Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

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lunedì 30 gennaio 2012

Il nome della “nostra” crisi

di Vicenzo Comito. Fonte: finansol
In passato ho pubblicato diversi articoli, su questo stesso sito, sul tema della crisi. Poi ho sostanzialmente smesso, concentrandomi su altre questioni; ora vorrei tornare su questo argomento cercando di recuperare almeno in parte l’attenzione perduta. E comincio con queste note.

La crisi per molti aspetti ancora in atto nonostante un miglioramento, che appare peraltro precario, dei dati economici e finanziari in molti dei paesi occidentali, non ha sorprendentemente, almeno sino ad oggi, un nome “ufficiale” e riconosciuto, anche se ne ha ricevuti diversi nel corso del suo ormai abbastanza lungo percorso. Questo ha molto a che fare anche con i suoi continui cambiamenti di registro e di direzione sia a livello di settori colpiti che di aree geografiche, che infine di soggetti coinvolti, nel corso di questi tre anni e più. Così non si sa spesso quale aggettivo far seguire alla parola crisi se essa viene fuori in qualche discorso o in qualche articolo.

Ma siccome si può forse anche credere a quello che diceva qualcuno, non ricordo chi, nell’antichità, che cioè “nomen est essentia rerum”, che nel nome c’è l’essenza stessa, il senso profondo, delle cose, proviamo a partire alla ricerca di quello che può sembrare più adeguato per il fenomeno in atto.

Nel rintracciare i mutevoli percorsi della crisi e i suoi cambiamenti di denominazione facciamo in particolare riferimento ad un articolo di Marc-Olivier Padis, apparso nel numero di ottobre 2010 sulla bella rivista francese Esprit, rispetto alle cui classificazioni abbiamo peraltro apportato alcuni mutamenti.

Sulla stampa internazionale si è cominciato con il parlare di crisi del sub-prime, con riferimento ai primi momenti della stessa crisi, collegati al crollo subitaneo del mercato statunitense dei mutui ipotecari ad alto rischio. Qualcuno ha successivamente fatto riferimento alla crisi delle cartolarizzazioni, della vendita cioè sul mercato da parte delle istituzioni finanziarie di una parte dei loro crediti verso la clientela e parlato quindi di crisi delle cartolarizzazioni. Poi, quando sono risultate evidenti le profonde difficoltà generali delle banche di molti paesi occidentali, si è parlato in senso lato di crisi finanziaria; qualcuno, in maniera più ristretta, la ha chiamata crisi Lehman, dal nome della banca che è stata dichiarata fallita nel settembre del 2008. Si è così anche fatto riferimento alla crisi del 2008. Quando è risultato evidente che le difficoltà toccavano anche l’economia reale, qualcuno si è azzardato a parlare di crisi di sistema. Con gli sviluppi successivi e con le difficoltà del settore privato che sono state trasferite sui bilanci degli stati, in particolare, tra l’altro, di quelli europei, si è poi arrivati a discutere di crisi dei debiti sovrani o di crisi sovrana. E dimentico forse qualche altra definizione che può essere apparsa sui giornali nel corso di questi anni.

Ma tutte queste denominazioni da una parte non danno un’ idea onnicomprensiva e/o sufficientemente precisa del fenomeno e dall’altra hanno senso solo sino a quando guardiamo alle cose con gli occhi dei paesi e degli interessi occidentali, cosa che non appare più scontata come una volta. Appare interessante invece sottolineare come in Asia, con un profondo mutamento di prospettiva rispetto alla nostra, si parli correntemente e da tempo di crisi atlantica.

Nella denominazione, come sottolinea l’articolo di Esprit, c’è anche una specie di vendetta della storia rispetto a quando, negli anni novanta, in Occidente si parlava di crisi asiatica, in relazione alle difficoltà che per alcuni anni avevano toccato a suo tempo in particolare alcuni paesi del continente; tali difficoltà avevano spinto poi gli stessi paesi a corazzarsi in vari modi rispetto a possibili difficoltà future, cosa che hanno fatto con pieno successo, come hanno mostrato i fatti recenti. Ma a parte questo elemento, la definizione sembra molto azzeccata perché essa sottolinea anche la crisi di un modello di sviluppo e di una area geografica e culturale particolare e il fatto che con la crisi si sta accentuando chiaramente un passaggio cerniera del mondo: la creazione di ricchezza si sposta verso i paesi emergenti e, soprattutto, anche se non solo, verso l’Asia. Si apre un periodo nuovo, e speriamo migliore, cosa peraltro niente affatto scontata, dell’economia e della politica mondiale.

Ecco che allora, dopo un lungo vagare, abbiamo forse trovato il nome giusto per definire la crisi, chiamandola appunto crisi atlantica: l’essenza della cosa sembra risiedere proprio nella crisi di un vecchio modello di sviluppo e nell’affermarsi di uno nuovo, per altro verso in un segnale forte di svolta nei destini del mondo.
Qualcuno ha forse in mente una definizione migliore?

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