Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 13 agosto 2011

Il default come contropotere alla speculazione finanziaria

di ANDREA FUMAGALLI Fonte: uninomade
Nei commenti della maggior parte degli organi di stampa e nelle dichiarazione sia degli uomini politici che dei cosiddetti esperti, uno spettro (o meglio un incubo) si aggira per l’Europa. Non è lo spettro del comunismo, bensì l’incubo dei mercati finanziari. Tutti sono in attesa del loro responso, forma di moderno oracolo, in grado di condizionare e incidere sulla vita di milioni di persone, di far cadere un governo, di imporre elezioni anticipate oppure la sottoscrizione di documenti e patti sociali altrimenti poco credibili tra firmatari altrettanto poco credibili.

Il biopotere dei mercati finanziari si è grandemente accresciuto con la finanziarizzazione dell’economia. Se il Prodotto interno lordo del mondo intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di dollari, la finanza lo surclassa: il mercato obbligazionario mondiale vale 95 mila miliardi di dollari, le borse di tutto il mondo 50 mila miliardi, i derivati 466 mila miliardi. Tutti insieme (al netto delle attività sul mercato delle valute e del credito), questi mercati muovono un ammontare di ricchezza otto volte più grande di quella prodotta in termini reale: industrie, agricoltura, servizi. Tale processo, oltre a spostare il centro della valorizzazione e dell’accumulazione capitalistica dalla produzione materiale a quella immateriale e dello sfruttamento dal solo lavoro manuale anche a quello cognitivo, ha dato origine ad una nuova “accumulazione originaria”, che, come tutte le accumulazioni originarie, è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione.

Per quanto riguarda il settore bancario, nel 1984 le prime dieci banche al mondo controllavano il 26% del totale delle attività , con il 50% detenuto da 64 banche e il rimanente 50% diffuso tra le 11.837 rimanenti banche di minor dimensione. I dati della Federal Reserve ci dicono che dal 1980 al 2005 si sono verificate circa 11.500 fusioni, circa una media di 440 all’anno, riducendo in tal modo il numero delle banche a meno di 7.500. Al I° trimestre 2011, cinque Sim (Società di Intermediazione Mobiliare e divisioni bancarie: J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc Usa) e cinque banche (Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse, Citycorp-Merrill Linch, Bnp-Parisbas) hanno raggiunto il controllo di oltre il 90% del totale dei titoli derivati: Swaps sui tassi di cambio, i Cdo ( Collateral debt obligations) e i Cds (Collateral defauld swaps). Fonte: http://www.occ.treas.gov/topics/capital-markets/financial-markets/trading/derivatives/ dq111.pdf.

Nel mercato azionario, le strategie di fusione e acquisizione hanno ridotto in modo consistente il numero delle società quotate. Nel 1984 le prime 10 società con maggiore capitalizzazione di borsa, pari allo 0,12% delle 7.800 società registrate, detenevano il 41% del valore totale, il 47% del totale dei ricavi e il 55% delle plusvalenze registrate. Nel 2011, tali percentuali sono rimaste pressoché inalterate, con la differenza che tre di loro (Merrill Lynch, Lehman Brothers and Goldman Sachs) si sono fuse all’inizio del 2008 o sono divenute compagnie bancarie (ad esempio, l’acquisizione di Merrill Linch da parte di Citycorp) oppure, come nel caso di Lehman Brothers (e Bear Starney) sono fallite, favorendo in tal modo un ulteriore processo di concentrazione (Fonte: Federal Reserve).

LACRIMOGENI E SANGUE. L' EUROPADRONATO OGGI MASSACRA L'ITALIA

Piobbichi Francesco. Fonte: controlacrisi.org
E' previsto per oggi alle 19.00 il consiglio dei ministri che le classi dominanti europee hanno imposto ad un governo di ballerine e cantanti tramite letterina a firma Mario Draghi. I contenuti della manovra non si conoscono ancora molto bene, ma ricalcheranno quelli che sono stati decisi in tutta Europa con il vertice dell'Euro Plus Pact ed il semestre europeo. Per chi nei mesi scorsi non ha seguito la vicenda di costruzione di questo patto scellerato ne pubblichiamo i contenuti principali, obbligo del pareggio di bilancio e riduzione forzata del debito pena sanzioni economiche automatiche, innalzamento delle pensioni, abbattimento contratti nazionali, privatizzazioni, flessibilità. Il governo Berlusconi è un complice primario nell'aver legato il nostro destino al cappio dei banchieri di Bruxelles, ma altrettanto complice ne è stato Napolitano e l'opposizione parlamentare che su questa partita hanno cosparso il campo di cortina fumogena. In parlamento nessuno ne ha discusso per esempio. Fa sorridere, che nel giorno stesso che questa manovra viene indurita per bloccare la speculazione, si decide di bloccare la speculazione vietando la vendita dei titoli allo scoperto per 15 giorni. Delle due l'una, o la manovra non serve a bloccare la speculazione ed ha altri fini, o la vendita dei titoli allo scoperto è uno spot per le allodole. Penso umilmente che c'è un utilizzo strumentale e costituente della crisi. Penso che le classi dominanti utilizzino la crisi per rendere l'Europa (periferica) un'enorme bacino di forza lavoro a basso costo per competere nel mondo grande e terribile della globalizzazione. Penso che la BCE e le sue politiche monetariste ne siano i responsabili principali. Penso inoltre che la crisi ha definitivamente cancellato ogni ipotesi di compromesso sociale tra capitale finanziario e lavoro, portando con se la crisi della rappresentanza e della democrazia sociale così come l'abbiamo conosciuta in Europa. Non è un caso che la nostra costituzione sia diventata un bersaglio principale di questa nuova architettura monetarista. Molti giudicheranno questa nostra ostinazione a difesa dell'art 81 della costituzione una presa di posizione ideologica, in realtà l'asse Tremonti Veltroni, sta scardinando l'intero impianto della carta sottoponendo i suoi principi sociali ad un vincolo monetarsita che li renderebbe inattuabili . La nostra costituzione afferma valori sociali assoluti, il più importante, è che lo stato deve rimuovere le cause che determinano l'ingiustizia sociale. Sottoporre questi principi al vincolo di bilancio, vuol dire cancellarli come riferimento politico. Non sarà più la politica ad affermare i diritti ma il tecnicismo autoritario monetarista. Altro che beni comuni, che tutela del lavoro, ci troviamo di fronte alla creazione dello stato gendarme, un modello che dovrà gestire la crisi non solo per l'oggi ma anche per il domani. Lacrimogeni e sacrifici per affermare la logica del profitto, nessun compromesso. E' il ritorno alla doppia morale liberale, della doppia giustizia, quella garantista per le classi dominanti e spietata per i subalterni. Per affermare questi principi nella nostra carta costituzionale c'è voluto sangue partigiano, per tenerli vivi in questi decenni di restaurazione ci sono volute altre lacrime, altre lotte.
Oggi ci troviamo di fronte ad un parlamento incapace di fare chiarezza sui contenuti, compromesso in larga misura con i potentati economici e finanziari, imbevuto di liberismo. La CGIL è oramai vittima di se stessa, ed una sinistra politica subalterna al PD o troppo frammentata e debole per reagire non riesce a trovare il modo per ricompattarsi. Come accade spesso nella storia, si parte in pochi per organizzare la resistenza, e non è detto che si vinca. Altro però, non c'è concesso.
Penso che sia necessario lavorare per la cacciata di questo governo di servi delle banche con chi ci sta, e che non ci debba essere compromesso alcuno con gente come la Marcegaglia .
E' ORA DELLA RIVOLTA. ORGANIZZIAMO L'OTTOBRE. RESTIAMO CONNESSI

Piobbichi Francesco
controlacrisi.org

A lezione dagli studenti cileni.

MalEducados! el problema de la educación en Chile. from Diego Marin Verdugo on Vimeo.


SCEPSI NELL'INSURREZIONE

pubblicata da Franco Berardi il giorno venerdì 12 agosto 2011 alle ore 19.09
Fonte: scepsi
SCEPSI NELL'INSURREZIONE
Con rapidità impressionante il castello del capitalismo finanziario sta crollando, e la civiltà sociale costruita dal lavoro e dalla scienza nei secoli della modernità rischia di rimanere sotto le sue macerie. Solo l'autonomia del lavoro cognitivo potrà salvare la civiltà sociale, e questo è il compito politico, scientifico, e poetico che siamo chiamati a svolgere.
Quel che accade in questi mesi cambia definitivamente il corso delle nostre vite, e la prospettiva storica e politica in cui ci troviamo. La storia del capitalismo borghese è finita e al suo posto vediamo delinearsi una forma di dittatura finanziaria, portatrice di barbarie e di miseria.
Paradossalmente proprio il collasso dell'Unione europea riporta l'Europa al centro del mondo.
Inizia un decennio di conflitto insurrezionale che si dispiegherà su tutto il territorio europeo perché questo è il luogo in cui è in gioco l'eredità dell'umanesimo dell'illuminismo e del socialismo che la dittatura finanziaria sta distruggendo.
E' grazie agli effetti della recessione occidentale che esploderà la rivolta degli operai indiani e cinesi quando le merci da loro prodotte non troveranno più acquirenti nell'occidente impoverito.
Mai come ora la rivoluzione mondiale fu all'ordine del giorno.
La follia volontarista del comunismo isterico novecentesco si è conclusa, come doveva, tragicamente, lasciandosi alle spalle cinismo e paralisi del pensiero. Ma il collasso d'Europa riporta il dramma della lotta fra le classi nel punto in cui Marx lo descrisse: Londra è in fiamme.
Dopo aver predicato per venti anni competizione e consumismo, gli ipocriti dicono oggi che i ribelli inglesi non hanno ideali se non fare la spesa senza pagare. Non è chiaro di quali ideali stiano parlando, ma è meglio si mettano il cuore in pace: la generazione precaria, espropriata di tutto, anche del futuro, inizia la sua rivolta afferrando quel che le occorre senza chiedere permesso. Ma la rivolta non si ferma qui, perchè il lavoro precario è anche lavoro ad alto contenuto intellettuale. Ora insorgiamo, perchè è l'unico modo per riconquistare il nostro territorio di esistenza. Poi ricostruiremo tutto secondo scienza e coscienza. perché soltanto noi, i ribelli precari e cognitivi, liberi dal dogma neoliberista, saremo in grado di farlo.
Un passaggio gigantesco della storia del mondo, la crisi del capitalismo globale e l'emergere del cognitariato come classe universale, si sta svolgendo per così dire senza parole. Il pensiero fa scena muta. Assorbiti dal dogmatismo servile, e nella migliore delle ipotesi ridotti alle forme miopi del giornalismo, gli intellettuali non pensano, non sanno immaginare oltre la presente apocalisse. Ma qualcuno deve assumersi questo compito.
Per questo prima che la situazione precipitasse abbiamo costruito una scuola europea per l'immaginazione sociale.
SCEPSI è un nucleo che irradia progetti di conoscenza e di innovazione autonomi dalla catastrofe del capitalismo finanziario.
Nei prossimi mesi SCEPSI sarà impegnata nell'organizzazione di seminari capaci di accompagnare immaginativamente l'insurrezione.
http://scepsi.eu
85, evviva!
(after 638 assassination attemps by the C.I.A.)
Happy birthday, comrade Fidel!

Se non e' ricatto questo ...

Ecco la lettera di Trichet e Draghi Cessioni, liberalizzazioni e lavoro
Le *condizioni* per l'intervento sui titoli italiani. Fonte ilcorriere
Se non è un programma di governo, poco ci manca. Ci manca per l'esattezza giusto l'intenzione di pubblicare quel testo, nel quale Jean-Claude Trichet e Mario Draghi hanno di fatto indicato all'Italia la strada da prendere. La lettera dell'attuale presidente della Banca centrale europea e di colui che gli succederà dal primo novembre è stata scritta e recapitata fra giovedì e venerdì. L'accordo fra le parti era di mantenerla riservata, ma più ne emergono i dettagli, più è chiaro che c'è un limite al segreto che si può stendere su un programma di governo.
Perché nel messaggio che i due banchieri centrali europei hanno recapitato a Silvio Berlusconi non c'è solo l'accenno a una direzione di marcia. Era chiaro da giorni che la Bce era in grado di dettare il passo all'Italia, se il governo voleva l'aiuto di Francoforte con interventi sui titoli di Stato. Ma il livello di dettaglio della lettera deve aver stupito anche chi l'ha ricevuta: ci sono le misure da prendere, c'è il calendario secondo cui andrebbero applicate e non mancano neanche gli strumenti legislativi che la Bce chiede che il governi adotti: i più celeri e i più efficaci. Del resto la stessa dichiarazione franco-tedesca di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel di ieri sera chiede all'Italia di varare in parlamento le misure già annunciate «entro settembre».
Sulle liberalizzazioni in tutta la struttura dell'economia italiana, si scopre così che l'Eurotower suggerisce a Berlusconi di procedere per decreto, in modo da accelerare. Si tratta di un punto sensibile, perché molti a Francoforte trovano che proprio sull'apertura del mercato l'impegno del premier e del ministro dell'Economia Giulio Tremonti resti debole, generico e imperniato su tempi troppo lunghi. Altrettanta urgenza emerge nella lettera di Draghi e Trichet sul tema delle privatizzazioni: si parla di cessioni anche per le società pubbliche locali e si chiede di avanzare il più rapidamente possibile. Con ogni probabilità non è furia ideologica, quella di Draghi e Trichet: è una constatazione di opportunità.
Un anno e mezzo fa la Grecia, già sotto attacco, evitò di mettere mano alle cessioni delle partecipazioni dello Stato per non affrontare l'opposizione dei sindacati e delle clientele politiche. Così Atene perse tempo prezioso e, quando di recente si è arresa all'obbligo di privatizzare, le attività da mettere sul mercato valevano ormai la metà di ciò che il governo avrebbe potuto incassare un anno prima. Anche per l'Italia privatizzare da subito o farlo dal 2013 non è uguale, manda a dire la lettera della Bce a Berlusconi.

venerdì 12 agosto 2011

La grande abbuffata di miliardi della Fed

Fonte: Riccardo Petrella - il manifesto 11 Agosto 2011
Sedicimila miliardi di dollari in prestiti senza interesse dagli Usa alle grandi banche mondiali: come il pil dell'intera Ue
Il Pil realizzato nel 2010 dai 27 paesi dell'Unione europea è stato valutato 16.106 miliardi di dollari. Quello dell'Italia 2.036 miliardi e del Belgio 461 miliardi (Fmi, World Economic Outlook Database, 2011). Ebbene, il rapporto dell'audizione effettuata sulla Federal Reserve Bank , la Banca Centrale degli Stati Uniti, per la prima volta della sua storia, dal Gao (Government Accountability Office) degli Stati uniti, reso pubblico alla fine di questo luglio, rivela un fatto a prima vista incredibile: la Federal Reserve Bank ha dato in segreto, tra dicembre 2007 e giugno 2010, a banche e imprese americane e non, prestiti per circa 16 mila miliardi di dollari senza interesse e a condizioni di rimborso del tutto fluide. Argomento: per «salvarle».
Altrimenti detto, è stato possibile per la più potente banca centrale del mondo stampare, all'insaputa del governo, miliardi e miliardi di nuovi dollari per salvare il capitale degli azionisti di banche e imprese che hanno fallito perché hanno commesso errori madornali unicamente per cercare di arricchirsi ulteriormente, e poi far pagare a miliardi di poveri cristi (operai, contadini, impiegati, insegnanti) attraverso il mondo il costo del «salvataggio».
La lista degli istituti beneficiari figura a pagina 131 del rapporto. Eccone i principali: Citigroup (Usa): 2.500 miliardi di dollari (una volta e un quarto la ricchezza prodotta in un anno dall'Italia e quasi sei volte quella del Belgio), Morgan Stanley (Usa): 2.040 miliardi di dollari, Merrill Lynch (Usa): 1.949 miliardi di dollari, Bank of America (Usa): 1.344 miliardi di dollari, Barclays Plc (Regno unito): 868 miliardi di dollari, Bear Sterns(Usa): 853 miliardi di dollari, Goldman Sachs(Usa) : 814 miliardi di dollari, Royal Bank of Scotland (Uk): 541 miliardi di dollari, JP Morgan Chase(Usa): 391 miliardi di dollari, Deutsche Bank (D): 354 miliardi di dollari,UBS (Svi) 287 miliardi di dollari, Credit Suisse (Svi): 262 miliardi di dollari, Lehman Brothers(Usa): 183 miliardi di dollari, Bank of Scotland (Uk): 181 miliardi di dollari, Bnp Paribas (F): 175 miliardi di dollari. E tanti altri.
La notizia toglie il velo, per l'ennesima volta, a un sistema scandaloso. Non vi sono altri termini possibili. Essa interviene come una pugnalata alle spalle dei 2.8 miliardi di persone dette «poveri assoluti» (meno di 2,15 al giorno di «reddito») e delle centinaia di milioni di «nuovipoveri» (i working poors e i disoccupati/senza lavoro di lungo periodo) che in America del nord, in Europa e in Asia debbono accettare le drastiche riduzioni delle spese sociali.
A questi miliardi di esseri umani si è assicurato, mentendo scientemente, che non ci sono stati né ci sono soldi per «salvarli». Anzi, come dimostrano gli sviluppi della «crisi» in queste settimane i potenti dicono agli sfruttati che devono essere loro a pagare se si vuole salvare il sistema. Si tratta di un comportamento «criminale». Vi sono i crimini di guerra contro l'umanità, vi sono i «crimini» economici contro la giustizia e la vita. La notizia «parla da sé», non ha bisogno di commenti. Non posso evitare però di denunciare due fatti maggiori.
Primo, la congiura del silenzio e della complicità sulle vere ragioni e dinamiche della crisi da parte di esperti ed economisti «ufficiali» (e sono legioni nelle migliaia di università e di istituti finanziari europei) e di dirigenti politici. Dall'esplosione della nuova crisi nel 2007, essi non fanno altro che ripetere, spesso con toni drammatici per meglio riscuotere l'adesione dell'opinione pubblica «terrorizzata» dall'idea di perdere i propri soldini, che finirà proprio così se non si farà quello che dicono i dominanti.

La Linea del Piave

DI ALBERTO ASOR ROSA. Fonte: comedonchisciotte
Due condizioni per accettare di stringere la cinta: salvare le conquiste del welfare, restituire il potere al popolo. Il manifesto, 12 agosto 2011

Nella storia di questo disgraziato paese (l'Italia, intendo, per chi non ami le metafore), c'è una sindrome spesso ricorrente: si chiama la linea del Piave. Funziona così. Per anni, talvolta per decenni, gli alti comandi, i Governi, le classi dirigenti in genere, prendono decisioni inique, sbagliate, avventurose, persino ciniche e anche delinquenziali: l'incredibile mediocrità degli alti comandi medesimi, la strategia irresponsabile dell'attacco frontale, il mostruoso disavanzo di bilancio, l'incapacità del ricambio, la stralunata soggezione dell'interesse pubblico agli interessi privati o di gruppo, ne rappresentano le manifestazioni più significative ed esemplari. Poi, ad un certo punto, dai e dai, si verifica la catastrofe: le linee cedono, il bilancio crolla, l'economia va in pezzi, le classi dirigenti, d'ogni razza e colore - ripeto: d'ogni razza e colore - annaspano nel vuoto che loro stesse hanno creato. È a quel punto che a qualcuno viene in mente la linea del Piave: gli interessi non sono più diversi, separati e magari contrapposti, diventano "unico". La catastrofe si può affrontare solo tutti insieme, senza più differenze né di razza, né di colore, né di collocazione sociale, né di orientamento politico. E questo, a pensarci bene, è anche giusto: chi, infatti, vorrebbe vedere gli austriaci a Milano o a Venezia?

Se poi, come nel caso di oggi, la linea del Piave assume dimensioni planetarie, la solidarietà di tutti intorno a un modello unico di soluzione assume un'evidenza ancor più eloquente: o ci si salva tutti oppure non si salva nessuno. E anche questo potrebbe essere giusto. Ma vediamo fino a che punto il discorso del Piave regge e, ammesso che regga, quali diverse impostazioni gli si possono dare.

Facciamo (almeno noi) un passo indietro e torniamo in Italia. Negli ultimi tre-quattro mesi è accaduto nel nostro paese qualcosa che in precedenza sarebbe stato inimmaginabile: e cioè un cambiamento vistoso della costituzione materiale, un aggiustamento invisibile dei meccanismi decisionali. Tutte le più importanti scelte in materia politica ed economica sono state, non certo prese, ma indotte con forza e con, appunto, autorevolezza "dall'alto". E quale esempio più lampante di "Camere congelate" di quelle che, nel giro di quarantotto ore, hanno votato un bilancio dello Stato strangolatorio e, nel caso di certi partiti, addirittura apertamente non condiviso? Non sto dicendo né che sia stato un bene né che sia stato un male: mi limito per ora a constatare che è accaduto. Ricordate il mio articolo sul manifesto del 13 aprile? «Ciò cui io penso è una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instauri quello che io definirei un normale "stato di emergenza", eccetera eccetera». L'unico auspicio di quell'appello che non sia stato per ora praticato è il ricorso all'Arma dei carabinieri e alla polizia di Stato: non ce n'è stato bisogno, e comunque la magistratura e le forze dell'ordine erano impegnate in altro (sempre però nei dintorni: Papa, Milanese, Penati, Bisignani eccetera eccetera).

Londra-Santiago: per chi suona la campana?

di Genaro Carotenuto
CITTÀ DEL MESSICO – Chi sono i giovani di Londra, Manchester, Birmingham derubricati a criminali dal primo ministro David Cameron, quello della big society escludente? Che relazione c’è tra loro e quelli di Piazza Syntagma ad Atene, bollati come anarchici dal capo di governo Georgios Papandreu o quelli di Piazza Tahrir al Cairo, stigmatizzati come fondamentalisti islamici dalla stampa mainstream? E con gli “indignados” accampati alla Puerta del Sol spagnola? E con gli studenti cileni che da mesi tengono in scacco il più neoliberale dei governi, quello di Sebastián Piñera -che li cataloga come black block- con un programma chiaro come il sole: istruzione pubblica, gratuita e di qualità per tutti?

Sono gli stessi giovani definiti racaille, la “feccia” delle banlieue francesi del 2005, che permisero a Nicolas Sarkozy di scalare l’Eliseo mostrando il pugno di ferro o in cosa si differenziano? La semplicità con la quale vengono etichettati da politica e media induce alla prudenza. Solo pochi anni fa George Bush inserì tutti i movimenti indigeni nella lista dei terroristi ed era fiancheggiatore di Bin Laden chi, anche in Italia, si dichiarava contro la guerra in Iraq. Ricordano o no l’89 di Caracas quando una turba resa disperata (70% di poveri nel paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo) da quel modello di esclusione sociale protestò e saccheggiò -alimenti o sogni griffati – mentre il vicepresidente dell’Internazionale Socialista in carica, Carlos Andrés Pérez, ne faceva massacrare metodicamente a migliaia senza che tale nobile istituzione battesse ciglio? Hanno a che vedere i giovani inglesi col “que se vayan todos” argentino di fine 2001 quando il FMI e le banche imposero al governo la rottura del patto sociale sul quale si basa il capitalismo bloccando i conti correnti delle famiglie?

Sono un nuovo lumpen-proletariato in via di presa di coscienza? Le classi medie impoverite ed impaurite, quelle che in Francia votano Front National e in Italia Lega Nord ne sono controparte o potenziali alleati? Reggerà o crollerà l’odio razzista costruito da anni dal parallelo regime mediatico verso un nemico largamente inventato come collante del sistema? Di nuovo, come nel maggio francese, sarà sufficiente il richiamo all’ordine per le maggioranze silenziose da parte di un nuovo De Gaulle? La rabbia dei giovani inglesi e dei loro omologhi nel mondo è o non è politica?
1946 -2011
65 years of lootings
INTERNATIONAL MONETARY FUND

giovedì 11 agosto 2011

Default. La sospensione della democrazia e le ragioni dei mercati.

da Militant. Fonte: informazioneconsapevole
L’Italia, non da oggi, è di fatto commissariata dalla BCE, sperando che non arrivi il turno del Fondo Monetario Internazionale. La politica in quanto tale non conta più nulla, ogni decisione economica (cioè le uniche decisioni che dettano l’indirizzo di un governo e marcano le differenze fra destra e sinistra) vengono prese direttamente dalla sede della Banca Centrale Europea, nonché dai famigerati mercati. Vediamone le conseguenze.

Quella che salta agli occhi più nettamente è che questa cosiddetta crisi finanziaria, o attacco speculativo all’Italia, ha di fatto sospeso la democrazia nel nostro paese, dopo averlo fatto con la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna (più altre decine di stati “sovrani” in giro per il mondo nelle mani del FMI). I governi in carica non hanno la possibilità di decidere alcunché; proprio come negli anni belli delle dittature latinoamericane, chi decide quali politiche attuare sono alcune strutture economiche controllate dai fondi d’investimento, dalle grandi multinazionali e da alcune grandi banche. E’ in atto un colpo di stato contro la democrazia occidentale, che si sta sperimentando nei paesi più esposti per “sondare” il terreno. La politica, fino a prova contraria, è l’unico strumento che può realizzare lo sviluppo democratico di un territorio. Se la politica non influisce più, se gli si tolgono gli strumenti per governare, ci sono buoni motivi per avere paura. Proprio quella che dovremmo avere tutti noi in questo momento. Abbiamo gridato (giustamente) al fascismo di ritorno nel quale stavamo sprofondando, al neoliberismo che ci governava, a una democrazia svuotata di significato e contenuti. Ma non è niente rispetto a quello che potrebbe accadere se l’Italia accettasse gli aiuti internazionali.

Altro piccolo problema: è stato preparato da mesi il terreno culturale per questo colpo di stato strisciante. Da tempo, e specialmente in questi ultimi giorni, è in atto una equiparazione semantica fra i concetti di “mercato” e “cittadini”. I mercati che bocciano la finanziaria italiana vengono dipinti come insieme di cittadini, risparmiatori, contribuenti, investitori, che bocciano la politica del governo. Un crollo a Piazza Affari viene equiparato ad un sondaggio contro Berlusconi. L’unica soluzione proposta per porre fine a questa ondata speculativa viene individuata nel governo tecnico. E invece i mercati non sono i cittadini, non sono i risparmiatori, non sono gli investitori privati. I mercati azionari non sono formati dai cittadini, il cittadino non investe in borsa. La borsa è il terreno in cui si operano le plusvalenze fra le grandi società azionarie. E’ il terreno della finanza. Il cittadino non ha accesso alla borsa. Tutt’al più, quei pochi cittadini che hanno ancora soldi da parte e intendono investirli in banca comprano i Buoni del Tesoro. Nessuno gioca con la borsa, e soprattutto non sono quelli che determinano perdite o ricavi con le loro vendite. Le borse sono il terreno di caccia dei grandi fondi speculativi, che vendendo o comprando in blocco milioni di euro in titoli determinano le perdite o i guadagni in borsa.

Si parla di privatizzazioni, di mettere all'asta i beni pubblici, senza il consenso dei cittadini che ne sono i legittimi proprietari.

I sacrifici dei concessionari pubblici
di Beppe Grillo
I sacrifici. Questa è la parola d'ordine dell'estate 2011. Tutti sono d'accordo sul fatto che, per non fallire, i sacrifici sono necessari. Nessuno dei dichiaranti però è disposto a farli. Preferisce che siano gli altri a dare il buon esempio. I cittadini non abbienti, diciamo pure quasi indigenti, hanno già capito che il cerino rimarrà in mano a loro. Sono abituati da tempo alle vessazioni di questo Stato post feudale. Hanno le tasse più alte d'Europa, gli stipendi più bassi, tagli decennali ai servizi sociali, a iniziare dalla salute e dalla scuola, e la cancellazione di fatto della pensione. Lo Stato è diventato un pozzo senza fondo che non ti restituisce più neppure l'eco.
Ora si parla di privatizzazioni, di mettere all'asta i beni pubblici, le aziende dello Stato, dall'ENI all'Enel, per fare cassa. E' una spoliazione fatta senza il consenso dei cittadini che ne sono i legittimi proprietari. Nessun bene dello Stato va venduto, è anzi vero il contrario per avere una possibilità di sviluppo. Cedere sovranità su aziende chiave per il Paese vuol dire abdicare a qualunque ruolo internazionale, come è avvenuto per la sciagurata cessione a debito di Telecom Italia, che era allora il motore dell'innovazione del Paese, da parte di D'Alema, il merchant banker di Gallipoli.
I sacrifici? Partiamo dai concessionari, da coloro che usano beni pubblici in concessione per farci una montagna di soldi. Per brevità ne cito soltanto due, ma sono molti di più: Benetton e Berlusconi. Benetton ha la concessione di alcuni rami delle autostrade italiane attraverso Atlantia Spa, società quotata in borsa. Nel 2010 ha realizzato 3,750 miliardi di euro di ricavi con 701 milioni di euro di utili di esercizio. Chiunque paghi il biglietto autostradale sa di quanto siano aumentati i pedaggi negli ultimi anni. Atlantia non è la sola ad avere in concessione autostrade già strapagate dalle nostre tasse, da quelle dei nostri padri e nonni. La domanda da porsi è semplice: "Perché delle società private devono beneficiare di beni dello Stato?". In alcuni Paesi europei le autostrade sono gratuite, in quanto il loro costo è già stato pagato dai cittadini. Si vuole delegare Atlantia come gestore? Lo si faccia per i soli costi di manutenzione con gare d'appalto. Lo Stato vuole incassare i proventi autostradali per ridurre il debito? Lo faccia! Vuole rendere gratuito il pedaggio, come sarebbe corretto, per diminuire i costi di trasporto che ricadono su imprese e cittadini? Lo faccia. Ma quello che non può fare è arricchire dei privati con beni pubblici.
Veniamo a Berlusconi, l'imprenditùr. Il tizio che oggi chiede "sacrifici" al Paese paga solo l'uno per cento del fatturato della sua azienda per la concessione governativa di tre frequenze nazionali. La gratifica ad vitam la deve al sempiterno D'Alema, che come primo ministro fece approvare la legge 488 del 1999, (pagina 32, articolo 27, comma 9). Credo che sia corretto, in tempi di sacrifici, rivedere la legge e portare l'un per cento del concessionario Berlusconi almeno al 30% (e mi tengo basso) oppure mettere all'asta le frequenze. Cari concessionari, la festa è finita. Prima di chiedere a un qualunque cittadino un solo euro in più, lo Stato deve riprendersi e farsi remunerare ciò che è suo. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

Privatizzare, privatizzare e se non basta, privatizzare ancora.

GLI ACCORDI A BORDO DEL «BRITANNIA», UNA STORIA DA TENERE BEN A MENTE
Fonte: informazioneconsapevole
Era il 2 giugno 1992, festa della Repubblica, quando a bordo del «Britannia», il panfilo della regina Elisabetta, oltre centro tra banchieri, uomini d'affari, pezzi da novanta della finanza internazionale anglo-americana (tra gli ospiti eccellenti anche George Soros), si incontrarono per un summit urgente organizzato straordinariamente al largo delle coste tirreniche, tra le acque di Civitavecchia e quelle dell'Argentario. Argomento forte del meeting a bordo, le privatizzazioni. Le privatizzazioni italiane. Ai tempi di quella crociera sulla terra ferma andavano forte le inchieste di Mani Pulite e la prima Repubblica si apprestava a cedere il passo. A bordo si discusse anche di «riforme», naturalmente. Ma soprattutto del programma di dismissioni da parte dello stato. Le privatizzazioni, ovvero come «finanziarizzare» il sistema economico italiano. C'è chi rintraccia in quel passaggio l'origine della «finanziarizzazione» del sistema economico nazionale, il momento in cui l'industria lasciò il passo all'economia di carta. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, tra loro un giovane Mario Draghi, allora direttore generale del tesoro che nel suo discorso sostenne che il principale ostacolo ad una «riforma» del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico. Il ministro del Tesoro era Piero Barucci, il governatore di Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, anche lui invitato a bordo del panfilo. A palazzo Chigi invece c'era Giuliano Amato. Imbarcato anche Romani Prodi e il direttore di Bankitalia Lamberto Dini. E non finisce qui perché c'era anche, lo ha confermato lui stesso solo di recente, anche l'attuale ministro Giulio Tremonti. «Solo come osservatore» a bordo del natante di sua maestà: «Fu solo il prezzo da pagare per entrare tra i primi nel club dell'euro».

FONTE: Il Manifesto, 2011.08.09
BCE
Vendete tutto: Eni e Iri, Terna e Cdp
di Guglielmo Ragozzino
La Banca centrale europea spiega al governo italiano come tagliare deficit e debito, almeno un po' Le privatizzazioni, prefigurate nella quasi lettera della Bce al governo, sono la prova di forza che ci attende

Un mese fa, si svolse la grande manovra salva-tutto messa in scena, con tanto di voti di fiducia, dal governo italiano; e approvata in un batter di ciglia dal parlamento «responsabile». In quell'occasione sono stati calcolati gli introiti che le privatizzazioni messe in calendario per il triennio finale della manovra stessa avrebbero apportato. Il conto, molto ottimistico, di qualche specialista si aggirava intorno ai 140 miliardi di euro, purché si mettessero naturalmente sul tavolo tutte le perle del reame. A questo si aggiungeva che l'ammontare del prezioso tesoretto era pari a circa il 7% del debito pubblico, vicino ai 1.900 miliardi in quegli stessi giorni. I più ottimisti facevano inoltre notare che ne sarebbe così derivato un significativo alleggerimento in termini di deficit.

London's Burning

By HAL AUSTIN - London. Fonte: counterpunch
It is too early to give a definitive assessment of the London Uprisings over the weekend, but there are nevertheless two key lessons that have emerged.
The first and most important is the social breakdown that can take place when the police force has become an invading army, using paramilitary tactics, and has lost the trust of the people it is meant to serve.
The Metropolitan Police, are in the main interlopers in some London communities. They are mainly recruited from the regions (Scotland, Ireland and to a lesser extent Wales) and the provinces, the North East, some from the North West, and even fewer from the Midlands and the South East and South West.
But, they largely share in common a dislike of living in London. Most Metropolitan Police live in the Home Counties – Surrey, Kent, Essex, Hertfordshire, Berkshire and Buckinghamshire. They commute in to work and see policing the inner city as policing aliens, crooks, thugs, dope dealers and users, pimps and dole scroungers.

Sadly, it has been ever thus. Since the 1950s and 60s, when Notting Hill and Notting Dales police stations became like internment camps for black people. Then Brixton, Stoke Newington, Harrow Road, Shepherd Bush, Peckham, Lewisham and Harlesden, and Handsworth in Birmingham, took up the fight.

Those of us who have been around before and since the national explosion in 1980/81, and again in 1985 in Broadwater Farm, know full well the lessons had not been learned. After the 1981 riots we got the Scarman report, and the Police and Criminal Evidence Act, and were told it would never happen again. After the 1985 Broadwater Farm uprisings we had the unofficial Gifford Inquiry and again were told it would never happen again. Then we got the farce of the Stephen Lawrence murder inquiry, the hypocrisy of the Daily Mail intervention and the Macpherson report, all added to the diversion of the national debate about race relations and policing.

If anything, despite appearances, policing in London has never been worse since the 1960s.

Already it is beginning to look as if the so-called gun carried by Mark Duggan, the victim of the Operation Trident (the Scotland Yard force dedicated to black gun crime) and CO19, the permanently armed squad which patrols London heavily equipped with semi-automatic submachine guns and small arms, was a replica. Why did Trident, an armed squad, need backup with officers armed with semi-automatic weapons?

Even more seriously, it also looks from initial finds that the police officer who escaped injury when a shot lodged in his radio was in fact shot by a police issue gun. So, either Duggan had a police issue gun which he used to shoot at officers, or the officer was shot by one of his colleagues.

Londra, Umberto Galimberti: «Questa è la ribellione degli esclusi dal denaro»

Fonte: altracitta'
In rete rimbalzano foto della rivolta nelle città inglesi che mostrano episodi di saccheggio. Il premier inglese Cameron, ieri, ha etichettato la protesta «pura criminalità». Una lettura che prelude a quella che sarà l’unica risposta tangibile del governo inglese: sedicimila agenti schierati per le strade di Londra, città epicentro degli scontri. Eppure, proprio i saccheggi, esibiti come prova incontrovertibile del carattere violento dei rivoltosi, sono il sintomo di un corto circuito nell’immaginario simbolico. Una generazione cresciuta in una società il cui unico messaggio era “consumate e siate felici”, tenta di rientrare in un mondo dal quale è stata esclusa. L’ideale consumistico è diventato irrealizzabile per una parte della popolazione. Chi non produce e non consuma non esiste. Ne parliamo con Umberto Galimberti, filosofo e docente universitario.

L’immaginario consumista è entrato in conflitto con una realtà sociale che non garantisce più a tutti l’accesso al paradiso delle merci e comincia a creare sacche di emarginazione. I saccheggi sono la rivendicazione del diritto al consumo e all’esistenza. Gli oggetti più desiderati sono quelli ad alto valore tecnologico, computer e smartphone. Non è un sintomo?
Vero. In questi anni il denaro è stato l’unico regolatore di tutti i valori simbolici. La società ci prevede tutti come produttori e come consumatori. Ognuno di noi non è altro che un transito di denaro, che prendiamo a fine mese con la busta paga e restituiamo alla fine del mese successivo. I giovani, quei giovani inglesi, che non si trovano in condizione di poter produrre e poter consumare, traggono un ragionamento semplice: se questa è la cultura, allora andiamo nei negozi e prendiamocele queste cose. I prodotti elettronici sono i più desiderati perché è la loro cultura, il loro spazio, il loro mondo e modo di comunicare. E per quanto concerne la violenza, è chiaro che tutti siamo contrari. Ma facciamoci carico di quanto avviene. Non è che la violenza un bel giorno esplode perché tira il vento. La violenza è il sintomo che di speranza non ne hanno più. Anche l’adolescente che sbatte la porta e se ne va, comunica che non ha più speranza in quella casa e in quella famiglia. Lo stesso avviene nella società. E’ chiaro che la violenza è sgradevole, distruttiva e che può colpire gli innocenti, però le condizioni che la provocano sono così evidenti che solo l’incuria può far sfuggire.

Franco Berardi: London calling.

di Franco Berardi. Fonte: controlacrisi
L'ultima estate all'inferno e la prima dell'insurrezione cognitaria

Ero a Liverpool il 26 ottobre 2010, quando John Osborne Ministro dell'economia del governo conservatore inglese tenne il discorso nel quale si dichiarava l'intenzione della classe politica al servizio del capitalismo finanziario inglese di devastare la società, o meglio quel che della società è rimasto dopo trent'anni di politiche neoliberiste thatcheriane e blairiane. "Cinquecentomila dipendenti pubblici saranno licenziati entro tre anni, la spesa per la sanità pubblica saranno ridotte drasticamente, le tasse universitarie saranno moltiplicate per tre" dichiarava quel giovanotto col sorriso sulle labbra. E così via. Ascolttandolo provai una sensazione molto netta: questi quarantenni che con la ridicola formula big society spacciano il neoliberismo agonizzante come se fosse un dogma indiscutibile, sono semplicemente degli incompetenti: dilettanti allo sbaraglio. Cresciuti come polli d'allevamento nelle loro scuole d'elite non sanno nulla del mondo e pensano che sia composto soltanto di numeri, indici e listini. Quando compaiono sulla scena degli esseri umani sanno dire soltanto che sono delinquenti e chiamano l'esercito. Almeno la signora Thatcher aveva dovuto scontrarsi con i rabbiosi minatori di Arthur Scargill, e quando dichiarava che la società è una cosa che non esiste, la figlia del droghiere sapeva che quell'affermazione provocatoria corrispondeva a una dichiarazione di guerra. Condusse la sua guerra contro la società e la vinse. Oggi la metropoli inglese è un inferno di macerie sociali dopo una guerra, nonostante i lustrini che Blair ha cinicamente chiamato Cool Britannia. Un inferno di precariato, sfruttamento schiavistico e miseria. Osborne non pareva chiedersi: è possibile comprimere ulteriormente la vita di milioni di giovani costretti a vivere in condizioni già insopportabili? Sembrava pensare che si trattava di prendere decisioni amministrative e aspettare che la società (che tanto non esiste) si adattasse. La sera del 26 ottobre tenni una conferenza alla Biennale di Liverpool davanti a un pubblico di artisti di strada, insegnanti sottopagati, studenti che fanno lavori precari. Dissi che a mio parere l'Europa stava morendo perché non era in grado di emanciparsi dal dogma monetarista e che entro un anno la Gran Bretagna sarebbe esplosa. E' accaduto con qualche mese di anticipo, e so per certo che è solo l'inizio. L'inizio dell'insurrezione europea.
BRITANNIA CAMBIA LE REGOLE
We are going to use rubber bullets
tear gas
water cannons
armoured cars... "NATO bombings?"

mercoledì 10 agosto 2011

I greci sono tutti così pigri come dicono?

di Vladimiro Giacché. Fonte: ilfattoquotidiano
Con oltre un anno di ritardo rispetto a quanto sarebbe stato necessario, le autorità europee hanno finalmente preso atto dell’inevitabilità di una ristrutturazione almeno parziale del debito pubblico greco. Non sono mancate note stonate: come la proposta di chiedere in pegno il Partenone, avanzata dai finlandesi. Una proposta che fa il paio col titolo comparso sul quotidiano tedesco Bild: “Vendete le vostre isole, Greci bancarottieri!”. Quello dei Greci bancarottieri è soltanto uno dei molti luoghi comuni che sono diventati popolari in Europa in questi mesi. Vediamoli.

1. I Greci lavorano troppo poco. Falso: prima della crisi i Greci lavoravano in media 44,3 ore alla settimana. La media dell’Unione Europea è di 41,7 ore, quella tedesca è di 41 ore (rilevazioni Eurostat). Secondo la banca francese Natixis il totale delle ore lavorate per addetto sono 2.119 in Grecia, 1.390 in Germania.

2. I Greci sono sempre in vacanza. Falso: i lavoratori greci godono di 23 giorni di vacanza all’anno. Il record europeo è dei Tedeschi: 30 giorni.

3. I Greci hanno stipendi troppo elevati. Falso: Il livello salariale medio in Grecia è pari al 73% della zona euro (e un quarto dei lavoratori greci guadagna meno di 750 euro al mese). Gli impiegati pubblici guadagnerebbero di più dei loro omologhi europei: ma già prima della crisi gli insegnanti, ad esempio, dopo 15 anni di servizio guadagnavano in media il 40% in meno che in Germania (Fonte: Rosa Luxemburg Stiftung).

4. I Greci hanno delle pensioni d’oro, e sono tutti baby-pensionati. Falso due volte: I lavoratori maschi vanno in pensione in media all’età di 61,9 anni. In Germania a 61,5 anni. Le presunte “pensioni d’oro”, poi, sono queste: una media di 617 euro al mese, pari al 55% della media della zona euro.

5. In Grecia c’è un’eccessiva presenza dello Stato nell’economia. Falso: Prima della crisi, tra il 2000 e il 2006, il rapporto tra spesa pubblica e Pil era sceso dal 47% al 43% e si era sempre mantenuto al di sotto del livello tedesco. Per non parlare della Svezia, il cui rapporto tra spesa pubblica e Pil negli ultimi 10 anni si è sempre mantenuto tra il 51% e il 55%.

6. I Greci hanno truccato i conti. Vero. Il deficit è sempre stato superiore al limite del 3% previsto dal Trattato di Maastricht dal 1997 in poi. I trucchi contabili sono stati evidenti sin dal 2004. Come mai nessuno ha fatto niente? Perché era funzionale agli interessi di Germania e Francia (in quanto esportatori e in quanto creditori) che la Grecia fosse nella zona euro.

7. La Grecia non è competitiva. Vero. La Grecia ha da molti anni un forte deficit della bilancia commerciale, che nel 2009 ha raggiunto il 14% del prodotto interno lordo. Questo è il vero problema della Grecia. Peccato che all’origine del problema ci sia (anche) l’euro, che ha ridotto i rischi legati al tasso di cambio tra i Paesi europei e impedito le svalutazioni competitive, favorendo così le importazioni di prodotti manifatturieri dalla Germania e accentuando la specializzazione produttiva greca in servizi non destinati all’esportazione.

8. Il debito pubblico greco è troppo elevato. Vero. E’ passato dal 115% del Pil del 2007 al 143% del 2010. La causa ultima è rappresentata dal deficit della bilancia commerciale nei confronti dell’estero: quando c’è uno squilibrio prolungato di questo genere, qualcuno deve indebitarsi; nel caso della Grecia lo Stato. Ma l’impennata recente del debito è dovuta in buona parte alle pressioni speculative, la cui responsabilità grava soprattutto sulla pessima gestione della situazione da parte delle istituzioni europee.

9. La Grecia deve risparmiare di più. Falso. A causa delle misure di austerità intraprese nel 2010, il reddito dei Greci si è ridotto in media del 20%. Allora ci si può chiedere per quale motivo il debito pubblico abbia continuato a crescere. La risposta è semplice: perché – proprio a causa delle misure di austerity – si è avuto un crollo della domanda interna (-18% a marzo 2011 rispetto a un anno prima), quindi dell’economia (65mila imprese hanno fatto bancarotta), quindi anche delle entrate fiscali per lo Stato (-1,2 miliardi di euro quest’anno rispetto alle previsioni).

10. Le privatizzazioni possono rappresentare una soluzione. Falso. Quando si deve vendere per forza il prezzo lo fa chi compra e oggi è difficile trovare compratori a prezzi non di saldo. Inoltre, quando lo Stato vende aziende profittevoli, si priva per sempre dei relativi introiti.

Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2011

Movimenti e democrazia. Un’altra rotta per l’Europa?

Donatella Della Porta. Fonte: ilmanifesto

Non c’è dubbio che la crisi in Europa è crisi di democrazia, oltre che, o anche prima ancora che, crisi finanziaria. Il neoliberismo è stato ed è, infatti, una dottrina politica che comporta—come bene ha mostrato Colin Crouch nel suo Post-Democrazie—una visione minimalista del pubblico e della democrazia. Vi è non solo la riduzione dell’intervento riequilibrante della politica sul mercato (con conseguente liberalizzazione, privatizzazioni e deregulation) ma anche una concezione elitaria della partecipazione (solo elettorale, e dunque occasionale e potenzialmente distorta) dei cittadini e una crescita invece degli spazi di influenza per le lobbies e gli interessi forti. L’evidente crisi di una concezione e pratica liberale di democrazia si accompagna comunque al (ri)emergere di diverse concezioni e pratiche di democrazia, elaborate e praticate—tra l’altro—dai movimenti che oggi in Europa si sono opposti ad una soluzione neoliberista della crisi finanziaria, accusata di deprimere ulteriormente i consumi e di allontanare quindi ogni prospettiva di sviluppo (sostenibile o meno).

Come è noto (per alcuni casi più che per altri), le misure di austerity in Islanda, Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna sono state accompagnate da proteste, durevoli e di massa. In parte queste proteste hanno preso le forme, più tradizionali, degli scioperi generali e delle manifestazioni sindacali che hanno contestato i drastici tagli ai diritti sociali e del lavoro.

Ma c’è stata anche un’altra protesta—non contrapposta alla prima, ma certamente diversa e più direttamente concentrata sui temi della democrazia: la critica a quella esistente, ma anche l’elaborazione di alternative possibili. “Democracia real ya!” è stato infatti lo slogan centrale delle proteste degli indignados spagnoli, che dal 15 maggio hanno occupato Placa del Sol a Madrid, Placa de Catalunya a Barcellona e centinaia di piazze nel resto del paese, chiedendo diverse politiche economiche e sociali, ma anche maggiore partecipazione dei cittadini alla loro formulazione e implementazione. Prima che in Spagna, in Islanda tra la fine del 2008 e l’inizio dell’anno successivo, cittadini auto-convocati avevano chiesto le dimissione del governo e dei suoi delegati nella Banca Centrale e nell’autorità sulle questioni finanziarie e in Portogallo, nel marzo del 2011, una manifestazione, convocata via face book, ha portato portato oltre duecentomila giovani portoghesi in piazza. Le proteste degli indignados hanno ispirato poi simili mobilitazioni in Grecia, dove l’opposizione alle misure di austerity si era già espresse in forme talvolta violenta.

Accusati da parte della sinistra di essere apolitici e populisti (nonché senza idee) e dalla destra di essere l’ultrasinistra, questi movimenti hanno in realtà posto al centro della loro azione quella che tempo fa (a proposito di altri movimenti) Claus Offe aveva definito come “meta questione” della democrazia.

Il discorso degli indignados sulla democrazia è articolato e complesso, riprendendo alcune principali critiche ad una sempre minore qualità delle democrazie rappresentative, ma anche alcune delle principali proposte ispirate da altre qualità democratiche, al di là della rappresentanza, basata sull’accountability elettorale. Queste proposte risuonano con le (più tradizionali) visioni partecipative, ma anche con nuove concezioni deliberative, che sottolineano l’importanza di creare molteplici spazi pubblici, egualitari ma plurali.
HIS MASTER VOICE
"And we will always be a trple A country!"

lunedì 8 agosto 2011

Zygmunt Bauman



"Finanza fuori controllo La politica non può limitarla"
Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo, teorizzatore della "società liquida"
di ANDREA MALAGUTI - LONDRA Fonte: lastampa
"Il problema centrale di questa crisi è che c’è un potere, quello finanziario, totalmente fuori controllo. Non esiste un sistema politico internazionale in grado di limitarlo».

Dunque siamo destinati al collasso e alla povertà globale?
«Non lo so. So che la mia generazione di fronte alle crisi di sistema si domandava una cosa semplice: che cosa dobbiamo fare? Adesso la domanda da porsi è un’altra, e al momento non ha risposta: a chi ci dobbiamo rivolgere per fermare la macchina?». Leeds, Inghilterra del Nord, prima periferia di questo mostro urbanistico da ottocentomila abitanti, otto minuti a piedi dall’Università. In una villetta bianca, su tre piani, circondata da una vegetazione selvaggia, Zygmunt Bauman, 86 anni, sociologo della società liquida, si siede nel salotto soffocato dai libri che fu di sua moglie Janina. «Abbiamo vissuto assieme 63 anni. Non smetterò mai di amarla». Scivola su una poltrona di pelle verde di fianco alla scrivania sistemata nel bovindo. Una luce malata inonda le vetrate che guardano il giardino. Il suo studio è al piano di sopra. E’ un uomo sottile, elegante, lungo, con un viso antico, vestito di scuro. Un girocollo grigio da esistenzialista, la giacca nera, una corona di capelli bianchi che arrivano alle spalle, la pipa rigirata tra le dita sottili, nodose, annerite dal tabacco. Ha appena finito di sfogliare il New York Times. Sul tavolino tondo, di noce, ha preparato delle fragole con la panna. «Col succo d’arancia sono straordinarie». Accavalla le gambe. «Non mi stupisce affatto quello che sta succedendo a Obama».

Perché professor Bauman?
«C’erano troppe aspettative su quell’uomo. La maggior parte erano irrealizzabili».

Secondo la stampa internazionale l’abbassamento del rating è un’umiliazione senza precedenti per gli Stati Uniti.
«Obama è un uomo. E si trova a fare i conti con una vicenda che è più grande di lui. E dà le risposte di un politico classico. Da quando è stato eletto si preoccupa più dei mercati che delle persone. Come se tra le due cose ci fosse un nesso. Ma la disoccupazione aumenta. E aumentano anche i tempi d’attesa nel passaggio da un lavoro all’altro, così come crescono i senza tetto. La povertà si moltiplica. Di sicuro neppure i neri stanno meglio».

30 Years Ago Today: The Day the Middle Class Died.

Fonte: controlacrisi

Di tanto in tanto, qualcuno con meno di 30 anni mi chiede: “quando è cominciato tutto questo? Quando l’america ha cominciato a scivolare verso il basso?” Sempre chi mi ha domandato questo mi racconta che ha sentito di un tempo quando i lavoratori potevano farsi una famiglia e mandare i figli al college, contando sulle entrate di un solo genitore (e quei college in stati come la California o New York erano praticamente gratuiti) .Un tempo in cui, chiunque voleva un lavoro pagato decentemente, poteva averlo. Quando le persone lavoravano solo 5 giorni a settimana, otto ore a giorno, avevano tutto il week end libero e le vacanze pagate ogni estate. Dove molti lavori erano sindacalizzati, dal garzone del supermercato all’imbianchino, significava che non importava quanto umile fosse il tuo lavoro ma avevi comunque la garanzia di una pensione, di aumenti di stipendio, l’assicurazione sanitaria e qualcuno a cui rivolgerti se non eri trattato in maniera corretta al lavoro.
I giovani hanno sentito di questi tempi mitologici – ma non erano un mito - erano realtà. E quando mi chiedono: quando è finito tutto questo? Io rispondo: “ E’ finito il 5 agosto 1981.
A partire dal quel giorno, 30 anni fa, le corporations e la destra decisero di tentare di vincere: volevano capire se potevano distruggere la middle class in modo da aumentare la loro ricchezza.
E ci sono riusciti.
Il 5 agosto 1981, il presidente Ronald Reagan licenziò ogni membro del sindacato dei controllori di volo (PATCO) che aveva sfidato il suo ordine di tornare al lavoro e dichiarò il loro sindacato illegale. Erano stati in sciopero per appena 2 giorni .
E’ stata una mossa audace e sfrontata. Nessuno ci aveva provato prima. La cosa che l’ha resa ancora più audace, fu il fatto che il sindacato dei controllori di volo PATCO, fu uno dei tre sindacati che avevano appoggiato la candidatura di Reagan alle presidenziali. In questo modo, lo stesso Reagan, ha mandato un segnale a tutto il paese attraverso i lavoratori. Se aveva fatto questo ai suoi alleati cosa avrebbe fatto agli altri?
Reagan è stato sostenuto da Wall Street nella sua corsa alla casa Bianca e loro, insieme con la destra Cristiana, volevano ristrutturare gli Stati Uniti e cancellare il corso avviato con il presidente Roosvelt, una strategia tesa migliorare la vita del lavoratore medio.
I ricchi odiano pagare salari più alti e dare dei benefici ai lavoratori. Odiano ancora di più pagare le tasse e disprezzano I sindacati. La destra Cristiana odia qualsiasi cosa che assomigli al socialismo o che tenda una mano alle minoranze o alle donne.

Don Ciotti per solidarizzare con Turi contro il TAV

USA: DAGONG, RISPOSTA ARROGANTE SU DEBITO MA CRISI STA PER SCOPPIARE

Pechino, 6 ago. - (Adnkronos) - Fonte: controlacrisi
La risposta degli Stati Uniti al problema del debito è stata finora «arrogante». «Ma non ci vorrà molto tempo prima che scoppi la crisi del debito sovrano Usa». Lo afferma all'ADNKRONOS Guan Jianzhong, presidente dell'agenzia di rating cinese Dagong. Il presidente dell'agenzia cinese ribadisce l'opposizione a eventuali iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve: «Un terzo round di quantitative easing - spiega - significherebbe esportare il debito degli Usa, stampando una quantità eccessiva di dollari: sarebbe un pò come placare la sete bevendo veleno». D'altronde, sottolinea Guan, se un paese «emette la valuta di riserva internazionale, gli spetta il compito di mantenerla stabile, perchè una svalutazione ad arte significa violare l'interesse dei creditori, e questo costituisce un default de facto». «Le altre agenzie - ammette - ritengono che chi ha questo diritto sulla valuta internazionale non potrà mai fallire, dal momento che potrà sempre ripagare il debito stampando più carta moneta». Invece, per Guan «per gli Stati Uniti il peso del debito è già insostenibile: continuano a contare sul diritto di emettere dollari per mantenere una continuità nel rapporto fra debitore e creditore». «Ma alla fine - commenta Guan - il biglietto verde verrà abbandonato ed allora gli Stati Uniti non potranno più chiedere prestiti. E quel che è peggio, le banconote in circolazione diventeranno carta straccia». «A giudicare dalla situazione attuale - è la conclusione dell'economista cinese - non ci vorrà molto tempo prima che scoppi la crisi del debito sovrano degli Stati Uniti». (Mge/Col/Adnkronos)

Trichet è il capo degli speculatori.

di Paolo Ferrero. Fonte: liberazione

Nella vicenda della crisi italiana, in questi giorni siamo arrivati ad un punto di passaggio politicamente rilevante. Nelle settimane scorse è cominciata la speculazione sui titoli italiani, speculazione che proseguirà nelle prossime settimane per il semplice fatto che gli speculatori agiscono a fine di guadagno e fino quando pensano di poter guadagnare continueranno a speculare. Questa speculazione, come abbiamo detto più volte, ha origine nella deregolamentazione prodotta dalle politiche neoliberiste. In particolare, si verifica in Europa e non in altre parti del mondo perché l'Europa è l'unico aggregato economico in cui la banca centrale (la Bce) finanzia le banche private, ma non gli stati sovrani, finanzia gli speculatori e non coloro che sono colpiti dalla speculazione. Infatti la Bce non compra mai i titoli degli stati europei al mercato primario (cioè direttamente alla loro emissione e al tasso di interesse base) come invece fanno la Federal Reserve negli Usa, la Banca centrale d'Inghilterra, la Banca centrale giapponese e tutte le altre banche centrali. In pratica la Bce è all'origine della speculazione finanziaria sui titoli degli stati europei e, quindi, Trichet è, a tutti gli effetti, il capo degli speculatori, colui che dà i soldi agli assassini e non li dà alle vittime.
In questi giorni sentiamo però dire che la Bce comprerà i titoli di stato italiani. Peccato che lo farà sul mercato secondario (cioè al prezzo già definito dalle pratiche speculative) e a condizioni che l'Italia faccia un lavacro sociale pari a quello subito dalla Grecia. In pratica, la Bce si rifiuta di intervenire nella fase in cui è possibile impedire che si formi il meccanismo speculativo al ribasso (come fanno invece le altre banche centrali mondiali) e invece interviene nella fase successiva a garantire l'ossigeno al moribondo a condizione che esso accetti politiche di taglio drastico del welfare. Il ruolo della Bce è quindi completamente politico ed è un ruolo che utilizza la minaccia della speculazione al fine di obbligare gli stati europei a tagliare il welfare e i diritti dei lavoratori.
Come sappiamo, il taglio del welfare e dei diritti dei lavoratori non c'entrano nulla con la lotta alla speculazione finanziaria. L'unico modo serio per batterla è inibirla in radice, vale a dire attraverso l'acquisto diretto dei titoli di stato italiani da parte della Bce. Il taglio del welfare ha invece un effetto recessivo: se tagliamo welfare e diritti il Pil scenderà e con esso le entrate fiscali. In questo modo il deficit crescerà e peggiorerà il rapporto deficit/Pil. Le politiche deflazioniste imposte dalla Bce non servono quindi a combattere la speculazione, ma a ridurre salario diretto e indiretto, cioè il costo del lavoro per unità di prodotto.

Gli stati succubi della finanza. Gli Usa? Verso il declino.

di Tonino Bucci su Liberazione del 07/08/2011. Fonte: esserecomunisti
Intervista a Guido Viale, economista e saggista

La tentazione di definirla un passaggio epocale è forte. La crisi finanziaria è arrivata ormai a travolgere anche gli stati, anche quelli che si ritenevano intoccabili. Persino gli Usa, per la prima volta nella storia, hanno subìto l'onta del declassamento da parte dell'agenzia di rating S&P. Nel mondo si accendono i contrasti tra governi. La Cina, principale creditore degli Usa, teme un deprezzamento delle sue riserve in dollari. Ne parliamo con Guido Viale, economista e saggista.

Non c'è più differenza tra stati forti e stati deboli. Tutti assoggettati alla finanza. Tutti dipendono, per il proprio debito pubblico, da investitori privati, banche e fondi. Non è così?

Esiste ancora la differenza tra stati forti e deboli. E' tutt'altro che scomparsa. La novità è che è aumentata la dipendenza di tutti gli stati - forti o deboli che siano - da quelli nel linguaggio giornalistico si chiamano i "mercati" e che, in realtà, sono i detentori del capitale finanziario. Sono le banche, gli hedge fund, le assicurazioni, i fondi pensioni e quelle aziende che investono liquidi nelle borse. Questa è la novità prodotta dalla liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati dei capitali. Prima, ad eccezione degli Stati Uniti, la maggior parte dei buoni del tesoro e dei titoli di stato venivano venduti all'interno di ciascun paese ed erano detenuti, grosso modo, dai singoli risparmiatori. Oggi non è più così. Sono le banche che manovrano i soldi dei singoli risparmiatori privati.

Di quali strumenti possono disporre allora oggi gli stati per mettersi al riparo dalle speculazioni dei "mercati"? Nel caso dell'Ue i paesi membri non possono più ricorrere alla svalutazione e all'inflazione. Cosa rimane da fare?

L'euro ha privato gli stati membri di due strumenti di manovra economica, l'inflazione e la svalutazione, appunto, senza però trasferire quegli strumenti nelle mani di un altro organismo pubblico e di governo. Le redini della politica economica sono state consegnate nelle mani di investitori, speculatori e detentori di fondi. Non è così negli altri stati. Non a caso, il principale strumento di cui dispongono gli altri governi è il default. Non è vero che non si può fare. L'ha fatto con successo l'Islanda, per esempio, e si è ripresa in pieno. L'ha fatto anche l'Argentina. Se viene decisa e governata da un governo, quella del default è una strada percorribile. Lasci il cerino acceso in mano ai creditori e a quelli che hanno investito e speculato sulle risorse pubbliche.
STOCK EXCHANGE CONTROL

domenica 7 agosto 2011

SIAMO GOVERNATI DAL GOVERNO TECNICO SOVRANAZIONALE. E' ORA D'INSORGERE!





Con una naturalezza che lascia sbigottiti oggi Mario Monti dalle pagine del corriere della sera dice quello che nessuno ha il coraggio di dire, nè da parte del Governo nè da parte dell'opposizione. Siamo governati da un governo tecnico sovranazionale. Mercatista e delle banche, il cui centro è fra Londra, Berlino e New York e Bruxelles. Il golpe monetario in atto, che noi di controlacrisi.org - in beata solitudine - abbiamo segnalato fin dallo scorso anno nel meccanismo dell'Euro Plus Pact, è oramai compiuto ed operativo. Banche e padroni, governi e ammucchiate bipartisan stanno facendo di tutto per far pagare la crisi al popolo per difendere i propri interessi. LA crisi di queste settimane nel nostro paese rende semplicemente più evidente la forma, accellera il processo, ma la struttura era già confezionata dal marzo scorso. Se la sovranità di una nazione spetta al popolo, è ora che il popolo se la riprenda. Non possiamo lasciare il futuro dei nostri figli a questa cricca di banchieri e speculatori che prima ha prodotto il debito odioso ed ora vuol farlo pagare a noi. Nelle prossime settimane stracceranno la nostra costituzione nata dalla resistenza per affermare la supremazia del mercato. L'Italia non sarà più una repubblica fondata sul lavoro ma una nazione sotto occupazione monetaria fondata sul vincolo di bilancio. E' ora d'insorgere, organizziamo l'Ottobre.


CRISI: MONTI, DECISIONI PRESE DA UN GOVERNO TECNICO SOVRANAZIONALE = Roma, 7 ago. (Adnkronos) - «Il governo e la maggioranza, dopo aver rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo aver rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un 'governo tecnicò. Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un 'governo tecnico sovranazionalè e, si potrebbe aggiungere, 'mercatistà, con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York». Lo scrive sul 'Corriere della Serà, Mario Monti.

AZZERARE IL DEBITO, USCIRE DALL'EURO

Fonte: vecchiatalpa2
Intervista a Luciano Vasapollo di Fabrizio Salvatori
D. Professor Luciano Vasapollo, gli sconvolgimenti a cui stiamo assistendo in questo periodo sul piano finanziario sono più profondi di quanto sembrino?

R. Se dovessi dare un titolo a questa domanda direi «niente di nuovo sul fronte occidentale». Tutto quello che appare come qualcosa di nuovo, come il default degli Stati Uniti, in realtà va avanti da Bretton Woods del 1971. Con la fine degli accordi gli Usa decidono in base al loro potere politico e militare di imporre il proprio indebitamento come modello di sviluppo che ne scarica il costo sugli altri: debito privato, debito pubblico, e consumo sostenuto dal mix tra debito interno ed esterno, avendo molto deboli i cosiddetti fondamentali macroeconomici e un'economia reale che già da allora mostrava i caratteri della crisi strutturale e sistemica.

Cosa è cambiato nell'odierno scenario?

Dopo la caduta del muro di Berlino si apre una fase di guida unipolare del mondo basata sullo strapotere politico e militare Usa, che con l'imposizione dell'acquisto dei titoli di debito Usa imponevano il sostenimento della loro crescita retta sull'indebitamento e sull'economia di guerra. Poi si apre la fase che a suo tempo definimmo non di globalizzazione ma di competizione globale, basata non sul modello importatore degli americani ma con l'Europa che cerca i suoi spazi di affermazione economica puntando sul ruolo internazionale con una forte posizione di esportatore svolto dalla Germania. Lo stesso modello di economia basata sulla esportazione viene realizzato dalla Cina, che grazie al suo avanzo nella bilancia dei pagamenti decide di diventare il maggior compratore del debito statunitense.

Ad un certo punto, però, qualcuno presenta il conto…

Quando scoppia la crisi dei subprime negli Usa, la crisi volutamente viene evidenziata come crisi di carattere finanziario per lo scoppio delle bolle speculative immobiliari e finanziarie, ma è semplicemente la punta dell'iceberg che evidenzia una crisi dell'economia reale nei meccanismi stessi dell'accumulazione: sono cioè gli stessi meccanismi del modo di produzione capitalistico che si sono inceppati già dai primi anni ‘70 e che dimostrano che la crisi è irreversibile ed è di carattere sistemico. E' evidente che hanno cercato di coprire la crisi dell'economia che si porta dietro il carattere della strutturalità e sistemicità.

Nel mentre la finanziarizzazione ha allargato il giro segnando l'arrivo dei paesi in via di sviluppo.

C'è da dire che il modello esportatore tedesco ha ormai sempre più bisogno di importatori anche direttamente europei ed è così che la Germania deve investire l'avanzo che matura comprando titoli dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) che sono costretti sempre più ad indebitarsi per rispondere alle regole dell'euro, soffocando le proprie economie e massacrando il mondo del lavoro per garantire che la "questione" dell'euro rimanga funzionale allo sviluppo esportatore della Germania e, in seconda battuta, agli interessi francesi. Gli stessi Stati Uniti hanno un indebitamento in parte sostenuto dalla Germania oltre che dalla Cina. La competizione però oggi è sempre più alta e i Brics vogliono il loro spazio. Gli Usa così non hanno più la forza politica e militare per imporre il loro modello di sviluppo al mondo basato sul loro indebitamento. Oggi il presidente degli Usa è costretto a chiedere l'innalzamento del debito proprio per questo, perché sa che fuori dai suoi confini non troverebbe tanti soggetti disposti a finanziare il suo paese in base al precedente modello economico. E' la prova che è finito il mondo a guida unipolare basato sull'egemonia statunitense.

E se non pagassimo il debito?

di Salvatore Cannavo'. Fonte: ilfattoquotidiano
La decisione del governo Berlusconi di anticipare la manovra, rispondendo così ai diktat di Bce e “mercati internazionali” svela le ipocrisie e le litanie dell’ultimo mese: la crisi economica si traduce in quello che era lecito immaginarsi, l’ennesimo “massacro sociale” prodotto dalla corsa sfrenata ai profitti di un capitalismo al palo che non riesce a garantire più né benessere né un futuro degno. Si può certo puntare il dito contro il debito pubblico italiano, il terzo debito del mondo ma senza dimenticare due dati. Quel debito c’era anche un mese fa, un anno fa, tre anni fa e non ha prodotto nessun attacco speculativo, nessuna crisi emergenziale. Secondo, quel debito è la misura non solo della dissennatezza della politica italiana degli ultimi trent’anni ma anche di una gigantesca redistribuzione del reddito dai salari, stipendi e pensioni ai profitti delle grandi banche e della società finanziarie internazionali che detengono gran parte del debito italiano. E’ dunque utile cercare di guardare la sostanza dei problemi.

Negli ultimi due decenni il capitalismo, grazie alla spinta delle politiche dominanti, portate avanti da governi di centrodestra e centrosinistra, ha cercato di salvare sé stesso e la sua assenza di spinta propulsiva accumulando una valanga di debiti. Gli economisti più avvertiti spiegano bene che la lievitazione di “sub-prime” e similari è servita per compensare l’assenza di investimenti produttivi in grado di tenere alti i profitti. Solo che, a un certo punto, per evitare il collasso del sistema, i governi si sono accollati la mole di questi debiti trasferendoli sui bilanci pubblici. Oggi il conto è presentato a lavoratori e lavoratrici, a giovani precari, a donne e pensionati. Non è un caso se l’unica misura concreta presa dal governo Berlusconi sia quella di anticipare il taglio delle agevolazioni fiscali e assistenziali, cioè le misure che interessano la maggioranza della popolazione, spesso quella che paga le tasse e che vive del proprio lavoro. Allo stesso tempo neanche un euro viene prelevato dalle tasche delle fasce più ricche.

A questa decisione, “ordinata” dalla Bce e dai suoi controllori, l’opposizione parlamentare non sa cosa rispondere, balbetta frasi incomprensibili oscillanti tra il senso di responsabilità ordinato dal presidente Napolitano e la necessità di segnalare una diversità che non esiste. Il Parlamento non offrirà risposte né sorprese interessanti visto che si è messo sotto tutela della banche e della finanza.

C'è una nuova superpotenza

di Marco d'Eramo. Fonte: ilmanifesto
È nata una nuova superpotenza. Non è la Cina. Non è neanche uno stato sovrano. Non ha eserciti, eppure ci ha appena dimostrato che è capace di piegare anche la nazione che possiede il più devastante arsenale nucleare. Questa nuova superpotenza è un'agenzia di rating, cioè una ditta privata che valuta il livello di rischio rappresentato dall'investire in un'azione, in una valuta, in un'obbligazione. Più basso il voto (il rating), più alto il rischio e quindi più alta deve essere la remunerazione (il rendimento dei Btp per esempio).
Sapevamo già che il posto di lavoro di un insegnante greco, la pensione di un'infermiera spagnola o il ticket sanitario degli italiani dipendeva dai giudizi di queste agenzie, Moody's o Standard & Poor's (S&P's). Ma dubitavamo che potessero soggiogare anche gli orgogliosi Stati uniti, anche la «nuova Roma». E invece ci sbagliavamo.
Quando venerdì sera S&P's ha declassato il debito statunitense dalla tripla A (AAA) a AA+, un'era si è conclusa. Fino a pochissimi anni fa le agenzie di rating erano considerate, a ragione, il braccio armato del Tesoro statunitense nell'arena dell'economia mondiale. Come tali agirono per esempio durante la crisi messicana (1994), prima e durante quella asiatica (1997). Più di recente assecondarono la politica Usa di lasciare briglia sciolta alla bolla immobiliare Usa, dando voti altissimi non solo ai pacchetti finanziari in cui erano confezionati i mutui subprime, ma anche alla banca Lehman Brothers fino a poco prima che fallisse clamorosamente nel settembre 2008, innescando così la grande crisi.
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