Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 2 marzo 2013

Nata una vera forza di opposizione


UNA SANA OPPOSIZIONE, FINALMENTE!

Claudio Greppi - ReTedeicomitati -

In questi giorni tutti si cimentano in ipotesi di maggioranza. Si
contano i seggi in Camera e in Senato, si fanno calcoli di alleanze
più o meno spurie. Ma la novità di queste elezioni è che potrebbe
essere nata una vera forza di opposizione: non ideologica ma
pragmatica, che sembra volersi assumere il compito di confrontarsi con
le mosse del potere e quando possibile bloccarle. Capace forse di
esercitare il potere negativo che è stato evocato come base di un
nuovo modo di azione popolare: "La sovranità dell'opinione o del
giudizio pubblico si manifesta non solo per via di consenso ma anche
per mezzo del dissenso e della critica e tiene insieme la società
attraverso una dinamica ininterrotta di reazioni della società civile
alle azioni del sistema rappresentativo controbilanciando con un
potere negativo l'autorità formale delle istituzioni". Questa la
citazione di Nadia Urbinati che avevo letto nella mia introduzione
all'assemblea della Rete del 3 febbraio, e che è passata piuttosto
inosservata.
Due ulteriori considerazioni:
- guardando indietro, ci si accorge che una vera opposizione non c'è
più stata, in Italia, per lo meno dai tempi dell'unità nazionale di
Berlinguer. I rapporti fra maggioranza e minoranza si sono fatti
sempre più simili a quelli fra due alleati che di comune accordo si
spartiscono la torta del potere. Questa la linea che da qualche anno
molti identificano nella malefica figura di Massimo D'Alema, ma che
non riguarda soltanto lui. La morale, come si sa, è che l'unica
opposizione in questi anni è stata quella della magistratura, con
tutto il pasticcio che ne deriva.
- Se la linea non è molto cambiata è anche perché l'interesse è
reciproco: dove il potere sta a sinistra, nell'Italia di mezzo, alla
destra non par vero di essere ammessa a partecipare alla gestione
degli affari, vedi il caso MPS. La destra, in Toscana, rinuncia
persino a fare campagna elettorale, perché le cose vanno bene così
come sono. Nei contesti amministrativi, fino al livello comunale,
maggioranza e minoranza sono molto spesso colluse nell'adesione
subalterna al mondo degli affari.
E' vero che il risultato elettorale è un grande pasticcio e che al
Senato la situazione è complessa: lì un modello "siciliano", con i
5stelle disponibili a sostenere le misure che corrispondono al proprio
programma, non è praticabile. Un governo in qualche modo andrebbe
votato: ma il coro che si è levato a favore di un'alleanza – più o
meno stabile – fra centrosinistra e grillini io lo trovo piuttosto
stonato. Verrebbe meno il ruolo di opposizione che il Movimento 5
stelle è chiamato a rappresentare, sarebbe un'altra forma di
consociativismo, anche se spostata più avanti. Al Senato dovranno
trovare un escamotage, per non perdere di vista il senso della
consultazione elettorale: una maggioranza (risicata, ma pur sempre
visibile) di centrosinistra e un'opposizione di 5 stelle, con la
destra finalmente in angolo.
Alla Camera questi rapporti sono accentuati per via del porcello, e la
situazione somiglia molto a quella che si potrebbe verificare in
Toscana alle prossime amministrative. Ce la immaginiamo, una Toscana
dove esistesse anche a livello istituzionale una vera e propria
opposizione? Vorrebbe dire contestare tutte le peggiori scelte di
governo del territorio, della Regione come dei singoli Comuni.
Vorrebbe dire incidere sulla realtà in modo molto più incisivo,
superare il carattere effimero dei movimenti di protesta, che nascono
e si esauriscono. Un corto circuito fra dentro e fuori, fra
rappresentanze e comitati di cittadini: ecco la prospettiva di una
partecipazione concreta per esercitare efficacemente il potere
negativo.
Un'ultima cosa: qualcuno ha evocato Renzi, a proposito dell'insuccesso
di Bersani e della difficoltà di formare un governo, Ah, se c'era
Renzi! Ah, se Napolitano incaricasse Renzi! Ma la retorica della
rottamazione non dice nulla sulle cose da fare. Renzi, lo conosciamo,
vuol dire tunnel e stazione Foster, pista parallela, speculazioni
urbanistiche varie: l'esatto opposto del programma del Movimento 5
stelle! Al quale, alla fino lo posso dire, ho dato il mio modesto
voto.

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Postato da ReTe dei comitati su Elezioni il 3/01/2013 02:28:00 AM

venerdì 1 marzo 2013

"Solo unificandoci possiamo superare la crisi di credibilità". Intervento di Domenico Moro

Autore: domenico moro
    
Questa è la seconda volta che andiamo al tappeto e per la seconda volta bisognerà provare a rialzarsi. Come nel pugilato, solo chi è veramente determinato riesce a farlo. Tuttavia, rialzarsi per continuare a incassare pugni come un pugile suonato sarebbe assurdo. Quando si va al tappeto non ci si rialza subito, si aspetta il conteggio dell’arbitro, sfruttando ogni secondo per riprendere fiato e lucidità. Ecco, riprendere fiato, per noi, vuol dire ragionare a mente fredda e cercare di capire il perché e il percome è successo un’altra volta.
Nessuno ha la verità in tasca. Tuttavia, cerchiamo di vedere se è possibile individuare dei fatti precisi da cui partire. In primo luogo cosa dimostrano queste elezioni? A mio modo di vedere, dimostrano tre cose. Primo, il bipolarismo è fallito. Secondo, il governo Monti e la maggioranza che lo sosteneva sono stati bocciati. Terzo l’Europa stessa – o meglio l’europeismo dei mercati finanziari - è stata bocciata.
I dati e i numeri non si prestano a interpretazioni diverse. Le forze che hanno sostenuto il governo Monti hanno subito salassi qualche volta mortali. Lo stesso recupero di Berlusconi, che pure c’è stato, è in realtà molto relativo. Come partito il Pdl passa dai 13,6 milioni di voti del 2008 ai 7,3 del 2013, perdendo quasi la metà dei suffragi. Come coalizione Berlusconi perde la bellezza di 7,1 milioni, passando dal 46,8% al 29,1%. Il Pd perde meno ma subisce sempre un salasso incredibile passando dai 12 milioni agli 8,6 milioni e come coalizione perde 3,6 milioni di voti, passando dal 37,6% al 29,5%. Il risultato, ben al di sotto delle aspettative, del centro di Monti, fino all’altro ieri ritenuto il salvatore della patria, e la cancellazione dal panorama politico di Casini e Fini completa il quadro di bocciatura della grande coalizione che ha sostenuto il governo Monti ed implementato le politiche europee. Il pareggio tra i due vecchi poli, soprattutto l’emergere del polo di Grillo e, sebbene in misura minore, il consolidarsi di un centro al 10%, suona la campana a morto per il bipolarismo in sé stesso. Ma c’è un altro elemento fondamentale che si lega alla fine del bipolarismo, al crollo dei partiti tradizionali e di cui bisogna tenere conto, e che invece sembra passare inosservato. Si tratta dell’aumento dell’astensionismo, una tendenza storica ormai consolidata che neanche la straordinaria affermazione di Grillo è riuscita ad invertire. La partecipazione al voto – senza contare le schede bianche o annullate – è passata dall’83,6% del 2006, all’80,5% del 2008 e al 75,2% del 2013. In valore assoluto gli astenuti sono passati da 7,7 a 9,2 e a 11,7 milioni. 2,5 milioni in più solo tra le ultime due elezioni.
Per quanto possa sembrare paradossale il vero grande sconfitto da questa competizione è il capitale finanziario transnazionale. Il suo candidato era il ticket Bersani-Monti, come detto chiaramente nell’editoriale del 16-22 febbraio di The Economist, la più autorevole espressione di questo settore. Ora, il problema, per questi signori, è che è saltato il feticcio della “governabilità”, in altre parole la possibilità di implementare le politiche europee, dal fiscal compact alle varie controriforme. Di fatto, gli italiani col loro voto per Grillo, fregandosene di spread e governabilità, hanno fatto saltare i piani europei, in una sorta di referendum implicito sull’euro, e hanno lasciato il capitale senza un sistema politico funzionale.
A questo punto c’è da domandarsi perché gli italiani che hanno bocciato il governo Monti e l’Europa hanno concentrato il loro voto su Grillo e non hanno votato noi. Anzi, per la sinistra è stata una debacle generale, che coinvolge tutti e prosegue la tendenza emersa già tra 2008 e 2006, quando si persero più di 3 milioni di voti, come effetto della partecipazione al governo Prodi. Nel 2008 Idv, Prc (che comprendeva Sel), PdCI e verdi presero il 7,5%, oggi il 5,4%, passando dai 2,7 milioni del 2008 a poco più 1,8 milioni. Eppure, questa volta eravamo fuori dal Parlamento e ci siamo schierati contro Monti. Quindi, perché? La risposta è complessa e semplice insieme: abbiamo perso credibilità già da tempo e negli ultimi tempi non siamo riusciti a recuperarla, diminuendola ancora.
Vanno evitati due errori di semplificazione, dare la colpa ad un elettorato ottuso (o che non ci capisce o che segue le mode) e al voto utile. È evidente che noi facciamo i contri con la realtà e che questa in questa fase storica non ci è favorevole, per molte ragioni. Tuttavia, dobbiamo capire in primo luogo quali sono i nostri limiti, visto che è su questi che abbiamo maggiore potere di agire. E questo non per fare recriminazioni inutili o autoflagellarsi, ma per andare avanti costruttivamente. Dal mio punto di vista, se i lavoratori non ti votano (e a questi livelli), vuol dire che qualcosa hai sbagliato anche tu.
Il primo grosso limite è stato quello di non essere riusciti ad esprimere una linea coerente con quello che dicevamo e per giunta altalenante. È vero che ci siamo schierati contro Monti, però abbiamo cercato con insistenza un accordo con il partito che ha rappresentato il maggior sostegno al governo Monti e che di fatto esprimeva un evidente allineamento alle politiche europeiste, più di Berlusconi. Anche quando il Pd aveva rifiutato più volte le nostre offerte e si era formata la lista Rivoluzione Civile, Ingroia, almeno fino ad un certo punto, ha continuato a lanciare offerte di collaborazione con il Pd. Praticamente il correre da soli non è apparso come il risultato coerente di una scelta politica, ma come una specie di ripiego, dovuto al rifiuto del Pd. Un rifiuto che fra l’altro era molto prevedibile, data la manifesta volontà di quel partito di allinearsi alle politiche europee e di prepararsi all’alleanza post-elezioni con Monti. Tutto questo e, non ultime, le divisioni interne alla Fds - di fatto spaccata e ricomposta in extremis in RC – non hanno prodotto, anche prima della campagna elettorale, un attivismo e una visibilità adeguati. E, soprattutto non potevano non disorientare il nostro elettorato potenziale, che, infatti, in gran parte o si è astenuto o è andato con Grillo. Semmai hanno rafforzato in taluni l’idea di una disponibilità post-elettorale a ritornare ai vecchi compromessi.
Il secondo limite sta nel carattere della campagna elettorale di Rivoluzione civile, che, nonostante gli sforzi di alcuni, è rimasta incentrata sulla legalità (non che non sia importante ma non siamo stati capaci - nè lo poteva essere Ingroia, catapultato dalle aule di tribunale all’arena politica - a legare la questione della legalità all'economia e alla questione sociale), mentre siamo nella peggiore crisi economica dalla fine della guerra e la gente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.
Il terzo limite, in una campagna elettorale e in una politica in cui conta sempre di più la comunicazione (ed in presenza di veri maestri del settore come Grillo e Berlusconi), è il fatto che abbiamo presentato un leader non in grado di trasmettere entusiasmo. Inoltre, abbiamo eliminato i simboli dei partiti che permettevano agli elettori di avere un punto di riferimento chiaro, con un cedimento suicida al trito refrain della “società civile” migliore di quella politica (in questo caso noi stessi). Ingroia è un personaggio prezioso per la sinistra che potrà dare un contributo importante nel futuro, ma come leader della coalizione non ha funzionato.
Analisi del voto più approfondite ci diranno se e quanto ha inciso il voto utile. Ma già nel 2008 incise in misura parziale e meno dell’astensionismo. Oggi, ha funzionato ancora meno. La controprova è il risultato mediocre di Sel con il 3,2% (solo un paio di mesi fa accreditata del 6%), solo un punto percentuale e circa 300mila voti in più rispetto a RC. Inoltre, bisognerà pur chiedersi perché non abbiamo intercettato i nuovi e vecchi astenuti e soprattutto perché con Grillo il voto utile non funziona, tanto più che, secondo le prime analisi sui flussi di voto, ha intercettato molta parte degli ex votanti del Pd nel 2008. Non è questa la sede per una analisi approfondita del Movimento 5 stelle. Ci limiteremo a considerare che il punto di forza di Grillo è stata la capacità di presentarsi come non compromesso con il passato, agitare credibilmente la questione dell’Europa e dell’euro e dichiararsi indisponibile ad accordi al ribasso. Ma soprattutto Grillo, a differenza nostra, ha capito dove tirava il vento e i sentimenti profondi che animano gli italiani.
L’errore maggiore sta nel fatto che in politica si deve scegliere. Noi abbiamo scelto di non scegliere e di far scegliere gli altri per noi. In un clima socialmente arroventato e in un quadro di grande fluidità questi errori si pagano pesantemente. A costo di ripetermi, bisogna tenere conto che la fase storica ed il contesto sociale ed economico in Italia ed in Europa sono mutati: ritorno della povertà e della disoccupazione di massa (e connessa crescita dell’astensionismo), trasformazione dello stato-nazione a fronte di politiche generali decise a livello europeo, delocalizzazioni e finanziarizzazione massicce ed altro ancora. Tutto ciò richiede un riadeguamento complessivo della proposta e del posizionamento politico. Non si possono ripetere le stesse formule del passato, basate sulla riedizione del centro-sinistra. Bisogna avere la capacità di dare alla nostra gente una prospettiva nuova ed ampia, che sia in grado di riattivare le energie e la voglia di lottare.
Per questo sono necessari una riflessione e un riposizionamento strategici, in cui però sia ben chiaro che l’unità e l’autonomia ideologica e politica dei comunisti, attraverso la ricostruzione di un vero partito comunista, sono il primo punto all’ordine del giorno. L’esito di queste elezioni, per noi, prova soprattutto questo. Solo dimostrando a noi stessi e agli altri che siamo capaci di unificarci e di trovare un punto di vista in comune, possiamo fare il primo passo per recuperare quella credibilità e quel terreno che abbiamo perduto.

Giulietto Chiesa: "Mi fido dell'onestà di Grillo"


Scritto da Giulietto Chiesa Mercoledì 27 Febbraio

Scommetto sull’onestà di Beppe Grillo. Lo faccio perché scommetto sull’entusiasmo dei suoi sostenitori. Capisco che avranno, lui e loro, molti problemi difficili da risolvere, ed è ovvio quindi che faranno degli errori. Ma non credo che faranno dei crimini. È molto facile precipitare dagli altari nei quali si trovano, irti di spine, nella polvere, e quindi non credo che sarà così. Leggo sui giornali dei commenti di molti che si aspettano che molti di loro saranno comprati. Forse, qualcuno. Ma io penso che coloro che scrivono queste cose sui giornali e le dicono in televisione misurano la realtà con il loro metro da schiavi.

E per fortuna la realtà non è tutta composta di schiavi o di servi, come il voto ha dimostrato. E però certo si può star sicuri che per ognuno degli oltre centosessanta deputati e senatori dell’opposizione si stanno già compilando i dossier: i servizi segreti sono lì per quello, non penseremo mica che se ne staranno con le mani in mano. Si scava e si scaverà nelle loro vite, si cercheranno le loro magagne, per poi “spenderle” prima o dopo nella melma degli intrighi di Palazzo. La nostra fortuna è che saranno dei dossier poveri e “giovani” e quindi conteranno poco, perché questo non è un personale ricattabile.

I problemi saranno più grandi e difficili. Si dovranno prendere decisioni di portata nazionale, europea, internazionale. E lo si dovrà fare stando sotto la mira di cecchini impietosi e feroci, i cosiddetti “Mercati”, cioè i grandi banchieri del Superclan <http://www.feltrinellieditore.it/SchedaTesti?id_testo=1094&id_int=1094>

 mafioso-massonico europeo e mondiale. Non sarà facile anche per questo.

E dunque io penso che senza una squadra Grillo non potrà reggere a lungo. Si pone il problema di una squadra che lo protegga, e che protegga questi centosessanta parlamentari. Perché un esercito che rimane a lungo senza ordini chiari e senza una guida non può che disperdersi. I vecchi marpioni del Palazzo già cominciano con le loro lusinghe, e tutti i giornali titolano “Bersani apre a Grillo”, “Bersani sfida Grillo”. O… “Bersani si inginocchia davanti a Grillo”, “Bersani chiede a Grillo”.

Fino all’altro ieri non se n’erano accorti, adesso capiscono che non possono evitare, e ci provano.

E io so che non serviranno a catturare né Grillo né i suoi. Lo so, perché Grillo ha costruito una macchina che non lo consente. E coloro che gli fanno delle proposte più o meno sconce continuano a ragionare come se non ci fosse Grillo, ma Grillo c’è, e il Movimento Cinque Stelle c’è.

Purtroppo non ci sono soltanto le lusinghe, che si possono respingere.

Ci sono invece questioni che non si possono aggirare: le grandi questioni sociali, come quella del lavoro; e c’è un paese in ginocchio che implora, che esige una tregua dopo questa rapina che ha subito con il consenso di tutti quelli che sono stati battuti, non per caso, in queste elezioni.

Bisogna stare attenti, perché sarà facile per il Palazzo, in nome della ingovernabilità del Paese, rovesciare sul Movimento Cinque Stelle responsabilità che non sono sue.

Dunque occorre prepararsi.

Per questo credo che Grillo e il M5S abbiano bisogno di un forte sostegno nel Paese, molto più ampio di quel 25 per cento straordinario che è stato raggiunto. Serve una forte e organizzata opposizione sociale che muova dalle aziende, dalle fabbriche, dalla scuola, dall’università, dalle categorie colpite, dalla società civile. Questa deve essere ancora costruita.

Il 25 per cento è opera di Beppe Grillo. Il resto sarà opera di tutti noi, insieme al Movimento Cinque Stelle.

È inutile dunque che io ripeta che la situazione è difficile e piena di trabocchetti, ma la spallata è stata forte e possente.

Il Partito Democratico esce clamorosamente sconfitto, e adesso implora.

E la destra? Due parole sulla destra bisogna dirle: la destra festeggia non si sa perché, forse festeggia soltanto lo scampato pericolo della sua sparizione, ma le cifre lo dicono: dai 17 milioni di voti che aveva nel 2008, è scesa a 8 milioni. Meno della metà. Un

tracollo: sono stati dimezzati. Questo ci dice una cosa importante:

che la narrazione di questa Italia berlusconiana è inesistente. Non è più così. Hanno perduto 8 milioni e mezzo di voti. L’Italia è cambiata, e non solo perché Beppe Grillo ha vinto. È cambiata perché è cambiato l’intero panorama. Quindi la destra ha poco da festeggiare.

Della sinistra, quella che già una volta ho definito “falcemartellata e girotondina”, è meglio non parlare: addio!

Addio per sempre! La riscossa è venuta da un’altra parte. Ed è giusto che sia così, perché la Storia non fa sconti a nessuno. E buona fortuna a tutti.

giovedì 28 febbraio 2013

“La Merkel ha perso le elezioni italiane e la sinistra non ha capito nulla”

 
monti_merkel
I grandi sconfitti nelle elezioni italiane non sono Mario Monti né Pier Luigi Bersani, ma Angela Merkel: se la crisi Euro è ancora qui, la colpa è solo sua. La sua politica anticrisi ci sta portando verso il disastro.
Angela Merkel è la vera perdente nelle elezioni italiane. Quanto la sua Euro-politica sia sbagliata, nei giorni scorsi è diventato chiaro a tutti. Mi aspetto che questa strada ci porti al disastro.
La sua politica consisteva nel tentare di risolvere la crisi debitoria e di competitività nei paesi del sud Europa con un processo di aggiustamento unilaterale. Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, attraverso una politica di austerità garantiscono il rimborso del debito, e spingono verso una politica di riduzione salariale nel settore pubblico che si propaga verso il resto dell’economia. In questo modo si pensava di prendere 2 piccioni con una fava. La speranza era che dopo uno schock breve e acuto, i debiti e i livelli salariali sarebbero tornati in equilibrio. Davvero intelligente, oppure no?
Nei sogni. Né l’economia, né la politica funzionano nel modo in cui ci si immagina in Germania. Economicamente è stata un’analisi molto superficiale, senza considerare le conseguenze devastanti sull’economia complessiva.
L’Italia si trova in una recessione che si autoalimenta: le banche non danno credito perché non vedono nessuna ripresa, e la ripresa non arriva perché le banche non danno credito. Le imprese nel frattempo pagano interessi del 10 %. Non c’è da meravigliarsi se non investono e se l’economia si contrae. Poiché il PIL è il denominatore nel livello di indebitamento, questo cresce automaticamente quando l’economia si contrae. Cio’ significa che il livello di indebitamento continua a salire, sebbene i debiti non crescano. E’ chiamata anche trappola del debito. Non se ne esce senza l’aiuto esterno. E piu’ ci si dimena, piu’ si scivola in profondità.
L’Italia interromperà la politica di austerità
Le conseguenze politiche le abbiamo vissute in diretta questa settimana. Beppe Grillo con il suo movimento anti-Euro oggi è il piu’ grande partito del paese. Insieme a Silvio Berlusconi ha condotto e vinto una campagna contro l’Euro e contro Merkel. Non importa quello che succederà politicamente, l’Italia arresterà la sua politica di austerità. Come potrebbe andare diversamente da un punto vista politico? In questo modo viene meno per l’Italia la possibilità di trovare protezione sotto il fondo di salvataggio. Perché l’ESM come condizione imporrebbe ulteriori risparmi. Se in quel momento si dovesse andare alle elezioni, il “Movimento 5 Stelle” di Grillo avrebbe allora la maggioranza assoluta.
Mario Monti è la figura piu’ tragica nel dopo elezioni. Il suo errore piu’ grande è stato l’accettazione in maniera acritica delle politiche merkeliane. Avrebbe dovuto insistere su un fondo comune europeo per il rimborso del debito e su di una europeizzazione completa delle banche, compresi i debiti pregressi. E avrebbe dovuto minacciare: in caso diverso, l’Italia è pronta a lasciare l’Euro. Merkel tuttavia sapeva che l’ex commissario europeo, al contrario di Berlusconi, non sarebbe mai andato tanto lontano. E cosi’ è stata capace di imporsi tatticamente. Ma non è stata capace di risolvere il problema della crisi. Al contrario.
La rabbia della folla presto toccherà anche il Portogallo e la Spagna.
Da un punto di vista economico il problema italiano puo’ essere compreso attraverso un confronto con il Gold standard durante la grande depressione. L’Euro oggi ha il ruolo che allora aveva l’oro, quello di un tasso di cambio fisso. Anche allora gli economisti conservatori sostenevano che i paesi nel gold standard si sarebbero riallineati attraverso aggiustamenti nell’economia reale – al posto dei tassi di cambio, sostituiti da un aggancio permanente all’oro. L’unica via di uscita dalla grande depressione fu l’abbandono del sistema basato sull’oro. In America avvenne nel 1933, in Francia rimase fino al 1936 – con conseguenze economiche disastrose.
Io credo che in Europa avremo un percorso simile. Per mantenere l’Euro sono necessari trasferimenti e aggiustamenti su entrambi i lati, per i quali sia nel sud che nel nord Europa non c’è la maggioranza necessaria. Le politiche di austerità costituivano l’ultima possibilità in questo senso. La rabbia del popolo ha raggiunto l’Italia, e presto o tardi toccherà anche la Spagna e il Portogallo. Anche in Francia ci sono segnali in questa direzione. I greci in questo momento sono un po’ storditi, ma anche li’ la strategia dell’aggiustamento non sta funzionando politicamente – nemmeno dopo sei anni di recessione.
Quello che Merkel probabilmente riuscirà a salvare politicamente in Germania, è l’incapacità dei suoi avversari politici di smascherare questa strategia. Del resto sono molto impegnati a sprecare il loro capitale politico nella relativamente poco importante questione degli aiuti finanziari a Cipro.
La dichiarazione poco diplomatica di Peer Steinbrück sui due clown italiani distrae dal fatto che il vero problema non sono Grillo e Berlusconi, piuttosto la sua avversaria politica. Steinbrück aveva la possibilità di attaccarla politicamente e invece fa un altro passo falso che lo allontana dalla questione centrale. La sola consolazione è che Merkel dovrà farsi carico delle conseguenze di una crisi che lei stessa ha creato. La combinazione delle sue politiche e del risultato elettorale italiano hanno drasticamente aumentato le possibilità di un crollo dell’Euro.

Lettera a Beppe Grillo

Caro @beppe_grillo dai la fiducia al Governo per cambiare l’Italia. #GrilloDammiFiducia
- change -

Caro Beppe,

scrivo a te e intendo parlare a tutti i nuovi parlamentari del Movimento 5 Stelle.

Mi chiamo Viola, ho 24 anni. Ho votato, e l’ho fatto con molta speranza, il M5S. Sono tra quei milioni di giovani che credono in una rivoluzione gentile: in un Paese solidale, più pulito e giusto, capace di tutelare i cittadini, il loro lavoro, l’ambiente in cui vivono. Io vorrei un’Italia in cui le persone tornino a essere cittadini e smettano di essere sudditi, un’Italia che rispetti i nostri sogni e li sostenga. Vi ho votati con queste speranze nel cuore.

Il M5S ha ottenuto una vittoria alla quale in pochi credevano. Ma un sistema elettorale malato ha prodotto un risultato che non garantisce governabilità. Il mandato del Presidente della Repubblica Napolitano è in scadenza, le Camere non possono essere sciolte, non da lui: non si può tornare subito alle urne. Questo Parlamento avrà forse vita breve, ma non brevissima.
Ti scrivo, e spero saranno in tanti a sottoscrivere questo mio appello, perché gli eletti del M5S hanno un’occasione storica. Da ciò che decideranno dipenderà un pezzetto di storia della Repubblica che può aprirci al futuro o consegnarci per sempre al passato. Dobbiamo scongiurare qualsiasi ipotesi di alleanza PD-PdL, e non permettere alla minoranza di Monti di condizionare gli equilibri parlamentari. Possiamo respingere il ritorno di Berlusconi e costringere Bersani ad accettare le sfide che i suoi stessi elettori vorrebbero raccogliesse.

Si possono fare poche cose, prima di tornare alle urne, in poco tempo:

1. Una nuova legge elettorale;
2. Una legge contro la precarietà e l’istituzione del reddito di cittadinanza;
3. La riforma del Parlamento, l’eliminazione dei loro privilegi, l’ineleggibilità dei condannati;
4. La cancellazione dei rimborsi elettorali;
5. L’abolizione della legge Gasparri e una norma sul conflitto d’interessi;
6. Una legge anticorruzione che colpisca anche il voto di scambio; e l’istituzione di uno strumento di controllo sulla ricchezza dei rappresentanti del popolo (il “politometro”);
7. Il ripristino dei fondi tagliati alla Sanità e alla Scuola;
8. L’istituzione del referendum propositivo senza quorum;
9. L’accesso gratuito alla Rete;
10. La non pignorabilità della prima casa.

Lo so, non sono tutte le cose che il M5S vorrebbe realizzare. Sono alcune, quelle che mi sembrano più urgenti e realizzabili in tempi brevi.

Trasformatele in realtà e tra pochi mesi l’Italia sarà già un Paese pronto per ripartire. Sono impegni, caro Beppe, che possono raccogliere il consenso di molte persone che come me hanno a cuore il futuro, i più deboli, il Paese. E non tutte hanno votato M5S.

Al PD sarà quasi certamente dato mandato di provare a formare un nuovo Governo. Non ci sono molte possibilità: se i senatori del M5S si astengono o votano contro, sarà paralisi, o peggio, vedremo un qualche Monti bis. I senatori del Movimento potrebbero anche uscire dall’aula, al momento delle votazioni, e così consentire forse la nascita di un Governo di minoranza: ma questa sarebbe vecchia politica, un patto di governo silenzioso che non renderebbe giustizia alla trasparenza che vogliamo portare nelle Istituzioni.

Allora poniamo noi le giuste condizioni al partito di Bersani: in cambio dovranno presentare in Parlamento quelle riforme che ci stanno a cuore e che possono far diventare l'Italia migliore.

Queste elezioni sono costate quasi 400 milioni di euro. Non è difficile capire ciò che gli elettori chiedono.A voi, che siete i nostri dipendenti, è stato dato un mandato. Raccogliete questa sfida e cominciamo subito a cambiare l’Italia, per il bene di tutti.

Caro Beppe, non sprecare il mio voto. L’ho dato con la testa e con il cuore.

Ti saluto con amicizia,
Viola

Il riformismo su un binario morto

di Spartaco A. Puttini - sinistrainrete -

Chi non apprende dalle lezioni della storia è condannato a ripetere i propri errori. E chi pensa di muoversi senza curarsene non è solo cieco, è pericoloso, come ebbe a dire Hobsbawm.

A guardare il contegno assunto dai vari riformismi di fronte alla crisi e all’offensiva reazionaria che si è scagliata contro i popoli europei balza agli occhi l’assoluta mancanza di una risposta adeguata, all’altezza della sfida.
L’accondiscendenza verso le politiche di austerità delle tecnocrazie liberali e la sostanziale sudditanza teorica alle ricette del pensiero economico mainstream negli ambienti politici che si rifanno al riformismo la fanno ancora grandemente da padrona, nonostante tutto.

Anche nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche in Italia si è sviluppato un grave equivoco, foriero di serie conseguenze, e si è persa una grande occasione ad urne nemmeno aperte.
L’equivoco è dovuto al fatto che una coalizione di centrosinistra che riscopre, almeno a parole, il valore del “lavoro” continua a sostenere la necessità di un incontro con il così detto centro liberale (che può essere definito centro solo con una buona dose di fantasia) e questo la porta ad essere più tenera e più invischiata con le politiche di austerità e macelleria sociale del governo uscente presieduto da Monti di quanto sarebbe lecito e, anche dal punto di vista puramente elettoralistico, conveniente.

Quando si sostiene che molto probabilmente, comunque vada, si troverà un’intesa con Monti nella nuova legislatura, vi è assai poco da aggiungere. Di fatto il centrosinistra ha impostato malissimo la campagna elettorale. Avesse sostenuto posizioni critiche e fortemente antitetiche a quelle dell’esecutivo uscente (inviso anche solo istintivamente alla stragrande maggioranza degli italiani), basate sulla necessità di una politica espansiva, dell’abbandono delle politiche di austerità e del Fiscal compact, di una revisione profonda dei trattati europei, di un sostegno al welfare e più in generale al potere d’acquisto delle masse popolari, forse sarebbe addirittura riuscito a far dimenticare 13 mesi di appoggio pressoché incondizionato al governo dei tecnici. Cosa non non farebbero gli italiani per una svolta!? Forse non avrebbe nemmeno avuto bisogno di invocare il voto utile. Invece…
Invece, l’aver sostenuto che la contraddizione principale non è quella che dividerebbe i progressisti dall’ultraliberismo di Monti ma quella che separa i sostenitori dell’integrazione europea (così come si è concretamente manifestata) dagli altri, definiti disinvoltamente “populisti”, pone le cose su un altro piano. Il fatto che questa dichiarazione l’abbia fatta Stefano Fassina1, cioè colui che ha sostenuto e sostiene all’interno del Pd e della coalizione “Italia Bene Comune” le posizioni politiche più qualificate a sinistra e più critiche nei confronti del liberismo, offre un’idea della situazione nella quale ci si trova, del punto cui è giunto il riformismo.
Lasciamo perdere per un attimo la disquisizione sul significato del termine “populista” (che non è esattamente sinonimo di “demagogo”), e accettiamo convenzionalmente la volgare versione corrente per la quale basta dire due sparate in campagna elettorale per essere riconosciuti come tali, anche se in realtà si è solo dei liberisti mascherati, come è il caso di Berlusconi (il quale è giustamente intento a far dimenticare di essere stato prono ai diktat di Bruxelles fino a ieri). Dimentichiamoci che il termine fa riferimento a ben precise correnti politiche, con una loro storia ed anche una loro dignità.

mercoledì 27 febbraio 2013

Segreteria PD

Grillo e la rabbia popolare contro il finanzcapitalismo

CARLO FORMENTI –
cformentiGli italiani hanno votato contro la governabilità, hanno tirato in faccia a una classe politica impresentabile il loro assoluto disinteresse a scegliere chi li debba rappresentare, perché non chiedono più di essere rappresentati, ma di conquistare la libertà di autogovernarsi.
Il voto dello scorso week end ha segnato l’inizio di una guerra – prevedibilmente lunga – fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, una guerra che non potrà finire con la vittoria della prima perché la democrazia rappresentativa è già morta da un pezzo, uccisa dal crepuscolo degli stati nazione, sostituiti da regimi postdemocratici che operano come agenzie locali delle istituzioni sovranazionali (Comunità Europea, FMI, Banca Mondiale, ecc.), le quali gestiscono a loro volta gli interessi della finanza globale, al di fuori di qualsiasi vincolo e controllo democratico.
Dunque il vero dilemma è se la rabbia popolare contro i crimini del finanzcapitalismo spianerà la strada a un ritorno dei totalitarismi di destra, o se matureranno le condizioni per la transizione a una civiltà post capitalista, amministrata da istituzioni politiche fondate sui principi della democrazia diretta e partecipativa.
Per molti di coloro che lo hanno votato, Grillo incarna, a torto o a ragione, la speranza che prevalga la seconda alternativa, e il suo trionfo si è celebrato sulle macerie di una sinistra – riformista e radicale, senza distinzioni – che non è più degna di chiamarsi tale.
Per capirlo basta leggere il bell’articolo di Vladimiro Giacché su “Micromega” 2/2013, dedicato al programma economico del Movimento5Stelle. Mentre il Pd lanciava scomuniche contro l’antipolitica e il populismo – urlando tanto più forte quanto più offriva a Monti la propria disponibilità ad approvare riforme che colpivano al cuore gli interessi delle classi subordinate e, addirittura, una riforma costituzionale che metteva fuori legge il keynesismo –, il Movimento5Stelle varava un programma elettorale che, con tutti i suoi limiti, puntualmente evidenziati da Giacché (mancata identificazione delle risorse per finanziare certi provvedimenti, ingenua fiducia nelle capacità taumaturgiche della Rete, eletta a deus ex machina in grado di sanare l’economia, promuovere la democrazia, migliorare la scuola e via miracolando), rappresenta un sia pur rozzo abbozzo di quello che avrebbe dovuto stilare una sinistra degna del nome: reddito di cittadinanza, no alle grandi opere inutili come la Tav, ripristino dei fondi tagliati a scuola e sanità, abolizione della legge Biagi, lotta alla speculazione finanziaria e all’evasione fiscale, drastica riduzione delle spese militari e dei finanziamenti ai partiti, ecc.
E la sinistra radicale? Qui scappano parole ancora più dure: quando la mancanza di idee e di coraggio politico superano un determinato livello diventano idiozia e viltà. Come altro definire la scelta di un Vendola che si è venduto la possibilità di fare un serio lavoro di opposizione per un pugno di seggi elettorali (che beffardamente ora non gli serviranno neppure a governare). Come altro definire quella degli altri “cespugli” che, invece di dare respiro alle iniziative di ALBA e “Cambiare si può”, hanno scelto di partorire, assieme all’IDV, quell’aborto giustizialista che è la lista Ingroia (a cui confesso con una certa vergogna di avere dato il voto, per disperante assenza di alternative).
Gianni Vattimo, che a quanto pare ha fatto la mia stessa scelta, la motiva parlando di “un voto di resistenza antimontiana”. Ma quale resistenza, se poi dice che “non esiste un’alternativa rivoluzionaria al riformismo”; che l’unica prospettiva possibile è lottare “per ottenere un capitalismo meno feroce e sanguinario”, per costruire “una sinistra di legalità e diritti”?
Ok per i diritti (non prima di averli ordinati gerarchicamente, con quelli sociali davanti a tutti!), ma per quanto riguarda la legalità: di che legalità parliamo? Forse quella di Di Pietro, quando ha condannato la resistenza attiva alla violenza delle istituzioni da parte dei militanti No Global a Genova, o dei militanti NoTav in Val Susa? No grazie, non mi interessa, né credo interessi alle migliaia di ragazzi che sono stati protagonisti dei movimenti degli ultimi anni, i quali difficilmente avranno votato per Vendola o Ingroia, preferendo astenersi o votare Grillo, per sfregio alla “governabilità” se non per convinzione.
Carlo Formenti
(26 febbraio 2013)

Cedimento strutturale

Fonte: il manifesto| Autore: Marco Revelli
BIPOLARISMO ADDIO
Doveva essere un terremoto. E lo è stato. Da questa tornata elettorale il sistema politico italiano esce a pezzi. E non solo perché l'outsider assoluto, il cane in chiesa di tutta la politica professionale - il teorico del «partito non-partito» -, balza al centro della scena politica per eccellenza. Né soltanto perché, per effetto di una legge elettorale scellerata, Camera e Senato si contraddicono a vicenda, mandando in cortocircuito il nostro bicameralismo simmetrico. E producendo l'unica cosa che tutti avrebbero voluto evitare: l'ingovernabilità.
Ma anche perché è la struttura stessa del nostro assetto istituzionale che subisce un cedimento strutturale. Sono i suoi «fondamentali» a sgretolarsi, tanto che è assai più facile dire che cosa finisca che non che cosa nasca o anche solo si annunci.
Finisce sicuramente la cosiddetta Seconda Repubblica. Quella in cui due schieramenti, di volta in volta identificati da una persona - di cui da una parte Berlusconi rappresentava la costante e dall'altra si ruotava - monopolizzavano il campo, e mimavano una sorta di alternanza. Ora il meccanismo si è rotto: la platea dei competitor si è ampliata con una presenza inaspettata, e l'impossibilità di alternarsi si conclude in una caduta libera. Finisce così anche il bizzarro bipolarismo maggioritario e più o meno egemonico, che era stato teorizzato nel 2008 (ricordate Veltroni?) e che si era già schiantato nel novembre del 2011, col «governo del Presidente». Ora che la politica esce dal lungo tunnel dei tecnici a cui aveva abdicato, si rivela impotente e bloccata. Finisce anche, malamente, la cosiddetta «sinistra radicale», travolta dall'ottusità delle proprie burocrazie residuali e dalla propria autoreferenzialità.
Gli architetti istituzionali, che questo bradisismo l'avevano messo in conto, immaginavano però un tripolarismo rassicurante, con un «terzo polo» montiano al centro, capace di crescere tra i due litiganti incapacitati a governare e a garantire un baricentro di stabilità. Invece il terzo polo è nato, ma ellittico, fuori squadra, destabilizzante e radicale come appunto i 5 stelle sono, a squilibrare il carico e sparigliare tutte le carte senza poterne distribuire nessuna. Tanto più che i due vecchi pilastri del sistema - Pd e Pdl - che si sono spartiti quel meno del 50% di elettorato disposto ancora a credergli (quello che resta dopo aver sottratto il venticinque per cento del corpo elettorale che si è astenuto e l'altro circa venticinque che ha votato Grillo), sono fragili. Umiliati dal giullare diventato re. Rosicchiati dall'interno come quegli alberi apparentemente robusti ma mangiati dalle termiti. Perché, nonostante la rimonta finale, il Pdl tutto è fuorché un partito, dipendente com'è da un leader bollito e squalificato universalmente, ancora in grado di toccare la pancia del proprio elettorato più sprovveduto ma non di governare un'accozzaglia di interessi e personalismi quale quella che abbiamo visto all'opera negli ultimi mesi, né di stabilizzare quell'alleanza con una Lega allo sbando che gli ha permesso di vincere in Lombardia al Senato. E per il Pd, c'è da scommettere che partirà presto la caccia al colpevole, e la rimessa in discussione di una leadership che dalla «vittoria mutilata» rischia di passare a una sconfitta non annunciata, e di liberare le tante anime non congruenti di quel partito dal patto di potere che le aveva tenute insieme.
Da domani incomincerà un'altra partita, dall'esito imprevedibile. Dove nessuna delle vecchie certezze varrà più. E ad ogni snodo si presenterà una situazione inedita e probabilmente drammatica, perché la crisi non è superata, anzi. E l'Europa sta sempre lì, a guardarci con occhio severo da aquila che vola basso, mentre lo spread s'impenna. E non c'è più un presidente pronto a gestire lo «stato d'eccezione» da sovrano. E il disagio sociale, ignorato, rimosso, trascurato e incompreso per anni, continuerà ad allargarsi come una piaga infetta... In questa situazione inedita, soprattutto di fronte all'ipotesi di un nuovo voto, nessuno s'illuda di poter riproporre la propria continuità, di classe dirigente. Di organizzazione. Di programma. Di «facce» e di routines. Anche di linguaggio. E a proposito di questo, almeno una preghiera: si abolisca il termine «antipolitica», soprattutto se riferita a chi - ci piaccia o meno - ha rappresentato oggi l'unico fatto politico rilevante in un panorama desolante.

La sconfitta dell’anti Europa comincia in Italia

Autore: Franco Berardi Bifo
- controlacrisi -
L’unione europea nacque come progetto di pace e di solidarietà sociale raccogliendo l’eredità della cultura socialista e internazionalista che si oppose al fascismo.
Negli anni ’90 le grandi centrali del capitalismo finanziario hanno deciso di distruggere il modello europeo, e dalla firma del Trattato
di Maastricht in poi hanno scatenato un’aggressione neoliberista.
Negli ultimi tre anni l’anti-Europa della BCE e della Deutsche Bank ha preso l’occasione della crisi finanziaria americana del 2008 per
trasformare la diversità culturale interna al continente europeo (le culture protestanti gotiche e comunitarie, le culture cattoliche
barocche e individualiste, le culture ortodosse spiritualiste e iconoclaste) in un fattore di disgregazione politica dell’unione europea, e soprattutto per piegare la resistenza del lavoro alla definitiva sottomissione al globalismo capitalista.
Riduzione drastica del salario, eliminazione del limite delle otto ore di lavoro quotidiano, precarizzazione del lavoro giovanile e rinvio della pensione per gli anziani, privatizzazione dei servizi. La popolazione europea deve pagare il debito accumulato dal sistema finanziario perché il debito funziona come un’arma puntata alla tempia dei lavoratori.
Cosa accadrà? Due cose possono accadere: o il movimento del lavoro riesce a fermare questa offensiva e riesce a mettere in moto un processo di ricostruzione sociale dell’Unione europea, o il prossimo decennio vedrà in molti luoghi d’Europa esplodere la guerra civile, il fascismo crescerà dovunque, e il lavoro sarà sottomesso a condizioni di sfruttamento ottocentesco.
Ma come fermare l’offensiva?
Le elezioni italiane sono una risposta che può evolversi in maniera positiva o in maniera catastrofica. Dipende dai progressisti, gli
intellettuali e gli autonomi del continente, dipende da noi.
Il 75% dell’elettorato italiano ha detto no al progetto anti-europeo di Merkel Draghi Monti.
25% si sono astenuti, 25% hanno votato per il movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, 25% hanno votato per il partito della mafia e del
fascismo, e per il più geniale truffatore della storia, Berlusconi, nemico giurato di Angela Merkel perché la mafia non può più accettare il predominio economico di Berlino.
Il movimento di Beppe Grillo è la novità di queste elezioni. Raccoglie soprattutto voti dai movimenti di sinistra e raccoglie anche voti
anche dalla destra. Beppe Grillo – che ha una formazione autonoma antiautoritaria - ha detto più volte che il suo movimento intende
sottrarre voti alla destra, e ci è riuscito.
Non credo che il movimento 5 stelle potrà governare l’Italia, non è questo il punto. La funzione importante e positiva che il movimento ha svolto è rendere il paese ingovernabile per gli antieuropei del partito Merkel-Draghi-Monti.
L’elettorato italiano ha detto: non pagheremo il debito. Insolvenza.
La governance finanziarista d’Europa è finita, anche se Berlusconi e Bersani si metteranno d’accordo per sopravvivere e continuare a
impoverire il paese spostando risorse verso il sistema finanziario.
Non durerà. Ma allora può cominciare il peggio.
La classe finanziaria tenterà di strangolare l’Italia come ha strangolato la Grecia. La crisi politica si farà convulsa e violenta.
L’esito può essere spaventoso. Mafia e fascismo hanno mostrato di controllare il trenta per cento dell’elettorato italiano, e la
sinistra non esiste più. La secessione del Nord si riproporrà anche se la lega è crollata.
Epperò invece può iniziare un processo di liberazione d’Europa dalla violenza del capitale finanziario, una ricostruzione d’Europa su basi sociali. Fuori dagli schemi novecenteschi può diffondersi dovunque un movimento di insolvenza organizzata e di autonomia produttiva. Un movimento di occupazione può trasformare le università in luoghi di ricerca concreta per soluzioni post-capitaliste. Le fabbriche che il capitale finanziario vuole distruggere vanno occupate e autogestite come si è fatto in Argentina dopo il 2001. Le piazze vanno occupate per farne luoghi di discussione permanente.
Il programma lo ha enunciato Beppe Grillo nel suo programma, che a dispetto di quanto dicono i mentitori professionali de La Repubblica è un programma molto ragionevole:
Salario di cittadinanza
Riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore
Restituzione alla scuola degli otto miliardi che il governo Berlusconi ha sottratto al sistema educativo.
Assunzione di tutti i lavoratori precari della scuola, della sanità e dei trasporti.
Nazionalizzazione delle banche che hanno favorito la speculazione ai danni della comunità.
Abolizione immediata del fiscal compact.
Il movimento cinque stelle ha impedito alla dittatura finanziaria di governare. Ora tocca al movimento della società. Avrà la società
l’energia e l’intelligenza per gestire la propria vita con un movimento di occupazione generalizzato?
Se non avrà questa energia avremo meritato il disastro che ne seguirà.Nota:
leggo ora su Internazionale che i wu ming si lamentano del fatto che il movimento di Beppe Grillo amministra l'assenza di movimento in Italia. Ragionamento bislacco davvero. Dal momento che la società italiana è incapace di muoversi allora debbono stare tutti fermi? Dal momento che gli amichetti di wu ming sono stanchi allora tutto deve restare ad attendere i tempi del loro risveglio? Fate movimento invece di lamentarvi perché qualcun altro lo fa al posto vostro, magari in maniera un po' più rozza di come piacerebbe ai raffinati intellettuali.

Lo spread ha perso le elezioni

GIORGIO CREMASCHI

gcremaschiI mercati hanno reagito male. Era ovvio, banche e finanza volevano la vittoria di un Pd aperto a Monti. Se poi le elezioni avessero dato addirittura il successo a quest’ultimo per i mercati sarebbe stato il massimo, ma comunque essi erano disposti ad accontentarsi.
E invece no, il popolo italiano non ha votato come avrebbe dovuto per senso di responsabilità e degli affari. Le politiche di austerità, perché questo han subito capito all’estero, sono state bocciate.
Come si fa a non provare soddisfazione per questo sconquasso?
Seicentomila licenziamenti in nove mesi, il più grave impoverimento di massa dalla fine della guerra, le previsioni sul futuro tutte pessimiste e gli italiani avrebbero dovuto farsi ammaliare ancora dal teatrino di Berlusconi Bersani e Monti?
Il palazzo e anche i sondaggisti si erano illusi che sarebbe stato così. In fondo le terribili controriforme delle pensioni e dell’articolo 18, i tagli alla scuola e alla sanità erano passati senza quella rivolta sociale che abbiamo visto crescere in Grecia Spagna Portogallo.
CGIL CISL UIL o approvavano o subivano tutto e i loro gruppi dirigenti si erano equamente distribuiti tra il sostegno al centro e quello al centro sinistra. Anche le ruberie scandalose della classe politica sembravano suscitare più rancore che protesta.
Si poteva credere alla rappresentazione di regime di un popolo italiano passivo e in fondo disposto a votare secondo le indicazioni di quella Troika europea che esercita la sua dittatura in Grecia.
E invece sono andati in minoranza. Perché Berlusconi e Bersani, che ora comunque fanno finta di aver vinto qualcosa, raccolgono il peggior risultato della storia delle loro coalizioni, che ora rappresentano ciascuna poco più di un quarto dei voti espressi. Perché Monti ha mostrato gioia per il solo fatto di essere riuscito ad entrare alla Camera per il rotto della cuffia. Perché tutti costoro, che ci hanno governato in alternanza negli ultimi venti anni e assieme negli ultimi tredici mesi, sono oggi minoranza nel corpo elettorale e nel paese.
È stato duramente sconfitto, assieme a loro, il Presidente della Repubblica che viene ora sottoposto ad una dura legge del contrappasso. Dopo aver imposto la governabilità a tutti i costi in nome dello spread, si trova adesso a dover amministrare il più ingovernabile dei responsi elettorali, mentre lo spread risale.
Siamo dentro una crisi di sistema che le vecchie politiche e i vecchi schieramenti possono solo aggravare. C’è da augurarsi che il Movimento 5 Stelle sia consapevole che il suo successo non è una scelta definita né tantomeno una delega, ma è segnale e parte della rivolta che sta crescendo in tutta Europa e finalmente è cominciata davvero anche ad noi.
Siamo solo all’inizio di un processo lungo e doloroso, dal quale si potrà uscire positivamente solo con l’eguaglianza sociale e il rovesciamento dell’austerità, con il pubblico al posto dei mercati e con la democrazia diretta per controllare il potere pubblico. E questo si potrà fare solo facendo saltare i calcoli e i conti dell’Italia e dell’Europa di banche e finanza. Siamo di fronte ad una crisi di sistema che si può affrontare solo cambiando sistema.
Giorgio Cremaschi
(26 febbraio 2013)

Non è un disastro. È molto peggio

Fonte: micromega online | Autore: Matteo Pucciarelli       
Allora, visto che a differenza dei dirigenti del centrosinistra in questo spazio non ci sono carriere da difendere, possiamo discuterne in tutta sincerità: da qualunque parte della sinistra si guardi – moderata, moderata ma radicale, radicale e basta – la sconfitta è totale.

1. Ricordiamo sommessamente che 14 mesi fa Berlusconi era molto e sepolto, Monti non esisteva e Grillo aveva il 4 nei sondaggi. Se non si è andati al voto è grazie alle pressioni del presidente della Repubblica e all’accondiscendenza suicida di Bersani.

2. Le primarie si sono rivelate l’ennesima illusione collettiva, così come lo furono nel 2005. La democrazia non è roba utile per questo Paese. Vincono quelli che fanno per sé, perché fanno per tre (vedi Berlusconi, ma anche Grillo).

3. La sinistra radicale (sia Sel che Rc) esce ancora una volta con le ossa rotte dal voto. Proprio in una fase storica che, paradossalmente, mette in evidenza i fallimenti del riformismo come finora è stato inteso. Forse è davvero ora di fare spazio ai giovani e di riunificare un’area divisa più dalle inimicizie personali che dalle divergenze politiche.

4. Chi protesta, chi è attivo nelle lotte, non sceglie a sinistra ma opta per il Movimento Cinque Stelle. È il momento di togliersi la puzza da sotto il naso (parlando sempre di fascismo e di matite ciucciate, ad esempio) e provare a ricordarci che, programma alla mano, il 70 per cento delle proposte del M5S è di estrema sinistra. La domanda è questa: perché l’elettorato si affida a Grillo e non all’originale? Sono molto sincero: la risposta che avrei in mente è troppo deprimente per dirla. Ma magari ha un fondo di verità: perché Grillo va di moda.

5. Se il Pd fa la grande alleanza con il Pdl alle prossime elezioni il M5S prende l’80 per cento. Conoscendo gli enrichiletta, la cosa è possibile.

6. Nonostante i giganteschi spot a reti unificate, Monti porta a casa un deprimente 10 per cento. È l’unica soddisfazione della giornata. E conferma l’incapacità d’analisi del Pd, che non ha fatto altro che evocarne un futuro accordo.

7. Tornando alla sinistra radicale. Ingroia era e resta una splendida persona. Che ho votato con convinzione. Ma aveva ragione il direttore di questa rivista, Paolo Flores d’Arcais. Bisognava saltare il giro e prepararsi al futuro caos post-voto. Devo essere sincero: credevo si sbagliasse. Adesso, comunque sia, invitare Ingroia a fare le valige è un gioco semplice e pure codardo. Credo resti una risorsa, così come lo è quel simbolo, il Quarto Stato. Che adesso non va di moda, ma che ha un suo valore e una sua ragione d’esistere.

8. Infine Berlusconi. Resta il politico più straordinario della storia di questo Paese. In senso negativo, certo. Eppure rimane drammaticamente unico. Chi non lo ha stritolato 14 mesi fa deve dimettersi una volta per tutte.

9. Basta parlare di politica. D’ora in poi motori, donne, discoteca.

Lo scenario greco e la lezione incompresa di Atene

Fonte: il manifesto | Autore: Angelo Mastrandrea
Aveva espresso tutto il suo timore Mario Monti nel comizio di chiusura della campagna elettorale, tre giorni fa a Firenze: «Temo un risultato alla greca». L'aveva detto anche Pierluigi Bersani, accusando Beppe Grillo: «Porterà il Paese in Grecia, non tra sei mesi ma domani mattina». Quel giorno è arrivato e le urne ci consegnano un risultato alla greca, appunto: nessuna maggioranza certa, ingovernabilità, rischio di turbolenze finanziarie e prospettiva di un ritorno al voto in tempi brevi. Anche perché, come in Grecia un anno fa, qualsiasi ipotesi di grande coalizione non avrebbe altro risultato che quello di far schizzare in alto i consensi per l'unica forza capace di coagulare il malcontento sociale: in Italia il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, in Grecia la sinistra radicale di Syriza.
Ma vediamo quante e quali analogie potrebbero esserci con quanto accaduto ad Atene. I greci andarono al voto il 6 maggio del 2012 con un fortissimo rischio che i due partiti maggiori, il centrodestra di Nuova Democrazia - minato da numerosi scandali di corruzione, come il Pdl italiano - e i socialisti del Pasok non riuscissero a ottenere una maggioranza sufficiente a formare un governo di unità nazionale. Andò esattamente così: il centrodestra si fermò a un misero 18,9% dei consensi, il Pasok crollò al 13,2%. Viceversa, si registrò l'exploit di Syriza, la coalizione di sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras, che grazie al fatto di aver cavalcato le proteste di piazza riuscì a ottenere il 17% dei voti. Sul versante opposto, mise paura l'avanzata dei neonazisti di Alba Dorata, al 7%.
Il giorno dopo, risultò impossibile formare un governo, anche perché Syriza rifiutò qualsiasi accordo che avrebbe fatto precipitare i consensi ottenuti. Si tornò così alle urne il 17 giugno, sotto la spada di Damocle della mancata concessione degli aiuti europei e del rischio concreto di non riuscire a pagare stipendi e pensioni nel volgere di un paio di mesi. Il leader di Nuova Democrazia Antonis Samaras promise di rinegoziare le condizioni-capestro imposte dalla Ue e la pressione internazionale fu pesantissima. Risultato: il centrodestra balzò dal 18,9% al 30%. Del ricatto europeo non beneficiò il Pasok, che rimase incollato al 12,5% che bastò per formare un governo di coalizione. Ma la vera sorpresa fu ancora una volta Syriza, che balzò al 27%. Morale della favola: non aver studiato la lezione greca ci ha condotti dritti a uno scenario greco.

martedì 26 febbraio 2013

L’amico del giaguaro

L’amico del giaguaro
L’amico del giaguaro

Pubblicato il 26 feb 2013

di Marco Travaglio -
La domanda era: riusciranno i nostri eroi a non vincere le elezioni nemmeno contro un Caimano fallito e bollito? La risposta è arrivata ieri: ce l’han fatta un’altra volta. Come diceva Nanni Moretti 11 anni fa, prima di smettere di dirlo e di illudersi del contrario, “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Del resto, a rivedere la storia del ventennio orribile, era impossibile che gli amici del giaguaro smacchiassero il giaguaro. L’abbiamo scritto fino alla noia: nel novembre 2011, quando B. si dimise fra le urla e gli sputi della gente dopo quattro anni di disastri, era dato al 7%: bastava votare subito, con la memoria fresca del suo fallimento, e gli elettori l’avrebbero spianato, asfaltato, polverizzato. Invece un’astuta manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini, pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a B. 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro in cui ci aveva cacciati. Il risultato è quello uscito ieri dalle urne. Che non è la rimonta di B: è la retromarcia del centrosinistra. Che pretende di aver vinto con meno voti di quando aveva perso nel 2008. Il Pdl intanto ha incenerito metà dei voti di cinque anni fa, la Lega idem. E meno male che c’era Grillo a intercettarli, altrimenti oggi il Caimano salirebbe per la quarta volta al Quirinale per formare il nuovo governo. Il che la dice lunga sulla demenza di chi colloca M5S all’estrema destra o lo paragona ad Alba Dorata. Il centrodestra è al minimo storico, sotto il 30%, che però è il massimo del suo minimo: perché B. s’è alleato con tutto l’alleabile, mentre gli strateghi del Pd con la puzza sotto il naso han buttato fuori Di Pietro e quel che restava di Verdi, Pdci, Prc e hanno schifato Ingroia: altrimenti oggi avrebbero almeno 2 punti e diversi parlamentari in più, forse addirittura la maggioranza al Senato. Ma credevano di avere già vinto, con lo “squadrone” annunciato da Bersani dopo le primarie: l’ennesima occasione mancata (oggi, col pur discutibile Renzi, sarebbe tutta un’altra storia). Erano troppo occupati a spartirsi le poltrone della nuova gioiosa macchina da guerra per avere il tempo di fare campagna elettorale. I voti dovevano arrivare da sé, per grazia ricevuta e diritto divino, perché loro sono i migliori e con gli elettori non parlano. Qualcuno ricorda una sola proposta chiara e comprensibile di Bersani? Tutti hanno bene impresse quelle magari sgangherate di Grillo e quelle farlocche di B. (soprattutto la restituzione dell’Imu, tutt’altro che impossibile, anche se pagliaccesca visto che B. l’Imu l’aveva votata). Di Bersani nessuno ricorda nulla, a parte che voleva smacchiare il giaguaro. Anche questo l’abbiamo scritto e riscritto: nulla di particolarmente brillante, tant’è che ci era arrivato persino D’Alema. Ma non c’è stato verso: la campagna elettorale del Pd non è mai cominciata, a parte i gargarismi sulle alleanze con SuperMario (da ieri MiniMario) e i formidabili “moderati” di Casini (tre o quattro in tutto). Col risultato di uccidere Vendola, mangiarsi l’enorme vantaggio conquistato con le primarie e regalare altri voti a Grillo, non bastando l’emorragia degli ultimi anni. Ora è ridicolo prendersela col Porcellum (peraltro gelosamente conservato): chi, dopo 5 anni di bancarotta berlusconiana, non riesce a convincere più di un terzo degli elettori non può pretendere di governare contro gli altri due terzi. Anzi, dovrebbe dimettersi seduta stante per manifesta incapacità, ponendo fine al lungo fallimento di un’intera generazione: quella degli ex comunisti che non ne hanno mai azzeccata una. Ma dalle reazioni fischiettanti di ieri sera non pare questa l’intenzione: tutti resteranno al loro posto e, lungi dallo smacchiare il giaguaro, proveranno ad allearsi col giaguaro in una bella ammucchiata per smacchiare il Grillo e soprattutto evitare altre elezioni. Auguri. Quos Deus vult perdere, dementat prius.
il Fatto Quotidiano 26 febbraio 2013

“Il pianeta delle disuguaglianze. E’ l’ingiustizia che uccide la democrazia”, di Zygmunt Bauman

- manuellaghizzoni -

Nel suo nuovo libro Bauman tratta il tema della ricchezza che non dà benessere
“La corsa al profitto individuale non è un vantaggio per tutti: le disparità crescono”. Uno studio recente dell’Istituto mondiale per la ricerca sull’economia dello sviluppo (World Institute for Development Economics Research) dell’Università delle Nazioni Unite riferisce che nel 2000 l’1 per cento delle persone adulte più ricche possedeva da solo il 40 per cento delle risorse globali, e che il 10 per cento più ricco deteneva l’85 per cento della ricchezza mondiale totale. La metà inferiore della popolazione adulta del mondo possedeva l’1 per cento della ricchezza globale. Ma questa è solo l’istantanea di un processo in corso… Notizie sempre più negative e sempre peggiori per l’uguaglianza degli esseri umani, e quindi anche per la qualità della vita di tutti noi, si susseguono di giorno in giorno.
«Le disuguaglianze planetarie attuali avrebbero fatto arrossire di vergogna gli inventori del progetto moderno, Bacone, Descartes o Hegel»: è la considerazione con cui Michel Rocard, Dominique Bourg e Floran Augagner concludono l’articolo “Le genre humain menacé” pubblicato a firma di tutti e tre in Le Monde del 2 aprile 2011. Nell’epoca dei Lumi in nessun luogo della terra il livello di vita era di più di due volte superiore a quello della regione più povera. Oggi, il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite di ben 428 volte più alto del paese più povero, lo Zimbabwe. E questi, non dimentichiamolo, sono confronti fra medie, che ricadono quindi nella storiella del pollo di Trilussa…
L’ostinata persistenza della povertà su un pianeta alle prese col fondamentalismo della crescita economica è già abbastanza per indurre le persone pensanti a fermarsi un momento e a riflettere sulle vittime dirette e indirette di una così ineguale distribuzione della ricchezza. L’abisso sempre più profondo che separa i poveri e privi di prospettiva dai benestanti ottimistici, fiduciosi e chiassosi — un abisso di profondità tale che già è al di sopra delle capacità di scalata di chiunque salvo gli arrampicatori più muscolosi e meno scrupolosi — è una ragione evidente per essere gravemente preoccupati. Come gli autori dell’articolo appena citato ammoniscono, la principale vittima della disuguaglianza che si approfondisce sarà la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza e di vita dignitosa, sempre più scarsi, ricercati e inaccessibili, diventano oggetto di una rivalità brutale e forse di guerra fra i privilegiati e i bisognosi lasciati senza aiuto. Una delle fondamentali giustificazioni morali addotte a favore dell’economia di libero mercato, e cioè che il perseguimento del profitto individuale fornisce anche il meccanismo migliore per il perseguimento del bene comune, risulta indebolita. Nei due decenni che hanno preceduto l’accendersi dell’ultima crisi finanziaria, nella grande maggioranza dei paesi dell’OCSE il reddito interno reale per il 10 per cento delle persone al vertice della piramide sociale è aumentato con una velocità del 10 per cento superiore rispetto a quello dei più poveri. In alcuni paesi, il reddito reale della fascia al fondo della piramide è in realtà diminuito.
Le disparità di reddito si sono quindi notevolmente ampliate. «Negli Stati Uniti, il reddito medio del 10 per cento al vertice è attualmente 14 volte quello del 10 percento al fondo», si vede costretto ad ammettere Jeremy Warner, caporedattore di The Daily Telegraph, uno dei quotidiani più entusiasti nell’esaltare la «mano invisibile» dei mercati che sarebbe capace, agli occhi tanto dei redattori quanto dei lettori, di risolvere tutti i problemi da essi creati (e magari qualcuno in più). Warner aggiunge: «La crescente disuguaglianza del reddito, benché ovviamente indesiderabile dal punto di vista sociale, non ha necessariamente grande rilevanza se tutti diventano contemporaneamente più ricchi. Ma se la maggior parte dei vantaggi del progresso economico vanno a un numero relativamente ristretto di persone che guadagnano già un reddito elevato — che è quanto sta accadendo nella realtà di oggi — si avvia evidentemente a diventare un problema».
L’ammissione, cauta e tiepida nel suo tenore ma piena di comprensione anche se solo semivera nel suo contenuto, arriva al culmine di una marea montante di scoperte dei ricercatori e di statistiche ufficiali che documentano la distanza rapidamente crescente fra quelli che sono in cima e quelli che sono in fondo alla scala sociale. In stridente contraddizione con le dichiarazioni dei politici, che pretendono di essere riciclate come credenza popolare non più soggetta a riflessione né controllata né messa in discussione, la ricchezza accumulata al vertice della società ha mancato clamorosamente di «filtrare verso il basso» così da rendere un po’ più ricchi tutti quanti noi o farci sentire più sicuri, più ottimisti circa il futuro nostro e dei nostri figli, o più felici…
Nella storia umana la disuguaglianza, con tutta la sua fin troppo evidente tendenza ad autoriprodursi in maniera sempre più estesa e accelerata, non è certo una notizia. E tuttavia a riportare di recente l’eterna questione della disuguaglianza, delle sue cause e delle sue conseguenze, al centro dell’attenzione pubblica, rendendola argomento di accesi dibattiti, sono stati fenomeni del tutto nuovi, spettacolari, sconvolgenti e illuminanti.
La Repubblica 25.02.13

Brancaccio: “L’euro è un morto che cammina, exit strategy da sinistra”

 
monti-merkel
Il signor euro aveva più volte rischiato l’infarto. Il dottor Draghi decise allora di metterlo in coma farmacologico. Sulla cura però indugiava, e a intervalli periodici il dilemma amletico gli si ripresentava: lasciarlo dormire o farlo morire? Draghi insisteva per la prima soluzione. Ma ad un tratto il popolo italiano ha improvvisamente optato per la seconda: ormai l’euro è solo uno zombie, un morto che cammina. Volenti o nolenti, prendiamone atto.

Vedrete che nel Direttorio della Bce l’avranno già capito. A Francoforte si accingeranno a modificare la “regola di solvibilità” della politica monetaria: il famigerato ombrello europeo contro la speculazione verrà pian piano chiuso, per poi finire in cantina [1]. La dottrina del falco Jurgen Stark, uscita dalla porta, si appresta dunque a rientrare dalla finestra. Si può star certi che il dottor Draghi dovrà accoglierla con tutti gli onori. Le più fosche previsioni di un appello di 300 economisti, pubblicato nel giugno 2010, si stanno dunque avverando [2]. La pretesa della Bce di proteggere dagli attacchi speculativi solo i paesi devoti alla disciplina dell’austerity, si è rivelata un clamoroso errore, logico e politico. L’Italia, che ha dato i lumi al Rinascimento ma anche al Fascismo, ieri ha sancito che per l’euro non resta che recitare il De Profundis. Nessuno osi affermare che ha fatto da sola: i tecnocrati europei, condizionati dagli interessi prevalenti in Germania, stavano già da tempo preparando il fosso in cui seppellire la moneta unica.
E ora? Gli eredi più o meno degni del movimento operaio novecentesco che faranno? Sapranno anticipare il corso degli eventi o preferiranno anche stavolta fungere da ultima ruota del carro della Storia? Anziché lasciarsi travolgere dall’idea ottusa della “grande coalizione”, o riesumare il giovane dinosauro liberista Renzi per suicidarsi entro un anno, sarebbe forse opportuno che il Partito democratico e la CGIL prendessero atto che non è più tempo di parlare di politiche di convergenza o magari di standard retributivo europeo [3]. I proprietari tedeschi non sono più interessati alla moneta unica, le speranze di riforma dell’Unione monetaria sono ormai vane. Il punto dirimente è dunque uno soltanto: in che modo uscire dalla zona euro.
Il più probabile, allo stato dei fatti, è il modo di “destra”, che consiste nel favorire le fughe di capitale, aprire alle acquisizioni estere del capitale bancario e degli ultimi spezzoni rilevanti di capitale industriale nazionale, e lasciare i salari completamente sguarniti di fronte a un possibile sussulto dei prezzi e soprattutto delle quote distributive. C’è motivo di prevedere che non soltanto il redivivo Berlusconi ma anche molti altri inizieranno ad ammiccare a questa soluzione. Sedicenti “borghesi illuminati”, orde di opinionisti del mainstream si affretteranno a rifarsi una verginità giudicando l’euro un ideale kantiano fin dalle origini destinato al fallimento, riesumando Milton Friedman e i cambi flessibili e dichiarandosi favorevoli alla svalutazione allo scopo di rendere il paese appetibile per i capitali esteri a caccia di acquisizioni a buon mercato. Che dunque la moneta unica se ne vada al diavolo, grideranno: l’importante è salvare il mercato unico e la libera circolazione dei capitali dalle pulsioni protezioniste dei cosiddetti populisti! Ebbene, se le cose andranno in questi termini, c’è motivo di temere che la deflagrazione della zona euro potrebbe rivelarsi una macelleria messicana. Del resto, chi un po’ ha studiato la storia economica dell’ultimo secolo sa bene che la sovranità monetaria, presa isolatamente, non è la panacea, e che non sono stati per nulla infrequenti i casi di sganciamento da un regime di cambi fissi che hanno prodotto veri e propri disastri in termini di liquidazione del capitale nazionale e distruzione degli ultimi scampoli di diritti sociali. Beninteso, non sempre è andata male, ma in alcuni casi e per alcuni soggetti è andata malissimo. Per citare solo qualche esempio: nel 1992, dopo l’uscita dallo SME, in Italia la quota salari crollò dal 62 al 54%. Nel 1994-1995, dopo i deprezzamenti, Turchia, Messico e Argentina registrarono in un anno cadute dei salari reali rispettivamente del 31%, 19% e del 5%, e dopo la svalutazione del 1998, in Indonesia, Corea del Sud e Tailandia si verificarono diminuzioni dei salari reali del 44%, 10% e 6% (dati ILO e World Bank). Per non parlare dei “fire sales” dei capitali nazionali favoriti dalla svalutazione. Il ripristino della sovranità monetaria è ormai imprescindibile, ma l’uscita “da destra” potrebbe trasformarlo in un incubo.
Questa prospettiva non costituisce però un destino inesorabile. Come abbiamo cercato di argomentare in questi mesi, c’è anche un modo alternativo di gestire l’implosione dell’eurozona, che consiste nel tentativo di costruire un blocco sociale intorno a una ipotesi di uscita dall’euro declinata a “sinistra”. Vale a dire, in primo luogo: un arresto delle fughe di capitale; accorte nazionalizzazioni al posto delle acquisizioni estere dei capitali bancari; un meccanismo di indicizzazione dei salari e di amministrazione di alcuni prezzi base per governare gli sbalzi nella distribuzione dei redditi; la proposta di un’area di libero scambio tra i paesi del Sud Europa. Insomma: la soluzione “di sinistra” dovrebbe vertere sull’idea che se salta la moneta unica bisognerà mettere in questione anche alcuni aspetti del mercato unico europeo.
Verificare se esistono le condizioni per formare una coalizione sociale intorno a una ipotesi di uscita “da sinistra” dall’euro significherebbe anche mettere alla prova il Movimento 5 Stelle. Che sebbene abbia il vento in poppa difficilmente arriverà a governare da solo, e che in ogni caso si troverà presto di fronte al bivio ineludibile di qualsiasi politica economica: dare priorità agli imprenditori e ai piccoli proprietari, oppure cercare una sintesi con gli interessi dei lavoratori subordinati.
Il 12 luglio 2012 un importante dirigente dei Democratici mi scriveva: «sono d’accordo con te e depresso per il conformismo culturale di tanti a noi vicini. Dobbiamo vederci per il piano B», dove “piano B” stava appunto per “uscita da sinistra dall’euro”. Pochi giorni dopo Draghi rimise la plurinfartuata moneta unica in coma farmacologico e il “piano B” finì nuovamente nel limbo dell’indicibile. Oggi se ne può riparlare? In tutta franchezza, anche adesso che l’euro è di nuovo in prossimità dello sfascio ho il sospetto che il PD e la CGIL non saranno in grado di compiere una tale virata. L’iceberg ormai lo vedono anche loro, e forse hanno persino capito che in gioco è la loro stessa sopravvivenza, come il destino del Pasok insegna. Ma hanno mangiato per decenni pane e “liberoscambismo”, e sono stati educati dai bignami di economia e di storia di Eugenio Scalfari, che fatica ormai persino a rammentare che alla vigilia della prima guerra mondiale imperversava non certo l’autarchia ma il gold standard e la piena libertà di circolazione internazionale dei capitali. Bisognerebbe oggi rileggere Keynes e studiare Dani Rodrik, di Harvard. Temo però che a sinistra non vi sarà nemmeno il tempo di un’autocritica, figurarsi di un cambio di paradigma [4].
Gli scomodi panni delle Cassandre iniziano a far male davvero: speriamo, almeno stavolta, di sbagliarci.
Emiliano Brancaccio da emilianobrancaccio.it

Dialogo platonico dopo le elezioni italiane

- oscarb1 -

Platone: Carissimo Fedone. Che gioia rivederti. E' passato un secolo dall'ultima volta. Ma dove sei stato?
Fedone: Ho trascorso il 2012 negli Stati Uniti, sotto false spoglie, perche' volevo rendermi conto di come funiona quella democrazia.
Platone: Hanno rieletto l'abbronzato..,poveri loro.
Fedone: Per fortuna, esimio Maestro di ogni preclara Virtu'. Obama e' il solo che puo' rimettere a posto le cose in America, dopo avere ricevuto un'eredita' terribile da George W. Bush. Per fortuna gli americani quando vanno alle urne dimostrano quasi sempre di sapere prendere delle giuste decisioni collettive...
Platone: Mettiamoci a sedere su questa panchina. Che belli questi viali del Parnaso. Sono un po' stanco ho seguito le elezioni italiane...
Fedone: Grandissimo Maestro: gli italiani hanno dimostrato ancora una volta che sono dei bugiardi.
Platone: E perche' mai, dolce figliolo e discepolo?
Fedone: Vedete, Maestro: mentre in tutti gli altri paesi occidentali gli istant poles e gli exit poles sono quasi sempre molto attendibili, perche' la gente intervistata dice la verita', in Italia si divertono a prendere per il culo i sondaggisti, raccontando il falso. Infatti la prima ora dopo la chiusura dei seggi, lo scenario era di un tipo, modificato in peggio per il centro sinistra alla seconda ora, fino a deteriorarsi poi con i dati reali. Al punto che alla Camera Bersani ha vinto per una differenza di poco piu' di centomila voti.
Platone: sono simpatici questi italiani. Perche' non sai mai da che parte stanno. Non per niente quei cattivoni di anglosassoni dicono che sono 'double standard'.
Fedone: Non hanno tutti i torti. E comunque non so come la pensate voi , chiarissimo ed eccelso, sul risultato di questa rovente campagna elettorale di tre mesi...
Platone: Ha vinto Lui, quel personaggio eccezionale che risponde al nome di Silvio e che anch'io voterei se mi trovassi nelle condizioni di farlo..
Fedone: Bisogna ammettere che il Cavaliere e' un grande televenditore..
Platone: Ma non e' solo questo. Ha charme, non per niente manda in solluccheri le donne di ogni eta'. E' simpatico, pieno di un'energia incredibile nonostante la tarda eta'. (dicono che, come l'attrice Demie Moore, si faccia dei clisteri di caffe' per rimanere giovane). Solo grazie a Lui il Partito della Liberta', che era ridotto al lumicino e dilaniato da faide interne, ha ritrovato compattezza raggiungendo risultati inimmaginabili alla vigilia delle elezioni.
Fedone: Maestro Preclaro. Il Berlusca fa promesse a ripetizione sapendo che non potra' mantenerle. E' un bugiardo matricolato.
Platone: Ma piace alla gente che vuole ascoltare uno che la incanta. So bene che tu, caro Fedone, sei sempre orientato sul versante di sinistra. Che mi dici del Bersani?
Fedone: Dico che Bersani mi ha deluso. Sara' stato, come dicono, un buon ministro. Dicono che sia una persona per bene. Ma quanto a comunicazione e' una frana. Non si capisce cosa diavolo voglia dire. Ma quel che e' peggio ha inserito nel suo linguaggio politico delle frasi idiote (smacchiare i giaguari, pettinare le bambole, etc.) che sollecitano il pianto piu' che l'attenzione.
Platone: Non essere troppo severo. Ricorda che ha voluto lui le primarie del PD, nonostante l'opposizione dell'apparato catto-comunista del partito.
Fedone: Infatti, sul finire della campagna ha dovuto chiamare al suo fianco quel Matteo Renzi che si era conquistato il 40% del PD nelle primarie e che e' stato messo a cuccia a fare il sindaco di Firenze (mestiere che fa bene).
Platone: Simpatico quel giovane Renzi. Magari lo avessi avuto tra i miei discepoli come nel tuo caso.
Fedone: Povero Matteo, avrebbe dovuto pagare pegno come abbiamo fatto tutti con la scusa che questo era il rispetto dei peripatetici nei confronti del Maestro.
Platone: Non rimembrare dolci ricordi della mia maturita'. Sai Fedone che quel Grillo e' un incredibile personaggio.
Fedone: Bisogna ammetterlo, Stupendo Gran Maestro. Dal 2003 va in giro per le piazze a ripetere sempre lo stesso spettacolo con lo stesso copione. Anni fa ci faceva solo ridere. Oggi con la crisi tremenda che attanaglia il portafoglio di milioni di persone, la sua predicazione da commediante ha fatto leva nelle coscienze delle persone che non sanno dove sbattere la testa per andare avanti. Ha riempito le piazze, ha usato la Rete, ha parlato di cose vere e fatto promesse che sicuramente potranno essere realizzate. E la gente lo ha seguito.
Platone: Fedone, mio dolce virgulto: mentre i voti dati a Silvio hanno una consistenza, quelli dati al Grillo a che serviranno mai, visto che ha dichiarato guerra a tutto lo scenario politico tradizionale?
Fedone: Anche se ha portato via un sacco di voti alla sinistra, a me Grillo e' simpatico. Le centinaia di deputati e senatori che ha immesso nel nuovo Parlamento, dovranno in qualche modo lavorare.La protesta deve essere archiviata e lasciare spazio ai fatti e alla costruzione di un sentiero virtuoso.
Platone: Vorresti farmi credere che i Grillini faranno accordi con il PD o con l'odiato e vituperato PDL?
Fedone: Col PDL spero di no dopo quello che Grillo ha vomitato su Berlusconi. Quanto all'esigenza di fare delle riforme immediate a cominciare dall'odiato Porcellun elettorale ci possono essere dei meccanismi di aggregazione, una volta che la polvere degli schiamazzi elettorali sia calata.
Platone: E Monti, carissimo Fedone, che fine ha fatto?
Fedone: La dimostrazione evidente di come un gran professore e tecnico possa naufragare quando decida di entrare nell'agone politico, dove recitano i professionisti. La sua oratoria, malamente volgarizzata secondo le esigenze di copione, faceva pena. Chiara conferma che ognuno deve fare il proprio mestiere. Di tuttologi c'e' solo il Cavaliere. Uno strazio che conferma le perplessita'; espresse dal Presidente Napolitano quando Monti gli ha comunicato che voleva 'salire' in campo.
Platone: E adesso, dolce allievo mio, che succedera' in Italia?
Fedone: il perciolo e' che il Paese sia ingovernabile e che si debba andare a nuove elezioni. Oppure che il Machiavelli che fa parte del DNA di ogni italiano riesca a trovare soluzioni che per qualsiasi altro abitante dell'orbe terraqueo sarebbero impossibili.
Platone: se poi aggiungi anche il Conclave per l'elezione del nuovo Papa, l'elezione del Presidente della Repubblica italiana, i meteoriti che colpiscono la Terra, il Medio Oriente, Iran e Israele, e via citando lo spettacolo visto dall'Olimpo e' meglio del film Argo, quanto a suspence.

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