Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!
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sabato 6 luglio 2013

La Grecia è un comune destino

Fonte - Rossland -
Entro 3 giorni la Grecia dovrà dare risposta alle richieste avanzate dalla Troika come conditio sine qua non per ottenere la nuova tranche di aiuti.
La maggior parte dei tagli riguarderà dai 4000 ai 7000 dipendenti nel settore pubblico.
Intanto, il Ministro della Salute, Adonis Gheordiadis, conferma ufficialmente la volontà di chiudere gli ospedali del Paese.
La Troika avrebbe poi chiesto di trovare le coperture che mancano ai numeri greci in un ritocco alla normativa sul lavoro, abbassando il salario minimo nel Paese a 350€.
Che non è uno stipendio, ma l'argent de poche concesso al servo volonteroso e fedele.

Leggevo stamattina un pezzo sulla situazione in Grecia, pubblicato il 20 giugno su un sito francese e riportato tradotto su Come Don Chisciotte, dal quale riporto alcuni paragrafi che, se compresi, dovrebbero farci scendere tutti in piazza a sostegno dei greci e contro l'ulteriore proseguimento delle politiche di austerità, ovunque uguali, in Europa:
Benvenuto in Grecia, laboratorio europeo del « capitalismo del disastro» ! Milton Friedman descrive come dei cambiamenti economici improvvisi e di grande ampiezza provochino delle reazioni psicologiche « facilitanti la risoluzione » . Una risoluzione che si traduce per degli attacchi sistematici contro la sfera pubblica. Un approccio simile alla dottrina militare degli Stati Uniti in Irak, Shock and Awe (Choc e spavento), descrive l'autrice canadese Naomi Klein, che aveva lo scopo di « controllare la volontà, le percezioni e la comprensione dell'avversario e di privarlo di ogni capacità di agire e reagire .» Per meglio riuscire, infine, la terapia dello choc economico.
« Non siamo più nel capitalismo, ma nel suo prolungamento, una sorta di meta-capitalismo »prosegue. Il trauma collettivo. Una situazione che ricorda stranamente la strategia dello choc, definita da Milton Friedman, teorico del liberismo economico : « Aspettarsi una crisi su ampia scala, poi, mentre i cittadini sono ancora sotto choc, vendere lo Stato pezzo per pezzo, a degli interessi privati prima di trovare il modo di rendere eterne le « riforme » varate sotto il segno della fretta » (10)
Perché i greci hanno accettato queste misure di austerità in cambio di un piano di salvataggio che non ha risolto niente? « Abbiamo perso un milione di posti di lavoro nel settore privato. E' come se, in Francia, si sopprimessero d'un colpo 6 o 7 milioni di posti di lavoro. Si ricevono più volte al giorno delle cattive notizie. Come può un cervello umano sopportare questa cadenza (ravvicinata di cattive notizie)? » si interroga Panagiotis Grigoriou, storico e etnologo, autore del blog Greek Crisis. « Più di 8000 manifestazioni e scioperi hanno avuto luogo in tre anni, i greci si sono rassegnati. Cosa si può fare di più? Ogni linea del memorandum (lista delle misure di austerità imposte dalla Troika, ndr) è stata votata. Si annullano delle leggi in vigore da decenni. La Costituzione è stata violata. A cosa serve il Parlamento? »
Poco fa, su Il Fatto Quotidiano, la notizia che chiarisce, a chi ancora non lo avesse compreso, l'obiettivo della dottrina Shock and Awe applicata ai Pigs, paesi guarda caso sul Mediterraneo, dalla Troika:
Al via la cinesizzazione della Grecia. Una piccola Dubai nascerà nell’Egeo

Avevate dubbi?

Riflettevo poco fa che è la paura lo strumento più efficace della terapia a base di Shock and Awe di cui si serve la Troika per ottenere ciò che vuole, esige, comanda, pretende.
Allora, forse dovremmo iniziare a chiederci se non sia la paura, il nostro peggior nemico.

Paura sottile, che mimetizziamo fingendo che sia tutto normale e che si infiltra intanto ovunque.
Paura che paralizza ogni nostra capacità di giudizio, anziché farci urlare di dolore come di norma si fa quando si ha paura.
Che ci fa remissivi anche mentre abbiamo davanti agli occhi la forca che ci impiccherà e neutralizza in noi ogni reazione fin oltre il buon senso (o l'istinto di sopravvivenza nudo e crudo, se volete), anche quando siamo fin troppo consapevoli che quanto ci accade è opera o di folli o di criminali.
Noi non reagiamo più.
Al più twittiamo o commentiamo o scriviamo post (come faccio impotente anch'io, peraltro).
Qualche volta ci uniamo a qualche comitato, a qualche associazione, quasi a farci coraggio nelle nostre intenzioni di ribellione, ma sempre agendo poi con tempi e modi "civili".
Perché l'altra cosa singolare è questa: protestare è consentito solo se la protesta è "civile".
Altrimenti è illegale, cioè i criminali diventiamo noi.

Ciò che succede in Grecia scuote la nostra attenzione ogni volta per quel paio di minuti in cui leggiamo la notizia prima di scordarcela passando alla successiva, come si trattasse di qualcosa che non ci riguarda, che non ci toccherà mai, che ci dispiace ma forse la Grecia "se lo merita" perché, come ci propinano da almeno un paio d'anni, la Grecia ha "vissuto al di sopra delle proprie possibilità".
E noi italiani? E gli spagnoli?
Non sono forse le stesse cose che dicono a noi nell'imporci l'Imu o l'aumento dei ticket o quando riducono i diritti nel mondo del lavoro perché bisogna ridurre il debito ma anche pensare alla ripresa dell'economia?
E che economia si riprende, se non quella a cui siamo nel frattempo stati riadattati?

Dobbiamo imparare a sentire che la Grecia è ognuno di noi, perché inizino a invertirsi quei rapporti di forza che consentono oggi alla Troika di imporre in Grecia salari da 350€ così da poter felicemente consegnarla alla Cina affinché ne faccia una nuova Dubai.
Un paese svenduto chiavi in mano, fornito di schiavi pronti all'uso.
E non mi si venga a dire che non sanno quel che fanno.
Lo sanno.
Shock and Awe funziona perché siamo vittime della paura di aver compreso fin troppo bene, cosa ci stanno facendo.
E funziona perché siamo vittime di un'idea di noi stessi che ci fa allontanare da noi perfino il pensiero, che sia tempo di smetterla con la generosità di giudizio verso chi ci sta spingendo a forza la testa sotto la mannaia.

domenica 30 giugno 2013

Solo Syriza salverà la Grecia. Parola di New York times

    
Solo Syriza salverà la Grecia. Parola di New York times

 

E lo hanno scritto sul New York Times del 23 giugno: «Durante la notte, una organizzazione statale che era stata a lungo vituperata per corruzione e clientelismo è diventata la voce di una resistenza democratica».
Le politiche imposte alla periferia dell’Europa stanno peggiorando la crisi e, secondo i due accademici, un governo greco che respingesse queste politiche autodistruttive per l’Europa stessa farà più bene che male.
I due erano a Salonicco il 12 giugno, il giorno dopo la chiusura della Ert, per un’intervista mai avvenuta perché il canale era stato zittito. Ma negli uffici, hanno incontrato Alexis Tsipras, capo di Syriza, che ha perso d’un soffio le elezioni nazionali nel giugno 2012. Con lui hanno preso parte a un’assemblea spontanea di oltre 2mila persone.
Con la chiusura del servizio pubblico radio televisivo, scrivono Galbraith e Varoufakis che «Ora, il governo ha trasformato un dibattito torbido su mercati e austerità, fiducia e credito in una lotta aperta sulla democrazia e l’indipendenza nazionale. In quella lotta, Syriza si pone come l’alternativa, e il signor Tsipras ora ha la possibilità di diventare primo ministro. Se ci riesce, nulla cambierebbe di vitale per gli Stati Uniti. Syriza non ha intenzione di lasciare le basi militari americane della NATO o vicino. Naturalmente, la complicità americana nella dittatura greca di 1967-1974 non è stata dimenticata ma oggi il problema della Grecia oggi è con l’Europa, e il signor Tsipras non vuole litigare con Washington».
«Il settore finanziario globale vede una vittoria di Syriza con orrore. Ma le banche e gli hedge fund sanno che la maggior parte del debito greco è detenuto da contribuenti europei e dalla Banca centrale europea, e ciò che resta è a ruba dagli investitori perché sanno che sarà pagato. La grande finanza è preoccupata per quello che potrebbe accadere altrove, se un partito di sinistra vince in Grecia. Questo istinto è naturale per i banchieri. Ma per il governo americano adottare la stessa posizione paura sarebbe strategicamente miope».
Insomma, «in questo momento, Syriza potrebbe essere la migliore speranza per l’Europa» perché l’austerità è stata un fallimento ma i greci non vogliono lasciare l’Eurozona.
«Se queste politiche non cambiano – avvertono gli economisti – il crollo totale dell’economia greca è imminente». Galbraith, come noto, pensa a soluzioni di tipo keynesiano, ed è convinto che un «governo Syriza cercherebbe queste riforme e la salvezza del progetto europeo. E questo non può che essere una buona cosa per gli Stati Uniti».
Viene da chiedersi quanta gente porterebbe in piazza in Italia la chiusura della Rai. E, naturalmente, quanto sia lunga la strada per una coalizione della sinistra radicale, autonoma dal Pd, capace di contendere il governo ai liberisti più o meno temperati.”
da Globalist.it

Per cambiare l’euro deve cambiare Berlino

di Alessandro Bramucci - sbilanciamoci -

L'approfondirsi della crisi greca come specchio della crisi del modello sociale europeo. Un convegno a Berlino per cambiare la rotta dell'Europa

La crisi della Grecia che non accenna a rallentare, il declino italiano, il modello sociale europeo in difficoltà ovunque, i salari che cadono, le analisi dell’Ilo e le alternative proposte dal sindacato tedesco, la Dgb. Questi i temi al centro del convegno The social and employment impact of the crisis, tenuto venerdì 21 giugno alla Berlin School of Economics and Law di Berlino, in collaborazione con la Global Labour University, un network di università che offre programmi di formazione per esponenti sindacali.
I lavori sono stati aperti da Trevor Evans, docente di Economia Internazionale alla Berlin School e tra i coordinatori dell’EuroMemo Group, che realizza ogni anno l’Euromemorandum sulle alternative per le politiche europee.
Georgios Argitis dell’Università di Atene e Maria Makantonatou dell’Università dell’Egeo hanno delineato il quadro della crisi greca. Dal 2010 la Grecia è intrappolata in una spirale fatta di austerità e default, imposta dalla Troika (Commissione Europea, Bce, Fmi) con l’accordo del governo di coalizione di Atene, che registra proprio in questi giorni crescenti dissensi interni. I due Memorandum di riforme economiche e finanziarie decisi da governo e Troika si fondano su tre pilastri. Il primo è la riduzione della spesa e del deficit pubblico, che deve arrivare al 2014 a un avanzo primario pari al 16% del Pil. Il secondo riguarda le “riforme strutturali”, in particolare del mercato del lavoro, che puntano ad accrescere la competitività attraverso la depressione dei salari del settore privato. Il terzo è la stabilità finanziaria, con la ricapitalizzazione del settore bancario greco con misure che, fino ad oggi, ammontano a 100 milioni di euro, circa un terzo del debito pubblico. Argitis ha riassunto con efficacia il “mea culpa” fatto dall’Fmi in una recente pubblicazione dove sono evidenziati i limiti dei risultati ottenuti dalle misure di austerità (IMF, Greece: Ex Post Evaluation of Exceptional Access under the 2010 Stand-By Arrangement, 2103). Tasso di disoccupazione più alto di dieci punti percentuali rispetto alle previsioni della Troika, Pil che diminuisce di 17 punti percentuali sui valori del 2009, contro i 5,5 punti percentuali previsti dalla Troika, mercati finanziari che non riacquistano fiducia sulla solvibilità del debito greco. Il Fondo monetario e l’Europa hanno sbagliato i calcoli sugli effetti moltiplicativi che i tagli avrebbero avuto sulla caduta del reddito, stimati inizialmente pari a 0,5% ma poi rivelatisi pari a 2. Il problema di Atene è che l’economia del paese è da sempre trainata dalla domanda interna, mentre l’export ha un rilievo modestissimo; le pressioni della Troika per aumentare la competitività sono quindi fuori bersaglio. La strategia depressiva e la caduta dei salari realizzata da Troika e governo hanno così impedito al paese di crescere, e la riduzione del reddito ha ridotto – come in Italia - le entrate fiscali, aggravando il rapporto debito/Pil. Nella sua analisi del piano di aggiustamento delle finanze pubbliche previsto dagli accordi Troika-governo, Giorgios Argitis ha mostrato la difficoltà di accumulare avanzi primari con questa spirale recessiva, le insufficienti entrate previste dal programma di privatizzazione, il peso del salvataggio delle banche private a spese dei conti pubblici. Tutt’altro che risolta, la crisi greca avrà presto bisogno di nuovi prestiti internazionali o di interventi significativi su debito e tassi d’interesse.
Gli effetti della crisi sull’economia e la socetà del paese sono stati devastanti. Maria Makantonatou ha presentato le misure di austerità dei due Memorandum, con tagli a stipendi e pensioni pubbliche dal 20 al 60%, il turn-over nella pubblica amministrazione limitato a un’assunzione ogni dieci uscite di dipendenti, le privatizzazioni di attività pubbliche, fino alla recente controversa chiusura della tv pubblica Ert, le fusioni e razionalizzazioni imposte a università, istituti sanitari, enti locali. I dati più drammatici arrivano dalla disoccupazione giovanile. Nel febbraio 2013 il dato dei giovani disoccupati under 25 raggiunge il livello shock del 62,5%; la metà dei disoccupati non lavora da più di un anno e un terzo non lavora da più di due. Crescono le forme di impiego privato prive di assicurazione sanitaria dove un lavoratore su tre è straniero. La crisi ha strangolato le piccole e medie imprese, con decine di migliaia di aziende chiuse. I senza tetto sono aumentati del 25% dal 2009 al 2011 mentre i suicidi sono cresciuti in maniera spaventosa, raggiungendo i 3000 casi. Al degrado delle condizioni di vita si accompagna anche il malcontento sociale che si è materializzato con l’entrata in parlamento del movimento neonazista Alba dorata, protagonista di gravi episodi di violenza e razzismo nei confronti degli immigrati, accanto a iniziative di supporto riservate ai cittadini greci, come distribuzione gratuita di generi alimentari. Senza dimenticare che nel dicembre 2012 il governo ha completato un muro nel nord del paese per impedire agli immigrati di entrare nel territorio nazionale.
Giorgios Argitis ha ricordato come la Grecia rappresenti un caso particolare di “capitalismo senza capitale” e Mario Pianta ha presentato i molti elementi che avvicinano l’Italia allo stesso circolo vizioso di debolezza economica, crisi finanziaria, politiche di austerità. Il caso italiano va esaminato intrecciando l’attuale crisi economica con il più ampio contesto di declino produttivo, scomparsa delle industrie nazionali, diseguaglianze crescenti e risposte politiche inadeguate, che hanno riportato gli indicatori economici nazionali a livelli pari a quelli dei primi anni Novanta.
Christoph Hermann dell’Università di Vienna ha presentato l’impatto della crisi sul modello sociale europeo e Özlem Onaram dell’Università di Greenwich ha discusso della crisi turca dopo le proteste di piazza Taksim a Istanbul. Patrick Belser dell’Ilo di Ginevra ha presentato il “Global Wage Report” che documenta gli effetti negativi provocati sull’insieme dell’economia dai tagli dei salari, mentre Florian Moritz della Confederazione dei sindacati tedeschi Dgb ha illustrato le proposte della confederazione per un’alternativa al modello neoliberista di integrazione europea. Solidarietà, integrazione e stabilizzazione sono i tre principi che ispirano il “Piano Marshall” europeo del sindacato, con nuove spese per duecento milioni di euro all’anno destinate a costruire un nuovo sviluppo, amico del lavoro e dell’ambiente. Proposte che danno le dimensioni del cambiamento di rotta ora necessario in Europa, al centro della tavola rotonda conslusiva. Per Hansjörg Herr, docente di Economia dello sviluppo alla Berlin School, sono poche le possibilità che le istituzioni europee e la moneta unica possano sopravvivere immutate alle conseguenze economiche e sociali della crisi. Ma per cambiare l’euro – come ha ricordato Argitis – bisogna prima cambiare la Germania.

martedì 25 giugno 2013

Ristrutturare il debito

Fonte: il manifesto | Autore: Guido Viale
Spese militari, grandi opere, pensioni d’oro, evasione: anche cambiando molte voci della spesa l’Italia non potrà evitare il tracollo e lo spettro della Grecia. Lo dicono le cifre degli 80-90 miliardi di interessi sul debito, più i 45-50 per riportarlo al 60% del Pil
Ci siamo assuefatti a convivere con un meccanismo economico e finanziario che ci conduce inesorabilmente a una progressiva distruzione del tessuto produttivo del paese e delle istituzioni fondanti della democrazia: in questo quadro la perdita di imprese, posti di lavoro, know-how e mercati in corso è irreversibile, come lo è la progressiva abolizione dei poteri degli elettori, del Parlamento e, soprattutto, degli Enti locali: cioè dei Comuni, che sono le istituzioni del nostro ordinamento giuridico più vicine ai cittadini. La Grecia, avanti a noi di un paio di anni in quel percorso di distruzione delle condizioni di esistenza di un’intera popolazione imposto, con una omogeneità impressionante, a tutti i paesi europei del Mediterraneo, ci mostra come alla devastazione provocata dai diktat della finanza e dalla governance europea non ci sia mai fine. Il Governo italiano non sa dove trovare otto miliardi per soddisfare le richieste su Iva e Imu a cui Berlusconi ha subordinato la sua permanenza nella maggioranza. Ma nessuno mette in discussione il fatto che ogni anno lo Stato italiano riesca sempre a trovare – e paghi – 80-90 miliardi di interessi ai detentori del debito pubblico italiano. E nessuno dice che dall’anno prossimo, a quegli 80-90 miliardi se ne dovranno aggiungere ogni anno altri 45-50 per riportare in 20 anni il debito pubblico al 60 per cento del PIL. Nel frattempo il PIL cala e il debito cresce mentre interessi e quota del debito da restituire aumentano; e nessuno sa o dice dove troverà tutto quel denaro che, con il pareggio di bilancio in Costituzione, non può che essere estratto da nuove tasse – ovviamente a carico di chi già le paga – facendo precipitare ancor più in una spirale senza fine occupazione, redditi, bilanci aziendali e spesa pubblica, cioè scuola, sanità, pensioni, ricerca, salvaguardia del territorio e del patrimonio artistico. C’è stata una cessione di sovranità a favore della finanza internazionale sia in campo economico che politico e ciò a cui molti di noi si sono assuefatti è l’idea che a tutto ciò “non c’è alternativa”.
Quell’alternativa va dunque trovata, ma bastano i pochi numeri citati per capire che a queste condizioni nessuna promessa, o anche solo proposta, di “rilancio produttivo” e di lotta alla disoccupazione e alla povertà ha la minima possibilità di funzionare; e che coloro che le fanno, ignorando volutamente questo quadro, mentono; forse anche a se stessi. Certo, all’interno del bilancio statale si potrebbero spostare molte poste: per esempio dalla spesa militare a quella civile; dalle grandi opere inutili e costose al reddito di cittadinanza; dalle 100mila pensioni oltre i 90mila euro (per un totale di 13 miliardi all’anno!) a quelle sotto i 10mila; oppure recuperare fondi dall’evasione: in fin dei conti il debito pubblico italiano (2.040 miliardi) è meno della somma dell’evasione fiscale e degli interessi sul debito degli ultimi 20-25 anni: e in gran parte, probabilmente, i beneficiari sono gli stessi. Il debito pubblico italiano, con gli interessi, è insostenibile e incompatibile con qualsiasi prospettiva che non sia la chiusura e il degrado progressivo di tutte le nostre fonti di sostentamento; lo Stato italiano, come quello greco, di fatto è già fallito. Ridurre in misura sostanziale il debito svendendo il patrimonio pubblico, più che un’illusione è un imbroglio: la svendita della quota pubblica di Eni, Enel, FS, Finmeccanica e Fincantieri oggi frutterebbe poco più di 100 miliardi, meno di quanto continueremmo a pagare ogni anno tra interessi e quota di restituzione; la svendita di tutto il demanio e degli immobili di Stato ed Enti locali a prezzi di mercato frutterebbe ancor meno. Meno che mai potrebbe funzionare, per rimettere in piedi il tessuto economico, “l’uscita dall’euro”, che probabilmente si verificherà comunque come conseguenza dello sfascio di tutto l’edificio dell’UE a cui ci sta portando la sua governance; non prima, però, di aver ridotto a zero il potenziale economico di metà del continente. Né c’è da sperare che dopo le elezioni tedesche la musica cambi… Che una svalutazione anche consistente possa far ripartire esportazioni e domanda interna a un’economia ormai in frantumi è una mera illusione: il quadro internazionale è profondamente cambiato e niente è più come prima. E che il problema principale non sia la sopravvalutazione dell’euro ma il blocco della spesa pubblica lo dimostra il fatto che le imprese italiane rimaste solide hanno esportato e continuano a esportare anche con l’euro.

Grecia, decine di bambini lasciati agli orfanotrofi. Non ci sono soldi per mantenerli

  
Grecia, decine di bambini lasciati agli orfanotrofi. Non ci sono soldi per mantenerli

Pubblicato il 24 giu 2013

di Davide Falcioni -
Che la Grecia sia schiacciata da una terribile crisi economica è noto a tutti. E che gli effetti siano l’aumento di povertà e disoccupazione idem. Quello che pochi sanno è però un altro dato, forse il più allarmante: sempre di più le famiglie non riescono a prendersi cura dei propri figli. Non ci sono soldi per le visite mediche, né per i libri scolastici. Mancano persino quelli per la sussistenza. Allora in qualche caso i figli si lasciano negli orfanotrofi. Il numero non è altissimo – si parla di qualche decina – ma segnala comunque un disagio crescente in un Paese dove il 10% dei minori rischia di vivere in famiglie precipitate nella povertà più buia.
Un caso, ad esempio, è quello del piccolo Nicolas Eleftheriàdu, raccontato dal quotidiano britannico DailyMail. Al giornalista che gli chiedeva come stesse, ha risposto: “Sono duro come una noce”. Nicolas vive in un istituto per minori dal lunedì al venerdì, da quando i genitori – Olga e Alexandros – hanno perso il lavoro e non possono garantire uno stipendio dignitoso e fisso ogni mese, ma sono costretti ad arrangiarsi come possono, tra lavoretti in nero che – quando va bene – fanno incassare 400 euro. “E’ stato incredibilmente doloroso portare nostro figlio in un istituto. Non riuscivo a sopportarlo, ma adesso lui si è abituato e sta bene, anche perché gli educatori sono persone estremamente premurose”.
Il dramma di Nicolas Eleftheriàdu e della sua famiglia si inserisce in un quadro disastroso, con l’economia a picco e in continua caduta libera che ha prodotto un livello di disoccupazione record in Europa. Un adulto su tre è senza lavoro, e anche due giovani su tre. Le retribuzioni nel settore privato sono calate del 30% in quattro anni e nuove tasse dolorosissime sono state imposte dalla Troika. Nel volgere di qualche anno il paese è stato retrocesso da “Economia sviluppata” a “mercato emergente”. Ne settore pubblico è stato dato il via libera a un massiccio piano di licenziamenti che potrebbe coinvolgere 150mila persone. Con questi numeri, va da sé che le difficoltà per le famiglie siano crescenti e che stia prendendo piede la pratica di cedere i figli a degli istituti in grado di prendersene cura.
fanpage.it

La macchia umana sull’Europa

La Repubblica                                 
                                                                                
Mentre le condizioni dei greci si fanno sempre più disperate e aumentano le critiche all'operato della troika, la istituzioni europee continuano a guardare dall'altra parte. La Commissione dovrebbe essere messa di fronte alle sue responsabilità.
Se almeno avessero le loro divinità antiche: forse i Greci capirebbero meglio quel che vivono, l'ingiustizia che subiscono, l'abulica leggerezza di un'Europa che li aiuta umiliandoli da anni, che dice di non volerli espellere e nell'animo già li ha espulsi. Le divinità d'un tempo, si sapeva bene che erano capricciose, illogiche, si innamoravano e disamoravano presto. Su tutte regnava Ananke: l'inalterabile Necessità, ovvero il fato. A Corinto, Ananke condivideva un tempio con Bia, la Violenza. L'Europa ha per gli Ateniesi i tratti di questa Necessità.
Forse capirebbero, i Greci, come mai a Roma s'è riunito venerdì un vertice di ministri dell'Economia e del Lavoro, tra Italia, Spagna, Francia, Germania, per discutere il lavoro fattosi d'un colpo cruciale, e nessuno di essi ha pensato di convocare la più impoverita delle nazioni: 27 per cento di disoccupazione, più del 62 per cento giovani. Sono i tassi più alti d'Europa. Forse avevano qualcosa da dire, i Greci, sui disastri della guerra che le istituzioni comuni continuano a infliggere con inerte incaponimento, e senza frutti, al paese reo di non fare i compiti a casa, come recita il lessico Ue.
La Grecia è la macchia umana che imbratta l'Europa, da quando è partita la cura d'austerità. Ha pagato per tutti noi, ci è servita al tempo stesso da capro espiatorio e da cavia. In una conferenza stampa del 6 giugno, Simon O'Connor, portavoce del commissario economico Olli Rehn, ha ammesso che per gli Europei è stato un "processo di apprendimento". In altri paesi magari si farà diversamente, ma non per questo scema la soddisfazione: "Non è stata cosa da poco, tenere Atene nell'euro"; "Dissentiamo vivamente da chi dice che non è stato fatto abbastanza per la crescita". Poi ha aggiunto piccato: "Sono accuse del tutto infondate".
O'Connor e Rehn reagivano così a un rapporto appena pubblicato dal Fondo Monetario: lo stesso Fmi che con la Banca centrale europea e la Commissione è nella famosa troika che ha concepito l'austerità nei paesi deficitari e dall'alto li sorveglia. L'atto di accusa è pesante, contro strategie e comportamenti dell'Unione durante la crisi. La Grecia "poteva uscirne meglio", se fin dall'inizio il debito ellenico fosse stato ristrutturato, alleggerendone l'onere. Se non si fosse proceduto con la micidiale lentezza delle decisioni prese all'unanimità. Se per tempo si fosse concordata una supervisione unica delle banche. Se crescita e consenso sociale non fossero stati quantità trascurabili. Solo contava evitare il contagio, e salvaguardare i soldi dei creditori. Per questo la Grecia andava punita. Oggi è paria dell'Unione, e tutti ne vanno fieri perché tecnicamente rimane nell'euro pur essendo outcast sotto ogni altro profilo.
Addio alla troika dunque? È improbabile, visto che nessun cittadino può censurare i suoi misfatti, e visto il sussiego con cui è stato accolto il rapporto del Fondo. L'ideale sarebbe di licenziarla fin dal Consiglio europeo del 27-28 giugno, dedicato proprio alla disoccupazione che le tre Moire della troika hanno così spensieratamente dilatato. Il Parlamento europeo non oserà parlare, e quanto alla Bce, le parole di Draghi sono state evasive, perfino un po' compiaciute: "Di buono, nel rapporto FMI, è che la Banca centrale europea non è criticata". Il Fondo stesso è ambivalente, ogni suo dire è costellato di ossimori (di asserzioni acute-stupide, etimologicamente è questo un ossimoro). Il fallimento c'è, ma è chiamato "necessario". La recessione greca è "più vasta d'ogni previsione", ma è "ineludibile". Il fato illogico regna ancora sovrano, solo che a gestirlo oggi sono gli umani.
In realtà c'è poco da compiacersi. L'Unione non ha compreso la natura politica della crisi – la mancata Europa unita, solidale – e quel che resta è un perverso intreccio di moralismi e profitti calcolati. Resta l'incubo del contagio e dell'azzardo morale. Condonare subito il debito, come chiedevano tanti esperti, significava premiare la colpa. E poi all'Europa stava a cuore proteggere i creditori, dice il rapporto del Fondo, più che scongiurare contagi: dilazionare le decisioni "dava tutto il tempo alle banche di ritirar soldi dalle periferie dell'eurozona". La Banca dei regolamenti internazionali cita il caso tedesco: 270 miliardi di euro hanno abbandonato nel 2010-11 cinque paesi critici (Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia, Spagna).

lunedì 17 giugno 2013

Grecia, Spagna e Italia. Sempre più cittadini scoprono l’emigrazione

    
Grecia, Spagna e Italia. Sempre più cittadini scoprono l’emigrazione

Pubblicato il 17 giu 2013 - rifondazione -

di Articolotre.com -
La crisi li schiaccia e, di conseguenza, l’emigrazione aumenta. Non c’è certo da stupirsi: se in Italia si parla tanto di fuga di cervelli e di speranza di lavoro all’estero, in Grecia e in Spagna la situazione non è molto diversa. Probabilmente peggiore e a dare l’allarme è l’Ocse.
Nella sua relazione annuale sull’immigrazione, infatti, l’Organizzazione ha illustrato come nel corso del 2012, i due paesi più vessati dalla crisi abbiano perso migliaia e migliaia di cittadini, i quali hanno deciso di abbandonare la propria vita e cercare fortuna altrove. Se gli ellenici diretti verso la Germania sono aumentati del 70%, infatti, gli spagnoli che hanno fatto le valigie sono aumentati del 50%.
Ciò che allarma maggiormente gli esperti è come, nella stragrande maggioranza, gli emigrati siano individui altamente qualificati e professionisti: una loro assenza dal panorama economico dei paesi natali implica pertanto una complicazione nella ripresa finanziaria. Era però immaginabile: la Spagna e la Grecia, d’altronde, hanno il più alto tasso di disoccupazione in tutta l’Unione Europea, con il 50% dei giovani in cerca di lavoro.
Non che vada molto meglio per l’Italia: secondo recenti stime, gli italiani stanno seguendo l’esempio e, nel 2012, l’emigrazione dei nostri connazionali è aumentata del 30%, con quasi 80.000 cittadini che hanno preferito andarsene. Anche in questo caso, la meta prediletta è la Germania, dove tutto sembra splendere e la crisi non esistere.

giovedì 13 giugno 2013

Grecia: Va in onda il caos


13 giugno 2013
In Kathimerini Atene

Nicolas Vadot
La chiusura della tv pubblica Ert esaspera le tensioni nella coalizione e rischia di portare a nuove elezioni. Ma in una situazione simile sarebbe una prospettiva disastrosa.
L’unità dell’amministrazione che condivide la responsabilità politica in Grecia è messa a dura prova e il paese potrebbe anche andare verso nuove elezioni generali. Se la memoria della classe politica non riesce a risalire a più indietro di un anno fa, è chiaro a tutti che i risultati delle elezioni di maggio e giugno 2012 effettivamente fecero deragliare il programma di aggiustamento fiscale della nazione, gonfiarono il debito nelle casse vuote del paese ed esacerbarono la recessione e la disoccupazione.
A livello politico, l’esito delle due consultazioni elettorali portò all’ascesa del partito di sinistra Syriza come principale forza di opposizione, all’affermazione di Alba Dorata come partito più forte in parlamento, alla scomparsa pressoché totale del Pasok dalla scena politica e a tensioni sempre più forti all’interno di Nuova Democrazia.
Ci sono poche simpatie per il Pasok e per il suo attuale leader Evangelos Venizelos. Il leader di Sinistra democratica Fotis Kouvelis può essere irritante quanto il leader di una società letteraria può essere noioso. Essendo stata esclusa dal potere esecutivo del paese – a eccezione di qualche breve pausa – la Sinistra ha una comprensione alquanto teorica della politica.
Eppure proprio questi sono gli unici politici sui quali il primo ministro Antonis Samaras può contare al momento. E ha l’obbligo di non insultarne la dignità, di non metterli di fronte a dilemmi difficili, a prescindere dal fatto che la posta in gioco sia seria o insignificante o che essi si permettano di dissentire su taluni problemi.
La crisi ha portato alla luce tutto il primitivismo della leadership politica greca. I politici dell’Europa del nord tendono a lavorare per la stabilità del sistema e al suo adattamento alle esigenze di un ambiente in costante evoluzione. Dal punto di vista del leader politico greco è tutta una questione di affermazione e di sopravvivenza. È allergico agli altri. È il provinciale sul palcoscenico dell’Europa.
Nuova Democrazia potrebbe benissimo vincere le prossime elezioni, ma né il Pasok né Sinistra democratica si alleerebbero ancora con Samaras, lasciando così il paese in una paralisi. Anche se si formasse un governo, il primo ministro cambierebbe, quindi il rischio di una rottura in sesnso conservatore sarebbe evidente. Ma anche se Nuova Democrazia dovesse raggiungere la maggioranza in Parlamento, in virtù della legge elettorale greca, sarebbe impossibile governare in quanto dovrebbe fare fronte a tutti i partiti di opposizione, tenuto conto dell’assenza di un solido apparato statale e della corruzione generalizzata.
Nel bene e nel male, il sistema bipartitico del paese non esiste più. Votare per Alba Dorata è un gesto politico ed esprime la volontà di distruggere il sistema politico. Il Valhalla in fiamme. Il crepuscolo wagneriano degli dei, non su un palcoscenico, ma nella società.
Resta solo da capire se dovremmo piangere la fine di questi nani politici nel momento in cui il paese corre il rischio di andare a fuoco.
Traduzione di Anna Bissanti             

GRECIA: Chiusa dal governo la Tv pubblica

Un colpo alla democrazia

25155337 Grecia Governo Chiude Tv Di Stato Finito Il Paradiso Degli Sprechi 0
E sulla Grecia si chiude il sipario, dietro le quinte lo spettacolo continuerà ad andare in scena ma non ci sarà nessuno a raccontarlo. La chiusura della televisione pubblica nazionale, Ert (Elliniki Radiofonia ke Tileorasi) con il conseguente licenziamento di tutti i suoi 2.780 dipendenti, è l’ultimo atto di una politica di distruzione dello Stato che i governi greci alternatisi durante la crisi, e in particolare l’attuale esecutivo guidato da Samaras, stanno portando avanti pur di rispettare gli impegni presi con le organizzazioni finanziarie internazionali, Bce e Fmi in testa. Poco conta che lo stesso Fmi abbia ammesso l’errore: carta canta. Simos Kedikoglou, portavoce del governo, ha detto che la chiusura di Ert rientra nell’ambito del programma delle privatizzazioni delle aziende a partecipazione statale, riforma considerata indispensabile dalla troika (Fmi, Ue e Bce) per continuare a garantire gli aiuti necessari al risanamento dell’economia greca. ”Le trasmissioni saranno interrotte a partire da questa notte – ha detto ieri il portavoce -. In seguito sarà creato un nuovo e più moderno ente radiotelevisivo che non sarà più controllato dallo Stato e funzionerà con meno personale”.
Il nuovo ente si chiamerà Nerit SA ovvero “Nuova Radio, Televisione e Internet ellenica”. Lo riferisce l’edizione online del quotidiano Kathimerini precisando che il nome della nuova azienda è indicato nel testo del disegno di legge presentato oggi al segretariato generale del governo per le telecomunicazioni. Nel disegno di legge si precisa inoltre che la Nerit SA sarà finanziata tramite un canone che gli abbonati continueranno a pagare sulla bolletta della fornitura elettrica ma non ne è precisato l’ammontare. Il nuovo ente sarà anch’esso compartecipato dallo Stato. A che serve quindi chiudere un’ente per riaprirne uno pressoché identico forse già a fine agosto?
Secondo Dimitri Deliolanes, storico corrispondente della Ert in Italia, si tratta di un modo di “mettere a tacere” una televisione che rimaneva uno spazio plurale e critico: “la televisione pubblica, nonostante la sua ovvia moderazione, il rispetto delle istituzioni, era un luogo di pluralismo, restava comunque quella che dava le notizie seguendo un codice etico, verificando le informazioni, che difficilmente si faceva manipolare. Per questo dava fastidio e andava zittita. Ora tutto quello che resterà è l’informazione dei canali privati, che non rispettano alcun codice”. Syriza, il partito di sinistra più importante del paese, ha presentato un disegno di legge che prevede il blocco della chiusura e il Pasok, partito socialista, ha chiesto al governo di riferire in parlamento. La decisione è stata così repentina da prendere in contropiede tutti. Compresi i giornalisti che da oggi sono senza lavoro.
“Quello che preoccupa è che si tratta di un vulnus alla democrazia” dice ancora Deliolanes. Molte persone sono scese in strada a manifestare contro la chiusura. D’altro canto, se la nuova Nerit SA sarà una versione moderna e meno lottizzata della precedente, è possibile che “la Grecia abbia fatto un buon colpo” come ha scritto Jean Quatremer, giornalista francese di Liberation, esperto di affari europei: “Ert ha bisogno di una ripulita: organismo anacronistico, dipendente dal potere, dove i migliori non sono tali”. Basta che la nuova Nerit SA non subisca analogo destino della precedente Ert in un paese dove la classe dirigente è affamata di consenso. E se alla vecchia televisione ipertrofica se ne dovesse sostituire una giovane e snella certo ne gioverebbe alle casse pubbliche.
Fallisce la privatizzazione dell’energia greca, la Commissione europa si mette di mezzo all’acquisto da parte di Gazprom
La notizia giunge dopo quella, altrettanto grave, della mancata vendita di Depa, gioiello dell’energia pubblico che Atene deve vendere per ottemperare agli accordi presi con la trojka (per la quale “privatizzare” è parola d’ordine). La Gazprom, il colosso russo dell’energia, ha deciso ieri all’ultimo momento e inaspettatamente di ritirarsi dalla gara per l’acquisto della Depa, la compagnia greca per il gas, una decisione definita oggi da gran parte dei giornali greci come un ”gioco perfido” dell’Unione Europea e degli Stati Uniti alle spalle della Grecia. Si tratta, scrive il quotidiano economico di Atene, Imerissia, di un ”siluro” della Commissione europea alla vendita della Depa. L’Unione Europea, scrive il giornale, ha avvertito la compagnia russa che avrebbe bloccato l’accordo con il governo greco. ”Fonti importanti nella capitale russa – ha detto ai giornalisti il sottosegretario all’Ambiente Makis Papageorgiou – ci avevano informato che durante i contatti con Bruxelles si era capito che l’Unione europea avrebbe posto condizioni ancora più restrittive per l’acquisto della Depa”.
Andandosene da Atene l’ex presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha detto che i problemi della Grecia sono “tragici e drammatici” e che “possono essere risolti solo in ambito europeo” ma l’Unione Europea deve essere soggetta a “meno nazionalismo e populismo: quando la Grecia ha subito un attacco indecente e velenoso, io ero lì’ a difenderla” ha concluso Juncker. Chissà se ad Atene quella la chiamano “difesa”. Intanto resta forte l’impressione che, al di là delle belle parole, la Grecia sia stata sacrificata per salvare il resto del continente da una catastrofe che ad oggi è tutt’altro che scampata.

venerdì 7 giugno 2013

La Grecia ha pagato per l’euro


7 giugno 2013
To Vima Atene

L’Fmi ha ammesso che i sacrifici di Atene sono serviti soltanto a salvaguardare i creditori e il resto dell’eurozona. Ora i greci devono ribellarsi a questa enorme ingiustizia.
Allora è così: il piano di aiuti era falsato fin dall'inizio. Un piano che ha portato a conseguenze devastanti. Un piano che avrebbe dovuto "salvare" la Grecia, ma che in realtà è servito a salvare l'euro attraverso la condanna morte della Grecia.
Chi lo dice? Uno dei tre membri della troika (Bce, Ue, Fmi), il Fondo monetario internazionale. E la sua critica interessa tanto i suoi partner quanto se stesso e il governo greco. Tutti insieme sono andati verso una catastrofe che non aveva altro scopo se non quello di far guadagnare tempo agli altri paesi della zona euro.
Il documento dell'Fmi pubblicato il 5 giugno è uno vero e proprio schiaffo non solo alla politica di "salvataggio", ma soprattutto all'"Europa" – cioè alla Germania – e anche al governo greco dell'epoca guidato dal [socialista George Papandreou], che aveva firmato il primo memorandum. Non solo [i creditori] distruggono, ma sembrano anche voler utilizzare la crisi greca per proteggere e riorganizzare la zona euro a scapito della Grecia.
Il documento ha provocato grande irritazione. L'Fmi confessa il suo crimine ma non ammette le proprie responsabilità; rivela nel modo più ufficiale possibile il motivo senza spiegare come questa tragedia che interessa tutto il paese – e dovuta non al debito, ma al piano di salvataggio – possa essere affrontata una volta riconosciuti gli errori. Una posizione di un cinismo esasperante.
Ovviamente questo mette in una situazione molto difficile quella classe politica greca che sosteneva il piano di aiuti e lo presentava come l'unica opzione per il paese. Un piano che ha obbligato la Grecia a piegarsi a questo diktat mortale con l'alibi del suo salvataggio. Un salvataggio che, come ha riconosciuto l'Fmi, si è rivelato catastrofico.
La classe politica non si è battuta per gli interessi del paese, ma ha preferito la strada più facile e si è preoccupata solo di restare al potere. I politici si sono dichiarati pronti a rinunciare alla sovranità del paese, cedendo a uno stupido ricatto.
Se il governo greco avesse un minimo di rispetto sia per la parola "greco" che per la parola "governo", non dovrebbe chiudere gli occhi sulle ammissioni dell'Fmi. Al contrario, questa volta dovrebbe rispondere alla domanda: è possibile che uno dei tre membri del direttorio che esercita il controllo economico sul paese continui a seguire questa strategia senza che [il governo greco] reagisca?
Forse è proprio per questo che il rapporto è stato realizzato e pubblicato: per dare ad Atene la possibilità di rimettere in discussione il metodo adottato finora. In ogni caso l'idea che improvvisamente l'Fmi si sia "reso conto del suo errore" appare piuttosto ingenua.
La Grecia dovrebbe fare qualcosa. Che cosa aspetta? Se non lo fa adesso, quando lo farà? Ora dovranno rivedere la loro posizione tutti coloro che dicevano che questa soluzione era un "salvataggio", che la Grecia era la prima responsabile delle sue sventure e che i greci dovevano sopportare tutto.
I creditori hanno fatto autocritica. Adesso è il momento che anche i loro sostenitori facciano lo stesso. E vediamo infine tutti insieme come si potrà sfruttare tutto ciò per mettere fine a quella catastrofe che chiamiamo salvataggio. Anche se ormai è troppo tardi, perché la Grecia ha perso tutte le sue armi. Per colpa sua.
Traduzione di Andrea De Ritis

mercoledì 22 maggio 2013

Un’alleanza europea per fermare l’austerità. Si parte ad Atene

    
Un’alleanza europea per fermare l’austerità. Si parte ad Atene

Pubblicato in

Raffaella Bolini -
«Si definisce demos (popolo), coloro che si oppongono al tiranno». Tucidide (460-394 a.C.). Si chiude così la lettera aperta inviata da Save Greek Water ai movimenti in Francia. L’appello denuncia l’invito del presidente Hollande alle società francesi perché investano nella gestione delle risorse idriche greche, come segno di fiducia e sostegno alla ripresa – proposta salutata con favore dal primo ministro greco Antonis Samaras. Intanto, lo sceicco del Qatar aspetta il completamento dei passaggi burocratici che lo renderanno proprietario di sei isole greche del mar Jonio. Se le è comperate a marzo, con un assegno di 8,5 milioni di euro. Si tratta del più grande investimento privato nel paese dall’inizio della crisi. Wall Street Italia commenta: «Nella Grecia in crisi umanitaria gli affari non vanno in vacanza».
Cosa crescerà, in paesi che l’austerità desertifica di democrazia e diritti? Cresceranno quelli che approfitteranno della svendita dello Stato per comperarsi i paesi a fette. Cresceranno coloro che sfrutteranno la precarizzazione totale del lavoro e della vita per essere più competitivi. Crescerà la devastazione di beni comuni, welfare e territorio. Solamente i ricchi si spartiranno l’eventuale crescita di Pil. Ci hanno detto che i paesi con un debito pubblico oltre il 90% non possono crescere, e su questo dogma l’Ue ha fondato l’austerità. Sono stati smentiti da uno studente di 28 anni: gli inventori di questa teoria avevano sbagliato i conti. Intanto il nostro parlamento ha approvato il Fiscal Compact. Ci siamo auto-condannati alla recessione perpetua in omaggio a un’addizione fatta male. Ci hanno confuso le idee, per cercare consensi: ridurre gli sprechi è una cosa, tagliare i servizi pubblici un’altra. A che serve uno Stato democratico se non garantisce scuola, trasporti, pensioni, salute ai lavoratori e ai cittadini?
Il debito non si è abbassato. Con il governo Monti è arrivato al 130%, nel 2014 salirà ancora. La disoccupazione imperversa, il numero dei poveri anche. Ma il ministro Saccomanni ancora definisce invalicabili i dogmi sul deficit e sul pareggio di bilancio. Da marzo ci siamo anche obbligati a far approvare preventivamente le nostre leggi finanziarie alla Commissione Europea. Nel frattempo, gli Usa stanno uscendo dalla crisi con una politica che è il contrario del rigorismo e dell’austerità europea. La disoccupazione è scesa, e la crescita è tornata al 2,5%. Ecco una frase del discorso di Obama all’Unione: «Il nostro primo obiettivo è rilanciare la classe media, con un vigoroso piano di investimenti pubblici e l’aumento del salario minimo». E questo invece è papa Francesco, il 18 maggio, in contemporanea e in sintonia con la manifestazione della Fiom: «La nostra crisi di oggi è che non interessa se la gente muore di fame, se non ha niente. Ci si preoccupa delle banche o della finanza». In Italia neppure questo pare bastare. E allora bisogna che coloro che posseggono gli elementi concreti di una società ed economia alternativa li compongano in un progetto politico credibile di cambiamento. Insieme bisogna costruire una nuova unità europea, popolare, ancorata nel sociale e fondata nella solidarietà. I nostri avversari è dall’Europa che guidano il gioco, e là dobbiamo saper combattere. Finora non ci siamo riusciti. Non abbastanza. Per questo invitiamo tutti/e a venire ad Atene all’Altersummit. Il 7 e 8 giugno nasce una inedita alleanza europea fra sindacati, associazioni e movimenti. Si fonda su un Manifesto di proposte realizzabili, per cambiare il corso dell’Europa. E salvarla.
Adesioni al Manifesto e tutte le informazioni per venire ad Atene: www. altersummit.eu
Il Manifesto – 22.05.13

domenica 3 marzo 2013

Crisi umanitaria in tempo di pace

    
La Grecia rischia la crisi umanitaria in tempo di pace

La Grecia rischia la crisi umanitaria in tempo di pace

di Luigi Pandolfi -
Non sentivo C. da qualche anno. Donna greca di grande temperamento e intelligenza, ebbi la fortuna di incontrala nel 2006, perché coordinatrice di un progetto europeo nel quale era coinvolto l’ente da me a quel tempo guidato. L’ho ritrovata su facebook, grazie alla segnalazione di un amico comune, ma con uno pseudonimo. Mi ha spiegato poi che tenere il suo vero nome, postando articoli, documenti, materiali di denuncia sulla situazione del suo Paese era diventato pericoloso: poteva rischiare di perdere il posto di lavoro, di cui, a questo punto, per ovvie ragioni, non rivelerò la natura. Che dire? Anche questo è Grecia, oggi. Come i casi di pestaggio e di tortura a opera di agenti delle forze dell’ordine, che vedrebbero come vittime predestinate, da quello che viene documentato sulla rete, attivisti politici, ladruncoli per necessità, minorenni.
È stato d’eccezione, in Grecia, diciamolo chiaramente. Forse anche per questo la protezione dei palazzi del potere sarebbe stata affidata a forze di sicurezza private, di provenienza statunitense. Le stesse forze che hanno molto fatto parlare di sé in Iraq? Così si vocifera. Se così fosse, sarebbe il segno che la situazione laggiù è diventata davvero esplosiva. Mi sono occupato più volte negli ultimi mesi di crisi in generale e della drammatica situazione che vive il popolo greco, ma non ero edotto di tutto, di tutto quello che realmente sta accadendo a due passi da noi, nel cuore dell’Europa. Grazie a C., alla documentazione e alle istantanee di vita quotidiana che mi ha fornito, ho approfondito la conoscenza: nel silenzio di gran parte dei media del nostro Paese e, immagino, di altri Paesi europei, in Grecia si sta consumando una vera e propria tragedia sociale. Parlare di “crisi” ormai è riduttivo.
Quella greca, infatti, non è più crisi finanziaria, del debito, ma crisi umanitaria, di cui è quanto mai necessario parlare: tutti devono sapere cos’hanno comportato la sublimazione della logica del rigore e la primazia dell’economia di carta sulla vita sociale ed economica. Una giornalista del Guardian, uno dei pochi giornali europei ad occuparsi seriamente della situazione ellenica, ha scritto recentemente: «Nelle società europee si presume che le crisi umanitarie possano avvenire solo in seguito a calamità naturali, epidemie, guerre o conflitti sociali. Perciò pensiamo che una simile crisi non possa verificarsi in un Paese europeo e men che meno in uno che fa parte dell’ Unione».
Dal punto di vista finanziario la cura da cavallo imposta dalla Troika, fatta di tagli alla spesa sociale e di tassazione subdola ed esasperata, ha avuto i suoi effetti “positivi”, c’è chi parla addirittura di “successo”: il deficit di bilancio, ad esempio, dal 15,6 % del Pil del 2009 sarebbe sceso al 7% nel 2012, con la previsione, per lo stesso esercizio, anche di un avanzo primario (Saldo positivo tra entrate ed uscite dello Stato al netto degli interessi sul debito). Bene anche la borsa, che nel 2012 ha registrato la performance migliore nel quadro dei mercati finanziari dell’Europa occidentale, con un salto in avanti del 33%.
Il contraltare di queste politiche di “risanamento” si chiama però “grande depressione”, una crisi economica di proporzioni epocali. Diamo un’occhiata a qualche dato aggregato. Dal 2009 il Pil è sceso da 211 a 171 miliardi di Euro, con un calo complessivo del 19%. In termini numerici il dato è peggiore di quello registrato in Argentina dopo il default del 2001 e più o meno equivalente a quello degli Stati Uniti e della Germania durante il periodo della Grande Depressione, negli anni Trenta. I consumi, rispetto al 2005, sono scesi del 25% (15% per prodotti alimentari), mentre la disoccupazione ha toccato la cifra record del 27% (Nell’area Euro è dell’11%), con quella giovanile che ha superato il 60%. Le piccole e medie imprese che hanno chiuso nel 2011 sono state più di 60 mila e si prevede che lo stesso saldo si avrà per il 2012. Soltanto negli ultimi 12 mesi hanno perso il lavoro più di 320 mila persone (Ricordiamoci che la popolazione greca è di soli 11 milioni di abitanti).
Sul versante dei salari e degli stipendi la “cura” ha determinato riduzioni nell’ordine del 30-40% (oggi lo stipendio medio è all’incirca di 500 Euro al mese), mentre le pensioni sono state tagliate di oltre il 20%. E potremmo continuare.
La stessa Unione europea non ha dubbi sul fatto che la Grecia sia già un paese in condizioni di povertà molto grave. Per essere più precisi, la Ue aveva già parlato nel 2010, a proposito di questo Paese, di condizioni di “deprivazione materiale estrema” per più dell’11% della popolazione (per l’Italia il dato era del 6,9%) . Un dato che oggi fa il paio con quello che fissa intorno al 40% della popolazione, circa 4 milioni di persone, il numero di coloro che hanno già varcato la soglia della povertà. Cosa si intende per povertà? È la stessa Ue che ce lo spiega: dieta alimentare scarsa, priva di cibi ad alto valore nutriente, come la carne e il pesce, assenza o riduzione ai minimi termini di riscaldamento domestico e di elettricità, impossibilità di far fronte alle spese di emergenza, comprese quelle per la salute, di pagare l’affitto e le bollette per i servizi essenziali. In questo scenario desolante va inserito poi il dramma dei senzatetto, delle persone senza fissa dimora, che secondo le ultime stime sarebbero ormai più di 40 mila, lo 0,4% della popolazione totale.
È la fame, per tantissimi cittadini greci; inutile girarci intorno. Lo testimoniano: i frequenti svenimenti per malnutrizione di bambini a scuola, la dimensione che ha assunto ormai la distribuzione di pasti caldi da parte delle Ong, il numero sempre crescente di mense per i poveri nei principali centri del Paese. Solo la Chiesa ortodossa dichiara di distribuire ormai più di 250 mila razioni giornaliere. In questo clima può succedere anche di andare in un supermercato e di trovarsi attaccato a uno scaffale, accanto ai cibi esposti, il cartello con la scritta “scaduto”.
Un indicatore speciale per la classificazione di una situazione di crisi come “crisi umanitaria” è senz’altro quello che si riferisce all’accessibilità alle cure sanitarie di base, alle visite mediche, ai ricoveri ospedalieri ed ai farmaci. Su questo versante la Grecia è regredita di oltre trent’anni, forse anche più. La percentuale di coloro che si rivolgono alle strutture gestite dalle Ong ha raggiunto nei grossi centri la percentuale record del 60%. Un tempo a questo tipo di strutture si rivolgevano soltanto gli immigrati ed un’infima percentuale di greci.
Intanto si fa sempre più evidente il legame tra la crisi economica e la salute di alcuni gruppi sociali, col ritorno, su scala più ampia, di patologie tipiche delle società sottosviluppate: malattie sessualmente trasmissibili come la sifilide, condilomi e infezioni della pelle, epatiti e HIV. Poi ci sono, come abbiamo visto, gli effetti diretti della malnutrizione, particolarmente evidenti nei bambini. Nikitas Kanakis, presidente di Médecins du Monde Grecia, ha recentemente dichiarato che su 40 bambini trattati dal pediatra della struttura di Atene nel corso delle ultime due settimane, 23 presentavano segni evidenti di malnutrizione.
Ecco poi che aumenta la prostituzione, anche negli ambienti sociali che fino a qualche anno addietro non soffrivano di particolari problemi economici. Cresce il numero di coloro che non si fanno scrupolo di girare una parte sul set di un film porno, per mille euro o poco più. Tanti si arrendono, non ce la fanno a sopportare il peso del disagio. La Grecia, fino a qualche anno fa era il Paese con la più bassa percentuale di suicidi del mondo occidentale. Negli ultimi due anni si è avuto un incremento del 40%, 3 persone ogni 2 giorni.
Certo, c’è chi resiste. Alcuni contadini, fuori dal Ministero dell’Agricoltura, ad Atene, improvvasino una distribuzione gratuita di frutta e verdura, contravvenendo alla follia di mandare al macero le produzioni. E così pensionati, cittadini comuni, disoccupati, centinaia di persone, forse migliaia, s’accalcano per mendicare un sacchetto di arance. In mezzo a tutto ciò può succedere pure che in una fabbrica abbandonata dal datore di lavoro i lavoratori decidano di assumerne loro il controllo. È accaduto alla Vio.Me., industria mineraria di Salonicco, dove gli operai, con un comunicato pubblicato l’8 febbraio scorso, hanno annunciato l’avvio dell’autogestione della produzione. Quello della Vio.Me. non è comunque l’unico caso di autogestione nella Grecia di questi giorni. Nella Sanità, nella distribuzione, nelle campagne, sono ormai tante le esperienze di questo tipo, che mettono in luce il lato combattivo, reattivo, del popolo greco.
Ma quello che il governo greco sta facendo, su ordine della Troika, è contro la Costituzione del Paese e la stessa legislazione europea: a seguito di un’interrogazione di un europarlamentare di Syriza, Nikos Houndìs, del 14 febbraio scorso, la stessa Commissione europea ha dovuto riconoscerlo, dichiarando che il governo ellenico “deve garantire la conformità delle leggi approvate alla Costituzione greca”. D’altronde, sull’incostituzionalità dei provvedimenti adottati dal governo Samaras si è pronunciato ripetutamente il Tribunale Superiore (la Corte costituzionale greca). Molte leggi sono state riconosciute in violazione dei principi e dei doveri costituzionali in tema di rispetto e protezione della persona, di equità e di proporzionalità della tassazione, di tutela e valorizzazione del lavoro. E così la crisi greca non è più solo crisi sociale con gravi problemi umanitari, ma anche crisi della democrazia.
da Linkiesta.it

mercoledì 27 febbraio 2013

Lo scenario greco e la lezione incompresa di Atene

Fonte: il manifesto | Autore: Angelo Mastrandrea
Aveva espresso tutto il suo timore Mario Monti nel comizio di chiusura della campagna elettorale, tre giorni fa a Firenze: «Temo un risultato alla greca». L'aveva detto anche Pierluigi Bersani, accusando Beppe Grillo: «Porterà il Paese in Grecia, non tra sei mesi ma domani mattina». Quel giorno è arrivato e le urne ci consegnano un risultato alla greca, appunto: nessuna maggioranza certa, ingovernabilità, rischio di turbolenze finanziarie e prospettiva di un ritorno al voto in tempi brevi. Anche perché, come in Grecia un anno fa, qualsiasi ipotesi di grande coalizione non avrebbe altro risultato che quello di far schizzare in alto i consensi per l'unica forza capace di coagulare il malcontento sociale: in Italia il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, in Grecia la sinistra radicale di Syriza.
Ma vediamo quante e quali analogie potrebbero esserci con quanto accaduto ad Atene. I greci andarono al voto il 6 maggio del 2012 con un fortissimo rischio che i due partiti maggiori, il centrodestra di Nuova Democrazia - minato da numerosi scandali di corruzione, come il Pdl italiano - e i socialisti del Pasok non riuscissero a ottenere una maggioranza sufficiente a formare un governo di unità nazionale. Andò esattamente così: il centrodestra si fermò a un misero 18,9% dei consensi, il Pasok crollò al 13,2%. Viceversa, si registrò l'exploit di Syriza, la coalizione di sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras, che grazie al fatto di aver cavalcato le proteste di piazza riuscì a ottenere il 17% dei voti. Sul versante opposto, mise paura l'avanzata dei neonazisti di Alba Dorata, al 7%.
Il giorno dopo, risultò impossibile formare un governo, anche perché Syriza rifiutò qualsiasi accordo che avrebbe fatto precipitare i consensi ottenuti. Si tornò così alle urne il 17 giugno, sotto la spada di Damocle della mancata concessione degli aiuti europei e del rischio concreto di non riuscire a pagare stipendi e pensioni nel volgere di un paio di mesi. Il leader di Nuova Democrazia Antonis Samaras promise di rinegoziare le condizioni-capestro imposte dalla Ue e la pressione internazionale fu pesantissima. Risultato: il centrodestra balzò dal 18,9% al 30%. Del ricatto europeo non beneficiò il Pasok, che rimase incollato al 12,5% che bastò per formare un governo di coalizione. Ma la vera sorpresa fu ancora una volta Syriza, che balzò al 27%. Morale della favola: non aver studiato la lezione greca ci ha condotti dritti a uno scenario greco.

domenica 24 febbraio 2013

Il regista di Debtocracy: "La Grecia sta diventando un paese del terzo mondo"


 
Il regista di Debtocracy: "La Grecia sta diventando un paese del terzo mondo"
"Quando hai un enorme debito come quello che la Grecia e gli altri paesi delle "periferie" europee si trovano ad affrontare, si cominciano a perdere i livelli di democrazia e temo che questo è cio che sta accadadendo".


La Grecia si sta sforzando di restituire la quantità schiacciante di prestiti ricevuti per il salvataggio, dice il giornalista e documentarista Chatzistefanou Aris. Oggi, però, questo paese si trova ad affrontare un problema ben più grande. "Quando hai un enorme debito come quello che la Grecia e gli altri paesi delle "periferie" europee si trovano ad affrontare, si cominciano a perdere i livelli di democrazia e temo che questo è cio che sta accadadendo", ha detto a RT il regista.

Chatzistefanou, intervistato da RT sulle proteste di mercoledì, fa un quadro più ampio per quanto riguarda la Grecia e le disgrazie economiche che sono in atto.

RT: I lavoratori in Grecia sono saldi nel tentativo di forzare il governo a eliminare le politiche di salvataggio in atto, ma c'è un altro modo per aiutare l'economia?

Aris Chatzistefanou: Molti economisti hanno detto, negli ultimi due o tre anni, che queste misure di austerità creeranno in Grecia non solo un genocidio sociale, ma distruggeranno l'infrastruttura dell'economia. E ora si parla di un debito che è ancora in aumento dopo tre pacchetti di austertà. E se tutto va come previsto ,abbiamo un debito del 175 per cento del PIL. Non dimenticate che prima dell'intervento della troika avevamo un debito del 115 per cento. Quindi sono esattamente queste misure di austerità che creano il problema. Ci sono molti piani alternativi, ad esempio, di default, perché tutti sanno che in questo momento è impossibile ripagare un debito enorme come quello greco - anche se se ne ammettesse la legalità. Molte persone ritengono però che non sia legale. Molti altri economisti hanno parlato di una possibile soluzione con l'uscita dalla zona euro. Anche Paul Krugman ritiene che la zona euro sia come una camicia di forza per la Grecia, ed è questa che ha creato l'enorme debito.

RT: Stiamo parlando di grandi numeri. Vediamo le immagini dei manifestanti. Comunque le proteste in Grecia sono diventate spesso violente nel corso di questi anni di recessione. Come vanno le cose sotto questo aspetto ad Atene ?

AC: Oggi abbiamo avuto una delle più grandi manifestazioni degli ultimi cinque anni, secondo gli organizzatori ha superato le 100.000 persone. Ad Atene è stata soprattutto una manifestazione pacifica, ma sto ricevendo ora qualche messaggio di piccoli scontri in alcune parti della città, con la polizia che usa i gas lacrimogeni e alcuni manifestanti che hanno reagito lanciando pietre e bottiglie incendiarie alla polizia. Ma credo, comunque, che si sia trattato di una manifestazione fondamentalmente pacifica e soprattutto di una delle più grandi degli ultimi cinque anni o giù di lì. Sto dicendo che sicuramente stasera vedremo solo la notizia degli scontri con la polizia, che non è il messaggio principale di quello che è successo oggi ad Atene e in altre città della Grecia.

RT: In senso più ampio, con ciò che hai raccontato in "debtocracy" rispetto alla situazione greca intendi dire che la crisi ha permesso, in qualche modo, l'instaurazione di un regime?

AC: Con il titolo del nostro documentario, Debtocracy, abbiamo voluto spiegare che quando si deve affrontare un enorme debito come quello della Grecia e degli altri paesi della periferia europea, si cominciano a perdere i livelli di democrazia e credo che questo sia successo già successo. Non dimenticate che solo un anno fa abbiamo avuto un primo ministro che nessuno aveva votato e ora, dopo le elezioni, abbiamo un governo che ha promesso di rinegoziare il debito, ma non lo ha mai fatto.Si limitano a investire in polizia antisommossa e in leggi e misure incostituzionali, che impongono maggiore austerità al paese. Ho paura che stiamo diventando un paese del terzo mondo, non solo per quanto riguarda l'economia , ma anche per quanto riguarda la democrazia.

* intervista realizzata da RT - tradotto da Atene Calling

sabato 16 febbraio 2013

La Grecia del terzo "memorandum"

Fonte: il manifesto| Autore: Argiris Panagopoulos
Il mercato autogestito batte la crisi
Distribuzione di generi alimentari nei quartieri, allacci illegali alla rete elettrica, assedio alle agenzie del fisco. La Grecia risponde per le rime alle politiche della troika
ATENE. La Grecia si prepara a un nuovo sciopero generale per il 20 febbraio, mentre i conti del governo di Samaras e della troika non tornano per l'ennesima volta. Un nuovo giro di tagli sembra oggi improponibile per la disastrata economia e la società greca, visto che il governo tripartitico è stato costretto a utilizzare la precettazione per fermare gli scioperi nei mezzi pubblici di Atene e nei porti greci, ma non è riuscito a fermare la protesta e i trentacinque blocchi degli agricoltori che hanno cominciato da lunedì «le camminate di un'ora», per bloccare pacificamente il traffico, e minacciano di utilizzare migliaia di trattori per attuare dei blocchi che taglierebbero la penisola greca in più parti, se il governo continuerà sulla linea dura.

 L'applicazione del «Terzo Memorandum» è il colpo di grazia per l'economia greca. I rappresentanti della troika si ritroveranno il 25 febbraio ad Atene per discutere un altro abbaglio delle loro politiche: le entrate per gennaio evidenziano un nuovo buco di 305 milioni di euro rispetto agli obiettivi prefissati e una flessione del 16% dal gennaio del 2011, a causa del crollo degli introiti dell'Iva del 17% rispetto agli obbiettivi fissati dai cervelloni della troika, che pare abbiano sottovalutato ancora una volta le conseguenze nefaste delle loro politiche sul piano dei consumi e dell'evasione fiscale. Il disastro delle finanze ha fatto evaporare ben presto l'aria trionfante di Samaras, che sostiene di aver strappato fondi per 18,4 miliardi all'Ue per il 2014-2020, nascondendo però che la Ue può trattenere fino al 1% del Pib sull'ammontare dei fondi se la Grecia non centrerà gli obbiettivi indicati. La recessione sembra sfuggita a ogni controllo, facendo saltare le previsioni delle autorità greche e internazionali.
Il governo di Samaras ingaggia una nuova gara contro il tempo per garantire il pagamento della prossima tranche di debiti, mentre la troika pretende che il parlamento greco voti nei prossimi giorni il nuovo programma aggiornato di lacrime e sangue, che è stato presentato venerdì in parlamento. Intanto il premier viene travolto dal primo grande scandalo che riguarda direttamente lui, il suo partito e il suo governo. Dopo la decisione del parlamento greco di indagare sulle relazioni dell'ex ministro delle Finanze, il socialista Papakonstantinou, per la manipolazione della «Lista Lagarde», meglio conosciuta in Italia come «Lista Falciani». Nuovi sospetti ricadono oggi sullo stesso Samaras, visto che il suo stretto consigliere Papaspyrou collaborava con il fund Capital Management Advisors, che dietro un possibile prestanome ha trasferito all'estero 550 milioni di euro per finire nella famigerata lista.
Violenze ritoccate con photoshop
Il continuo aumento della disoccupazione, il nuovo taglio delle pensioni, la precettazione dei lavoratori della metropolitana e dei tram di Atene, dei portuali e della gente di mare, il nuovo tsunami della pressione fiscale, la repressione contro i centri sociali occupati, i visi sfigurati e ritoccati con photoshop dei giovanissimi anarchici dei Nuclei del Fuoco, selvaggiamente picchiati dalla polizia per una doppia rapina per finanziare azioni terroriste, hanno aiutato Syriza a sorpassare di poco la Nuova Democrazia. Secondo il sondaggio della Public Issue per conto del canale televisivo Skay e del giornale Kathimerini Syriza prende il 29%, mentre Nd arretra al 28,5%. Alba Dorata ha consolidato ormai in tutti i sondaggi degli ultimi mesi la sua posizione di terzo partito con l'11,5%, seguono i Greci Indipendenti con l'8%, i socialisti del Pasok con il 7%, la Sinistra Democratica con il 6% e i comunisti del Kke con il 5,5%.
Il consolidamento di Alba Dorata rappresenta un fatto preoccupante, perché mostra anche l'insensibilità dei suoi presunti elettori di fronte agli ultimi assassini di immigrati, gli accoltellamenti di stranieri e di greci, il clima di terrore e violenze instaurato, la visita dei neonazisti tedeschi nel parlamento greco. D'altra parte l'opposizione contro i neonazi diventa più organizzata e coinvolge le società locali, come per esempio nel caso della protesta e del corteo a cui hanno dato vita più di duemila persone sabato scorso nel quartiere popolare e degradato di Amplelokipoi, nel centro di Atene, contro l'apertura di una sede di Alba Dorata; o la manifestazione e il corteo di altre duemila persone domenica nel quartiere "bene" di Palaio Faliro contro l'accoltellamento al viso di uno studente delle medie da parte dei neonazi. Intanto Alba Dorata prepara già la sua candidatura, come sindaco di Atene, del deputato picchiatore Kassidiaris.
Parallelamente cresce una silenziosa ma dura opposizione sociale con la moltiplicazione delle forme autogestite nei quartieri delle grandi città e nuove forme di cooperativismo nelle campagne. A Salonicco quaranta lavoratori della Biome, un'azienda che produce materiali per la costruzione, hanno occupato lo stabilimento e hanno dato vita alla prima esperienza di un'azienda autogestita dai lavoratori associati in forma cooperativa, con l'appoggio dei sindacati e dei partiti di sinistra e trascurando ogni legislazione. Perfino ai quartieri altolocati di Palaio Faliro e Nea Smirni l'associazionismo e le Assemblee Popolari, due forme di autogestione che sono nate e cresciute dalle lotte di piazza Syntagma, hanno spiazzato i grandi distributori trasformando i mercati senza intermediari in vere forme di approvvigionamento di alimenti. A Nea Smirni l'Assemblea Popolare ha distribuito a più di tremila persone, acquistandoli direttamente dai produttori e senza intermediari, più di 45 tonnellate di alimenti di ottima qualità e a bassissimo prezzo, battendo qualsiasi previsione e record.

mercoledì 13 febbraio 2013

Grecia, le multinazionali fanno affari ma tagliano stipendi e indennità

    
Grecia, le multinazionali fanno affari ma tagliano stipendi e indennità

- rifondazione -

di Francesco De Palo -
Mentre il mercato greco si restringe per la crisi, (la gente non spende più) i prodotti delle multinazionali si “allargano” e fatturano numeri significativi. La riduzione del costo del lavoro, dopo il memorandum della troika e la diminuzione di fatto dei diritti per i lavoratori, avvantaggia solo i grossi nomi che vanno in Grecia per investire, ma di fatto risparmiando su stipendi e indennità che la troika ha provveduto a tagliare. Quattro i casi più significativi. La Kraft Hellas AE è una filiale della multinazionale Mondelez internazionale (fino a poco tempo denominata Kraft Foods), che domina il mercato europeo per il cibo da spuntini. Ha recentemente annunciato, dopo gli otto milioni complessivi investiti nell’ultimo lustro, una nuova esposizione in Grecia per cinque milioni a partire dal 2013. Proprio quando entreranno in vigore i nuovi contratti di lavoro contenuti nel memorandum lacrime e sangue che il Parlamento ellenico ha approvato in una lunga notte di passione, dove di fatto sono stati falciate indennità di malattia e quantum di stipendi e scatti.
Anche l’Hellas Unilever ha annunciato che intende avviare la produzione in Grecia di trenta nuovi prodotti, e due giorni fa ha presentato il piano commerciale al mercato greco. Ancora: Procter & Gamble ha annunciato la creazione del Centro per la Ricerca e l’Innovazione di Atene, il terzo sistema operativo d’Europa. Pochi giorni fa la Johnson & Johnson ha annunciato che continuerà a investire nel mercato greco. In effetti il noto marchio ha in Grecia uno dei tre poli europei utilizzati quasi esclusivamente per l’esportazione. La società dà lavoro in Attica a duecento dipendenti, anche se non ha ancora specificato la quantità di investimenti. Il caso di Johnson & Johnson è particolarmente rilevante se si considera che il 95% della produzione è esportato in altri paesi europei e ha scelto la Grecia come base di produzione proprio perché oggi al centro dell’Egeo una multinazionale “risparmia” sui diritti dei lavoratori.
Infine il caso della Henkel uno dei più grandi gruppi tedeschi che ha deciso di ripristinare la produzione dei propri prodotti in Grecia. La società è stata “assente” dal mercato greco dal 2011 al 2012 dopo che il marchio Alapis, per via della crisi, aveva spostato la produzione in Italia. Ma dallo scorso mese di settembre i prodotti tedeschi sono stati recuperati dalle società Henkel Hellas SA e Rolco Vianyl Souroulidi. Nello specifico l’accordo di produzione di detersivi e prodotti di pulizia prevede che Henkel Hellas detenga più di 50 marche tra Dixan, Neomat e Bref, con una produzione annua di circa sette milioni di unità, che corrisponde al 75% delle vendite annuali della società nel settore. L’accordo prevede anche la produzione di ulteriori 2,5 milioni di unità degli stessi prodotti per le necessità della Henkel a Cipro e per un totale di trenta milioni di euro.
Così se da un lato si iniziano a vedere i primi frutti del riservatissimo briefing che la cancelliera Angela Merkel tenne in occasione della sua visita ad Atene lo scorso ottobre con i grandi gruppi tedeschi seduti allo stesso tavolo con banchieri e imprenditori ellenici, dall’altro non si può non osservare come dal memorandum in poi, quegli investimenti delle multinazionali non si traducano in benefici per il territorio, ma esclusivamente per i grandi gruppi che incassano di più perché tagliano alla voce diritti. Il memorandum, prestando dei soldi allo stato, ha aperto delle falle nei diritti, perché oggi le aziende (oltre che il pubblico impiego) possono assumere personale a 500 euro al mese (un insegnante universitario al primo incarico nel prende 650, un dipendente di banca 550) , tagliando tranquillamente le indennità sia di malattia che di straordinari. Quindi chi ci guadagna non è il cittadino greco che se assunto ha uno stipendio misero, ma proprio le multinazionali che investono in Grecia senza ricadute sul territorio. E il tutto col cappello del grande salvataggio greco che non ha salvato un bel niente (se non la ricapitalizzazione bancaria), perché di quei soldi che le aziende straniere fatturano in Grecia, lì non rimane nulla. E quando manca appena un mese dalla prima tranches di licenziamenti, 15mila impiegati pubblici a casa dal primo marzo. Si attraggono investimenti stranieri? Certo, ma perché invogliati dai salari bulgari di gente che poi si confronta sul mercato con “prezzi milanesi”.
Il tutto accade nei giorni in cui il maxiemendamento fiscale a medio termine 2013-2016, presentato in Parlamento dal Ministro delle Finanze Stournaras, lascia aperta la possibilità di intervenire con nuove misure, e mentre un nuovo scandalo sembra passare inosservato tra i media ellenici. Il canale televisivo francese France2 documenta la svendita a una società canadese di trecentomila ettari di foresta nella regione settentrionale della Calcidica per la simbolica cifra di un euro: dove in quel sottosuolo abbonderebbero oro e minerali di vario genere. Per questo, ma non solo, Antonis Karakousis, primo editorialista del popolare quotidiano To Vima si chiede : “C’è un rischio Weimar per la Grecia post memorandum? Dove l’instabile equilibrio tra politica ed economia è minacciato dal declino della classe media e dalla miscela di estremismo e populismo”. E dove i neonazisti di Alba dorata, nell’ultimo sondaggio, hanno ufficialmente sfondato per la prima volta quota 11%.
dal Fatto quotidiano

venerdì 8 febbraio 2013

Cosa sta accadendo in Grecia?!

    
Cosa sta accadendo in Grecia?!

Pubblicato il 8 feb 2013

di Abate Faria
Nel silenzio più totale e vergognoso dei nostri media, giungono lo stesso dalla Grecia notizie terribili.
Guardate queste scene incredibili: alcuni contadini fuori dal Ministero dell’Agricoltura di Atene distribuiscono frutta e verdura gratuitamente.
Pensionati, cittadini comuni, disoccupati s’accalcano per mendicare un sacchetto di cibo.
Nonostante i ripetuti inviti alla calma, la fame e la frustrazione hanno portato non solo a code molto lunghe, ma anche a disordini.
Alcuni uomini, caduti a terra nella ressa generale, sono stati calpestati…
Questa è anche la nostra Europa insignita perfino del premio Nobel per la pace.
Da cittadino italiano ed europeo provo vergogna ed indignazione.

da ilcontagio.wordpress.com

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