di Yanis Varoufakis
Caro Collega, come te, suppongo, anch’io sono cresciuto con le immagini in bianco e nero di un’ Europa meridionale che lottava per emergere dalle miserie degli anni tra le due guerre.
Come te, la mia mente è ancora piena di immagini di gente duramente messe alla prova dalla vita, che cercava di rinascere emigrando in paesi lontani, come nel film “Ladri di biciclette” o film greci simili, in cui intere sequenze comiche giravano intorno alla figura di un uomo adulto che desiderava ardentemente una torta al formaggio o un dessert. Comunque, arrivò poi il tempo in cui questi ricordi ed immagini di profonda povertà e privazione svanirono al punto da annullare la forza comica di simili scenette.
Le nostre società, l’Italiana e la Greca, abbandonarono la tradizione culturale dei De Sica, Fellini, Koundouros e Kakoyiannis per scendere pian piano nel buco nero della volgare era Berlusconiana. Nel corso di questi anni di “crescita” e di consumismo, molti di noi speravano che le nostre società potessero trovare in se stesse la capacità di riscoprire l’equilibrio perduto; cercare cioè di far convivere la pancia piena con un cinema decente preferendolo al crasso stile di vita che la televisione ci mostrava.
Ahimè, non ci siamo riusciti. Prima di poter raggiungere un tale equilibrio (presumendo che lo si potesse raggiungere) si è abbattuto su di noi un nuovo 1929. E’ accaduto nel 2008 quando, proprio come nel 1929, crollò la Borsa di Wall Street, la valuta comune del tempo (nel 1930 era il Gold Standard, nel 2010 l’Euro) iniziò a rivelare le sue debolezze e in breve tempo le nostre ‘élites’ finanziarie fallirono clamorosamente nella capacità di rispondere razionalmente alla marcia trionfante della Crisi. Dopo soli due anni da quando la Crisi si è abbattuta sul mio Paese, la Grecia, ci siamo ritrovati nonostante tutto nella capacità di rapportarci adeguatamente a quelle sequenze comiche degli anni 50-60 dove persone bramavano una torta al formaggio e sognavano un dessert.
Da giovane, quando studiavo economia, ricordo che avevo difficoltà a capire perché i governi del periodo tra le due guerre, dal ’29 in poi, avessero così miseramente fallito nel bloccare il disagio economico che ci condusse poi tragicamente alla seconda guerra mondiale. Leggevo dell’impegno del Presidente Hoover nel ridurre drasticamente le spese pubbliche e nel tagliare salari in un momento in cui l’economia statunitense stava implodendo e proprio non riuscivo a capire come lui e i suoi allegri consiglieri potessero appoggiare una simile idiozia. Semplicemente mi rifiutavo di credere che fossero uomini malvagi che volevano il male della loro gente. Ma allo stesso tempo non riuscivo a capire come fecero a convincere se stessi che le loro azioni davvero potessero dare sollievo al loro sofferente elettorato.
Bene, sono passati tanti anni da allora ma poi ho capito. Guardando il nostro Governo in Grecia dall’inizio della crisi del debito in atto, osservando i capi europei approvare e adottare una politica rovinosa dopo l’altra, alla fine ho capito.
Se ci pensi, è un po’ quello che è accaduto negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’60-inizio ’70. Al Pentagono, brillanti generali capirono perfettamente che la guerra nel Vietnam non poteva essere vinta. E che mandare altre truppe a combattere nella giungla, bombardare con il napalm le città vietnamite inasprendo ulteriormente lo sforzo bellico era del tutto inutile. Sappiamo benissimo, grazie agli sforzi eroici di Daniel Ellsberg, che ognuno di loro e anche gruppi di loro sapevano quali erano stati gli errori commessi. Eppure non riuscirono a coordinarsi tra loro e a sincronizzare le loro opinioni per concordare un cambiamento di rotta. Un cambiamento che avrebbe salvato migliaia di vite Americane, centinaia di migliaia di vite vietnamite, per non parlare delle ingenti somme di denaro speso.
Qualcosa di simile a quello che succede oggi ad Atene, a Roma, a Francoforte, a Berlino e a Parigi. Non è vero che la nostra classe dirigente è ignara del fatto che l’Europa sia come un treno che sta lentamente deragliando con in testa il vagone Grecia seguito dai vagoni Irlanda e Portogallo e, a seguire, i più grandi vagoni Spagna, Italia, Francia e, per finire, la stessa Germania. No, io credo che tutto questo loro lo hanno bene in mente, proprio come i generali americani avevano ben chiara l’immagine delle scene finali a Saigon – con gli elicotteri che caricavano gli ultimi americani dal tetto dell’Ambasciata USA. Ma proprio come i generali americani, essi non riescono a coordinare le loro opinioni in un’unica risposta politica intelligente. Nessuno di loro ha il coraggio di parlare quando entrano nelle sale conferenza dove si prendono decisioni importanti, per paura di essere accusati di troppa “morbidezza” o di essersi arresi. Così restano muti, mentre l’Europa brucia, sperando che il fuoco si estingua da solo, mentre sanno, nel profondo del loro cuore, che questo non potrà accadere.
E mentre esitano e Atene, Roma, Madrid, Lisbona e Dublino bruciano, le nostre società stanno sprofondando in un pantano dove muoiono le speranze e le prospettive, dove le esistenze si impoveriscono e dove i soli vincitori sono i misantropi, i cinici, quelli che cercano il capro espiatorio nella forma dell’ “alieno”, l’Ebreo, il “diverso”, l’ “altro”. Mentre si stanno letteralmente spegnendo le luci nel mio Paese, con famiglie che “scelgono” di avere la fornitura di elettricità discontinua in modo da poter comprare il cibo tutti i giorni, criminali pattugliano le strade in cerca del “nemico”. L’ideologia nazista sta avendo un’altra rinascita, come anche la fame e le privazioni, e infetta ancora una volta il nostro tessuto sociale. E mentre le nostre istituzioni, i nostri sindacati, le nostre organizzazioni e principi culturali si trasformano in gusci vuoti, il campo è libero per i bigotti, i razzisti, gli sfruttatori del disagio generale e della disperazione. Ahimè, l’uovo del serpente è riapparso di nuovo in Europa e per le stesse ragioni per cui apparve allora.
Il tuo Paese ed il mio condividono molto di più di questa triste storia anche se dimentichiamo di ammetterlo. Prima della guerra, entrambe le nostre società diedero vita e tollerarono regimi fascisti. Il tuo Mussolini ed il mio Metaxas possono anche esser finiti a farsi la guerra uno con l’altro, ma entrambi erano il prodotto di fallimenti politici e disastri economici molto simili al comune destino che assilla attualmente i nostri due paesi. Sento che oggi in Europa è al lavoro una strana geografia: l’Irlanda continua a dire che non è come la Grecia, il Portogallo ripete che non è come l’Irlanda, la Spagna urla che non è come il Portogallo e, ovviamente, l’Italia vuole credere di non essere come la Spagna. Faccio appello a te: dobbiamo smettere di negare i nostri comuni disagi. Ovviamente, l’Italia non è la Grecia, ma nonostante questo, i guai crescenti in cui l’Italia si trova oggi, proprio mentre ti scrivo, è inutile separarli o distinguerli dai guai in cui versa oggi il mio Paese. La nostra “malattia” ha provocato forse una febbre maggiore di quella che avete voi ora ma, credimi, si tratta dello stesso virus. Domani, forse, la vostra febbre salirà ai livelli della nostra febbre di oggi.
Molte persone che conosco al di fuori della Grecia, compresi colleghi economisti, fanno l’errore di pensare che la Grecia stia vivendo attualmente una profonda recessione. Lasciami dire che questa non è una recessione. Questa è una depressione. Qual è la differenza? Le recessioni sono semplici flessioni. Periodi di attività economica ridotta e di maggiore disoccupazione. Come noi insegniamo ai nostri studenti, le recessioni stanno al capitalismo come l’Inferno sta alla Cristianità: sgradevole ma essenziale perché il “sistema” funzioni. Periodi di recessione possono risultare risolutivi e provvidenziali poiché “spazzano via” dall’ecosistema economico tutto ciò che non è efficiente, tutte le aziende che non dovrebbero esistere, i prodotti non più di moda, le tecniche di produzione obsolete, insomma, per usare una metafora, tutti i dinosauri.
Ma quello che avviene oggi in Grecia non è affatto una recessione! In Grecia, oggi, tutti stanno andando giù: l’efficiente e l’inefficiente, il produttivo e l’improduttivo, le imprese redditizie e quelle in perdita. Conosco fabbriche che esportano tutto quello che producono a clienti soddisfatti, carichi di commesse, con un’invidiabile tradizione di utili; ebbene, oggi si trovano sull’orlo della bancarotta. Perché? Perché i fornitori esteri non accettano più le loro garanzie bancarie necessarie perché si riforniscano di materie prime, poiché nessuno ha più fiducia delle Banche Greche. Con i circuiti bancari ormai spezzati, questa crisi sta affondando ogni possibile imbarcazione, buona o meno buona che sia, come per assicurarsi che niente resti più in superficie.
E più si riducono i salari, più aumentano le tasse, più si riducono gli aiuti alla disoccupazione, più grande si fa la voragine in cui tutti stanno sprofondando. Se qualcuno volesse spiegare il concetto del “circolo vizioso”, la Grecia di oggi è un perfetto oggetto di studio.
Tra me e te, da professore economista a professore economista, devo confessarti un profondo senso di vergogna per la mia professione. Tu sai che altri accademici spesso ci definiscono dei “sismologhi”, insinuando che siamo come loro inutili ed incapaci nel prevedere il fenomeno che studiamo.
E’ proprio così. Come professione, non siamo mai stati capaci di avvisare il mondo di un imminente cataclisma. Forse alcuni economisti isolati lo hanno anche fatto ma, purtroppo, un orologio rotto segna l’ora giusta solo due volte al giorno. No, come corpo di scienziati ci siamo dimostrati incapaci tanto quanto i sismologhi nel saper dire dove, quando e con quale intensità colpirà il prossimo terremoto.
Pensaci un momento: dietro ogni nefasta operazione CDO di cartolarizzazione del debito (CDO - collateralized debt obligation), dietro qualsiasi operazione d’ingegneria finanziaria, s’intravedeva l’ombra di qualcuno di noi. Dietro ogni politica economica responsabile della crescita a “schema di Ponzi” (cioè “falsa”) prima del 2008, troviamo sempre la figura di un qualche rinomato e rispettato economista che stava lì a dare la copertura ideologica alla politica adottata.
Dietro tutte le misure di austerità che vengono prese oggi, misure che soffocano le nostre società, ancora una volta troviamo nostri colleghi accademici, i cui modelli e teorie conferiscono autorevolezza e giustificazione alle politiche che vengono imposte alla popolazione. In breve, io e te siamo colpevoli di ciò che stanno soffrendo le persone in Grecia e in Italia. Anche se non condividevamo quei modelli economici in particolare, non abbiamo fatto abbastanza per avvertire il mondo della loro potenziale “tossicità”. Davvero, noi siamo colpevoli.
La settimana scorsa una mia ex-studentessa, malata di cancro, non riusciva più a trovare i farmaci per la chemioterapia di cui ha bisogno, a causa della rottura dell’accordo tra lo stato e l’ordine dei farmacisti (sono in sciopero perché lo stato non li paga da diciotto mesi). Un gruppo di noi suoi ex-professori (tutti economisti) ci siamo messi d’accordo e abbiamo raccolto il denaro necessario per pagare i suoi farmaci a prezzo intero. Per quanto utile sia stato questo gesto, non ci esonera. La nostra colpa resta, uguale a com’era prima di questo gesto. Perché noi eravamo quelli che insegnavano agli studenti l’efficacia dei mercati finanziari, noi avevamo permesso all’era del sistema finanziario “alla Ponzi” di essere definita “La Grande Moderatrice”, noi avevamo chiesto ai nostri studenti di aver fiducia nella capacità delle istituzioni finanziarie di dare il giusto prezzo al rischio. Noi ci siamo seduti lì a guardare mentre i nostri studenti leggevano nei loro libri di testo la grande menzogna che i mercati si autoregolano e che la miglior cosa che uno stato possa fare è di liberare il campo e lasciare che i mercati compiano il loro miracolo. Sì, caro collega, le nostre teste dovrebbero penzolare al pubblico ludibrio. Anche se, individualmente, abbiamo talvolta messo in discussione la “saggezza” convenzionale del nostro mestiere.
Prima di concludere questa lettera, vorrei evocare un’immagine duratura con cui descrivere il modo in cui si sente oggi la mia gente, la gente della Grecia. Ti ricordi il brillante film di Fellini E la nave va? Ti ricordi i profughi di guerra sul ponte, che l’equipaggio trattava con sufficienza? Mi fermo qui nella loro descrizione. Sono certo che ricordi il modo in cui Fellini li dipinse magistralmente. Ecco, è così che si sentono oggi i Greci, e per un motivo preciso anche, dato il ruolo di capro espiatorio che gli è stato affibbiato, come fosse il primo pezzo del domino che cade portandosi appresso una lunga catena di altri pezzi, minacciando l’intera Europa con una versione post-moderna di un tempo passato.
Con tristezza.
Sinceramente tuo. Yanis Varoufakis