da Militant. Fonte: informazioneconsapevole
L’Italia, non da oggi, è di fatto commissariata dalla BCE, sperando che non arrivi il turno del Fondo Monetario Internazionale. La politica in quanto tale non conta più nulla, ogni decisione economica (cioè le uniche decisioni che dettano l’indirizzo di un governo e marcano le differenze fra destra e sinistra) vengono prese direttamente dalla sede della Banca Centrale Europea, nonché dai famigerati mercati. Vediamone le conseguenze.
Quella che salta agli occhi più nettamente è che questa cosiddetta crisi finanziaria, o attacco speculativo all’Italia, ha di fatto sospeso la democrazia nel nostro paese, dopo averlo fatto con la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna (più altre decine di stati “sovrani” in giro per il mondo nelle mani del FMI). I governi in carica non hanno la possibilità di decidere alcunché; proprio come negli anni belli delle dittature latinoamericane, chi decide quali politiche attuare sono alcune strutture economiche controllate dai fondi d’investimento, dalle grandi multinazionali e da alcune grandi banche. E’ in atto un colpo di stato contro la democrazia occidentale, che si sta sperimentando nei paesi più esposti per “sondare” il terreno. La politica, fino a prova contraria, è l’unico strumento che può realizzare lo sviluppo democratico di un territorio. Se la politica non influisce più, se gli si tolgono gli strumenti per governare, ci sono buoni motivi per avere paura. Proprio quella che dovremmo avere tutti noi in questo momento. Abbiamo gridato (giustamente) al fascismo di ritorno nel quale stavamo sprofondando, al neoliberismo che ci governava, a una democrazia svuotata di significato e contenuti. Ma non è niente rispetto a quello che potrebbe accadere se l’Italia accettasse gli aiuti internazionali.
Altro piccolo problema: è stato preparato da mesi il terreno culturale per questo colpo di stato strisciante. Da tempo, e specialmente in questi ultimi giorni, è in atto una equiparazione semantica fra i concetti di “mercato” e “cittadini”. I mercati che bocciano la finanziaria italiana vengono dipinti come insieme di cittadini, risparmiatori, contribuenti, investitori, che bocciano la politica del governo. Un crollo a Piazza Affari viene equiparato ad un sondaggio contro Berlusconi. L’unica soluzione proposta per porre fine a questa ondata speculativa viene individuata nel governo tecnico. E invece i mercati non sono i cittadini, non sono i risparmiatori, non sono gli investitori privati. I mercati azionari non sono formati dai cittadini, il cittadino non investe in borsa. La borsa è il terreno in cui si operano le plusvalenze fra le grandi società azionarie. E’ il terreno della finanza. Il cittadino non ha accesso alla borsa. Tutt’al più, quei pochi cittadini che hanno ancora soldi da parte e intendono investirli in banca comprano i Buoni del Tesoro. Nessuno gioca con la borsa, e soprattutto non sono quelli che determinano perdite o ricavi con le loro vendite. Le borse sono il terreno di caccia dei grandi fondi speculativi, che vendendo o comprando in blocco milioni di euro in titoli determinano le perdite o i guadagni in borsa.
Nessun insieme di cittadini, italiani o esteri, sta bocciando l’Italia. Sono i grandi fondi speculativi, lo ribadiamo per l’ennesima volta, che stanno provando a debilitare il sistema finanziario italiano per poi passare al raccolto, cioè al commissariamento del paese, l’intervento dei fondi salva stati e del FMI, con conseguente svendita e privatizzazione di tutta l’industria nazionale. E’ un gioco che è andato avanti per un secolo intero in altre parti del mondo, dall’Asia all’America Latina all’Africa.
I mercati quindi non sono il termometro dell’opinione pubblica verso il governo. Questa infame ricostruzione ideologica ha però ormai pervaso ogni racconto pubblico di ciò che sta accadendo. Ogni analisi parte dal presupposto che il governo deve dare fiducia ai mercati, oppure sondare l’umore degli investitori, o anche rispondere agli stimoli provenienti dalle borse. E’ una delle più false (e riuscite) intossicazioni della percezione pubblica di ciò che sta accadendo.
Incredibilmente, in questo teatro del non-sense che è l’Italia, tutti questi discorsi che abbiamo fatto li sta facendo il centrodestra, che è costretto a ribattere a tutte le accuse assurde che gli vengono rivolte dal centrosinistra. Nel nostro paese è il centrosinistra il portavoce dei mercati, dei governi tecnici, dei tagli al welfare, dei pareggi di bilancio, della controriforma delle pensioni, della controriforma continua del mercato del lavoro; mentre al centrodestra è lasciato il compito di ribattere politicamente a queste accuse dicendo paradossalmente una parte della verità: l’attacco finanziario all’Italia è appunto fatto dai grossi speculatori internazionali, che non sono i cittadini che hanno paura e vendono azioni, ma sono i fondi d’investimento che muovono milioni di azioni e determinano il quadro finanziario del nostro paese.
Proprio per questa ragione, l’Italia è l’unico paese del mondo che non sta protestando contro la crisi e i suoi effetti, ma avalla unanimemente la cura neoliberista, come la CGIL, che firma senza vergogna il documento di smantellamento dello stato sociale con la Confindustria. Protestano in tutti i paesi d’Europa sotto attacco, tranne che in Italia. La ragione, come abbiamo detto prima, è che il portavoce del governo BCE-FMI è proprio il centrosinistra. A fronte di un centrodestra impegnato a smentire questa falsissima lettura della situazione.
Le opzioni invocate in questi giorni come rimedi necessari per fare fronte alla crisi sono le solite di questo infame trentennio: la riforma del mercato del lavoro, come se non fosse stato riformato a più riprese in questi anni e sempre in chiave neoliberista e precarizzante; l’aumento dell’età pensionabile, da portare a settant’anni; il taglio netto dello stato sociale; e, infine, la cosa più ridicola del mondo: i tagli alla politica e la soppressione delle province. Come se non esistessero le province in tutto il mondo (in Francia hanno addirittura le elezioni cantonali, si avete capito bene, oltre a regioni, dipartimenti e comuni hanno anche i cantoni); come se tagliare cento o duecento deputati sia un possibile palliativo a questa crisi.
Questo è il dramma culturale in cui siamo sprofondati, cercare di uscire dalla crisi chiedendo una “moralizzazione” della politica, senza contare il panorama politico in cui le opposizioni di centrosinistra appoggiano le ricette neoliberiste e il governo di centrodestra che non sa cosa dire. E’ il capolavoro culturale del capitale: quello di comprendere in sé ogni forma di opzione politica presente su un territorio. Destra e sinistra non hanno più ragion d’essere, sono due fazioni politiche del neoliberismo che governa l’Italia. E chi dovrebbe stare all’esterno di questo teatrino neoliberista, tenta di guadagnarsi una sua visibilità cercando l’accordo proprio con chi è complice di tutto ciò che sta accadendo nel nostro paese. Invece di rivendicare, oggi più che mai, una nostra effettiva autonomia politica, ci dibattiamo ancora su quale strategia elettorale portare avanti per abbattere Berlusconi. Stiamo ancora a Berlusconi, non avendo capito che la democrazia in Italia potrebbe non essere più una cosa scontata.
L’Italia, non da oggi, è di fatto commissariata dalla BCE, sperando che non arrivi il turno del Fondo Monetario Internazionale. La politica in quanto tale non conta più nulla, ogni decisione economica (cioè le uniche decisioni che dettano l’indirizzo di un governo e marcano le differenze fra destra e sinistra) vengono prese direttamente dalla sede della Banca Centrale Europea, nonché dai famigerati mercati. Vediamone le conseguenze.
Quella che salta agli occhi più nettamente è che questa cosiddetta crisi finanziaria, o attacco speculativo all’Italia, ha di fatto sospeso la democrazia nel nostro paese, dopo averlo fatto con la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna (più altre decine di stati “sovrani” in giro per il mondo nelle mani del FMI). I governi in carica non hanno la possibilità di decidere alcunché; proprio come negli anni belli delle dittature latinoamericane, chi decide quali politiche attuare sono alcune strutture economiche controllate dai fondi d’investimento, dalle grandi multinazionali e da alcune grandi banche. E’ in atto un colpo di stato contro la democrazia occidentale, che si sta sperimentando nei paesi più esposti per “sondare” il terreno. La politica, fino a prova contraria, è l’unico strumento che può realizzare lo sviluppo democratico di un territorio. Se la politica non influisce più, se gli si tolgono gli strumenti per governare, ci sono buoni motivi per avere paura. Proprio quella che dovremmo avere tutti noi in questo momento. Abbiamo gridato (giustamente) al fascismo di ritorno nel quale stavamo sprofondando, al neoliberismo che ci governava, a una democrazia svuotata di significato e contenuti. Ma non è niente rispetto a quello che potrebbe accadere se l’Italia accettasse gli aiuti internazionali.
Altro piccolo problema: è stato preparato da mesi il terreno culturale per questo colpo di stato strisciante. Da tempo, e specialmente in questi ultimi giorni, è in atto una equiparazione semantica fra i concetti di “mercato” e “cittadini”. I mercati che bocciano la finanziaria italiana vengono dipinti come insieme di cittadini, risparmiatori, contribuenti, investitori, che bocciano la politica del governo. Un crollo a Piazza Affari viene equiparato ad un sondaggio contro Berlusconi. L’unica soluzione proposta per porre fine a questa ondata speculativa viene individuata nel governo tecnico. E invece i mercati non sono i cittadini, non sono i risparmiatori, non sono gli investitori privati. I mercati azionari non sono formati dai cittadini, il cittadino non investe in borsa. La borsa è il terreno in cui si operano le plusvalenze fra le grandi società azionarie. E’ il terreno della finanza. Il cittadino non ha accesso alla borsa. Tutt’al più, quei pochi cittadini che hanno ancora soldi da parte e intendono investirli in banca comprano i Buoni del Tesoro. Nessuno gioca con la borsa, e soprattutto non sono quelli che determinano perdite o ricavi con le loro vendite. Le borse sono il terreno di caccia dei grandi fondi speculativi, che vendendo o comprando in blocco milioni di euro in titoli determinano le perdite o i guadagni in borsa.
Nessun insieme di cittadini, italiani o esteri, sta bocciando l’Italia. Sono i grandi fondi speculativi, lo ribadiamo per l’ennesima volta, che stanno provando a debilitare il sistema finanziario italiano per poi passare al raccolto, cioè al commissariamento del paese, l’intervento dei fondi salva stati e del FMI, con conseguente svendita e privatizzazione di tutta l’industria nazionale. E’ un gioco che è andato avanti per un secolo intero in altre parti del mondo, dall’Asia all’America Latina all’Africa.
I mercati quindi non sono il termometro dell’opinione pubblica verso il governo. Questa infame ricostruzione ideologica ha però ormai pervaso ogni racconto pubblico di ciò che sta accadendo. Ogni analisi parte dal presupposto che il governo deve dare fiducia ai mercati, oppure sondare l’umore degli investitori, o anche rispondere agli stimoli provenienti dalle borse. E’ una delle più false (e riuscite) intossicazioni della percezione pubblica di ciò che sta accadendo.
Incredibilmente, in questo teatro del non-sense che è l’Italia, tutti questi discorsi che abbiamo fatto li sta facendo il centrodestra, che è costretto a ribattere a tutte le accuse assurde che gli vengono rivolte dal centrosinistra. Nel nostro paese è il centrosinistra il portavoce dei mercati, dei governi tecnici, dei tagli al welfare, dei pareggi di bilancio, della controriforma delle pensioni, della controriforma continua del mercato del lavoro; mentre al centrodestra è lasciato il compito di ribattere politicamente a queste accuse dicendo paradossalmente una parte della verità: l’attacco finanziario all’Italia è appunto fatto dai grossi speculatori internazionali, che non sono i cittadini che hanno paura e vendono azioni, ma sono i fondi d’investimento che muovono milioni di azioni e determinano il quadro finanziario del nostro paese.
Proprio per questa ragione, l’Italia è l’unico paese del mondo che non sta protestando contro la crisi e i suoi effetti, ma avalla unanimemente la cura neoliberista, come la CGIL, che firma senza vergogna il documento di smantellamento dello stato sociale con la Confindustria. Protestano in tutti i paesi d’Europa sotto attacco, tranne che in Italia. La ragione, come abbiamo detto prima, è che il portavoce del governo BCE-FMI è proprio il centrosinistra. A fronte di un centrodestra impegnato a smentire questa falsissima lettura della situazione.
Le opzioni invocate in questi giorni come rimedi necessari per fare fronte alla crisi sono le solite di questo infame trentennio: la riforma del mercato del lavoro, come se non fosse stato riformato a più riprese in questi anni e sempre in chiave neoliberista e precarizzante; l’aumento dell’età pensionabile, da portare a settant’anni; il taglio netto dello stato sociale; e, infine, la cosa più ridicola del mondo: i tagli alla politica e la soppressione delle province. Come se non esistessero le province in tutto il mondo (in Francia hanno addirittura le elezioni cantonali, si avete capito bene, oltre a regioni, dipartimenti e comuni hanno anche i cantoni); come se tagliare cento o duecento deputati sia un possibile palliativo a questa crisi.
Questo è il dramma culturale in cui siamo sprofondati, cercare di uscire dalla crisi chiedendo una “moralizzazione” della politica, senza contare il panorama politico in cui le opposizioni di centrosinistra appoggiano le ricette neoliberiste e il governo di centrodestra che non sa cosa dire. E’ il capolavoro culturale del capitale: quello di comprendere in sé ogni forma di opzione politica presente su un territorio. Destra e sinistra non hanno più ragion d’essere, sono due fazioni politiche del neoliberismo che governa l’Italia. E chi dovrebbe stare all’esterno di questo teatrino neoliberista, tenta di guadagnarsi una sua visibilità cercando l’accordo proprio con chi è complice di tutto ciò che sta accadendo nel nostro paese. Invece di rivendicare, oggi più che mai, una nostra effettiva autonomia politica, ci dibattiamo ancora su quale strategia elettorale portare avanti per abbattere Berlusconi. Stiamo ancora a Berlusconi, non avendo capito che la democrazia in Italia potrebbe non essere più una cosa scontata.
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