Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 27 luglio 2013

La fine del mondo è in anticipo

 

dal blog di Beppe Grillo
"Questa è una notizia che non fa piacere scrivere e credo neanche leggere. Però è solo facendo entrambe le cose e facendole fare a quelli che conosciamo che abbiamo qualche speranza di attenuarne le conseguenze. Nature, la più autorevole rivista scientifica al mondo, ospita l'intervento di un gruppo di ricercatori delle università di Rotterdam e Cambridge, coordinati dalla professoressa Gail Whiteman. Il rapporto prende in considerazione lo scioglimento dei ghiacci nella Siberia artica Orientale. Gli studiosi hanno calcolato che lo scioglimento dei ghiacci in atto potrebbe dar luogo al rilascio nell'atmosfera di 50 gigatonnellate (tonnellate con 9 zeri) di metano. Concretamente questo significa che il temuto riscaldamento globale di 2 gradi (il famoso punto di non ritorno) potrebbe arrivare dai 15 ai 35 anni prima del previsto. Eh si, lo sappiamo, qualcuno ci ride su pensando di poter fare il vino anche in Scozia o di dover alzare l'aria condizionata. Peccato che non sia una questione di qualche uragano in più o qualche specie in meno. I professori fanno i calcoli di quanto costerebbe al pianeta e presentano un conto pari a 60 trilioni di dollari (un trilione = mille miliardi) poco meno del Pil globale del pianeta che è di 70. Contemporaneamente c'è chi vede nel fenomeno un'opportunità di business derivato dal fatto di poter navigare dove prima c'erano i ghiacci nonché dalle estrazioni petrolifere che si potrebbero compiere e che potrebbero render qualche centinaio di miliardi di dollari.
Dobbiamo ringraziare Whiteman per aver fatto questo calcolo perché, al di là come si diceva delle battute, fa toccare con mano (al portafogli) il costo che pagheremo per il disastro che stiamo combinando. Purtroppo, la crisi globale sta spingendo molti paesi a fermare le politiche antiriscaldamento, con la scusa che è un lusso che in questo momento non ci possiamo permettere. La ricerca dimostra esattamente il contrario e cioè che non possiamo permetterci di non affrontare il problema.
Si chiamano all'azione il FMI (Fondo Monetario Internazionale) e il WEF (World Economic Forum) ma una situazione del genere non si risolve se prima o poi non si considera l'ambiente un valore. E se non si attuano politiche come quelle descritte 15 anni fa da Roodman nel suo "La ricchezza naturale delle nazioni". E cioè rendere fortemente antieconomiche tutte le produzioni inquinanti. Questa sarebbe la molla di quella grande innovazione di cui abbiamo bisogno per far ripartire le nostre economie. Gli stati invece trattano l'ambiente come trattano l'economia, pompando in un caso denaro e nell'altro CO2. Creando debiti ai nostri figli da un lato e riscaldamento nell'altro. Solo che se il pianeta va in default cambiare valuta non basta." Marco Di Gregorio
Leggi l'articolo di Whiteman su Nature

martedì 23 luglio 2013

Syrisa

Syriza: un congresso importante!

syriza-logoPoco più di una settimana fa si è svolto il congresso di Syriza, la formazione della sinistra radicale che con la leadership di Alexis Tsipras si è confermata alle ultime elezioni come il secondo partito greco. Oggi è la principale forza di opposizione al governo composto dai conservatori di Nuova Democrazia e dai socialisti del Pasok. Ma il blocco di potere che sta applicando le politiche di austerità della troika si sta assottigliando. La candidatura di Syriza a governare la Grecia rimane una questione all’ordine del giorno.
Quello che si è da poco concluso non è stato un congresso qualsiasi. Si è trattato di un vero e proprio atto fondativo che ha sancito la nascita di Syriza come partito. Finora la coalizione della sinistra radicale greca era un rassemblement di partiti e sigle di diverso orientamento, tenuti assieme da una piattaforma comune ma con orientamenti ideologici diversi, dall’anticapitalismo al trozkismo, dal comunismo al socialismo, dal femminismo all’ambientalismo, fino al maoismo. Sono – o sarebbe meglio dire, erano – tredici componenti, sigla più, sigla meno. Le più importanti, oltre al Synaspimos da cui proviene lo stesso Tsipras, sono la Sinistra ecologista innovatrice e comunista (Akoa) ispirata all’eurocomunismo e al socialismo democratico, poi il gruppo di Cittadini Attivi di Manolis Glezos, l’uomo simbolo della resistenza ellenica contro l’occupazione tedesca, che spinge per l’unità di tutta la sinistra greca; seguono gli Indipendenti di sinistra che non fanno parte di nessuna componente e i trotzkisti di Dea (Sinistra dei lavoratori internazionalisti) e Kokkino (Rosso). Vanno aggiunti anche i comunisti del Movimento per l’unità d’azione della sinistra (Keda), il gruppo di sinistra radicale Roza, i Radicali – una formazione a metà tra patriottismo e socialismo democratico – , gli ecosocialisti, il Movimento democratico sociale di orientamento nazionalistico ed euroscettico e, infine, l’altra sigla trotzkista Organizzazione socialista internazionalista.
Tsipras ha proposto al congresso di unire in un solo partito le numerose forze che costituivano il cartello elettorale di Syriza e rendere la sinistra radicale greca in grado di contendere il governo ai conservatori di Samaras. La proposta è passata a maggioranza anche se la decisione di sciogliere le componenti non ha trovato tutte le anime concordi. La minoranza che comprende la corrente di sinistra del Synaspimos, i tre gruppi trotzkisti Kokkino, Dea e Apo (raccolte nella Rete rossa), i socialisti del Dikki (fuoriusciti dal Pasok) si è raccolta nella “Piattaforma di sinistra”. Al congresso ha ottenuto il 32,5 per cento dei voti dei delegati. La critica alla linea del partito unico consiste principalmente nel timore che finisca per marginalizzare il dissenso interno e accrescere il ruolo di leader di Tsipras. Secondo la minoranza il risultato del congresso avrebbe sancito il passaggio a «un partito elettoralista dalla vita interna atrofizzata», implicando la rottura «con aspetti decisivi della cultura politica e organizzativa della sinistra radicale» – come ha sostenuto Stathis Kouvelakis, del comitato centrale di Syriza (http://sinistracritica.org/2013/07/20/la-svolta-moderata-di-syriza/).
Dall’altra parte, quello che alla minoranza è apparsa irrimediabilmente come un’involuzione moderata di Syriza verso un «partito di governo» e «presidenzialista», è stata la risposta organizzativa alle esigenze di una formazione politica cresciuta nel giro di brevissimo tempo dal 4 per cento al 26 per cento delle ultime elezioni. Syriza si trova oggi a essere non più una costellazione di minuscole sigle, ma una forza popolare di massa che continua a ricevere adesioni e che ha davanti a sé il non facile compito di conquistare la maggioranza della società greca. Il congresso ha segnato una nuova fase nel dibattito interno, dedicato soprattutto alla forma organizzativa da adottare. La linea passata a maggioranza con oltre il 67 per cento dei delegati ha sancito che quello del partito unico sia oggi lo strumento più adeguato per i compiti che la sinistra radicale si pone. In realtà, la storia di Syriza dimostra una duttilità organizzativa: quando – come in passato – la divergenza ideologica delle sue componenti prevaleva sull’unità, la scelta è caduta sulla forma della «coalizione»; oggi, quando è in gioco l’egemonia nella politica nazionale e sono stati compiuti molti passi verso l’unità, si è scelta la forma del partito unico.
Del resto, non è che i rapporti all’interno di Syriza siano sempre stati idilliaci. Tutt’altro. Gli inizi furono, a dir poco, burrascosi. Nel 2004, alla prima prova elettorale, la formazione della sinistra radicale greca non andò ai là di un 3,3 per cento. Un risultato modesto che però consentì alla neonata formazione di eleggere in parlamento sei deputati. Ma contrariamente agli accordi tra i partiti della coalizione, tutti e sei i parlamentari provenivano dal Synaspimos, il partito maggiore. Da quel momento le tensioni interne salgono e, appena tre mesi dopo, alle elezioni europee, il Synaspimos decide di andare da solo. Al congresso del partito alla fine del 2004 si cambia di nuovo. La maggioranza decide di portare avanti la scelta di Syriza e nella carica di presidente, al posto di Nikos Konstantopoulos, viene eletto Alekos Alavanos, convinto sostenitore della linea della coalizione. La scelta paga e i risultati si vedono alle amministrative del 2006. I candidati di Syriza vanno bene, soprattutto ad Atene, dove a guidare la lista c’è un giovane. Si chiama Alexis Tsipras. E’ uno dei nuovi volti del Synaspimos che ha voluto Alavanos, «aperto alle nuove generazioni».
Ma il vero salto avviene l’anno successivo. I partiti della coalizione firmano una piattaforma comune. Syriza guadagna alle elezioni politiche 120 mila voti in più rispetto alle precedenti consultazioni e raggiunge il 5,04 per cento. Alevanos annuncia che non rinnoverà la propria candidatura alla carica di presidente e lascia il posto ad Alexis Tsipras, che ha solo 33 anni. In pochi anni, sotto la sua leadership, Syriza salirà nei sondaggi fino al 18 per cento. Ma all’inizio non sarà facile. Nel 2008 la coalizione si attesta al 4,7 per cento delle europee e al 4,6 delle parlamentari. L’exploit arriva nel 2012. La Grecia è in piena crisi finanziaria. Gli attacchi speculativi dei mercati fanno schizzare in alto gli interessi sui titoli di stato. Il debito pubblico lievita e in cambio degli aiuti il governo accetta il pacchetto di misure della troika, composta da Bce, Fmi e Ue. La Grecia diventa il laboratorio delle politiche europee dell’austerità. Nelle due tornate elettorali che si succedono a pochi mesi l’una dall’altra, Syriza diventa il secondo partito e ottiene prima il 16 per cento, poi addirittura il 26,89. Un risultato inimmaginabile se i partiti e le sigle che hanno dato vita a Syriza – a cominciare dal Synaspimos – non avessero perseguito fin dal 2004 l’obiettivo dell’unità di tutte le forze della sinistra di alternativa. Se ciascuna di esse fosse rimasta ancorata alle proprie posizioni di partenza – le più svariate e divergenti, dal maoismo al trotzkismo al socialismo democratico, per citarne alcune – non avrebbero mai accumulato quella massa critica che oggi consente di puntare al governo della Grecia. Fossero rimasti ciascuno nel proprio recinto, i soggetti che oggi militano in Syriza non avrebbero mai costruito una platea più ampia dalla quale parlare a tutta la società greca. Se, per ipotesi, il Synaspimos – all’epoca la sigla più importante della coalizione – non si fosse resa disponibile per un processo di ricomposizione delle forze della sinistra radicale, oggi non assisteremmo al miracolo di un partito che si candida alla guida del paese per mettere fine all’austerità, per rinegoziare il debito e cancellarne una parte, per bloccare la speculazione finanziaria e introdurre la patrimoniale, per redistribuire la ricchezza alle classi popolari e rilanciare l’occupazione. Tutto questo sarebbe stato, probabilmente, un bel programma, ma non un programma di governo.

domenica 21 luglio 2013

Come uscire dall'euro?

(tre osservazioni sulla tesi di Brancaccio)

Leonardo Mazzei

Il ragionamento di fondo svolto ormai da tempo da Emiliano Brancaccio, e riproposto in ultimo nel suo articolo Uscire dall'euro? C'è modo e modo, ci trova assolutamente concordi. In sostanza Brancaccio evidenzia tre cose: l'elevata probabilità della fine dell'eurozona, i problemi che essa comporterebbe in considerazione delle diverse modalità di uscita dall'euro, la totale impreparazione della sinistra di fronte a questo scenario.

Sul primo punto - la fine dell'eurozona - Brancaccio è più prudente di noi, ma la centralità che egli assegna ai due punti successivi si giustifica solo con la convinzione che, pur non potendone prevedere i tempi, sarà questo lo scenario più probabile che determinerà il nuovo assetto economico, sociale e politico del Paese.

La sua insistenza sulle diverse modalità di fuoriuscita dalla moneta unica pone il problema dei problemi, cioè quello del programma. Un nodo che a sinistra viene allegramente sfuggito, scambiando per «programma» la solita lista della spesa, fatta di obiettivi giusti ma sganciati dal percorso concreto per raggiungerli. E' il classico vizio massimalista, che gioca al più uno, senza mai porre concretamente la questione del potere.


Nel nostro piccolo, come Mpl, abbiamo più volte indicato i punti essenziali sui quali dovrebbe nascere un governo popolare d'emergenza in grado di gestire, nell'interesse del popolo lavoratore, l'uscita dall'euro e dall'Unione Europea. Tra questi punti vi sono anche quelli richiamati da Brancaccio: il ripristino della scala mobile su salari e pensioni, la difesa del contratto nazionale, il controllo dei prezzi. Ma ve ne sono anche altri non meno decisivi, come la nazionalizzazione del sistema bancario ed il controllo del movimento dei capitali.
L'uscita dall'euro non sarà, in nessun caso, una passeggiata. Ma per la verità non è che le classi popolari oggi abbiano molto da «passeggiare». Né per il presente, né per il futuro. A maggior ragione il volgere altrove il proprio sguardo, tipico di quella sinistra con cui polemizza Brancaccio, è ancor più rivoltante.

Per la verità in altri paesi europei qualcosa ha cominciato a muoversi. Il dibattito sull'euro, anche se in maniera ancora del tutto insufficiente, è presente in Grecia, in Portogallo, in Spagna e perfino in Germania (vedi la posizione di Lafontaine). E' invece totalmente rimosso in Italia, dove il ventennale mix di opportunismo e massimalismo continua ancora oggi a rilasciare i suoi venefici effetti. E dove neppure l'appello spagnolo (che entra nel merito di come uscire dall'euro), per quanto sottoscritto da autorevoli personalità della sinistra, è riuscito a smuovere dal torpore la sinistra. Né quella strutturalmente Pd-dipendente, e fin qui nessuno stupore visto che sarebbe stato stupefacente il contrario, né quella che si raffigura come alternativa al Pd e al centrosinistra.
Se questo è il quadro, ben pochi dovrebbero essere i dubbi sulla necessità di costruire una qualche forma di soggettività politica in grado di impugnare la materia, capace cioè di porre come centrale il tema della sovranità nazionale in una prospettiva di difesa degli interessi delle classi popolari. Brancaccio lamenta in sostanza l'assenza di una sinistra capace di misurarsi con i nodi del presente. Bene, concordiamo con lui, ma forse dobbiamo essere più netti: una sinistra potrà risorgere, nell'attuale congiuntura storico-politica, solo se saprà coniugare un'impostazione di classe con una corretta impostazione della «questione nazionale», in un'ottica di liberazione e di sganciamento dalla gabbia europea e, più in generale, dalla globalizzazione disegnata dal capitalismo casinò.


Alcune osservazioni a proposito degli effetti sui salari e non solo


Giustamente Brancaccio sottolinea la questione della difesa dei salario, evidenziando i pro e i contro derivanti da un'uscita dall'euro. Egli, a tal proposito, cita alcuni studi, con una serie di dati che si prestano ad alcune osservazioni non proprio secondarie.


1. In primo luogo la questione del salario reale,
in rapporto alla svalutazioneconseguente all'uscita dalla moneta unica.

I dati riportati da Brancaccio, che prendono in esame nove casi di sganciamento da un cambio fisso avvenuti tra il 1992 ed il 2001, ci dicono che in sette casi su nove i salari reali si sono ridotti nell'anno successivo, per poi ritornare (tranne che in un caso) ai valori precedenti, talvolta superandoli, dopo 5 anni.

Detto così potrebbe sembrare un mezzo disastro. Ma la realtà è assai diversa. Intanto, restando al passato, va rilevato come le differenze tra i pesi presi in esame sono colossali. Mentre, guardando al futuro, siamo d'accordo che tutto dipenderà da chi gestirà il passaggio alla nuo
va moneta. Quello che invece manca è il raffronto con il presente della crisi in corso. Un calo del salario reale non è già in atto?

Citiamo l'insospettabile Bankitalia che ci dice che nel 2013 il salario medio è sceso da 25.130 euro a 24.644 euro. Un -1,9% in un solo anno, che è già il doppio del calo registrato ad un anno dalla svalutazione del 1992 (-1,0%). E questo dopo cinque anni di crisi che hanno falcidiato i salari, le pensioni, portato ad un forte aumento delle tasse e, soprattutto, a quella che si configura ormai come una vera e propria disoccupazione di massa.

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