potrebbero essere risolte escludendo il ricorso alla forza. Non
è stato questo il caso della Libia: i nostri governanti, gli stessi
che ora indicano la guerra come necessità, fino a poche settimane fa
hanno finanziato, armato e sostenuto il dittatore Gheddafi e le sue
continue violazioni dei diritti umani dei propri cittadini e dei
migranti che attraversano il Paese.

Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non
una necessità. È la scelta disumana, criminosa e assurda di
uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica. È la
scelta dei peggiori tra gli esseri umani.

Ai governanti che vedono la guerra come unica risposta ai problemi
del mondo, rivolgiamo di nuovo l’appello del 1955 di Bertrand
Russell e Albert Einstein nel loro Manifesto:

«Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile
ed inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità
dovrà rinunciare alla guerra?»

Come ha scritto il grande storico statunitense Howard Zinn:
«Ricordo Einstein che in risposta ai tentativi di “umanizzare” le
regole della guerra disse: “la guerra non si può umanizzare, si
può solo abolire”. Questa profonda verità va ribadita
continuamente: che queste parole si imprimano nelle nostre menti, che
si diffondano ad altri, fino a diventare un mantra ripetuto in tutto
il mondo, che il loro suono si faccia assordante e infine sommerga il
rumore dei fucili, dei razzi e degli aerei».

Emergency è contro la guerra, contro tutte le guerre. Ce lo
impongono la nostra esperienza, la nostra etica e la nostra cultura,
la nostra umanità prima ancora che la nostra Costituzione.

Chiediamo che tacciano le armi e che si riprenda il dialogo, anche
attraverso l’invio degli ispettori delle Nazioni Unite e di
osservatori della comunità internazionale; chiediamo l’apertura
immediata di un corridoio umanitario per portare assistenza alla
popolazione libica.

Missili Cruise all’uranio impoverito sulla Libia.


di Massimo Zucchetti. Politecnico di Torino, Italia. Fonte lavecchiatalpa
Introduzione
Le questioni che riguardano l’Uranio impoverito e la sua tossicità hanno talvolta, negli anni recenti, esulato dal campo della scienza. Lo scrivente si occupa di radioprotezione da circa un ventennio e di uranio impoverito dal 1999. Dopo un’esperienza di pubblicazione di lavori scientifici su riviste, atti di convegni internazionali e conferenze in Italia, sul Uranio impoverito, questo articolo cerca di fare una stima del possibile impatto ambientale e sulla salute dell’uso di uranio impoverito nella guerra di Libia (2011). Notizie riguardanti il suo utilizzo sono apparse nei mezzi di informazione fin dall’inizio del conflitto.
Per le sue peculiari caratteristiche fisiche, in particolare la densità che lo rende estremamente penetrante, ma anche il basso costo (il DU costa alla produzione circa 2$ al kg) e la scomodità di trattarlo come rifiuto radioattivo, il DU ha trovato eccellenti modalità di utilizzo in campo militare.
Se adeguatamente trattata, la lega U-Ti costituisce un materiale molto efficace per la costruzione di penetratori ad energia cinetica, dense barre metalliche che possono perforare una corazza quando sono sparate contro di essa ad alta velocità.
Il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell'Uranio che esplode in frammenti incandescenti (combustione violenta a quasi 5000 °C) quando colpisce l'aria dall'altra parte della corazzatura perforata, aumentandone l'effetto distruttivo. Tale proprietà è detta “piroforicità”, per fare un esempio, la caratteristica dello zolfo dei fiammiferi. Quindi, oltre alla elevata densità, anche la piroforicità rende il DU un materiale di grande interesse per queste applicazioni, in particolare come arma incendiaria (API: Armour Piercing Incendiary cioè penetratore di armature incendiario.

La crisi e le rivolte in Nord Africa.


di Domenico Moro. Fonte: lavecchiatalpa

I sommovimenti sociali che hanno scosso il Nord Africa sono stati attribuiti dai media occidentali a cause interne. Le masse arabe si rivolterebbero contro il dispotismo, aspirando ovviamente al modello occidentale di democrazia. In realtà, se spingiamo la nostra analisi al di là della semplice realtà fenomenica ci rendiamo conto che quanto accaduto è il riflesso della crisi e della globalizzazione, entrambe fenomeni con epicentro o guidati proprio dall’Occidente.
Gli Usa hanno scelto di risolvere la crisi, di cui sono stati origine nel 2007 con lo scoppio della bolla dei subprime, portando i tassi d’interesse del denaro vicini allo zero e immettendo una massa enorme di denaro nell’economia mediante il cosiddetto “quantitative easing”. Questo consiste nell’acquisto di titoli del Tesoro per 600 miliardi di dollari da parte della Banca centrale Usa, cui è stata aggiunta la proroga, per 800 miliardi di dollari, degli sgravi fiscali dell’epoca Bush. In questo modo, lo Stato Usa ha rilanciato il Pil (nel 4° trimestre 2010 al 3,2%) e i profitti delle imprese (+35%) e delle borse, specie di Wall street, che non chiudeva in rialzo per nove settimane di fila dal ’95. Si tratta però, come già avvenuto con Bush a seguito della crisi del 2001, di una crescita drogata che non risolve e aggrava la crisi, lasciando inalterata la forte disoccupazione (10%).
Ma gli effetti del “quantitative easing” vanno al di là degli Usa. L’effetto più importante della manovra del governo Obama è la diffusione a livello mondiale dell’inflazione. Bisogna, però, osservare che la politica espansiva non produce necessariamente inflazione, come pretende la teoria monetarista. Infatti, negli Usa e nella Ue i focolai inflazionistici sono o assenti o limitati, anche perché la domanda è fiacca visto che la ripresa è modesta o assente e comunque non ha riassorbito la disoccupazione. L’inflazione che affligge alcune aree mondiali è il prodotto della relazione tra aumento della liquidità e mercati finanziari internazionali.
Infatti, l’enorme liquidità così creata trova un impiego nelle attività speculative di borsa, che garantiscono profitti maggiori, anziché nell’attività produttiva. Questo anche perché l’industria manifatturiera Usa rappresenta una quota del Pil sempre meno importante e perché non ha neanche lontanamente risolto la forte sovrapproduzione che è alla base dello scoppio della crisi. In particolare, la liquidità in eccesso si è diretta verso il mercato speculativo dei contratti futures sulle materie prime, di cui si è evitata accuratamente la regolamentazione promessa all’epoca dello scoppio della crisi.

domenica 20 marzo 2011

Odyssey Sunset.


di Beppe Grillo
Cari politici e giornalisti, fatemi un favore, non prendete per il culo gli italiani, queste non sono azioni umanitarie, ma azioni di guerra. Una guerra sporca, per l'energia, per il petrolio, il gas. La Francia, che non ha più, dopo Fukushima, un futuro nucleare, ha bisogno di gas e petrolio. E' almeno dai tempi di Ustica che Francia e Italia combattono per il controllo del petrolio libico, quando i nostri cieli diventarono un teatro di guerra con aerei francesi e italiani e Gheddafi, che era presente, si salvò a stento. Gheddafi è stato appoggiato da noi quando si insediò, dagli anni '70, armato da noi, parte delle sue forze militari sono state addestrate in Italia in cambio di un rapporto privilegiato per il gas e il petrolio.
Questa è una guerra folle che gli europei non vogliono. Di cui sono stati informati come se fosse una notizia qualsiasi, un evento sportivo. Cina e Russia sono contrarie, la Germania si è astenuta nel Consiglio di sicurezza e il comitato dell'Unione africana sulla Libia ha rifiutato "ogni intervento militare straniero in Libia, quale che sia la forma ". Lo ha dichiarato il presidente mauritano Abdel Aziz, "la gravissima crisi che sta attraversando questo Paese fratello esige una soluzione africana". Il presidente Aziz ha precisato che "nessun rappresentante dell'Unione africana ha partecipato al vertice internazionale di Parigi sulla crisi libica".
L'ONU aveva deliberato per una "No fly zone", non per bombardamenti a tappeto della Libia. Centinaia di missili lanciati da americani e inglesi verso "obiettivi"in un'operazione ribattezzata "Odyssey Dawn", Odissea all'alba. Un linguaggio da playstation. Più che un Alba assomiglia al Tramonto dell'ONU, a un ' "Odyssey Sunset". Sono morti più civili a Tripoli per mano di Obama, Cameron, Sarkozy o a Bengasi per mano di Gheddafi? Quelli per mano libica valgono forse il doppio? L'articolo 11 della Costituzione dice che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...". Dove sono i partiti con la Costituzione in mano che "scendevano" in piazza?
Stiamo bombardando una nazione africana e musulmana, ma non una sola nazione africana o musulmana ha partecipato all'attacco insieme alle potenze occidentali, ai "crociati", come li chiama Gheddafi. L'Arabia Saudita ha invaso il Bahrain sconvolto dalle proteste, quando l'attacco agli sceicchi? Gaza fu trasformata in un camposanto, ma nessuno intervenne. L'Italia è una portaerei con navi canadesi, americane, inglesi che vanno e vengono dai nostri porti. Con che diritto? Siamo una nazione a sovranità limitata, ma questo è troppo. Fuori le basi americane dall'Italia e fuori, prima che sia troppo tardi, l'Italia dalla guerra. Non sappiamo nulla degli insorti di Bengasi, se si oppongono per ragioni democratiche, tribali, economiche, religiose. Nulla di nulla. Chi è senza petrolio scagli il primo Tomahawk. Gli Stati Uniti ne hanno lanciati già 110 per portarsi avanti con il lavoro.

ULTIM'ORA: Napolitano ha detto: "Non siamo in guerra, ma all'interno di un'azione dell'Onu". Ora posso andare a dormire più tranquillo. Grazie Giorgio.

Il trucco libico.


Postato il 20/03/2011 da Miguel Martinez
Fonte: kelebeklerblog
Se ho capito bene, le cose stanno così.
In Libia, c’è un governo.
A me, questo governo non ha mai fatto particolare simpatia, perché conosco storie non belle di migranti che sono passati per quel paese, e perché comunque un governo dopo quarant’anni al potere inizia sempre ad andare a male. Inoltre, da traduttore, ho spesso a che fare con chi lavora in Libia, e ho raccolto molte lamentele sulla natura piuttosto capricciosa e imprevedibile dell’amministrazione.

Ma queste mie considerazioni emotive non c’entrano con quelle del diritto. Il governo della Libia è indubbiamente legittimo nel senso più freddo, cioè può emettere passaporti riconosciuti in altri paesi, e l’uomo più in vista del paese – che curiosamente non riveste alcun incarico governativo – viene ricevuto con sorrisi e strette di mano da altri capi di stato. Tra cui non solo Silvio Berlusconi, ma anche Obama e Sarkozy.

In particolare, il nostro paese è vincolato al governo della Libia da un “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista” firmato “dall’onorevole Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi”.

Tale trattato garantisce

“il rispetto dell’uguaglianza sovrana degli Stati; l’impegno a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica della controparte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite; l’impegno alla non ingerenza negli affari interni e, nel rispetto dei princìpi della legalità internazionale, a non usare né concedere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile nei confronti della controparte; l’impegno alla soluzione pacifica delle controversie.”

Un trattato che nel giro di qualche ora, ha fatto la stessa fine che fece nel 1915 il trattato che vincolava l’Italia a non pugnalare alla spalle l’Austria. Per motivi espressi con disarmante sincerità da Italo Bocchino.

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