Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

venerdì 12 luglio 2013

Grecia, Cipro e Siria : messe ko per rubargli il gas


     
Cosa c'è lì sotto, nel fondale marino dell'Est Mediterraneo? Uno smisurato giacimento di gas. Ecco perché vogliono radere al suolo la sovranità di più stati vicini.


da Libreidee.

Grecia, Cipro, Siria. Tre crisi ben distinte, secondo la narrazione mainstream: il debito pubblico non più tollerato dall'Europa del rigore, la fragilità del sistema bancario dell'isola mediterranea, la rivolta armata contro il regime di Assad.

Peccato che nessuno veda cosa c'è sotto: ma proprio in fondo, là in basso, nel fondale marino dell'Egeo. Tecnicamente: uno smisurato giacimento di gas. Un tesoro inestimabile, a cui avrebbero accesso - per diritto internazionale - sia i greci massacrati dalla Troika, sia i ciprioti strapazzati da Bruxelles, sia i siriani assediati dai miliziani Nato travestiti da ribelli.

Quel tesoro lo vogliono per intero, e a prezzi stracciati, le Sette Sorelle.

E' questo il vero motivo per cui si sta cercando di radere al suolo la sovranità della Grecia, di Cipro e della Siria.

Non si tratta di una tesi, ma di fatti che il mondo diplomatico conosce. Parola di Agostino Chiesa Alciator, già console italiano in Francia. Che avverte: il disastro che ci sta rovinando addosso - crisi economica, catastrofe finanziaria, focolai di guerra permanente in ogni angolo del pianeta- ha una precisa di data d'inizio: 11 settembre. Non quello del 2001, le Torri Gemelle. Si tratta di undici anni prima: la caduta del Muro di Berlino. Quel giorno del 1990, George Bush - il padre, già direttore della Cia - tenne un discorso storico: annunciò l'avvento di un Nuovo Ordine Mondiale, diretto da Washington e Londra.

Era il punto di partenza di un processo inesorabile: dalla trasformazione radicale della Nato - da struttura difensiva ad organo offensivo, per il dominio del pianeta - fino alla neutralizzazione dell'Onu per aprire agli Usa la via della "guerra preventiva", con un unico movente: procacciarsi l'accesso incondizionato al petrolio, come unico valore reale a sostegno dell'architrave dell'economia americana, il dollaro.

Quello, spiega Alciator, è il momento in cui si incrina l'equilibrio del mondo, caduta l'Unione Sovietica. Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, formalizzato alla fine degli anni '90 da George W. Bush, ne è un semplice sviluppo: «Gli Stati Uniti si arrogano il diritto di intervenire in tutto il mondo laddove i loro interessi siano considerati messi in gioco.

Questa è, di fatto, l'esautorazione completa delle Nazioni Unite e del loro ruolo, fino ad allora gestito - bene o male - nella legalità internazionale, da un Consiglio di Sicurezza che rispecchiava equilibri di potenza».

Dalla geopolitica all'economia, il passo è breve: «L'altro pilastro del dominio globale è il dollaro, la sua circolazione forzosa internazionale»,spiega Alciator.

«Di qui tutti gli accordi, più o meno segreti, coi paesi produttori di petrolio, per i quali il petrolio è obbligatoriamente negoziato in dollari». Il problema nasce con la fine del rapporto tra dollaro e oro, il 16 luglio 1971:«Da un giorno all'altro, Nixon decide che non c'è più il cambio fisso tra 36 dollari e un'oncia d'oro: a quel punto, il dollaro non ha più un punto di riferimento stabile sul quale basare tutte le transazioni e le negoziazioni valutarie in tutto il mondo, e diventa una valuta negoziabile in quanto tale, senza più alcun riferimento».

Prospettive economiche per i nostri (pro)nipoti?

di Giorgio Gattei

Nell'era della "disoccupazione tecnologica", il reddito di cittadinanza dovrebbe essere quella parte di profitto a cui il capitale rinuncia per garantirsi la domanda di merci

Piuttosto che intervenire sulle condizioni di fattibilità pratica del reddito di cittadinanza, su cui non ho competenza, vorrei interrogarmi sul significato storico che può assumere il dibatterne oggi. Infatti io lo giudico un argomento economico cruciale posto dalla mutazione radicale che sta subendo la “maniera capitalistica del produrre”.
Finalmente, dopo un anno di passione sulla tenuta dei conti pubblici, si è arrivati a discutere della disoccupazione, di cui però si possono dare due tipi. C’è la disoccupazione provocata dalla “insufficienza di domanda effettiva” (ossia dalla domanda assistita da moneta): essendo necessaria manodopera per produrre le merci, se queste non trovano domanda adeguata, l’occupazione necessariamente calerà. Da qui il rimedio a simile disoccupazione - che è detta “keynesiana” perchè riconosciuta magistralmente da J. M. Keynes - che consiste nel rilancio della domanda tramite aumento dei consumi delle famiglie e/o dello Stato.
C’è però anche un altro tipo di disoccupazione, di cui poco si parla e di cui aveva ben detto Giorgio Lunghini oltre un decennio fa quando ha osservato che «la relazione biunivoca e stabile tra produzione di merci e occupazione di lavoro vivo è mutata: è ancora vero che, se la produzione cala l’occupazione cala, ma non è più vero l’inverso, che se la produzione riprende anche l’occupazione riprende» (1). È questa la disoccupazione tecnologica – o “ricardiana” perchè individuata da D. Ricardo fin dal 1821 – che è provocata dalla “sostituzione di macchine a lavoro”, così che anche a rilanciare gli investimenti i disoccupati crescono invece di diminuire perchè i posti di lavoro che si guadagnano dove si producono le “macchine” non compensano quelli che si perdono dove s’introducono le “macchine”.
Per come la giudico io, la disoccupazione attuale è soprattutto “ricardiana”, essendo dovuta al trapasso dal fordismo ad una “maniera post-fordista” del produrre che, se qualcosa vuol dire, può significare soltanto “sostituzione d’informatica al lavoro”. Ne risulta un eccesso di manodopera che viene espulsa dalla produzione e che, non sapendo come gestirla, resta lì (almeno finché sopporta la propria esclusione). Questa disoccupazione ha però origini lontane essendosi presentata in Italia fin dagli scorsi anni ’90, ma allora era stata recuperata mediante la “precarizzazione” del mercato del lavoro giudicandosi che, a salari stracciati, le imprese avrebbero assunto quei lavoratori “usa e getta”. In effetti così è stato, come documentano le statistiche, ma con la brutta conseguenza di un calo storico della produttività del lavoro perchè, se si possono costringere i precari a lavorare di più, non gli si può però imporre di lavorare meglio. Da qui la comparsa di una occupazione flessibile a bassa produttività di cui tutti hanno finito per lamentarsi (2) e contro la quale ha provato a muoversi la cosiddetta “riforma Fornero” imponendo alle imprese l’obbligo di trasformare, dopo un certo tempo, le occupazioni a tempo determinato in posti fissi, così che, gravate da un maggior onere salariale, si decidessero a cavalcare anche la via dello sviluppo tecnologico. Ma le imprese, dovendo passare alle “macchine”, hanno preferito licenziare i precari piuttosto che stabilizzarli e così quella disoccupazione “ricardiana” è tornata sulla scena. E ora come recuperarla?
Non tutti sanno che anche Keynes ha parlato della disoccupazione “ricardiana” in uno scritto del 1930 che, a leggerlo oggi, appare del tutto consono al momento: «l’efficienza tecnica è andata intensificandosi con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a risolvere il problema dell’assorbimento della manodopera ed il sistema bancario e monetario del mondo ha impedito che il tasso d’interesse cadesse con la velocità necessaria al riequilibrio». La conseguenza è «una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la “disoccupazione tecnologica”. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera». A rimedio di questa disoccupazione Keynes proponeva di lavorare meno per lavorare tutti: «turni giornalieri di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore» potrebbero essere la soluzione «affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile» (3).

Gli USA blindano i segreti su Osama Bin Laden


      - megachip -
L'America colpita dalla defezione del dissidente Snowden blinda i suoi segreti. Uno di essi è l'operazione con cui nel 2011 fu liquidata la pratica Bin Laden.


di Pino Cabras.

L'America colpita dalla defezione del dissidente Edward Snowden vuole blindare i suoi segreti più imbarazzanti. Uno di questi è l'operazione con cui nel 2011 venne liquidata la pratica Osama Bin Laden. La storia dell'operazione della Delta Force ad Abbottabad era apparsa sin dall'inizio poco credibile, e prima o poi gli scettici avrebbero potuto ottenere documenti diversi dalle patacchefin qui rifilate al grande pubblico con la sonnecchiante complicità dei principali organi di informazione. I militari coinvolti nel blitz sono quasi tutti morti nel giro di due anni (la maggior parte dopo pochi mesi), ma i segreti a volte trovano una strada. Meglio non rischiare, se ti chiami William McRaven e sei l'ammiraglio che comanda le operazioni speciali delle più potenti forze armate della Storia. Così McRaven ha ordinato che i file concernenti l'intervento sul presunto covo di Bin Laden siano rimossi dai computer del Pentagono e messi al sicuro presso quelli più impenetrabili della CIA. Più impenetrabili non tanto nei confronti di ipotetiche incursioni di pirati informatici, quanto verso qualche ficcanaso che osasse acquisire i documenti in forza della legge USA sull'accesso agli atti non ancora diffusi dal governo, il FOIA(Freedom Of Information Act).
Anche sul segreto doveva esserci un segreto: un metasegreto. Nessuno doveva sapere che si trasferivano i documenti. Ma un breve riferimento all'operazione contenuto in una relazione dell'ispettore generale del Pentagono ha indirettamente portato a galla la storia. Il viaggetto dei file alla chetichella dal Pentagono alla CIA eludeva più leggi federali, tra cui il FOIA, ma l'Amministrazione Obama non ha avuto nulla da obiettare. Non ci sorprende, perché da tempo osserviamo le gesta di Barack Obush.
Continuano così a espandersi - ancora nel 2013 - gli effetti del 2001, quando il doppio shock dei mega-attentati dell'11 settembre e delle lettere all'antraceprovenienti dai laboratori militari USA costrinse i parlamentari ad approvare a scatola chiusa il PATRIOT Act, la legge che ha alterato definitivamente l'equilibrio dei poteri a Washington, con effetti globali.
I presidenti passano, ma rimane un nucleo più importante dello "Stato profondo" che non accetta limiti. Questo nucleo del potere non ammette più nessuna normale procedura investigativa, tanto meno nelle forme processuali del diritto occidentale. Ma non è solo questione di giudici: si riducono le possibilità di scrutinio da parte della cosiddetta "pubblica opinione" così come l'abbiamo conosciuta, con alti e bassi, negli ultimi secoli.
Con lo scudo dei segreti, un provvedimento amministrativo dopo l'altro, l'America sta cambiando forma di Stato. Il nuovo potere costituito non può accettare che si vedano le carte legate all'atto fondativo della nuova costituzione materiale: l'11/9 e dintorni.

giovedì 11 luglio 2013

La congiura degli eguali, l’editoriale di Travaglio


zzzzx

 

In un paese civile non ci sarebbe nemmeno discussione: un politico che per giunta sostiene il governo dopo averlo presieduto tre volte, imputato per frode fiscale, rinuncerebbe alla prescrizione per essere assolto nel merito, sempreché – si capisce – fosse innocente. Perché, se dovesse mai incassare una prescrizione dopo due condanne, dovrebbe subito dimettersi da ogni incarico pubblico in base all’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. E, se non gli fossero chiari i concetti di “disciplina e onore”, provvederebbero i compagni di partito e gli alleati di maggioranza, scaricandolo su due piedi per evitare l’imbarazzo di sedergli accanto. E il capo dello Stato rifiuterebbe di riceverlo al Quirinale, per motivi igienici. Ma, siccome siamo in Italia, dov’è reato dire “paese di merda” ma è lecito far di tutto perché i cittadini onesti lo pensino, ecco il coro delle prefiche, dei servi e dei venduti contro la Cassazione che – horribile dictu – tenta di evitare che il processo Mediaset venga ancora falcidiato dall’ennesima prescrizione. I fatti sono chiari: quando i reati – falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita – furono scoperti (era il 2004), la frode ammontava a 368 milioni di dollari di costi gonfiati tramite società offshore per non pagare le tasse (fatti commessi nel 1995-’98, con effetti fiscali fino al 2003). Nel 2005 B. scoprì di essere indagato e impose subito l’ex-Cirielli, che tagliava la prescrizione da 10 anni a 7 e mezzo, e una raffica di condoni e scudi fiscali. Così ogni anno vide evaporare un pezzo del suo monumentale delitto e nel maggio scorso, quando arrivò la condanna d’appello, restavano 4,9 milioni di euro evasi nel 2002 e 2,4 nel 2003. Ma a metà settembre si estingueranno anche quelli del 2002. Dunque, se la Cassazione non sentenzia prima, la pena di 4 anni scenderà, probabilmente sotto i 3, con due conseguenze: il processo tornerà in Corte d’appello per rideterminarla; e sparirà la pena accessoria del-l’interdizione di 5 anni dai pubblici uffici, prevista solo per le pene sopra i 3 anni.Insomma B., che già non rischia il carcere perché ha più di 70 anni (grazie al regalo di compleanno contenuto nell’ex Cirielli) e perché 3 dei 4 anni sono coperti da indulto (gentile omaggio del centrosinistra), potrebbe restare tranquillamente in Parlamento. Almeno per un altro anno, fino a quando la Corte d’appello rideterminerà la sua pena. O per sempre, se poi la pena scendesse sotto i 3 anni. Peccato però che la Cassazione abbia l’obbligo di esaminare subito i processi a rischio di prescrizione o di decorrenza dei termini di custodia cautelare. Per evitare che i delitti restino impuniti (con grave danno per le vittime: in questo caso l’Erario) e che soggetti pericolosi escano dal carcere e spariscano dalla circolazione prima della condanna. La Sezione Feriale della Cassazione (che resta aperta durante le ferie estive, da luglio a settembre) è lì apposta: per trattare i processi che, diversamente da quelli normali rinviabili a dopo le vacanze, sono urgenti: quelli con imputati detenuti in scadenza e quelli – vedi decreto del primo presidente Ernesto Lupo del 24-6-2011 – “per i quali la prescrizione maturi durante la sospensione o nei successivi 45 giorni”. Proprio il caso del processo Mediaset, che a metà settembre sarebbe dimezzato dalla prescrizione. Perciò è stato assegnato alla Sezione Feriale per il 30 luglio. E gli alti lai del Pdl & company sulla “fretta sospetta” (figuriamoci: per un processo nato 9 anni fa!) della Cassazione per eliminare B. dalla vita politica sono pura propaganda, e di bassissima lega: come se la prescrizione fosse un diritto del-l’imputato, o addirittura il fine ultimo del processo penale. Anche stavolta, la Cassazione ha trattato B. come qualunque imputato nelle sue condizioni, perché la legge è uguale per tutti. Ed è proprio questo lo scandalo.
Marco Travaglio sul Fatto

Grillo: "Italia sta saltando, governo si balocca"

Il leader di M5S dopo l'incontro con il capo dello Stato: "Ho ringraziato Napolitano per la sollecitudine. Gli ho espresso la mia preoccupazione per la condizione economica, sociale e politica del Paese. Gli ho chiesto di tornare alle urne se necessario". Al vertice anche Casaleggio


Grillo: "Italia sta saltando, governo si balocca" Beppe Grillo
ROMA - "Caro Presidente, ho chiesto questo incontro, di cui la ringrazio per la sollecitudine, per esprimerle direttamente le mie preoccupazioni sulla situazione economica, sociale e politica del Paese convinto che misure urgenti e straordinarie pari a quelle di un’economia di guerra, non possano più aspettare oltre, neppure un giorno". Questo ha detto Beppe Grillo nell’incontro con il Presidente Napolitano aggiungendo che l’Italia si avvia verso la catastrofe e che la classe politica è responsabile di questo sfacelo.Il movimento 5 stelle chiede di ritornare alle urne prima possibile, critica il ricorso alla legiferazione per decreto e senza programmazione con un parlamento esautorato. non siamo più una repubblica parlamentare , aggiunge Grillo, e forse non esiste più la democrazia.
La conferenza stampa fiume di Beppe Grillo senza Gianroberto Casaleggio, presente solo da Napolitano, è stata una occasione per riproporre tutti i temi caldi del Movimento 5 Stelle e per criticare aspramente, come di consueto per questa formazione politica, l’immobilismo sui tagli agli sprechi e alla vita politica italiana. In conclusione, prima delle domande di routine, la richiesta più forte è di abrogare la legge elettorale, definita incostituzionale, e di sciogliere le camere, ma anche di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, eliminare ogni grande opera inutile e fermare l’acquisto degli F35. Mentre Grillo parla ai giornalisti in conferenza stampa, criticando duramente il loro operato nei riguardi con i parlamentari del movimento 5 stelle, gli stessi parlamentari si riuniscono in piazza Montecitorio per protestare contro il governo.

SIAMO GIOVANI MA DETERMINATI – Grillo ha continuato a descrivere la situazione di sofferenza del paese giustificando gli errori dei 5 Stelle con la giovane età della nuova formazione politica che tuttavia, ha aggiunto, ha le idee chiare e una serie di proposte concrete come gli aiuti alle imprese, il reddito di cittadinanza, l’impignorabilità della prima casa, l’abolizione delle province e di tutti i privilegi e gli sprechi delle figure istituzionali. E ancora Grillo ha parlato del finanziamento pubblico ai giornali e del debito della Rai, che continua a commissionare all’esterno quello che potrebbe realizzare con i suoi oltre 12 mila dipendenti, una azienda pubblica ora sotto osservazione del nuovo Presidente della Vigilanza targato 5 Stelle. La critica più forte alla classe politica attuale, la stessa che ha permesso questa situazione disperata, con una disoccupazione record mai vista dal 1977, la continua crescita del debito pubblico 110 mila miliardi l’anno e le imprese che chiudono al ritmo di una al minuto. Secondo Grillo si può rimanere nell’euro ma rinegoziando le condizioni o attraverso l’emissione di Eurobond. Infine il leader del movimento 5 Stelle ha minacciato l’uscita dal Parlamento nel caso che le sue parole non vengano ascoltate.

Beppe Grillo

dal Blog di Beppe Grillo
Il Paese è in ostaggio a causa di un condannato per evasione fiscale a quattro anni di carcere in secondo grado. Ieri, per il suo processo, si è fermato per solidarietà persino il Parlamento. Hanno votato a favore gli impiegati del pdl nominati alle Camere dal Padrone e una parte degli impiegati del pdmenoelle nominati per corrispondenza, sempre dallo stesso Padrone. Il Partito Unico dell'Impunità che strepita contro la corruzione e l'evasione e si indigna per il mancato scontrino di un bar, ha per simbolo e Lord protettore (soprattutto di sé stesso) un evasore conclamato. Berlusconi, novello Sansone con il parrucchino al posto della chioma, minaccia di far morire con sé tutti i Filistei. Con la condanna definitiva da parte della Cassazione i suoi lacchè in Parlamento e i fedeli alleati del pdmenoelle, più fedeli del cane più affezionato, scomparirebbero come neve d'agosto. Presidenti, consiglieri, direttori piazzati un po' ovunque negli enti pubblici e parapubblici farebbero le valige. Uno sconvolgimento mai visto dalla fine della guerra. Siamo al punto da non capire più se è lui a non voler farsi processare o se sono invece i suoi sodali senza arte né parte come Gasparri, Alfano, Santanchè, Brunetta, Bersani, D'Alema, Epifani (pdl o pdmenoelle non fa differenza) a trattenerlo ad ogni costo, imbalsamato come la mummia di Lenin al Cremlino, in esposizione per gli elettori rimbambiti dalle televisioni di regime. Votate l'evasore, votate per voi. Se Berlusconi evade e può fare strame dell'Italia, allora perché un cittadino dovrebbe pagare le tasse o le cartelle di Equitalia? Se il pesce puzza dalla testa e nessun partito (Rigor Montis che volevi tassare anche l'aria dove ti sei nascosto?) o istituzione si tura il naso, anzi tollera e invita a respirare a pieni polmoni il lezzo di impunità, perché il contribuente dovrebbe svenarsi tra tributi, balzelli e dichiarazioni dei redditi? In uno Stato democratico se impunità deve essere, sia per tutti, se evasione deve essere, sia per ognuno. Il Berlusconi che è in noi deve trovare l'uscita per i paradisi fiscali, il lavoro nero, la ricevuta mai data. Ogni evasore che si rispetti, meglio se totale, deve poter avere l'assistenza gratuita di pdl e pdmenoelle. Telefonare per informazioni a Brunetta o a Franceschini, numero verde di Arcore.

mercoledì 10 luglio 2013

Un reddito di base come reddito primario

di Andrea Fumagalli , Carlo Vercellone

 

Più che di un reddito di cittadinanza si dovrebbe parlare di un reddito di base incondizionato: un salario sociale legato ad un contributo produttivo oggi non riconosciuto
Sia sul sito di Sbilanciamoci che su il manifesto sono apparsi alcuni articoli critici in materia di reddito di cittadinanza (vedi, tra gli altri, gli articoli di Pennacchi, Lavoro, e non reddito, di cittadinanza, e Lunghini, Reddito sì, ma da lavoro). In questa sede, vorremmo chiarire alcuni principi di fondo per meglio far comprendere che cosa, a nostro avviso, si debba intendere quando in modo assai confuso e ambiguo si parla di “reddito di cittadinanza”. Noi preferiamo chiamarlo reddito di base incondizionato (Rbi) ed è su questa concezione che vorremmo si sviluppasse un serio dibattito (con le eventuali critiche). Le note che seguono sono una parte di una più lunga riflessione che apparirà sul n. 5 dei Quaderni di San Precario.
La proposta di un Rbi di un livello sostanziale e indipendente dall’impiego, elaborata nel quadro della tesi del capitalismo cognitivo, poggia su due pilastri fondamentali.
Il primo pilastro riguarda il ruolo di un Rbi in relazione alla condizione della forza lavoro in un’economia capitalista. La disoccupazione e la precarietà sono qui intese come il risultato della posizione subalterna del salariato (diretto e eterodiretto) all’interno di un’economia monetaria di produzione: si tratta della costrizione monetaria che fa del lavoro salariato la condizione d’accesso alla moneta, cioè a un reddito dipendente dalle anticipazioni dei capitalisti concernenti il volume della produzione e quindi del lavoro impiegabile con profitto. In questa prospettiva, il ruolo del Rbi consiste nel rinforzare la libertà effettiva di scelta della forza lavoro incidendo sulle condizioni in virtù delle quali, come sottolineava ironicamente Marx, il “suo proprietario non è solo libero di venderla, ma si trova anche e soprattutto nell’obbligo di farlo”. Inoltre, il carattere incondizionato e individuale del Rbi – in quanto strumento e non fine a e stesso (spesso si fa confusione al riguardo) – aumenterebbe il grado di autonomia rispetto ai dispositivi tradizionali di protezione sociale ancora incentrati sulla famiglia patriarcale e su una figura del lavoro stabile che oggi ha perso la sua centralità storica.
Da questa concezione derivano due corollari essenziali.
In primo luogo, l’importo monetario del Rbi deve essere sufficientemente elevato (almeno la metà se non il 60% del salario mediano – non medio) per permettere di opporsi all’attuale degradazione delle condizioni di lavoro e favorire la mobilità scelta a discapito della mobilità subita sotto la forma di precarietà. In questa prospettiva, il Rbi permetterebbe inoltre un effettiva diminuzione del tempo di lavoro. La garanzia di continuità del reddito permetterebbe infatti a ognuno di gestire i passaggi tra diverse forme di lavoro e di attività riducendo il tempo di lavoro sull’insieme del tempo di vita in modo più efficace che attraverso una riduzione uniforme del tempo di lavoro sulla settimana lavorativa, in un contesto in cui per una parte crescente della forza-lavoro l’orario settimanale di lavoro non è più oggi quantificabile, né misurabile.
In secondo luogo, la proposta di Rbi si iscrive in un progetto più ampio di rafforzamento della logica di demercificazione dell’economia all’origine del sistema di protezione sociale che si propone di completare salvaguardando le garanzie legate alle istituzioni del Welfare (pensioni, sistema sanitario, indennità di disoccupazione, ecc.) e adeguandole alle nuove forme di lavoro, che oggi ne sono escluse (la maggior parte dei precari non riesce ad accedere a nessun ammortizzatore sociale oggi in vigore)
Il secondo pilastro della nostra concezione del Rbi consiste nel considerarlo come un reddito primario, vale a dire un salario sociale legato ad una contribuzione produttiva oggi non remunerata e non riconosciuta.

martedì 9 luglio 2013

Guerra e capitalismo

L'ipocrisia del dibattito sulle spese militari

di Giovanna Cracco - sinistrainrete -

Il Conflict Barometer, la pubblicazione annuale dell’Heidelberg Institute for International Conflict Research, per il 2012 registra 396 confitti in corso nell’intero pianeta, nove in più rispetto al 2011 – occorre sottolineare che secondo la metodologia utilizzata per la classificazione, all’interno di un Paese o fra Paesi diversi possono esistere più confitti contemporaneamente, a seconda degli attori (Stati, gruppi, fazioni) coinvolti. 188 sono classificati “confitti non violenti” (105 controversie e 83 crisi), 43 “guerre altamente violente” e 165 “crisi violente”, per un totale quindi di 208 confitti armati, il numero più alto mai registrato dall’istituto a partire dal 1945. I principali teatri sono l’Africa sub-sahariana (19 guerre e 37 confitti violenti), la zona dell’Asia e dell’Oceania (10 guerre e 55 confitti), il Medio-riente e l’area del Maghreb (9 guerre e 36 confitti). Angola, Chad, Congo, Etiopia, Niger, Sudan, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria le guerre maggiormente note all’opinione pubblica, ma nulla rende più l’idea della localizzazione dei confitti dello sguardo d’insieme che può offrire una mappa (vedi figura 1).

Il Rapporto Sipri 2013 (Stockholm International Peace Research Institute), relativo all’anno 2012 e pubblicato ad aprile scorso, denuncia una spesa militare globale di 1.753 miliardi di dollari, pari al 2,5% del pil mondiale. Nel conteggio sono inclusi acquisti di armamenti, spese per il personale civile, militare e paramilitare, spese di ricerca, spese per le missioni, comprese quelle definite di peacekeeping, e le spese a vario titolo contenute nei bilanci dei ministeri della Difesa dei diversi Stati.

Figura 1. Fonte: Conflict Barometer 2012, Heidelberg Institute for International Conflict Research

Enormità della cifra a parte, gli aspetti rilevanti sono due: appena 15 Paesi hanno speso, complessivamente, l’82% della spesa mondiale (vedi figura 2); il 58%, sempre della spesa mondiale, è stata effettuata dagli Stati del nord America (40%) e dell’Europa occidentale (18%), ossia da Paesi appartenenti a quell’area in cui non si registrano confitti armati in corso (vedi figura 3). Dal 2001, sottolinea il Rapporto, anno di avvio della “guerra globale al terrorismo”, a oggi, gli Usa hanno incrementato la propria spesa militare del 69%, arrivando a spendere, nel 2012, 682 miliardi di dollari; tuttavia la crisi economica inizia ora a pesare anche sul bilancio della Difesa americano, che registra un decremento del 8% rispetto al picco del 2010. Nell’area dell’Europa occidentale la punta massima di spesa si è avuta nel 2009 (+9% rispetto al 2001), per poi registrare un forte calo, anch’esso dovuto alla spending review dei vari conti pubblici, che ha portato a una riduzione complessiva del 1,5% nel periodo 2001-2012.



Figura 2. Fonte: Sipri 2013, Quote di spesa militare mondiale 2012 dei 15 Stati con la spesa più alta




Figura 3. Fonte: Sipri 2013, Quote regionali di spesa militare mondiale 2012


Nel 2012 l’Onu ha gestito 29 missioni internazionali, 14 delle quali nell’Africa sub-sahariana e 8 fra Medioriente e Ma-ghreb; l’Unione europea ne ha comandate 14, tra Europa, Medioriente, Asia e Africa sub-sahariana; la Nato è in Afghanistan ormai da dodici anni, poi è in Kosovo, in Somalia, nel mar Mediterraneo, nel mare del Corno d’Africa e nel Golfo di Aden, e dal dicembre scorso sul con-fine Turchia-Siria; nel 2011 ha condotto il confitto in Libia e lasciato l’Iraq, dopo la guerra avviata nel 2003.

domenica 7 luglio 2013

La geografia delle rivolte sociali

Scritto da Sergio Cararo - sinistrainrete -

Dai Pigs ai Brics. L’esplosione delle rivolte sociali coinvolge soprattutto i paesi emergenti. Il cambio di passo nell’economia mondiale aumenta le aspettative lì dove si cresce ma congela il conflitto dove è aumentata la paura di perdere tutto. E’ ipotizzabile un punto di convergenza della rivolta sociale?

Le rivolte popolari che hanno squassato prima il Medio Oriente e adesso paesi emergenti come Brasile, Turchia, Sudafrica, interrogano in modo decisivo sulle prospettive della lotta nel classe nel mondo contemporaneo.

La fortissima polarizzazione tra i centri imperialisti e i paesi emergenti, provoca effetti rilevanti nelle periferie interne come i paesi europei Pigs, dove le istituzioni del capitalismo finanziario e multinazionale impongono un brusco arretramento delle condizioni sociali e delle aspettative generali. Aspettative che, al contrario, non potevano che crescere nei paesi emergenti che vedono aumentare la loro quota nell’economia mondiale e i ritmi di crescita. Il problema è che le classi dominanti dei Brics non si sottraggono al dominio del capitalismo e della egemonia della finanziarizzazione, frustrando così le aspettative accresciute delle classi sociali che sono venute affermandosi dentro i nuovi livelli economici. Lo conferma il Brasile dove il PT (Partito de los Trabahladores) diventato partito di governo non si è sottratto ad una certa marcescenza e corruzione che viene denunciata nelle manifestazioni e dai movimenti sociali.



Da questa tabella mancano paesi importanti come Turchia e Sudafrica che possiamo ben considerare come economie emergenti.

La prima ha guadagnato diversi posti nella collocazione nelle filiere mondiali di produzione. Era tredicesima nel 1995 per valore aggiunto dei beni finali nelle esportazioni nell’area euro ed è salita all’ottavo posto nel 2009 (Bollettino mensile della Bce, maggio 2013). I turchi per anni hanno lavorato fino a 50 ore a settimana in previsione di una redistribuzione di reddito, diritti e qualità della vita che però non è arrivata (o è arrivata solo in piccola parte) e che ora è assai improbabile che arrivi di fronte alla crisi per ora ancora parziale di una bolla speculativa incentrata su edilizia e grandi opere.

Il secondo, Sudafrica, pur con tutte le sue arretratezze, rimane la maggiore potenza economica del continente africano (52 milioni di abitanti e un Pil di 408 miliardi di dollari nel 2011), insidiato dalla Nigeria ricca di petrolio e con il doppio degli abitanti ma priva di una struttura industriale come quella sudafricana. Le aspettative del dopo apartheid sono state ampiamente disattese sul piano economico-sociale con i programmi di crescita di ispirazione liberista del periodo M'Beki. L'attuale leadership di Zuma non ha avviato controtendenze ed anzi ha accentuato lo scontro sociale ad esempio con i minatori ma anche per i proletariato urbano delle baraccopoli. La morte di Mandela potrebbe togliere l'ultimo elemento "unificante" per la tenuta sociale, almeno sul piano dell'immagine e della memoria storica.

Sinistre e unità della sinistra

Giuliano Cappellini - sinistrainrete -

Miglioristi e antimiglioristi
Dopo quasi un quarto di secolo non ci pare che né i “miglioristi”, né i loro epigoni avanzino alcun bilancio del “migliorismo”, il movimento ideale e politico che allora ebbe successo nella sinistra italiana. Ciò non stupisce, perché oltre che liquidare il PCI, nessuna altra parte del programma “migliorista” è stato realizzato. Infatti, dal punto di vista “sociale e democratico” il capitalismo è stato “migliorato” solo in peggio e il “migliorismo” sembra svanito nel nulla.
Eppure il successo fu innegabile: con la rinuncia all’obiettivo del socialismo esso sanciva la resa della sinistra italiana al dominio senza vincoli del capitale su ogni aspetto della società, la soggezione ai modelli socio-economici ed alla propaganda dell’imperialismo nordamericano. Ma anche se si capiva che questa resa sarebbe stata pagata amaramente dalle masse lavoratrici del nostro paese, qualcuno si convinse che questo era il prezzo per non distruggere, in una drammatica contingenza della storia, il movimento operaio e la democrazia in Italia.
I “miglioristi”, però, non cercarono giustificazioni.
Essi semplicemente sfruttarono le circostanze per sdoganarsi come forza di governo e si arruolarono nelle schiere della Controriforma che il capitale guidò a livello internazionale sfruttando la caduta dell’Unione Sovietica. Si gettarono nell’azzardo della trasformazione strutturale dell’economia italiana senza alcuna precauzione1. Iniziarono lo smantellamento della Costituzione (un processo non ancora terminato), modificarono le leggi elettorali per assicurare l’alternanza al governo a due sole forze politiche relativamente omogenee, il centro-destra ed il centro-sinistra, in modo da sterilizzare prima ed eliminare poi, la rappresentanza nelle istituzioni nazionali di un’opposizione radicale al sistema, delle istanze sociali e dei comunisti. Oltre che garantire in Italia gli interessi presenti e futuri del grande capitale nazionale ed internazionale e lo sviluppo di legami condizionanti con l’Europa dei poteri forti e con gli Stati Uniti, si lavorò per definire un quadro istituzionale che negasse anche l’ipotesi di una trasformazione sociale del Paese per via democratica. Il connubio migliorismo-imperialismo fu rapido e totale. Si concluse che la “normalità” per il nostro paese non poteva che essere quella della partecipazione senza remore alle guerre di rapina decise dalla Nato anche fuori dai suoi confini e indipendentemente dal fatto che alcuni dei paesi colpiti fossero in ottime relazioni col nostro paese – era la volta dell’Yugoslavia –, mentre con altri le relazioni non fossero affatto ostili.
Miglioristi ed epigoni, dopo aver tollerato e favorito l’aggressione ai diritti dei lavoratori, dopo aver svenduto parti essenziali della sovranità nazionale a chi controlla l’Europa, dopo aver compromesso il Paese in guerre senza fine in tante parti del mondo, al termine di un’ingloriosa parabola, tramano oggi con la destra per riscrivere la Costituzione e ridurre la repubblica parlamentare a repubblica presidenziale. Né li ferma la crescente disaffezione popolare verso “la politica” (in realtà, “i loro pasticci”), che, se pure colpisce più la destra che il centro-sinistra, ha portato ai minimi storici l’elettorato del PD. Infatti, il punto fermo delle loro elaborazioni istituzionali sono leggi elettorali con soglie di sbarramento sempre più alte e, naturalmente, premi di maggioranza.
Ma allora, chi si oppose al “migliorismo” non riuscì a contrastare la scelta che i liquidatori imposero a tutto il movimento operaio. I “miglioristi” controllavano le nervature delle organizzazioni di massa ereditate dal PCI e gli “oppositori del migliorismo” che non avevano altra esperienza politica che quella, si sentirono presto come pesci fuori dall’acqua. Si cercò, allora, di sostenere, l’ascesa politica dei dirigenti sindacali che si collocavano alla sinistra dei “miglioristi” ma, sopiti i movimenti rivendicativi della classe operaia delle grandi industrie del nord, spenti i movimenti ribellistici 68ini, ci si accorse presto che il movimento sindacale non esprimeva più quadri di lotta carismatici ma “tattici” delle lotte interna alla CGIL, spesso logorati. Anche per questo l’“anti-migliorismo” fu incapace di intendere la dimensione globale dello scontro di classe e trattò con sufficienza ogni rapporto coi processi e le tensioni internazionali. Così, seguendo la deriva dei gruppi dirigenti dell’ultimo PCI, anche la maggioranza di chi si oppose al migliorismo perse progressivamente ogni capacità di analisi della situazione internazionale in rapporto alle vicende interne del paese2. Quadri e dirigenti miglioristi ed anti-miglioristi esprimevano un inedito provincialismo, senza capire che chi li aveva preceduti alla guida del movimento operaio e progressista italiano si era guadagnato la fiducia del popolo nella vittoriosa epopea della lotta antifascista, la grande esperienza internazionale indispensabile al riscatto nazionale.

Gli aiuti alla Grecia? Alle banche

Fonte: il manifesto | Autore: Marco Bersani
                   
A partire dal marzo 2010, Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale hanno “salvato” la Grecia con ben 23 tranches di finanziamento, pari ad un totale di 206,9 miliardi di euro. Senza naturalmente fornire alcuna informazione sull’utilizzo di queste enormi cifre provenienti da fondi pubblici. È solo grazie ad uno studio condotto da Attac Austria che siamo in grado di affermare come il 77% di questi fondi siano andati a beneficio diretto o indiretto del settore bancario e finanziario. Infatti 58,2 miliardi (28,13%) sono serviti a ricapitalizzare le banche greche; 101,33 miliardi (48,98%) sono andati ai creditori dello Stato (fra questi 55,44 miliardi per rimborsare i buoni del Tesoro in scadenza, 34,6 miliardi come incentivo per ottenere l’accordo dei creditori sulla ristrutturazione del debito nel marzo 2012); 11,3 miliardi (5,4%) sono stati destinati al riscatto del debito nel dicembre 2012; 0,9 miliardi (0,43%) hanno rappresentato il contributo della Grecia al finanziamento del fondo di salvataggio europeo (Mes). Dell’intera somma di “aiuti” solo 43,7 miliardi (22,46%) hanno alimentato il bilancio statale e questa cifra va ulteriormente rapportata a quella parte di uscite che nel medesimo periodo lo Stato greco ha avuto per il pagamento degli interessi sul debito (34,6 miliardi) e per il bilancio della difesa (10,2 miliardi), mai ridotto su diretta pressione dell’industria d’armi di Francia e Germania. Un pacchetto di “salvataggio” con saldo negativo per la popolazione greca che, oltre a non aver ricevuto alcun aiuto diretto, si è trovata a pagare, con draconiane misure di austerità, l’intero costo del salvataggio di un sistema bancario speculativo e corrotto. Secondo un rapporto della Reuters del 2012, molte delle banche greche salvate utilizzavano una sorta di “schema di Ponzi” (truffatore di inizio ’900, che, partendo da due dollari, riuscì a racimolarne 15 milioni, coinvolgendo 40.000 persone) basato su società offshore per tirare la volata a prestiti non garantiti dall’una all’altra e dare l’impressione di essere in grado di attrarre capitali, rispondendo così ai requisiti per accedere al salvataggio di Stato. Ma tra i salvati figura anche il clan multimiliardario Latsis, una delle più ricche famiglie greche, proprietaria della maggioranza di Eurobank Ergasias; e perfino il fondo speculativo Third Point, che nel dicembre 2012 si è intascato 500 milioni di fondi pubblici europei.

Uno studio accurato, quello condotto da Attac Austria, e tuttavia semplice, perché fatto con dati disponibili per tutti, ma che governi e mass-media tengono rigorosamente nascosti per continuare a mantenere viva la religione del mercato, l’ineluttabilità delle politiche di austerità, precarizzazione del lavoro e privatizzazione dei servizi pubblici. Si dimostra ancora una volta come la crisi sia l’alibi per un gigantesco travaso della ricchezza sociale dalle fasce deboli della popolazione ai grandi capitali finanziari: una crisi del sistema bancario trasferita agli Stati come debito pubblico e da questi scaricata sui cittadini sotto i colpi dell’austerità. Quando il presidente della Commissione Europea nel 2010 ha qualificato il piano di salvataggio della Grecia come «un atto di solidarietà» non ha detto una bugia, ha solo omesso di precisare a chi tale solidarietà fosse rivolta: la drammatica condizione del popolo greco si è incaricata di rivelarcelo. Di fronte a questo quadro, vedere il premier Letta esultare per un piccolo allentamento della catena concesso dalla Commissione Europea (a deficit invariato, ca va sans dire) fa quasi sorridere se non fosse che è delle nostre vite che stanno parlando.

"Negare lo spazio aereo a Morales, un atto di pirateria internazionale". Intervento di Fabio Amato

Autore: fabio amato - controlacrisi -                          
 
Con quali parole si può definire il vergognoso rifiuto dei paesi europei di accogliere l’aereo presidenziale boliviano, con a bordo Evo Morales, nel proprio territorio e il divieto di sorvolo da essi emanato nei suoi confronti? L’unica definizione possibile è quella di un atto di pirateria internazionale, un sequestro di persona di fatto, agito nei confronti di un legittimo capo di stato di uno stato sovrano ad opera di paesi che ancora oggi non hanno dato spiegazione alcuna sull’inaudita decisione.
Per negare l’utilizzo dello spazio aereo per sorvolo ed atterraggio, deve esserci una ragione plausibile. Qualcosa che giustifichi una misura prevista solo in situazioni estreme e di emergenza. Ovvero nel caso venisse ravvisato un pericolo per la sicurezza nazionale degli stati in questione. La bugia inoltrata dagli Stati Uniti secondo cui a bordo dell’aereo presidenziale boliviano si trovasse Snowden, l’ex agente Cia che ha rivelato come gli Usa spiino tutto il mondo, non è in alcun modo ragione sufficiente a negare ad un aereo presidenziale di sorvolare il proprio spazio aereo. Addirittura di negare la possibilità di un atterraggio necessario per questioni tecniche, ovvero il rifornimento , senza il quale l’aeromobile sarebbe rimasto senza carburante, schiantandosi. Il comportamento degli stati europei non è stato né di prudenza, né difensivo, ma un vero e proprio attentato alla sovranità di uno stato e all'incolumità del suo Presidente, per il solo sospetto di trasportare a bordo un richiedente asilo politico. Un atto vigliacco, di sudditanza agli Usa e alla Nato, di vergognosa e supina subordinazione agli Stati Uniti, paese che ci comanda e che ci spia.
La gravità dell’accaduto dipende anche da un’altra questione , su cui si fino ad oggi si è fatta poca chiarezza, e su cui sarebbe bene che qualcuno , nel Parlamento italiano, oltre ad occuparsi dei destini di Daniela Santanchè o delle beghe interne al PD, chiedesse conto al governo bipartisan. Chi e perché ha deciso in Italia di negare l’autorizzazione al sorvolo? Come mai tutti i paesi Nato si sono allineati? Hanno deciso i governi o è stata la Nato a suggerire alle autorità dei paesi in questione di mettere in atto questa sconsiderata azione , che lo ricordiamo, ha messo in pericolo di vita Morales e tutti coloro che erano a bordo.
Lo chiediamo e continueremo a farlo. Quale livello politico del governo italiano è stato avvisato e ha avallato la decisione: il Ministero della difesa, quello degli esteri, la presidenza del consiglio, oppure è stata direttamente la Nato a dare l’ordine a cui si sono allineati i suoi membri?
Perché sarebbe quanto mai curioso che una decisione di questa portata sia stata presa da qualche oscuro o anonimo funzionario, senza che il governo italiano ne fosse al corrente. Noi crediamo che quanto sia accaduto non possa essere lasciato passare come un problema di secondo piano. E’ una questione che ha a che fare con la nostra sovranità, o meglio con quel poco che ne rimane.
Chi ha preso questa decisione, Letta, Bonino, oppure Mauro? Se non loro chi? Questo governo è, lo sappiamo, il garante di poteri prima di tutto sovranazionali. Prima che rispondere al popolo italiano, risponde alle oligarchie finanziarie internazionali e al potere euro atlantico. Prima se ne va e meglio sarà per l’Italia. Ma nel frattempo, se qualche deputato di buona volontà ponesse queste questioni nelle dovute sedi, aiuterebbe a chiarire come veramente sono andate le cose e qual è il livello di sudditanza del nostro paese e dei suoi governanti.

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