Fonte: connessioniprecarie
Il lancio dello sciopero generale globale il primo maggio 2012, partito da Occupy Los Angeles, sta ottenendo adesioni da parte di molti movimenti Occupy negli Stati Uniti. Pubblichiamo l’appello con cui Occupy Oakland si impegna a partecipare alla costruzione dello sciopero generale perché, come era già emerso il 2 novembre scorso, pensiamo che lo sciopero precario abbia molto da imparare da Oakland.
Oakland ci insegna non solo che scioperare si può, ma che per farlo è necessario immaginare modalità nuove di sciopero, attraverso un processo che sappia connettere diverse figure della precarietà, superando le categorie sindacali e le divisioni tra i lavoratori. Accanto alla differenza tra l’1% e il 99% che costituisce il filo rosso dei movimenti Occupy, altre percentuali arricchiscono l’algebra di Occupy Oakland. Per coloro che immaginano lo sciopero precario globale del primo maggio, altrettanto significativo è il fatto che solo poco più dell’11% dei lavoratori negli Stati Uniti siano sindacalizzati. Gli altri sono i migranti, colpiti dal razzismo istituzionale e la cui precarizzazione è una leva per la precarizzazione di tutti, sono le donne, migranti e non, che lavorano nella sfera invisibile del lavoro riproduttivo, sono gli studenti che fanno lavori precari per ripagare il debito che hanno contratto per iscriversi all’università, sono tutti quei lavoratori precari a cui viene chiesta una piena disponibilità con salari sempre più bassi e la costante minaccia del licenziamento. Sono coloro che si assumono la sfida di immaginare una forma nuova di sciopero che sappia bloccare la produzione e i flussi del capitale globale.
È difficile prevedere se Occupy Oakland riuscirà ad accrescere la forza espansiva ottenuta costruendo connessioni sul lavoro, se riuscirà a non farsi assorbire dalla spirale di azione, repressione e solidarietà e a essere all’altezza dello sciopero del 2 novembre. Quel che è certo è che da questo appello emerge una chiara indicazione sui soggetti che necessariamente devono essere protagonisti dello sciopero generale globale. La scelta della data è significativa in questo senso e rivela quanto sia concreta l’immaginazione di coloro che preparano lo sciopero precario: il primo maggio è stato nel 2006 il giorno dello sciopero dei lavoratori migranti. Come mostra anche l’appello di OccupyLosAngeles, oltre oceano sanno che nessuna giornata globale potrà fermare la produzione e colpire i profitti dei precarizzatori senza fare leva sul coraggio e la forza organizzativa mostrata da chi ha scioperato anche se non poteva farlo.
Mentre in Italia e in Europa si oscilla ancora sulle date e sulle forme, Oakland, dopo l’esperimento pilota del 2 novembre, ribadisce che scioperare si può, dunque, e lo si può fare solo a partire dalla connessione di precari, migranti, operai e studenti. Sono le fabbriche della precarietà che impongono che lo sciopero abbia una forma determinata: né allusione né semplice parola d’ordine né esercizio simbolico ma amplificazione delle forze oltre le barriere contrattuali, di impiego e di categoria per rovesciare quelle divisioni e quelle gerarchie sulle quali si regge l’ordine globale dello sfruttamento. Ora il gioco si sposta al di qua dell’oceano ed è certo che il dibattito non può piegarsi sulle differenze di date o sulla tattica o sulla radicalità delle parole. Saremo in grado di reggere l’accelerazione e di dare altre gambe a questo processo? Riusciremo anche noi a fare tesoro dell’esperienza dello sciopero del lavoro migrante del primo marzo? Lo sciopero precario è vicino, non si può non vederlo. Lo sciopero ci chiama, ma chi sta lavorando per lo sciopero?
Oakland ci insegna non solo che scioperare si può, ma che per farlo è necessario immaginare modalità nuove di sciopero, attraverso un processo che sappia connettere diverse figure della precarietà, superando le categorie sindacali e le divisioni tra i lavoratori. Accanto alla differenza tra l’1% e il 99% che costituisce il filo rosso dei movimenti Occupy, altre percentuali arricchiscono l’algebra di Occupy Oakland. Per coloro che immaginano lo sciopero precario globale del primo maggio, altrettanto significativo è il fatto che solo poco più dell’11% dei lavoratori negli Stati Uniti siano sindacalizzati. Gli altri sono i migranti, colpiti dal razzismo istituzionale e la cui precarizzazione è una leva per la precarizzazione di tutti, sono le donne, migranti e non, che lavorano nella sfera invisibile del lavoro riproduttivo, sono gli studenti che fanno lavori precari per ripagare il debito che hanno contratto per iscriversi all’università, sono tutti quei lavoratori precari a cui viene chiesta una piena disponibilità con salari sempre più bassi e la costante minaccia del licenziamento. Sono coloro che si assumono la sfida di immaginare una forma nuova di sciopero che sappia bloccare la produzione e i flussi del capitale globale.
È difficile prevedere se Occupy Oakland riuscirà ad accrescere la forza espansiva ottenuta costruendo connessioni sul lavoro, se riuscirà a non farsi assorbire dalla spirale di azione, repressione e solidarietà e a essere all’altezza dello sciopero del 2 novembre. Quel che è certo è che da questo appello emerge una chiara indicazione sui soggetti che necessariamente devono essere protagonisti dello sciopero generale globale. La scelta della data è significativa in questo senso e rivela quanto sia concreta l’immaginazione di coloro che preparano lo sciopero precario: il primo maggio è stato nel 2006 il giorno dello sciopero dei lavoratori migranti. Come mostra anche l’appello di OccupyLosAngeles, oltre oceano sanno che nessuna giornata globale potrà fermare la produzione e colpire i profitti dei precarizzatori senza fare leva sul coraggio e la forza organizzativa mostrata da chi ha scioperato anche se non poteva farlo.
Mentre in Italia e in Europa si oscilla ancora sulle date e sulle forme, Oakland, dopo l’esperimento pilota del 2 novembre, ribadisce che scioperare si può, dunque, e lo si può fare solo a partire dalla connessione di precari, migranti, operai e studenti. Sono le fabbriche della precarietà che impongono che lo sciopero abbia una forma determinata: né allusione né semplice parola d’ordine né esercizio simbolico ma amplificazione delle forze oltre le barriere contrattuali, di impiego e di categoria per rovesciare quelle divisioni e quelle gerarchie sulle quali si regge l’ordine globale dello sfruttamento. Ora il gioco si sposta al di qua dell’oceano ed è certo che il dibattito non può piegarsi sulle differenze di date o sulla tattica o sulla radicalità delle parole. Saremo in grado di reggere l’accelerazione e di dare altre gambe a questo processo? Riusciremo anche noi a fare tesoro dell’esperienza dello sciopero del lavoro migrante del primo marzo? Lo sciopero precario è vicino, non si può non vederlo. Lo sciopero ci chiama, ma chi sta lavorando per lo sciopero?