A partire dal marzo 2010, Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale hanno “salvato” la Grecia con ben 23 tranches di finanziamento, pari ad un totale di 206,9 miliardi di euro. Senza naturalmente fornire alcuna informazione sull’utilizzo di queste enormi cifre provenienti da fondi pubblici. È solo grazie ad uno studio condotto da Attac Austria che siamo in grado di affermare come il 77% di questi fondi siano andati a beneficio diretto o indiretto del settore bancario e finanziario. Infatti 58,2 miliardi (28,13%) sono serviti a ricapitalizzare le banche greche; 101,33 miliardi (48,98%) sono andati ai creditori dello Stato (fra questi 55,44 miliardi per rimborsare i buoni del Tesoro in scadenza, 34,6 miliardi come incentivo per ottenere l’accordo dei creditori sulla ristrutturazione del debito nel marzo 2012); 11,3 miliardi (5,4%) sono stati destinati al riscatto del debito nel dicembre 2012; 0,9 miliardi (0,43%) hanno rappresentato il contributo della Grecia al finanziamento del fondo di salvataggio europeo (Mes). Dell’intera somma di “aiuti” solo 43,7 miliardi (22,46%) hanno alimentato il bilancio statale e questa cifra va ulteriormente rapportata a quella parte di uscite che nel medesimo periodo lo Stato greco ha avuto per il pagamento degli interessi sul debito (34,6 miliardi) e per il bilancio della difesa (10,2 miliardi), mai ridotto su diretta pressione dell’industria d’armi di Francia e Germania. Un pacchetto di “salvataggio” con saldo negativo per la popolazione greca che, oltre a non aver ricevuto alcun aiuto diretto, si è trovata a pagare, con draconiane misure di austerità, l’intero costo del salvataggio di un sistema bancario speculativo e corrotto. Secondo un rapporto della Reuters del 2012, molte delle banche greche salvate utilizzavano una sorta di “schema di Ponzi” (truffatore di inizio ’900, che, partendo da due dollari, riuscì a racimolarne 15 milioni, coinvolgendo 40.000 persone) basato su società offshore per tirare la volata a prestiti non garantiti dall’una all’altra e dare l’impressione di essere in grado di attrarre capitali, rispondendo così ai requisiti per accedere al salvataggio di Stato. Ma tra i salvati figura anche il clan multimiliardario Latsis, una delle più ricche famiglie greche, proprietaria della maggioranza di Eurobank Ergasias; e perfino il fondo speculativo Third Point, che nel dicembre 2012 si è intascato 500 milioni di fondi pubblici europei.
Uno studio accurato, quello condotto da Attac Austria, e tuttavia semplice, perché fatto con dati disponibili per tutti, ma che governi e mass-media tengono rigorosamente nascosti per continuare a mantenere viva la religione del mercato, l’ineluttabilità delle politiche di austerità, precarizzazione del lavoro e privatizzazione dei servizi pubblici. Si dimostra ancora una volta come la crisi sia l’alibi per un gigantesco travaso della ricchezza sociale dalle fasce deboli della popolazione ai grandi capitali finanziari: una crisi del sistema bancario trasferita agli Stati come debito pubblico e da questi scaricata sui cittadini sotto i colpi dell’austerità. Quando il presidente della Commissione Europea nel 2010 ha qualificato il piano di salvataggio della Grecia come «un atto di solidarietà» non ha detto una bugia, ha solo omesso di precisare a chi tale solidarietà fosse rivolta: la drammatica condizione del popolo greco si è incaricata di rivelarcelo. Di fronte a questo quadro, vedere il premier Letta esultare per un piccolo allentamento della catena concesso dalla Commissione Europea (a deficit invariato, ca va sans dire) fa quasi sorridere se non fosse che è delle nostre vite che stanno parlando.
Uno studio accurato, quello condotto da Attac Austria, e tuttavia semplice, perché fatto con dati disponibili per tutti, ma che governi e mass-media tengono rigorosamente nascosti per continuare a mantenere viva la religione del mercato, l’ineluttabilità delle politiche di austerità, precarizzazione del lavoro e privatizzazione dei servizi pubblici. Si dimostra ancora una volta come la crisi sia l’alibi per un gigantesco travaso della ricchezza sociale dalle fasce deboli della popolazione ai grandi capitali finanziari: una crisi del sistema bancario trasferita agli Stati come debito pubblico e da questi scaricata sui cittadini sotto i colpi dell’austerità. Quando il presidente della Commissione Europea nel 2010 ha qualificato il piano di salvataggio della Grecia come «un atto di solidarietà» non ha detto una bugia, ha solo omesso di precisare a chi tale solidarietà fosse rivolta: la drammatica condizione del popolo greco si è incaricata di rivelarcelo. Di fronte a questo quadro, vedere il premier Letta esultare per un piccolo allentamento della catena concesso dalla Commissione Europea (a deficit invariato, ca va sans dire) fa quasi sorridere se non fosse che è delle nostre vite che stanno parlando.
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