Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 31 agosto 2013

Syrialeaks: come dare la colpa ad Assad

di Pino Cabras

Un titolo netto sul Daily Mail, un quotidiano da due milioni di copie in edicola e da tre milioni di utenti online al giorno: «Piano sostenuto dagli USA per lanciare un attacco con armi chimiche contro la Siria e dare la colpa al regime di Assad».

Il titolo in questione risale al 29 gennaio 2013. L'edizione online del
Daily Mail ha pubblicato un'interessante storia - a firma di Louise Boyle - in grado di gettare la giusta luce investigativa sui tragici attacchi col gas verificatisi in Siria sette mesi dopo, ad agosto 2013.

Ogni tanto, la grande stampa riporta qualche fatto importante che suona totalmente diverso dal racconto di fondo, ma quando questo avviene è un fuoco di paglia che viene subito estinto.

Naturalmente, pochi giorni dopo la pubblicazione, l'articolo era già sparito dagli archivi online del giornale, ma per fortuna non è così facile fare sparire l'informazione da internet una volta che vi abbia fatto capolino. Pertanto siamo in grado di riproporvi l'articolo ed esporre qui i tratti salienti.

Lo scrittore Roberto Quaglia parla di «Legge delle Prime Ventiquattrore. Nell'epoca dei mass media informazioni reali e significative vengono occasionalmente riferite al pubblico da giornalisti in buona fede durante le prime ore che seguono un evento. Poi una invisibile catena di comando evidentemente si attiva e le notizie vere, ma scomode, scompaiono in fretta e per sempre dal proscenio dei media. Solo le notizie comode - non importa se vere o se false - rimangono in circolazione. Per capire il mondo diventa quindi particolarmente interessante soffermarsi proprio sulle notizie soppresse.» Anche per il pezzo di Louise Boyle, è così. Fortuna che c'è Webarchive.

Il sottotitolo dell'articolo della Boyle recita così:
«E-mail trapelate da un fornitore della difesa trattano di armi chimiche dicendo che 'l'idea è approvata da Washington'

Parte il racconto:

«Secondo
Infowars.com, la e-mail del 25 dicembre è stata inviata dal direttore dell'area di sviluppo degli affari della Britam, David Goulding, al fondatore della società, Philip Doughty.

Vi si legge:
"Phil ... Abbiamo una nuova offerta. Si tratta di nuovo della Siria. I Qatarioti propongono un affare interessante e giuro che l'idea è approvata da Washington.

Dovremmo consegnare dell'armamento chimico (CW nell'originale, NdT) a Homs, una g-shell (bomba a gas, Ndt) di origine sovietica proveniente dalla Libia simile a quelle che Assad dovrebbe avere.

Vogliono farci dispiegare il nostro personale ucraino che dovrebbe parlare russo e realizzare una registrazione video.

Francamente, non credo che sia una buona idea, ma le somme proposte sono enormi. Qual è la tua opinione?

Cordiali saluti, David."»

Come interpretare il messaggio? Nell'articolo si riassume così: «L'e-mail sarebbe stata inviata da un alto ufficiale a un appaltatore della Difesa britannica in merito a un attacco chimico "approvato da Washington" in Siria, da poter attribuire al regime di Assad.»

Insomma, il classico casus belli da scatenare con un atto spregevole "sotto falsa bandiera", da attribuire al nemico. Una cosa impensabile per la stampa allineata, ma ben presente ai piani alti della pianificazione bellica. Abbiamo visto ad esempio con quanto candore uno dei frequentatori di questi piani alti, Patrick Lyell Clawson, dichiarava la necessità di un simile pretesto, in quel caso per attaccare l'Iran:

«
Francamente, penso che sia molto difficile dare inizio ad una crisi. E faccio molta fatica a vedere come il presidente degli Stati Uniti possa davvero portarci in guerra contro l'Iran. Questo mi porta a concludere che se non si troverà un compromesso, il modo tradizionale con cui l'America entra in guerra sarebbe nel miglior interesse degli Stati Uniti.»
Ossia con un casus belli generato da una provocazione. «Stiamo giocando una partita coperta con gli iraniani, e potremmo anche diventare più cattivi nel farlo», concludeva il falco di Washington.

Non sempre il potere si rivela in un modo così sfrontato ed esplicito. Nell'epoca di Wikileaks e di Edward Snowden le rivelazioni passano più spesso attraverso canali elettronici e contro il volere del governo. L'aricolo del
Daily Mail precisava che «le e-mail sono state diffuse da un hacker malese che ha anche ottenuto i curricula degli alti dirigenti e le copie dei passaporti attraverso un server aziendale non protetto, secondo quanto riferito da Cyber War News.»

E per far capire quanto i ribelli siriani alleati degli USA e del Qatar potessero essere spregiudicati (oltre che ben addestrati) nell'uso di armi chimiche, l'articolo incorporava anche un video nel quale questi provavano gli effetti delle armi chimiche sui conigli. Il video mostra immagini particolarmente crude, attenzione:

È quantomeno curioso, per non dire di peggio, che oggi la grande stampa non ritorni sulla notizia del quotidiano londinese per approfondirla. Invece succede che tutto venga stravolto dai tamburi della propaganda bellica.
Le pagine online del 28 e 29 agosto 2013 di tutti i principali quotidiani italiani, ad esempio, titolano che "la Siria minaccia di colpire l'Europa con le armi chimiche", distorcendo in totale malafede una frase di un politico siriano che diceva tutt'altro. Il viceministro degli Esteri Faisal Maqdad criticava infatti i paesi che hanno aiutato «i terroristi» (ossia i ribelli jihadisti) ad usare le armi chimiche in Siria, ammonendo sul fatto che gli stessi gruppi nemici di Damasco «le useranno presto contro il popolo d'Europa». Tradotto: attenta Europa, ti stai allevando da sola le serpi in seno. La frase era correttamente riportata in mezzo all'articolo. Ma il lettore osservi qual è invece la cornice scelta da la Repubblica e da La Stampa (e tutti gli altri, compreso Il Fatto Quotidiano, fanno lo stesso):







La Stampa attribuisce addirittura la frase ad Assad (giusto per fabbricare l'ennesimo Hitler da strapazzare). Proprio Assad, in un'intervista a un giornale russo ignorata dalle redazioni italiane, due giorni prima dichiarava:
«A quei politici vorrei spiegare che il terrorismo non è una carta vincente che si possa estrarre e utilizzare in qualsiasi momento si voglia, per poi riporla in tasca come se niente fosse. Il terrorismo, come uno scorpione, può pungerti inaspettatamente in qualsiasi momento. Non si può essere per il terrorismo in Siria e contro di esso in Mali.»
Basta poco per capire che i giornali italiani danno una copertura della crisi siriana totalmente manipolata e inattendibile. In Italia è ormai impensabile che un giornalista mainstream possa produrre un'articolo controcorrente come quello del Daily Mail.

Ancora oggi, quel giornale britannico, pur in mezzo a omissioni e distorsioni, in uno dei suoi più recenti articoli manifesta comunque il sospetto fortissimo che l'attacco chimico non sia opera di chi vorrebbero farci credere i governi.
A Londra i giornali vogliono ancora vendere qualche copia fra chi non si accontenta della propaganda. Da noi i giornali non fanno nemmeno il minimo sindacale per essere comprati. E il lettore si trova in guerra senza nemmeno sapere perché.

La prima cosa da fare, lotta alle diseguaglianze

Fonte: il manifesto | Autore: Andrea Baranes
                 
Già nel 2010 il premio Nobel per l'economia Stiglitz spiegava come il motivo di fondo della crisi esplosa con la bolla dei mutui subprime fosse legato a una pessima e sempre peggiore distribuzione del reddito negli Usa. Da trent'anni una fetta sempre maggiore della ricchezza finiva ai profitti (profit share), mentre calava quella destinata al lavoro (wage share). Un processo comune a tutte le economie occidentali, e particolarmente sentito in Italia, dove in meno di vent'anni qualcosa come 120 miliardi di euro, l'8% del Pil, si è spostato dal lavoro ai profitti.

In un'economia fondata su una continua crescita dei consumi, come fare a «vendere» sempre di più a famiglie e lavoratori sempre più poveri? La soluzione è stata trovata dall'ingegneria finanziaria, con la creazione di strumenti e prodotti finanziari, dai derivati alle cartolarizzazioni, dal sistema bancario ombra alla leva finanziaria, che hanno permesso una crescita ipertrofica della massa di denaro e di debiti, in modo da drogare la crescita del Pil. Nelle parole di Stiglitz, «l'economia globale aveva bisogno che i consumi, in crescita costante, continuassero ad aumentare. Ma come sarebbe stato possibile, se il reddito era in piena stagnazione da anni? Gli americani avevano escogitato una soluzione ingegnosa: prendere soldi in prestito e consumare come se i loro redditi fossero in crescita».

In altri termini, le disuguaglianze di reddito come motivo di lungo periodo dello scoppio di una crisi che ha travolto l'Europa e ha portato in Italia otto trimestri consecutivi di recessione, la disoccupazione ai massimi storici, la rimessa in discussione di diritti dati per conquistati e acquisiti.

A fronte di una tale situazione la risposta della troika e delle istituzioni europee è stata una sola: piani di austerità e sacrifici per i cittadini che hanno già pagato diverse volte il costo della crisi, liquidità illimitata e a bassissimo costo per il sistema finanziario che ne è responsabile. Delle soluzioni che scaricano il peso della crisi sulle spalle dei più poveri, i primi a subirne le conseguenze sia in termini di reddito diretto sia per il taglio dei servizi essenziali. In altre parole delle soluzioni che stanno ulteriormente esasperando le disuguaglianze e aggravando i motivi che ci hanno condotto nella crisi stessa. Peggio ancora, l'austerità per i cittadini e la liquidità per la finanza stanno portando a un nuovo scollamento tra i valori degli attivi finanziari e quelli dell'economia «reale», con il rischio di una nuova bolla finanziaria. Lanciati verso un baratro, ci chiedono di accelerare. Una situazione riassunta dal direttore esecutivo per la stabilità finanziaria della Banca d'Inghilterra, Andrew Haldane, secondo il quale «abbiamo assistito prima a una crisi indotta dalle disuguaglianze e, successivamente, a disuguaglianze indotte dalla crisi».

Davanti a un'Europa che continua imperterrita ad applicare una dottrina neoliberista che si è dimostrata fallimentare, in Italia assistiamo al desolante vuoto della politica, ferma al mantra «è l'Europa che ce lo chiede».

Per questo il Forum di Sbilanciamoci! che si svolgerà da venerdì 6 a domenica 8 settembre a Roma vuole ripartire dal tema delle disuguaglianze per aprire uno spazio di discussione e ipotizzare un percorso diverso per la finanza, l'economia, l'ambiente, il sociale, la democrazia. Diverse sessioni, in ognuna delle quali si cercherà di inquadrare la situazione europea, i problemi specifici dell'Italia, le possibili soluzioni legate a diverse politiche economiche, fiscali e monetarie e le risposte che stanno arrivando dal basso, dalle lotte per i diritti, il reddito e i beni comuni.

Non a caso il Forum si terrà presso le Officine Zero e il Teatro Valle Occupato, due esperienze di autogestione e di lotta dal basso per la riappropriazione di spazi di democrazia.

Una riflessione a 360 gradi su modelli di welfare, uso della leva fiscale e della spesa pubblica, finanziamento e gestione dei beni comuni, forme di altra economia, reddito universale di cittadinanza, politiche per la pace, riduzione del consumo di suolo, diritto allo studio, lotta alla precarietà. A completare il programma, venerdì sera, un incontro tra i rappresentanti di alcune delle lotte più significative condotte oggi in Italia dalle lavoratrici e dai lavoratori, e il sabato sera la proiezione in anteprima nazionale dell'ultimo film di Ken Loach, «The spirit of '45».

Per immaginare e iniziare a mettere in pratica un diverso percorso che possa portare a una radicale inversione di rotta per l'insieme della società, per spezzare la spirale di aumento delle disuguaglianze, perdita di diritti e recessione, appuntamento a Roma dal 6 all'8 settembre con Sbilanciamoci!

Info: www.sbilanciamoci.org

Controcernobbio, quattro buoni motivi per esserci

la Controcernobbio di Grazia Naletto

È il momento che i movimenti e la società civile riprendano la parola per riprendere in mano l’agenda di cambiamento del paese e tornare a mobilitarsi. Obiettivo: ridare fiducia a noi stessi e a una società messa in ginocchio dalla crisi

Un regalo ai ricchi e ai costruttori: questo e non altro è l’abrogazione dell’Imu sulla prima casa varata dal governo Letta, la cui copertura fiscale è per altro ancora incompleta. Una scelta iniqua e di destra che non discrimina tra ricchi e poveri: l’Imu sulla prima casa è abolita per tutti cancellando l’unica imposta esistente sui patrimoni immobiliari, comprese le case costruite e rimaste invendute. E non importa se la nostra Costituzione prevede il principio di progressività fiscale. Non solo. Con l’introduzione della Service Tax prevista per il 2014 si sceglie di spostare su tutti coloro che abitano in una casa (proprietari e inquilini) ciò che prima veniva pagato solo dai proprietari. Non c’è dubbio: nel nostro paese rendite e patrimoni godono da sempre di un’attenzione molto particolare.
La scelta sull’Imu esemplifica per altro molto bene il cedimento della sinistra al governo ai ricatti di Berlusconi nel contesto di una crisi politica e istituzionale gravissima. Stretto tra la crisi economica, il ricatto della finanza sul debito pubblico, la minaccia di una crisi di governo nel caso il Parlamento confermi l’incandidabilità del leader del Pdl, il caos sulla legge elettorale e la riforma della Costituzione, il principale partito della sinistra cede su tutto alla logica delle larghe intese. In più, il quadro internazionale si aggrava con i preparativi per un inaccettabile intervento militare occidentale in Siria.
In questo contesto si svolgerà a Roma l’undicesimo forum di Sbilanciamoci!
Ci sono quattro buoni motivi per riprendere una discussione collettiva.
È il momento che i movimenti e la società civile riprendano la parola, non lasciando che quelle della politica delle larghe intese e dei grandi poteri economici siano le uniche voci in campo. Le 50 associazioni di Sbilanciamoci!, i movimenti impegnati sui temi della pace, dei diritti, della tutela del territorio, della lotta al razzismo e su molte altre questioni, hanno aperto spazi di democrazia e pratiche di partecipazione, mostrando la capacità di affrontare i veri problemi del paese. Sono i lavoratori precari e quelli che rischiano la disoccupazione, gli immigrati che sono scampati ai Cie, gli studenti il cui diritto allo studio è sempre più compromesso, gli operatori sociali che lottano contro i tagli del welfare, cittadini di un’Europa sempre più divisa e disorientata che saranno al forum di Roma: quella parte di società frammentata ma non ancora rassegnata alle manovre di palazzo.
L’emergenza economica e sociale chiede risposte. Venerdì 6 sera, presso OfficineZero, si incontreranno alcune delle realtà colpite dalla crisi occupazionale del paese. Una presa diretta delle voci dei protagonisti delle lotte più difficili per difendere il lavoro, la dignità, i diritti. Sbilanciamoci! ha elaborato alcune proposte - maturate in un dibattito di molti mesi - su come garantire i redditi di chi è senza lavoro, creare nuova occupazione, rilanciare la politica industriale e rovesciare il grave aumento delle disuguaglianze che segna l’Italia più di ogni altro paese europeo.
Poi ci sono i molti volti delle campagne e dei movimenti presenti nel paese. Il diritto allo studio, il reddito di cittadinanza, la costruzione di esperienze di economia ecologica e solidale, i diritti dei migranti e il no alle politiche del rifiuto, la difesa del territorio e il no alle grandi opere, la produzione di un’informazione economica libera e indipendente saranno al centro dei gruppi di lavoro che s’incontreranno sabato mattina al Teatro Valle Occupato per discutere insieme come rendere l’Italia un paese meno ingiusto e disuguale, più sostenibile.
Infine c’è l’urgenza di agire. Le associazioni e i movimenti sono stati disorientati dai risultati delle elezioni del febbraio scorso e dal governo delle larghe intese. È utile riprendere in mano l’agenda di cambiamento del paese e muoversi nella società, far cambiare idea a chi è rimasto prigioniero della retorica dell’individualismo berlusconiano così come della retorica della “casta” grillina. Serve tornare a mobilitarsi: per ridare fiducia a noi stessi e a una società messa in ginocchio dalla crisi.
scarica il programma completo:
programma_controcernobbio2013.pdf 1,25 MB

Dedicato ... indovinate a chi ...

venerdì 30 agosto 2013

Larghe intese, vent'anni fa si diceva pentapartito

di Giorgio Cremaschi
Il nuovo pacchetto di misure del governo si colloca nella più classica metodologia democristiana.

Si toglie la tassa sulla prima casa a poveri e ricchi e se ne redistribuisce il costo in nuovi balzelli distribuiti a pioggia. Che alla fine peseranno ancora sui poveri, ma in modo più complicato da dimostrare.

Si distribuiscono un po' di mance a licenziati e cassaintegrati, guardandosi bene però dall'affrontare davvero la loro condizione. Si tolgono diritti e si distribuiscono un po' di elemosine selettive.

E soprattutto si continua con la politica di austerità e massacro sociale, coprendola però con benedizioni e auspici ottimisti.

Oramai è chiaro che pd e pdl riescono benissimo a governare assieme. La favola che sono scontenti e sempre più indisponibili reciprocamente è svanita nel sorriso incontenibile di Alfano e in quello sornione di Letta. Governano assieme perché sulle questioni di fondo vanno d'accordo e oggi sono anche d accordo sul circoscrivere ciò su cui confliggono. Un po' democristiani e un po' craxiani hanno come slogan 'e la barca va' ...

Il governo delle larghe intese occupa così lo spazio politico e morale di quello che fu il pentapartito di venti anni fa. Come quel sistema di alleanze e potere, pd e pdl puntano a diventare regime, a circoscrivere il campo delle alternanze attorno a se stessi. Tutto ciò che sta fuori non deve contare e in prospettiva neanche esistere, anche se assieme le forze di governo sono solo la metà del paese.

Craxi e De Mita non si odiavano meno di quanto si detestino gli attuali alleati di governo, ma per venti anni hanno governato assieme.

Come allora la pregiudiziale anticomunista interna e internazionale dava forza e giustificazione al regime del pentapartito, così oggi pd e pdl spiegano che così vuole l'Europa. Ed è significativo che il nume tutelare di questo quadro politico sia un Presidente della Repubblica che viene da quel partito comunista principale avversario del regime del pentapartito.

Fatto sta che le vicende giudiziarie di Berlusconi sono servite non a indebolire, ma a rafforzare il governo, che cadrà davvero solo se crolleranno i partiti e gli interessi che lo sostengono.

E questo avverrà solo se il sistema di potere e i poteri forti che oggi comandano saranno messi in discussione da lotte sociali e politiche e da un vera alternativa. La forza del governo sta nella passività sociale politica e morale del paese, aggravata da un ruolo inesistente di CGIL CISL UIL e dalla frantumazione della opposizione di sinistra, il cui vuoto non è compensato dai 5 stelle.

Eppure c è un paese che resiste al regime, dalla valle Susa alle lotte diffuse per il lavoro. C 'è un paese che si prepara a scendere in piazza con il sindacalismo di base e con i movimenti. C'è un paese che deve unirsi per costruire l'alternativa.

Alternativa all'Europa delle banche e della austerità e al governo che la rappresenta in Italia. Senza aver paura di mettere in discussione Giorgio Napolitano.

giovedì 29 agosto 2013

Contro la guerra in Siria

Gino Strada
 «Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra?»
Lo scrivevano Bertrand Russell e Albert Einstein nel 1955.

Sono passati quasi sessant’anni, ma l’umanità non ha ancora rinunciato alla guerra. Anzi, ancora una volta, viene presentata come l’unica opzione possibile per mettere fine a un conflitto.
Non lo è. L’abbiamo visto con i nostri occhi in Iraq, in Afghanistan, in Libia: le guerre “per la pace” hanno solo alimentato altra violenza e in questi Paesi i civili continuano a morire, ogni giorno.

Ai morti già causati dalla guerra in Siria se ne aggiungeranno altri, perché scegliere le armi oggi significa decidere sempre, consapevolmente, di colpire la popolazione civile: nei conflitti contemporanei il 90% delle vittime sono sempre bambini, donne e uomini inermi.
Centinaia di migliaia di persone hanno già abbandonato la Siria per cercare rifugio nei Paesi vicini. Li abbiamo incontrati anche in Sicilia, dove i nostri medici stanno garantendo le prime cure ai profughi che stanno sbarcando sulle coste di Siracusa.

In tutti questi anni abbiamo visto che la guerra è sempre l’opzione più disumana, e inutile.
Chiediamo che l’Italia rifiuti l’intervento armato e si impegni invece per chiedere alla comunità degli Stati l’immediato intervento diplomatico, l’unica soluzione ammissibile secondo il diritto internazionale, l’unica in grado di costruire un processo di pace che abbia come primo obiettivo la tutela della popolazione siriana, già vittima della guerra civile.

L’umanità può ancora decidere di rinunciare alla guerra: difendere e praticare i diritti umani fondamentali è l’unico modo per costruire le basi per una convivenza pacifica tra i popoli.

mercoledì 28 agosto 2013

Quasi amici, quando la politica italiana ammirava Assad

Come si cambia

Ospite d’onore al Quirinale e in Parlamento, il leader siriano era considerato difensore della pace
Il presidente Giorgio Napolitano e Bashar al Assad
La Siria sembra confermarsi una garanzia per la stabilità dell’area. «Consideriamo essenziale - spiega il presidente italiano - il ruolo della Siria per il processo di pace in Medio Oriente e per la stabilizzazione dell’intera regione». Durante un brindisi in occasione del pranzo di Stato offerto da Assad, Napolitano sottolinea ancora «l’apprezzamento per l’esempio di laicità e apertura che la Siria offre in Medio Oriente, e per la tutela delle libertà assicurate alle antiche comunità cristiane qui residenti». Confermando la «profonda amicizia» tra l’Italia e il paese arabo.
Altro che feroce tiranno. Fino a pochi anni fa i politici italiani consideravano il presidente siriano Bashar al Assad un illuminato statista. Invitato con tutti gli onori in Campidoglio e al Quirinale. Ambito ospite del Parlamento italiano. Non a caso la prima visita ufficiale del leader di Damasco dopo l’11 settembre 2001 è stata organizzata proprio a Roma. Di quel rapporto di stima reciproca restano i discorsi delle nostre massime istituzioni. I ringraziamenti alla Siria, considerata l’attore protagonista nel processo di pace del Medio Oriente. I continui attestati di sincera amicizia. Ma anche gli apprezzamenti per «la modernizzazione» impressa da Assad al proprio Paese. Solo tre anni fa il presidente Napolitano nominava il leader siriano cavaliere di gran croce. Un riconoscimento conferito al termine di una visita ufficiale in Siria - la prima di un capo di Stato italiano - in cui non era mancato il plauso per la laicità e la libertà di vedute del governo di Damasco. Onorificenza, è bene ricordare, ritirata per indegnità due anni più tardi.
Nel febbraio del 2002 Bashar al Assad arriva a Roma alla guida di una delegazione di 164 membri. È salito al potere da poco meno di due anni, succedendo al padre. È il suo primo viaggio ufficiale dopo l’attentato alle torri gemelle. Le cronache dell’epoca raccontano il pranzo ufficiale al Quirinale, alla presenza del presidente Carlo Azeglio Ciampi. Ma anche un incontro con il premier Silvio Berlusconi e una visita al sindaco Walter Veltroni. Che come ricordano le agenzie di stampa di quel giorno «gli dà il benvenuto a nome della città».
Il Parlamento non è da meno. A tributare un convinto applauso di benvenuto in Italia alla consorte di Assad è l’aula di Palazzo Madama. Curiosa di seguire una seduta del Senato, la moglie del presidente siriano si affaccia dalle tribune durante una seduta parlamentare. «È presente nelle nostre tribune madame Asma el Assad - il presidente di turno Roberto Calderoli interrompe subito la discussione - che a nome di tutta l’Assemblea intendo salutare». E giù a battere le mani.
In onore del marito, dopo una visita a Montecitorio di cui ancora restano le sorridenti foto ricordo assieme al presidente Pier Ferdinando Casini, quella sera viene offerta una cena di gala. Al momento del brindisi, l’allora presidente del Senato Marcello Pera lo omaggia così: «Sono molto lieto di accoglierLa a Palazzo Giustiniani. Lo sono, in maniera particolare, perché Lei è il rappresentante di un popolo amico dell’Italia, mediterraneo come il nostro, che ha alle spalle un’antichissima civiltà. Questo rende più agevole la cooperazione tra le nostre Nazioni, a beneficio della pace e della stabilità del mondo intero». Assad non è considerato un dittatore, né il suo governo un regime. Semmai un baluardo di stabilità per tutta la regione. «Mi riferisco alla situazione in Medio Oriente - continua Pera - dove il suo Paese svolge un ruolo importante nel processo di pace». Per non parlare degli indubbi progressi di Damasco. Uno «sforzo di modernizzazione che Lei, signor presidente, sta imprimendo al suo paese».
Gli anni passano, i rapporti ufficiali - ma anche quelli commerciali - tra l’Italia e la Siria di Assad proseguono senza scossoni. Solleva qualche polemica nel 2007 la visita del ministro degli Esteri Massimo D’Alema a Damasco. In quel periodo i militari italiani sono impegnati nella missione delle Nazioni Unite in Libano. In Parlamento c’è chi riporta le indiscrezioni su un presunto «accordo segreto» tra Italia e il governo di Assad, «che impegnerebbe il nostro Paese a porre fine all'isolamento internazionale della Siria - così un’interrogazione parlamentare dell’attuale sottosegretario Jole Santelli - a patto che Hezbollah non compia attentati a danno del nostro contingente Unifil».
La diplomazia non ne risente. L’anno successivo Asma al Assad torna a Roma, di nuovo ospite del Quirinale. Ma l’apice dei rapporti bilaterali è probabilmente la visita in Siria di Giorgio Napolitano nel marzo del 2010. La prima di un presidente italiano. Una missione di alcuni giorni, con la presenza del ministro degli Esteri Franco Frattini, «per contribuire al rafforzamento di relazioni già eccellenti tra i nostri due Paesi, che si collocano nel solco storico di una tradizionale amicizia e fiducia reciproca».
Sono passati solo tre anni da quel viaggio. Allora il giudizio sul “regime” di Assad era molto diverso. «Noi apprezziamo molte cose che caratterizzano questa regione - chiarisce Napolitano al suo arrivo - e vorrei dire subito, vedendo la presenza delle autorità religiose, che apprezziamo molto il fatto che qui in Siria ci sia rispetto per tutte le confessioni religiose, e rispetto anche per le comunità cristiane che purtroppo in altri luoghi sono oggetto di persecuzioni». Una riflessione che il capo dello Stato conferma anche durante il vertice con il presidente Assad. «Apprezziamo il modo in cui la Siria si caratterizza in quanto modello di stato laico non confessionale nel rispetto in particolare della libertà delle confessioni religiose, tra le quali anche le confessioni cristiane, e per la promozione del dialogo interreligioso.» Del resto i colloqui con le autorità siriane sono «improntati alla più schietta ed amichevole cordialità. Innanzitutto ci siamo soffermati sullo stato eccellente delle relazioni tra i nostri due paesi».
Obblighi imposti dalla diplomazia? Forse sì. Dopotutto qualche anno prima anche il presidente francese Sarkozy aveva invitato il leader siriano alla parata del 14 luglio a Parigi. Intanto al termine di quella visita, il presidente nomina Assad cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone dell’ordine al merito della Repubblica italiana. Un riconoscimento cancellato nel giro di due anni. Verso la fine della scorsa legislatura quasi tutti i gruppi parlamentari italiani chiedono la revoca per indegnità dell’onorificenza. La Commissione Affari Esteri della Camera approva una specifica risoluzione. A Damasco non battono ciglio. «In data 31 agosto 2012 - confermava qualche mese fa l’allora sottosegretario agli Esteri Marta Dassù - si è ottenuta la restituzione da parte delle autorità siriane delle insegne appartenute al Presidente Assad»...


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/politica-italiana-assad#ixzz2dIS3G6Zo

lunedì 26 agosto 2013

Quousque tandem?

1. I liquidatori "zeloti" runnin'on empty

di Quarantotto

Quousque tandem?
Questa domanda è probabilmente la più frequente che si pongono i lettori consapevoli dei vari blog che analizzano la crisi senza le formule preconfezionate e ripetute, sostanzialmente, da oltre 20 anni, che mugugnano su concorrenza globale, competitività, inflazione (monetaria), e, di conseguenza, attenzione esclusiva ed ossessiva al "debitopubblicobrutto".

Questo, a sua volta, viene visto, arbitrariamente, come fenomeno la cui rilevanza è compressa nella dinamica degli ultimi 4-5 anni, e quindi accomunata a quella degli spread, come se fosse da questi ultimi, improvvisamente, che ne sarebbe derivato il problema della insostenibilità.


Ora, l'elemento più macroscopico di questa mistificazione, tutta incentrata sull'occultamento del conflitto sociale, cioè della compressione della quota salari (in generale delle retribuzioni di ogni forma di lavoro), rispetto alla quota profitti e rendite finanziarie, in rapporto al reddito delle varie realtà statali coinvolte, anzitutto in Europa, ha il nome di "euro".

L'euro è certamente un sistema monetario pensato ed applicato per "disciplinare" le dinamiche salariali e riorientare il profitto verso una crescita fondata essenzialmente sulla "competitività", cioè sulle esportazioni, e lo fa in contrapposizione allo Stato, visto come l'inefficiente alimentatore della domanda interna.
Allo Stato, con il solo fatto di articolare le previsioni del Trattato di Maastricht (correttamente inteso), "l'Europa del sogno" imputa di alterare essenzialmente, con il suo intervento di spesa pubblica, il mercato del lavoro; sia appunto sostenendo la domanda interna di beni e servizi presso le imprese private, sia come erogatore di funzioni pubbliche e servizi di interesse generale -che andrebbero nel complesso a costituire il "salario sociale"-, sia come datore di lavoro e calmieratore della disoccupazione, (cioè come disattivatore della leva al contenimento salariale denominabile come "esercito industriale di riserva dei disoccupati").


Ci verrebbe allora più facile dare la risposta alla domanda "fino a quando?" se, e solo se, tenessimo ben focalizzato questo contesto: gli eventi economici "mondiali" cui stiamo assistendo in realtà lo confermano, facendo riemergere la realtà del c.d. "conflitto sociale", che è poi una considerazione naturale, cioè bio-antropologica, del fenomeno dell'essere umano e dei livelli di abbrutimento, vogliamo dire di "non benessere" elementare, che possono essergli imposti. Ed imposti in nome della "competitività" ricercata da controllori del capitale che non possono tollerare una flessione dei profitti programmati.


Tutto quanto sta accadendo conferma questa tensione
, trascurata e rimossa nel tentativo di affermare una competizione mondiale che non tollera ostacoli e obiezioni "culturali": così l'arretramento della crescita della Cina, sull'orlo di una bolla immobiliare, rimodulata in diminuzione su una riconsiderazione della domanda interna, l'atteggiamento giapponese che privilegia nuovamente un obiettivo inflazionistico e la stessa domanda interna, per stimolare investimenti effettivi al di là delle alchimie finanziarie, conducendo all'effetto del deprezzamento della propria valuta, la stessa battuta d'arresto di paesi come India e Brasile, alle prese con crisi fisiologiche da "crescita" del rispettivo modello di capitalismo.


L'Europa, in questa realtà antropologica (e in progressivo rafforzamento) si segnala per la sua distonica ostinazione.

Abbiamo spesso ribadito come la patologia del debito pubblico, in specie quello italiano, abbia una "origine" chiaramente imputabile al "divorzio" tesoro-bankitalia, applicato in spregio di un sistema legislativo al tempo vigente, che, nonostante i "pareri" legali resi ad Andreatta, non avrebbe consentito di realizzarlo: almeno senza una legge parlamentare, di cui si potesse vagliare, oltretutto, la legittimità costituzionale alla luce dell'art.47 Cost. e del complessivo sistema delineato, in materia creditizia, dalla legge bancaria del 1936,. Questa, infatti, prevedeva un indirizzo politico-governativo in materia, di fatto disattivato (nei suoi residui di una prassi a dir poco ambigua), dalle letterine scambiatesi tra Ciampi ed Andreatta.

Ora, nonostante la stucchevole grancassa "€urota" cominciata col divorzio stesso (che si premurava di completare il "vincolo" dello SME, con accenti assolutamente identici a quelli utilizzati oggi per stigmatizzare rivendicazioni salariali e un immaginario "eccesso" di spesa pubblica), in assenza del divorzio, e scontando il calo dell'inflazione che certamente non fu dovuto alle politiche monetariste (come ammisero gli stessi Friedman e Greenspan, che fruirono solo di "good luck" nella simultaneità con un calo dei prezzi delle materie prime), l'Italia di sarebbe probabilmente presentata all'appuntamento di Maastricht con un debito prossimo al 60%.

domenica 25 agosto 2013

Noam Chomsky

 Mappa verso un mondo giusto La democrazia rianimata dalla gente

di Noam Chomsky ''' 17 giugno 2013
DW Global Media Forum ''' Bonn: 'Il futuro della crescita ''' Valori economici e media'
Vorrei commentare argomenti che penso dovrebbero essere regolarmente sulle prime pagine, ma non lo sono e in molti casi cruciali sono scarsamente citati del tutto o sono presentati in modi che mi sembrano ingannevoli perche' sono inquadrati, quasi per un riflesso automatico, in termini di dottrine dei potenti.
In questi commenti mi concentrero' principalmente sugli Stati Uniti per molti motivi: Uno, si tratta del paese piu' importante in termini del suo potere e della sua influenza. In secondo luogo e' il paese piu' avanzato non nel suo carattere intrinseco, bensi che nel senso che a motivo della sua potenza, altre societa' tendono a muoversi nella sua stessa direzione. Il terzo motivo e' semplicemente che e' il paese che conosco meglio. Ma penso che quello che dico sia generalizzabile in misura molto piu' ampia; almeno per quanto ne so, ovviamente ci sono delle variazioni. Percio' mi interessero' alle tendenze della societa' statunitense e su cosa fanno presagire per il mondo, considerata la potenza statunitense.
La potenza statunitense sta diminuendo, in quanto in realta' ha visto il suo picco nel 1945, ma e' ancora incomparabile. Ed e' pericolosa. La notevole campagna globale di Obama contro il terrorismo e la limitata, patetica reazione ad essa in occidente e' un esempio inquietante. E si tratta di una campagna di terrorismo internazionale, di gran lunga la piu' estrema al mondo. Quelli che albergano dubbi su cio' dovrebbero leggere il rapporto pubblicato dalla Stanford University e dalla New York University e, in realta', tornero' a esempi anche piu' gravi che non il terrorismo internazionale.
La 'democrazia capitalista realmente esistente'
In base a una dottrina diffusamente accettata viviamo in democrazie capitaliste che sono il miglior sistema possibile, nonostante alcuni difetti. Negli anni c'e' stato un dibattito interessanti sul rapporto tra capitalismo e democrazia; ad esempio, i due sistemi sono compatibili? Non mi occupero' di questo perche' vorrei discutere un sistema diverso, quello che potremmo chiamare la 'democrazia capitalista realmente esistente' RECD [acronimo inglese] per brevita', pronunciato, per caso, 'wrecked' [naufragata, distrutta]. Tanto per cominciare, in che modo la RECD sta alla democrazia? Beh, dipende da cosa intendiamo con 'democrazia'. Ce ne sono versioni diverse. Una e' una specie di versione largamente condivisa: e' l'alta retorica del genere Obama, discorsi patriottici, cio' che e' insegnato a scuola ai bambini, e cosi via. E' la versione statunitense, e' il governo 'di, da e per il popolo'. Ed e' molto facile paragonarla alla RECD.
Negli Stati Uniti uno degli argomenti principali delle scienze politiche accademiche e' lo studio degli atteggiamenti e della politica e della loro correlazione. Lo studio degli atteggiamenti e' ragionevolmente facile negli Stati Uniti; una societa' considerevolmente oggetto di sondaggi, sondaggi piuttosto seri e accurati, e la politica si puo' constatare e si possono confrontare le due cose. E i risultati sono interessanti. Nel lavoro che costituisce il riferimento aureo del settore, si conclude che circa il 70% della popolazione ''' il 70% piu' in basso nella scala di reddito/ricchezza ''' non ha alcuna influenza sulla politica. E' in effetti disemancipato. Salendo sulla scala di ricchezza/reddito, si trova un po' piu' di influenza sulla politica. Quando si arriva al vertice, che forse e' un decimo dell'un percento, le persone essenzialmente ottengono quello che vogliono, cioe' decidono della politica. Percio' il termine appropriato per questo non e' democrazia; e' plutocrazia.
La politica e' in generale quasi l'opposto dell'opinione pubblica
Inchieste di questo genere si rivelano roba pericolosa perche' possono dire troppo alla gente a proposito della natura della societa' in cui vive. Percio', fortunatamente, il Congresso ha messo al bando i relativi finanziamenti, e cosi non dovremo preoccuparcene in futuro.
Queste caratteristiche dalla RECD emergono in continuazione. Cosi, il principale problema nazionale negli Stati Uniti e' l'occupazione. I sondaggi lo rivelano molto chiaramente. Per i ricchissimi e le istituzioni finanziarie e' il deficit. Beh, e la politica? Attualmente e' in corso negli Stati Uniti una 'confisca', un forte taglio dei fondi. E' in funzione dell'occupazione o del deficit. Beh, del deficit.
L'Europa, per inciso, sta molto peggio, cosi fuori di testa che persino il The Wall Street Journal e' rimasto inorridito per la scomparsa della democrazia in Europa. Un paio di settimane fa aveva un articolo che concludeva che 'i francesi, gli spagnoli, gli irlandesi, gli olandesi, i portoghesi, i greci, gli sloveni, gli slovacchi e i ciprioti hanno tutti, in varia misura, votato contro il modello economico del blocco della moneta unica, da quando e' iniziata la crisi tre anni fa. Tuttavia le politiche sono cambiate poco in risposta a una sconfitta elettorale dopo l'altra. La sinistra ha sostituito la destra; la destra ha cacciato la sinistra. Persino il centrodestra ha annientato i comunisti (a Cipro), ma le politiche economiche sono rimaste essenzialmente le stesse: i governi continueranno a tagliare le spese e ad aumentare le tasse.' Non importa cio' che pensa la gente, 'i governi nazionali devono seguire le direttive macroeconomiche stabilite dalla Commissione Europea'. Le elezioni sono quasi insignificanti, in larga misura come nei paesi del Terzo Mondo governati dalle istituzioni finanziarie internazionali. E' questo che l'Europa ha scelto di diventare. Non deve diventarlo.
Ritornando agli Stati Uniti, dove la situazione non e' cosi tanto brutta, c'e' la stessa disparita' tra l'opinione pubblica e la politica su una vasta gamma di temi. Si prenda, ad esempio, il caso del salario minimo; l'idea e' che il salario minimo dovrebbe essere indicizzato al costo della vita e sufficientemente elevato da prevenire la caduta sotto la soglia della poverta'. L'ottanta per cento del pubblico e' a favore di questo e lo e' il quaranta per cento dei ricchi. Qual e' il salario minimo? E' in discesa ben sotto questi livelli. Lo stesso vale per le leggi che agevolano l'attivita' sindacale; fortemente appoggiate dal pubblico; contrastate dai ricchissimi; svaniscono. Lo stesso vale per l'assistenza sanitaria nazionale. Gli Stati Uniti, come forse sapete, hanno un sistema sanitario che e' uno scandalo internazionale; ha un costo pro capite doppio di quello di altri paesi dell'OCSE e risultati relativamente scarsi. Il solo sistema privatizzato, in larga misura non regolato. Al pubblico non piace. La gente chiede un sistema sanitario nazionale, opzioni pubbliche, da anni, ma le istituzioni finanziarie pensano che vada bene cosi e dunque permane: stasi. In realta', se gli Stati Uniti avessero un sistema di assistenza sanitaria simile a paesi paragonabili, non ci sarebbe alcun deficit. Il famoso deficita' sarebbe cancellato, il che comunque non importa poi tanto.
Uno dei casi piu' interessanti ha a che fare con le tasse. Per 35 anni ci sono stati sondaggi su 'quali pensa dovrebbero essere le tasse?' Vaste maggioranze hanno affermato che le imprese e i ricchi dovrebbero pagare tasse piu' elevate. Stanno costantemente calando in questo periodo.
E via di seguito, la politica in generale e' l'opposto dell'opinione pubblica, il che e' una proprieta' tipica della RECD.
Gli USA, paese a partito unico
In passato gli Stati Uniti sono stati descritti, piuttosto sardonicamente, come un paese a partito unico: il partito degli affari, con due fazioni chiamate Democratici e Repubblicani. Non e' piu' cosi. E' ancora un paese a partito unico, il partito degli affari. Ma ha solo una fazione. La fazione e' quella dei Repubblicani moderati, che sono oggi chiamati Democratici. Nel Partito Repubblicano non esistono virtualmente repubblicani democratici e virtualmente non esistono democratici liberali in quello che e' chiamato il Partito Democratico [sic]. Si tratta fondamentalmente di un partito di quelli che sarebbero Repubblicani moderati e, analogamente, Richard Nixon sarebbe ben a sinistra dello spettro politico oggi. Eisenhower sarebbe nello spazio cosmico.
C'e' ancora qualcosa chiamato Partito Repubblicano, ma ha da molto tempo abbandonato ogni pretesa di essere un normale partito parlamentare. E' a ranghi compatti al servizio dei ricchissimi e del settore delle imprese e ha un catechismo che prevede che tutti debbano cantare all'unisono, qualcosa di simile al vecchio Partito Comunista. L'illustre commentatore politico conservatore, uno dei piu' rispettati, Norman Ornstein, descrive oggi il Partito Repubblicano, sono parole sue, come 'un'insurrezione radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, sprezzante dei suoi avversari politici'; un serio pericolo per la societa', come egli segnala.
In poche parole, la Democrazia Capitalista Realmente Esistente e' molto lontana dalla retorica elevato a proposito della democrazia. Ma c'e' un'altra versione della democrazia. In effetti e' la dottrina standard della teoria democratica progressista contemporanea. Offriro' dunque alcune citazioni illustrative di figure eminenti; per inciso, non figure della destra. Sono tutti liberali alla Woodrow Wilson ''' Franklin Delano Roosevelt ''' Kennedy; di fatto personaggi della tradizione. Dunque, secondo questa versione della democrazia 'il pubblico e' costituito da estranei ignoranti e invadenti. Devono essere messi al loro posto. Le decisioni devono essere nelle mani di una minoranza intelligente di uomini responsabili, che deve essere protetta dagli zoccoli e dai muggiti della mandria confusa'. La mandria ha una funzione, quando e' convocata. Deve prestare il suo peso ogni pochi anni a una scelta tra gli uomini responsabili. Ma a parte cio' la sua funzione e' di essere 'spettatori, non partecipanti all'azione', e questo e' per il suo bene. Poiche', come ha segnalato il fondatore delle scienze politiche liberali, non dovremmo soccombere al 'dogmatismo democratico a proposito del fatto che il popolo e' il giudice migliore del suo proprio interesse'. Non lo e'. I giudici migliori siamo noi; dunque sarebbe irresponsabile consentire al popolo di operare le scelte, proprio come sarebbe irresponsabile lasciare che un bambino di tre anni scorrazzi per la strada. Atteggiamenti e opinioni devono percio' essere controllati a beneficio dei controllati. E' necessario 'irreggimentare le loro menti'. E' necessario anche disciplinare le istituzioni responsabili dell''indottrinamento dei giovani'. Tutte citazioni, per inciso. E se saremo in grado di fare questo potremo essere in grado di tornare ai buoni vecchi tempi in cui 'Truman era stato in grado di governare il paese con la collaborazione di un numero relativamente contenuto di avvocati e banchieri di Wall Street'. Tutto questo proviene da icone della dirigenza liberale, da teorici democratici progressisti di spicco. Alcuni di voi avranno riconosciuto alcune delle citazioni.

Cari amici cinquestelle, siamo sotto attacco




di Giulietto Chiesa - megachip -

Cari amici del Movimento 5 Stelle, siamo tutti sotto attacco. E' un'offensiva scatenata dai "Masters of Universe" e ha per obiettivo la liquidazione di ogni forma di democrazia reale. Il loro portavoce, la JP Morgan ha scritto la dichiarazione di guerra il 28 maggio scorso dicendoci che le Costituzioni Europee, quelle che ancora hanno una parvenza di democrazia, tra cui la nostra, devono essere epurate. In nome della governance, cioè del potere dei più forti, che ormai non hanno tempo da perdere con i parlamenti. Finita l'era dell'abbondanza alla quale ci hanno addestrati perché consumassimo in modo forsennato, comincia l'epoca dell'austerità. E l'austerità prevede l'imposizione. L'imposizione prevede la cancellazione delle conquiste sociali e dei diritti conquistati negli ultimi cento anni.

Questo è il quadro. Ed è chiarissimo. Non lo vedono solo coloro che non lo vogliono vedere. L'attacco sarà - è già - durissimo. Guardare la Grecia. La questione è come difenderci, qui, subito.

Dalla loro parte c'è il monopolio della violenza e delle leggi che i maggiordomi hanno approvato per loro conto. Ma c'è anche l'intero sistema della comunicazione-informazione. Dalla loro parte c'è tutto il Palazzo. Chi pensa di poter andare alla battaglia in ordine sparso si condanna alla sconfitta.

Io ho aderito alla manifestazione dell'8 settembre in difesa della Costituzione. Ma constato che lo schieramento che si è costituito è ancora debole, non rappresenta che una parte del popolo italiano.

Milioni, la maggioranza, non sanno ancora cosa li aspetta. Invece sono milioni coloro che devono far sentire la loro voce. Per questo chiedo e propongo, che il Movimento 5 Stelle, i suoi gruppi parlamentari, prendano in mano con decisione questa questione. Promuovano, sollecitino, chiamino a raccolta. Senza il M5S questa battaglia non si può vincere. Da solo, il M5S non può vincerla. Non resta che combatterla e vincerla tutti insieme. Poi ciascuno potrà riprendere, da solo o in compagnia, la strada che ritiene più utile. Ma oggi camminare da soli non si deve.

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