di Aldo Tortorella - controlacrisi -
Merita qualche riflessione in più, rispetto a una rinnovata constatazione della concentrazione finanziaria, lo studio sugli incroci proprietari delle maggiori multinazionali di recente pubblicazione su una delle più rigorose riviste scientifiche della rete e poi ripresa da molti siti e da pochi quotidiani. La conclusione di questa ricerca è che 1300 multinazionali, in prevalenza banche, assicurazioni, gruppi finanziari, controllano una miriade di altre grandi società assommando così il 60% del fatturato globale e che 147 di esse sono quelle “superconnesse” in modo tale da rappresentare il 40%della ricchezza del pianeta. «Un pugno di società controlla il mondo. Ecco la rete globale del potere finanziario», titolò anche La Repubblica on line il 2 gennaio.
È stato giustamente detto che per molti, ad esempio per il movimento Occupy Wall Street, la cui parola d’ordine è «siamo il 99% del pianeta contro l’1%», si tratta di una non notizia o, al massimo, di una conferma scontata. È quasi un luogo comune, infatti, che il 20% dei più ricchi possiede l’80% del patrimonio mondiale, oppure che pochi dei più grandi finanzieri hanno più di quanto posseggano un bel po’ di Stati africani. La notizia nuova rappresentata da quella ricerca, però, sta sia nella sua fonte
e nella sua qualità sia, mi pare, nelle sue implicazioni non puramente quantitative.
La fonte è quella della cattedra di analisi dei sistemi complessi, dell’Istituto di alta tecnologia di Zurigo, uno dei maggiori centri di ricerca del mondo, che vanta tra i suoi studenti e professori del passato lontano e recente una trentina di premi Nobel nellematerie scientifiche (tra cui Einstein), oltre che una serie di celebrità in tutti i campi. Presso questa cattedra, che applica le conoscenze matematiche implicite nella materia ai sistemi economici e sociali, lavorano i tre studiosi – Stefania Vitali, James Glattfelder, Stefano Battiston – autori di questo saggio (The network corporate control) che ha le caratteristiche di una ricerca pura.
Essa, cioè, è del tutto priva di qualsiasi premessa o intenzionalità ideologica, come ben chiariscono gli autori nelle discussioni accademiche e non accademiche che hanno seguito la pubblicazione sulla rete. Il che vale a dire, com’è ovvio, che nella sua origine e motivazione non vi è alcuna ipotesi favorevole od ostile alle dottrine economiche liberistiche o antiliberistiche e meno che mai a ipotesi su supposti complotti del capitale.
Semplicemente, ma non facilmente, gli autori hanno creato un (complicato) metodo di indagine per accertare gli intrecci proprietari a partire dal database Orbis che catalogava 37 milioni di società finanziarie e industriali, banche, assicurazioni, enti economici di tutto il mondo. La principale diversità di questa ricerca rispetto alle altre che l’hanno preceduta sta appunto nel fatto di non limitare l’analisi a un gruppo ristretto di società, ma di avere preso come punto di avvio il massimo possibile dei soggetti da esaminare.
Merita qualche riflessione in più, rispetto a una rinnovata constatazione della concentrazione finanziaria, lo studio sugli incroci proprietari delle maggiori multinazionali di recente pubblicazione su una delle più rigorose riviste scientifiche della rete e poi ripresa da molti siti e da pochi quotidiani. La conclusione di questa ricerca è che 1300 multinazionali, in prevalenza banche, assicurazioni, gruppi finanziari, controllano una miriade di altre grandi società assommando così il 60% del fatturato globale e che 147 di esse sono quelle “superconnesse” in modo tale da rappresentare il 40%della ricchezza del pianeta. «Un pugno di società controlla il mondo. Ecco la rete globale del potere finanziario», titolò anche La Repubblica on line il 2 gennaio.
È stato giustamente detto che per molti, ad esempio per il movimento Occupy Wall Street, la cui parola d’ordine è «siamo il 99% del pianeta contro l’1%», si tratta di una non notizia o, al massimo, di una conferma scontata. È quasi un luogo comune, infatti, che il 20% dei più ricchi possiede l’80% del patrimonio mondiale, oppure che pochi dei più grandi finanzieri hanno più di quanto posseggano un bel po’ di Stati africani. La notizia nuova rappresentata da quella ricerca, però, sta sia nella sua fonte
e nella sua qualità sia, mi pare, nelle sue implicazioni non puramente quantitative.
La fonte è quella della cattedra di analisi dei sistemi complessi, dell’Istituto di alta tecnologia di Zurigo, uno dei maggiori centri di ricerca del mondo, che vanta tra i suoi studenti e professori del passato lontano e recente una trentina di premi Nobel nellematerie scientifiche (tra cui Einstein), oltre che una serie di celebrità in tutti i campi. Presso questa cattedra, che applica le conoscenze matematiche implicite nella materia ai sistemi economici e sociali, lavorano i tre studiosi – Stefania Vitali, James Glattfelder, Stefano Battiston – autori di questo saggio (The network corporate control) che ha le caratteristiche di una ricerca pura.
Essa, cioè, è del tutto priva di qualsiasi premessa o intenzionalità ideologica, come ben chiariscono gli autori nelle discussioni accademiche e non accademiche che hanno seguito la pubblicazione sulla rete. Il che vale a dire, com’è ovvio, che nella sua origine e motivazione non vi è alcuna ipotesi favorevole od ostile alle dottrine economiche liberistiche o antiliberistiche e meno che mai a ipotesi su supposti complotti del capitale.
Semplicemente, ma non facilmente, gli autori hanno creato un (complicato) metodo di indagine per accertare gli intrecci proprietari a partire dal database Orbis che catalogava 37 milioni di società finanziarie e industriali, banche, assicurazioni, enti economici di tutto il mondo. La principale diversità di questa ricerca rispetto alle altre che l’hanno preceduta sta appunto nel fatto di non limitare l’analisi a un gruppo ristretto di società, ma di avere preso come punto di avvio il massimo possibile dei soggetti da esaminare.