Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 26 novembre 2011

Verso uno scoppio molto prossimo dell’euro?

di Vincenzo Comito. Fonte: sbilanciamoci
È sempre più difficile salvare la moneta europea dai pericoli delle prossime settimane. Gli aiuti esterni richiesti ai paesi del Bric non potranno mai sostituire la volontà della Germania

“…la risposta alla crisi non è meno Europa, ma più Europa…” Angela Merkel. “…troppo poco, troppo tardi…” Martin Wolf. “…la crisi sta correndo troppo velocemente…” Wolfgang Munchau.

Premessa

Molte persone, in Italia, in Europa e nel mondo, hanno certamente tirato un gran sospiro di sollievo per la caduta del governo Berlusconi. Peraltro, la reazione positiva dei mercati finanziari a tale avvenimento e all’arrivo del governo Monti – che ha, da una parte, collocato di nuovo l’Italia in una posizione dignitosa nel consesso politico europeo, ma dall’altra si è presentato al paese con un programma di governo francamente molto discutibile – è durata molto poco, al contrario di come ci si poteva forse attendere. Il fatto è che sull’euro si sono addensate nel frattempo nuove, pesanti nubi, tanto che si può ragionevolmente pensare, come fa ad esempio un autorevole commentatore di “The Financial Times” (Munchau, 2011), che siamo molto vicini (potrebbe essere ormai una questione di settimane) al crollo della moneta unica. Sostanzialmente sulla stessa linea hanno rilasciato dichiarazioni nei giorni scorsi J. Attali (Mattioli, 2011) e P. Krugman.

I sintomi del possibile imminente collasso, che speriamo possa essere comunque in qualche modo scongiurato, non mancano.

Ricordiamo, a questo proposito, che il mercato dei titoli di stato dei paesi della zona euro – tranne il caso della Germania – è già virtualmente bloccato e ormai soltanto la Bce continua a comprarli (sino a quando?); intanto l’associazione delle banche europee ha suggerito agli istituti aderenti di vendere tutti i titoli pubblici dei paesi del Sud Europa detenuti in portafoglio; questo sia pure tra le proteste delle banche italiane per una decisione che appare in effetti inaudita.

Dietro questi mutamenti si profilano sviluppi rilevanti e recenti degli avvenimenti: da una parte l’attacco in atto della speculazione internazionale anche verso paesi come la Francia, l’Austria, la Finlandia e il rinnovo degli assalti alla Spagna, dall’altra anche la reazione dei mercati finanziari ad alcune sciagurate decisioni prese al summit dell’eurozona qualche settimana fa.

Denaro-denaro-denaro: il ciclo della finanziarizzazione

di Francesco Indovina. Fonte: sbilanciamoci
Oggi tocca all’Italia seguire le richieste della Banca europea, dell'Fmi, della Commissione della UE, cioè della finanza, per scivolare lentamente in un remake aggiornato del film di Atene

C’è un po’ di terrorismo in chi è contrario al fallimento nel descriverne gli effetti. Mi è chiaro che giungere a una qualche forma di fallimento non è come bere una tazza di caffè, ma il problema non è questo, il tema è: se ne può fare a meno? Una risposta a questo interrogativo presuppone una qualche considerazione sulle trasformazione del capitalismo. Un po’ mi devo ripetere, mi scuso.

Si sostiene che la crisi attuale è una crisi da eccessiva capacità produttiva e da mancanza di domanda solvibile. Due osservazioni: da una parte questa interpretazione è contraddittoria con l’osservazione che la crisi prende corpo da un eccesso di domanda a “credito”, quindi non la domanda ma la sua finanziarizzazione è il problema; dall’altra parte è vero che c’è una crisi di domanda dato che la popolazione viene continuamente tosata per far fronte alle ingiunzioni della finanza.

È necessario riflettere che la finanziarizzazione dell’economia non è solo una evoluzione del capitalismo ma la modificazione della sua natura. Il processo è passato dalla proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D), attraverso il quale il capitale, con una distribuzione non equa del valore prodotto tra capitale e lavoro, accumulava ricchezza, a quella odierne denaro-denaro-denaro (D-D-D), che senza la “mediazione” della produzione di merci (e servizi), permette di accumulare ricchezza (in poche mani).

Si rifletta sui seguenti dati mondiali: il PIL ammonta a 74.000 miliardi; le Borse valgono 50.000 miliardi; le Obbligazioni ammontano a 95.000 miliardi; mentre gli “altri” strumenti finanziaria ammontano a 466.000 miliardi. Risulta così che la produzione reale, merci e servizi (74.000 miliardi), è pari al 13% degli strumenti finanziari. Quanto uomini e donne producono, in tutto il mondo, rappresenta poco più di 1/10 del valore della “ricchezza” finanziaria che circola. Questo dato quantitativo ha modificato la qualità dell’organizzazione economica: mentre resta attiva la parte di produzione materiale si è sviluppata un’enorme massa di attività finanziaria che mentre trent’anni fa lucrava sul “parco buoi”, nome affibbiato a chi affidava alla borsa i propri risparmi nella speranza di arricchirsi, ora lucra sui popoli che da una parte sono sottoposti a una distribuzione non equa di quanto producono (gli indipendenti sono poco tali e sono entrati nella catena allungata del valore aggiunto) e, dall’altra parte, sono tosati (più tasse e meno servizi) in quanto cittadini.

Le sette favole sulla crisi del debito.

ΕΠΤΑ ΜΥΘΟΙ ΓΙΑ ΤΗΝ ΚΡΙΣΗ ΤΟΥ ΧΡΕΟΥΣ
του Στέργιου Σκαπέρδα
Καθηγητή Οικονομικών
University of California, Irvine
Αρχική έκδοση στην Αγγλική, 28 Οκτωβρίου, 2011

Στις απόψεις που παρουσιάζονται στον ευρείας κυκλοφορίας ελληνικό Τύπο υπάρχει ένας μεγάλος αριθμός λαθεμένων αντιλήψεων και μύθων σχετικά με τα αίτια και τις συνέπειες της κρίσης, καθώς και με τις πολιτικές τις διαθέσιμες για την καταπολέμησή της. Μερικές
από τις αντιλήψεις αυτές αναπαράγονται συνειδητά από την κυβέρνηση και τον Τύπο παρ’ ότι ξέρουν πως δεν είναι σωστές. Ενώ κάποιες άλλες είναι κατά τα φαινόμενα απόψεις που συμμερίζονται τόσο κυβερνητικοί αξιωματούχοι όσο και η πλειοψηφία του Τύπου.
Πολλοί Έλληνες που δεν είναι οικονομολόγοι ή ειδικοί καταλαβαίνουν, συνειδητά ή
ενστικτωδώς, ότι υπάρχει κάποιο σοβαρό πρόβλημα με την κυρίαρχη άποψη, αλλά δεν
έχουν τις γνώσεις να επιχειρηματολογήσουν τεκμηριωμένα ενάντια σ’ αυτές τις αντιλήψεις.
Επιπλέον, πολλοί που έχουν τις γνώσεις και θα μπορούσαν να το κάνουν είτε
αυτολογοκρίνονται είτε δεν έχουν εύκολη πρόσβαση στον ευρείας κυκλοφορίας Τύπο.
Ένα μέρος αυτών των αντιλήψεων επικρατεί επίσης στον διεθνή Τύπο και αναπαράγεται
από Ευρωπαίους πολιτικούς, τραπεζίτες και δημοσιογράφους. Νομίζω πως, κατά περίεργο
τρόπο, υπάρχει λιγότερη συζήτηση και αμφισβήτηση αυτών των λαθεμένων αντιλήψεων
μέσα στις χώρες της Ευρωζώνης παρά έξω από αυτές. Ίσως αυτό συμβαίνει επειδή αυτοί
που παρατηρούν τα πράγματα απ’ έξω διστάζουν λιγότερο να προβούν σε ανεξάρτητη
αξιολόγηση των προβλημάτων της Ευρωζώνης και της Ελλάδας.
Θα αναλύσω τους εξής επτά μύθους;
 Μύθος 1ος: Στάση πληρωμών ή «χρεοκοπία» θα ήταν καταστροφικές για την
Ελλάδα.
 Μύθος 2ος: Ο στόχος της τρόικας είναι να «σώσει» την Ελλάδα.
 Mύθος 3ος: Η κύρια αιτία της κρίσης είναι η διαφθορά των Ελλήνων και του
ελληνικού κράτους.
 Μύθος 4ος: Αν η ελληνική κυβέρνηση ήταν ικανή, οι στόχοι του Μνημονίου δεν θα
αποτύγχαναν.
 Μύθος 5ος: Ακολουθώντας τις συνταγές της τρόικας η Ελλάδα θα επιστρέψει στον
δρόμο της ευημερίας.
 Μύθος 6ος: Η έξοδος από την Ευρωζώνη θα ήταν το χειρότερο δυνατό αποτέλεσμα.
 Μύθος 7ος: Στις διαπραγματεύσεις της με την τρόικα η ελληνική κυβέρνηση έχει
πολύ μικρή διαπραγματευτική ισχύ.
Θα επιχειρηματολογήσω διαδοχικά εναντίον κάθε μύθου και στο τέλος θα εκθέσω κάποια
συμπερασματικά σχόλια.

Io non bacio il rospo e mi preparo a fare tutto quel che mi è possibile per mandarlo via.

di Giorgio Cremaschi. Articolo pubblicato su "Il Manifesto" del 22 novembre 2011

Mi dispiace tanto, ma questa volta non sono proprio d’accordo con il mio amico Marco Revelli. In tutti questi anni ci siamo sempre trovati dalla stessa parte. Questa volta no. Io non bacio il rospo e mi preparo a fare tutto quel che mi è possibile per mandarlo via. Confesso che non sono sceso in piazza con la bandiera tricolore per festeggiare la caduta di Berlusconi. Ho passato questi ultimi 17 anni a combattere Berlusconi, la sua cultura, le sue prepotenze. Prima ho fatto lo stesso con il suo maestro Craxi. Eppure la sera del 12 novembre non l’ho sentita come una liberazione. I paragoni storici che si stanno facendo mi paiono fuorvianti. Come Marco Revelli non vedo nessun 25 aprile in atto. Non mi risulta che il governo di allora fosse di larghe intese tra Cln e Repubblica sociale. Ma non vedo nemmeno un chiaro 25 luglio, se non per l’annuncio del governo Badoglio: “la guerra continua”.
Se proprio si deve ricorrere ai paragoni storici, bisogna tornare all’Europa del 1914. Al suicidio di un continente nel nome della guerra e del nazionalismo, e alla corrispondente dissoluzione di gran parte della sinistra socialdemocratica e dei sindacati. Oggi per fortuna non siamo (ancora?) a quel punto ma è sicuramente in atto un suicidio e una dissoluzione dell’Europa e della sinistra in essa. La guerra del debito, scatenata in tutto il continente, sta mettendo in crisi democrazia e conquiste sociali. Tutti i governi europei sono soggetti alle stesse scelte e agli stessi indirizzi economici. Poi, benignamente, questa tirannia finanziaria ci concede la facoltà di accettarla. Ma non si può dire di no. Il governo Greco è stato destituito perché voleva fare un referendum. In Italia le elezioni politiche immediate farebbero salire lo spread e quindi non si fanno.

EURO: UN TUMORE NEOLIBERISTA

Non confondiamo il sogno dell'Unione europea con l'incubo della moneta unica
di Mark Weisbrot* in The Guardian. Fonte: sollevazione
L’euro sta precipitando verso i minimi storici nei confronti del franco svizzero e i tassi di interesse sui bond italiani e spagnoli hanno raggiunto tassi da record. Quest’ultimo sviluppo della crisi della zona euro è dovuto ai timori che il contagio stia per estendersi all’Italia, che con un’economia da 1.400 miliardi di euro e un debito di 1.700 miliardi è “troppo grande per fallire”, come si usa dire. Di conseguenza le autorità europee sono fortemente preoccupate.

Anche se al momento ci sono pochi presupposti che i tassi d’interesse italiani possano salire al punto da mettere davvero a repentaglio la solvibilità, i mercati finanziari stanno agendo irrazionalmente e incrementando sia i timori sia l’eventualità che la profezia si auto-avveri. Il fatto che le autorità europee non riescano neppure ad accordarsi su come gestire il debito greco – un’economia pari a meno di un sesto di quella italiana – non ispira molta fiducia nella loro capacità di gestire una crisi più grande. Le economie più deboli della zona euro – Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna – sono già di fronte alla prospettiva di anni di sacrifici economici, oltre ad altissimi livelli di disoccupazione (rispettivamente del 16, 12, 14 e 21 per cento).

Se teniamo conto del fatto che al fondo di questa condanna auto-inflitta c’è il proposito di salvare l’euro, è sicuramente opportuno chiedersi se valga davvero la pena salvarlo, e bisogna formulare questa domanda dall’ottica della stragrande maggioranza degli europei che si guadagnano da vivere, quindi da una prospettiva progressista.

Si afferma di frequente che l’unione monetaria – che ormai comprende 17 paesi – deve essere mantenuta per il bene dell’intero progetto europeo. Ciò implica ideali apprezzabili come la solidarietà europea, l’adozione di standard comuni sui diritti umani, l’integrazione sociale, la sorveglianza del nazionalismo di destra e naturalmente l’integrazione economica e politica che sta alla radice di questo progresso.

Ma ciò significa confondere l’unione monetaria, ovvero la zona euro, con l’Unione europea stessa. Danimarca, Svezia e Regno Unito, per esempio, appartengono all’Ue ma non all’unione monetaria. Non vi è dunque motivo per il quale il progetto europeo senza l’euro non possa andare avanti e portare comunque a un’Unione prospera.
DOMINANT “FATALITY”
accidental death at work

venerdì 25 novembre 2011

La frase del secolo!!

Prove (conclamate) di dittatura finanziaria

di ANDREA FUMAGALLI. Fonte: uninomade

1. L’inverno 2011-12 non si preannuncia caldo soltanto sul piano del conflitto sociale-politico, ma anche e soprattutto sul piano dei mercati finanziari e creditizi.

La situazione è aggravata paradossalmente dalla doppia velocità con cui il piano della governance istituzionale ed finanziaria si muove. Quando si tratta di imporre politiche di riordino dei conti pubblici con manovre recessive del tipo lacrime e sangue, i tempi di decisione, in nome dell’emergenza, sono assai rapidi. Quando si tratta, invece, di coordinare politiche di intervento a sostegno dell’indebitamento degli stati colpiti dalla speculazione, allora i tempi si allungano a dismisura.

Tutto ciò non stupisce. Rientra nella solita politica dei due tempi. Un primo tempo di sacrifici, di subalternità alle logiche dominanti del potere economico-finanziario, in attesa di un secondo tempo, che non arriverà mai. Aspettando la prossima crisi…..

Abbiamo già visto una simile dinamica quando si è costruita l’unione monetaria europea, spacciata ideologicamente come il coronamento del sogno di una unione europea politica e sociale. Niente di più falso e oggi ne vediamo i perversi effetti. All’epoca, inizio anni ’90, l’ineluttabile necessità di ottemperare ai parametri di Maastricht (l’”emergenza di entrare in Europa”) ha segnato il turning point decisivo per la svolta nelle politiche di distribuzione del reddito (un travaso “istituzionalizzato” dai redditi da lavoro ai redditi da capitale) e per l’avvio irreversibile del processo di precarizzazione del lavoro e della vita. Oggi, l’emergenza si chiama crisi del debito sovrano (l’”emergenza di restare in Europa”). E si tratta di una situazione che, a differenza di quella dei primi anni ’90, vede un vuoto di azione a livello istituzionale europeo.

I motivi che stanno alla base del costante gap decisionale delle autorità istituzionali europee e mondiali si possiamo riassumere nella volontà politica di “non decidere” (“laissez faire”). Con riferimento all’Europa, le istituzioni politico-istituzionali (Bce, Ecofin, Commissione Europea) hanno del tutto perso quella (scarsa) autonomia che potevano vantare qualche decennio fa. Nonostante le dichiarazione di Barroso (l’ultima pochi giorni fa, 21 novembre, tese a dimostrare la volontà della politica europea a risolvere la crisi, magari introducendo titoli pubblici europei (Eurobond) in grado di sostituire i titoli di stato nazionali), le istituzioni europee continuano ad essere docili strumento rispetto alle compatibilità dettate dall’oligarchia finanziaria e dalle (colluse) società di rating.

Ormai è in gioco l’euro

di Vladimiro Giacché Fonte: ilfattoquotidiano
Quanto sta accadendo sui mercati obbligazionari, con i rendimenti sui titoli di Stato italiani, belgi e francesi che toccano ancora nuovi massimi, e soprattutto col fallimento dell’asta dei Bund tedeschi a 10 anni (con un 35% di invenduto), dovrebbe aprire gli occhi a chiunque: ormai nessuno è al riparo dalla tempesta finanziaria che si sta abbattendo sull’Europa e i suoi titoli di debito. Ormai è in gioco la sopravvivenza stessa dell’euro. Non l’uscita di questo o quel paese dalla moneta unica, ma la fine dell’area valutaria in quanto tale. Se continuerà il trend attuale, questo big bang si verificherà in tempi molto brevi.

Come si può invertire la tendenza? Facendo precisamente quello che il gruppo di testa dell’Unione (ormai ridotto alla Germania) si è sinora ostinatamente rifiutato di fare: lanciando gli Eurobond, ma soprattutto modificando i Trattati in modo da consentire alla Bce di fare quello che la Banca del Giappone e la Fed statunitense fanno da molto tempo, ossia funzionare da prestatore di ultima istanza. Quest’ultima mossa è sufficiente, da sola, ad arrestare la speculazione: è infatti evidente che di fronte a una Bce disponibile a sostenere illimitatamente i titoli di debito europei, se necessario stampando moneta, le scommesse al ribasso diventerebbero immediatamente insostenibili. Su un piano di più lungo periodo, dovrebbero ovviamente essere affrontati gli squilibri strutturali tra i diversi paesi europei che hanno condotto alla situazione attuale e che hanno tra le loro cause principali la deflazione salariale in Germania, la specializzazione produttiva in settori non rivolti all’esportazione di diversi paesi del Sud Europa, una produttività totale dei fattori insufficiente in diversi paesi (tra cui l’Italia) e l’assenza di una politica economica e fiscale comune a livello europeo. Mi sembra che su nessuno di questi terreni si stia intervenendo con efficacia. Per questo sono pessimista. Sulla sorte dell’euro e – cosa più importante – su quella dei cittadini europei.

Una sovranità chiamata debito

La messa in discussione delle politiche di austerità è la premessa per contrastare la governance dei tecnocrati di Bruxelles e Francoforte. E potere così rilanciare il processo di unificazione politica del vecchio continente
di Etienne Balibar. Fonte: ilmanifesto
Che cosa è accaduto in Europa, tra la caduta del governo greco e italiano, e il disastro della sinistra spagnola alle elezioni di domenica scorsa? Una peripezia nella piccola storia dei rimpasti politici che si estenuano a inseguire la crisi finanziaria? Oppure il superamento della soglia nello sviluppo di questa crisi che ha compromesso irreversibilmente le istituzioni e le loro modalità di legittimazione? A dispetto delle incognite, bisogna rischiare un bilancio.

Le peripezie elettorali (quelle che forse ci saranno anche in Francia tra sei mesi) non richiedono grandi commenti. Abbiamo capito che gli elettori giudicano i loro governi responsabili dell’insicurezza crescente nella quale vive oggi la maggioranza dei cittadini dei nostri paesi e non si fanno troppe illusioni sui loro successori. Bisogna però contestualizzare: dopo Berlusconi, si può capire che Mario Monti, almeno in questo momento, batta ogni record di popolarità. Il problema più serio riguarda però la svolta istituzionale. La congiuntura delle dimissioni avvenuta sotto la pressione dei mercati che fanno alzare o diminuire i tassi di interesse sul debito, l’affermazione del «direttorio» franco-tedesco nell’Unione Europea, e l’intronizzazione dei «tecnici» legati alla finanza internazionale, consigliati o sorvegliati dall’Fmi, non può evitare di provocare dibattiti, emozioni, inquietudini e giustificazioni.

Una strategia preventiva
Uno dei temi più frequenti è quello della «dittatura commissaria» che sospende la democrazia al fine di rifondarne la stessa possibilità, nozione definita da Jean Bodin all’alba dello Stato moderno e più tardi teorizzata da Carl Schmitt. Oggi i «commissari» non possono essere militari oppure giuristi, ma sono economisti. È quello che ha scritto l’editorialista de Le Figaro il 15 novembre scorso: «Il perimetro e la durata del mandato (di Monti e di Papademos) devono essere sufficientemente estesi per garantirgli l’efficacia. Ma entrambi devono essere limitati per assicurare, nelle migliori condizioni, il ritorno alla legittimità democratica. Non è concepibile pensare di fare l’Europa sulle spalle dei popoli».

2012: fine dell'euro?

di Beppe Grillo
Chi ci salverà dal crollo dell'euro? Sembra di assistere alla fine dell'Impero Romano, nel 476 dc. Allora si dissolse una costruzione politica, oggi una economica. Non sono state previste delle regole per uscire dall'euro. Se è difficile entrare, è impossibile uscire. Più o meno come nelle associazioni criminali. L'euro vale sempre meno nei confronti delle altre valute mondiali come il dollaro e lo yen. La sua crisi deriva dalla fine dell'era del debito. I Paesi europei, chi più chi meno, hanno finanziato la loro crescita con la vendita di titoli pubblici. In gran parte se li sono scambiati tra loro come le figurine. Io ti cedo il mio debito e tu mi cedi il tuo, l'assurdo elevato a scienza economica. Il problema è che i debiti europei ora non li vuole comprare più nessuno. Né fuori, né dentro l'Europa. Per venderli è necessario aumentare l'interesse e quindi creare nuovo debito in una corsa senza fine.
Il valore dell'euro è garantito dalla tenuta della Germania che però ha un rapporto Pil/debito dell'82%. E' fuori dal tetto massimo europeo del 60% e le sue banche sono tra le meno solide in Europa. La Germania non può accollarsi il debito europeo, deve prima pensare a sé stessa. La salvezza per l'Europa dovrebbero essere i cosiddetti eurobond, in sostanza il debito di tutti i Paesi messo a fattor comune e messo sul mercato. Gli Stati più virtuosi, come Germania e OIanda, dovrebbero pagare anche per i Pigs. Un po' come in Italia succede da sempre a chi paga le tasse per gli evasori. Il debito pubblico italiano è espresso in euro e deve essere ripagato in euro. Noi non possiamo svalutare l'euro e, anche se la nostra economia vale meno, i titoli mantengono il valore iniziale. E' un cappio al collo che si stringe un centimetro alla volta, il boia è lo spread. Se i nostri titoli avessero un valore in lire, la svalutazione della nostra moneta si rifletterebbe in modo automatico. Il problema non si porrebbe. E' stato demoniaco e certamente tafazziano legare il valore dei NOSTRI titoli pubblici al valore dell'euro sul quale non abbiamo alcun controllo e che prescinde dalla nostra economia reale. Gli eurobond dovrebbero ovviare a questa mostruosità, ma è improbabile che i tedeschi metteranno mano al portafoglio per salvare greci e italiani.
Non so dove ci condurrà questo minuetto franco/tedesco con due ballerini, la Merkel e Sarkozy, sempre fuori tempo. L'impressione è che ci attenda un "rompete le righe". E' necessario preparare, fosse solo come alternativa probabile, un piano B per uscire dall'euro.Non arrivarci per necessità.

giovedì 24 novembre 2011

Il "No Debito" crea una crescente aspettativa

di Redazione Contropiano
Assemblea affollata ieri a Roma. Oggi tocca a Firenze. Domani a Torino. E poi Trieste, Bari e altre città. Il movimento No Debito include e convince settori sociali e politici diversi. Tutti quelli che vogliono opporsi al governo Monti e ai diktat della Bce.

Qui di seguito il comunicato finale emerso dall’assemblea cittadina di Roma sul No Debito

I circa 200 partecipanti riuniti nell’assemblea del 23 novembre presso il dipartimento di Fisica della Sapienza a Roma chiamano tutte e tutti coloro che sono intenzionati a rifiutare i diktat della Banca Centrale Europea, della finanza internazionale, delle multinazionali e del grande padronato, a un rilancio delle mobilitazioni per costruire una reale opposizione politica e sociale nel paese al nuovo governo Monti e nella città alla giunta del sindaco Alemanno.
Il governo Berlusconi è caduto per lo sgretolamento della sua credibilità tra i poteri forti e del consenso popolare nel paese. Berlusconi però è stato sostituito da un governo che, con Napolitano come garante e con il sostegno dell’intero arco parlamentare, ha adottato come suo programma la lettera ed i diktat programmatici della BCE. Un programma economico di ristrutturazione selvaggia che, in nome del pagamento del debito e della crisi da parte dei ceti subalterni, si propone di tagliare pensioni, stato sociale e diritti, di ridurre il salario legandolo strettamente alla produttività, di privatizzare e svendere i beni comuni, di precarizzare ulteriormente la vita e cancellare il presente ed il futuro di milioni di giovani, tramite tagli alla scuola, all’università e alla ricerca pubblica.

Per applicare queste ricette la troika BCE-UE-FMI sta facendo passare l’idea della necessità di un’economia di guerra, che congeli tutti gli spazi di democrazia residua nei paesi sottoposti agli attacchi speculativi in questo periodo (Grecia ed Italia in primis).

Diciamo subito che noi non siamo disposti a barattare ciò che resta della democrazia e dei diritti in cambio di eventuali misure di una presunta “equità” dei sacrifici.

Monti non è il meno peggio. E' l'ultimo rantolo prima del Ballo di San Vito

Da megachip.info. Scritto da Giulietto Chiesa Mercoledì 23 Novembre
Il punto di partenza di questo ragionamento è una constatazione: nel
2007 è sopravvenuto il crollo repentino del sistema finanziario mondiale (sarebbe più preciso dire del sistema finanziario occidentale, perché la Cina e altri paesi del mondo emergente sono rimasti per ora fuori dalla catastrofe, per diversi motivi che non è possibile qui approfondire). Alla fine del 2007, in sostanza, tutte le grandi banche d’investimento, e affini, che rappresentano il vero potere mondiale al momento attuale - di gran lunga più potenti di quasi tutti i più forti paesi dell’occidente, e indifferenti al destino di questi ultimi - sono andate in fallimento.
La prima cosa da rilevare – ed è molto importante sottolinearlo – è che la finanza mondiale è crollata per cause interne, endogene. Non ha subito minacce da un qualche “esterno” ostile. È affondata da sola. Il che si può anche esprimere in termini economici, con la formula di “crisi sistemica”. Perfino il presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso, ha usato recentemente questa definizione. Che significa che una semplice cura (cura da crisi ciclica, cura da crisi di sovrapproduzione, etc.) non basterà per risollevarne le sorti. Anzi, si può dire, al contrario, che è ormai impossibile salvare il sistema, che si è rotto irrimediabilmente perché ha in sé la causa della sua fine.

Le cause di questo disastro sono da analizzare, ma qualche data di riferimento è già possibile individuarla. La più importante delle quali è il 12 novembre 1999, quando il presidente William Jefferson Clinton promulgò la legge Gramm-Leach-Bliley, che cancellava la legge Glass-Steagall del 1933 e dava licenza alle banche d’investimento e a tutta una serie di operatori finanziari, di lanciarsi in ogni forma di attività speculative.

I disastri successivi della finanza americana sono noti, anche se non sono stati abbastanza studiati. Nel 2001 crolla la Enron Corporation, dopo che erano già crollati altri giganti come la LTCM (Long Term Capital Management). Sono solo alcuni esempi dei molti eventi nuovi che cominciarono a palesarsi. Anche in funzione e come effetto di altre norme ultra-liberalizzatrici , come il Commodity Futures Modernization Act (CFMA), anch’esso firmato da Clinton nel 2000, poco prima di lasciare il suo secondo mandato, che legalizzava quasi totalmente la sottrazione da ogni forma di controllo di tutti i prodotti finanziari derivati , sia da parte della Security Exchange Commission (SEC), sia dalla Commissione che controllava il commercio dei futures.

Fu così che prese avvio una forsennata, davvero demenziale, moltiplicazione di derivati finanziari che venivano trattati fuori dalle borse e fuori da ogni controllo. Per rendersi conto di cosa è avvenuto (e di cosa sta continuando ad avvenire mentre scrivo queste righe) basti rilevare che dal 2000 alla metà del 2008 (anno del fallimento globale) questo tipo di operazioni balzarono da circa 100 trilioni di dollari a 684 trilioni.

Ora io affermo che la causa della crisi sistemica attuale deriva dalle decisioni sopra ricordate, che hanno prodotto una liberalizzazione completa dei movimenti di capitali e di creazione di derivati: decisioni che hanno creato le premesse per una smisurata crescita del debito mondiale.

Così, alla “bolla” tecnologica, che produsse il crollo del NASDAQ, seguì poi la bolla dei subprime, che ha portato al crack di quasi tutti i principali protagonisti della finanza occidentale.
Questo ha condotto, come sappiamo, alla liquidazione di un gruppo ristretto di questi giganti: sono stati sacrificati, sull’altare della follia, Bear Sterns, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Lehman Brothers, ma altri giganti, prima di tutto Goldman Sachs, si sono salvati e hanno continuato a prosperare.

Quello che qui importa sottolineare, di nuovo, è che le regole non sono state mutate affatto. Bisogna trovare una risposta a questa domanda. E la risposta è semplicissima. I “proprietari universali” non lo hanno permesso. Aggiungo: non c'è alcuna ragione per pensare che lo faranno in futuro.
FiAtSCISM
DIGNITY

mercoledì 23 novembre 2011

Ugo Mattei: Non svendere il patrimonio pubblico




Fonte: Eddyburg
Un appello sensato di fronte a un rischio gravissimo, in una lettera aperta al Corriere della Sera, 22 novembre 2011. Con postilla dell'urbanista Edoardo Salzano dal sito Eddyburg

Caro direttore, per incassare 6 miliardi, circa l'8% di quanto paghiamo di interessi sul debito pubblico ogni anno, pare andranno in vendita 338.000 ettari di terreni agricoli che oggi sono proprietà pubblica. Se non si farà attenzione, le conseguenze di una tale scelta, che in Africa è nota comeland grab(appropriazione di terra) operata da grandi gruppi multinazionali, potrebbero essere serie, e portarci verso la dipendenza alimentare dall'agrobusiness. Potrebbero derivarne danni sociali ingenti subitiin primisdai nostri piccoli agricoltori che non potendo competere con quei colossi nell'acquistare, finirebbero per vendere anche i loro appezzamenti (come già avvenne quando i latifondisti comprarono le proprietà comuni messe in vendita da Quintino Sella).

La scelta di vendere è definitiva e ci riguarda tutti, presenti e futuri. Andrebbe fatta con grande cautela soprattutto quando ci si trova sotto pressione internazionale. Il processo di elaborazione teorica e pratica della categoria giuridico-costituzionale dei beni comuni discende da questa considerazione. Il cambiamento dei rapporti di forza fra settore privato azionario e settore pubblico a favore del primo rende i governi così deboli da non poter operare nell'interesse del popolo sovrano. La necessità urgente di forte tutela giuridica dei beni comuni come proprietà di tutti che i governi devono amministrare fiduciariamente nasce da questo squilibrio di potere prodotto dalla globalizzazione.

Lo Stato italiano è proprietario, direttamente o tramite enti pubblici, di ingenti beni che fanno gola a molti. Gran parte di questi, che forniscono utilità indispensabili per garantire la sovranità dello Stato o la sua capacità di offrire servizi pubblici, non possono essere trattati come fossero proprietà privata del governo in carica. Alcuni dei beni dello Stato sono costituiti da edifici, acquedotti e terreni agricoli che soccorrono direttamente bisogni fondamentali della persona come coprirsi, bere o nutrirsi. Altri sono infrastrutture, come strade, autostrade, aeroporti, e porti che richiedono un assiduo investimento in manutenzione. Altri sono beni che i giuristi classificano come immateriali come le frequenze radiotelevisive, glislotaeronautici (per esempio la tratta aerea Milano-Roma), i brevetti ottenuti con la ricerca pubblica, le partecipazioni pubbliche nell'industria produttrice di beni o servizi.

"Fate presto!" Appello per l'introduzione di un reddito minimo garantito

BIN Italia, 22 novembre 2011, Fonte: paneacqua
Politica I termini "emergenza" ed "eccezionalità" sono stati tutti usati per il racconto della crisi economica internazionale ma esiste una emergenza ancora più impellente da affrontare. Parliamo di quella emergenza sociale presente da anni nel nostro paese e che con la crisi è divenuta ormai di carattere "esistenziale"

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Mario Monti

E p.c. Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Prof.ssa Elsa Fornero

"Fate presto!" Appello per l'introduzione di un reddito minimo garantito

Egregio Sig. Presidente del Consiglio,

ci rivolgiamo a Lei in questa fase iniziale e concitata dell'azione del Suo nuovo ministero affinché prenda nota, al fine di porvi riparo, della drammatica condizione di emergenza sociale in cui versa il nostro Paese.

I termini "emergenza" ed "eccezionalità" sono stati tutti usati per il racconto della crisi economica internazionale che siamo costretti ad affrontare, tanto che su questi si sono basate le scelte della nascita di un nuovo governo e a quanto pare delle future politiche economiche.

Ma riteniamo che esista una emergenza ancora più impellente da affrontare. Parliamo di quella emergenza sociale presente da anni nel nostro paese e che con la crisi è divenuta ormai di carattere "esistenziale". Solo pochi dati basteranno a mostrare la necessità e l'urgenza di un intervento sul piano della realizzazione di misure di sostegno in favore dei cittadini: il 13,8% della popolazione vive in stato di povertà (fonte Caritas, ottobre 2011), i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8% nell'ultimo anno (per un ammontare di 3 miliardi di euro annui, secondo il "Barometro dei furti nella vendita al dettaglio" a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011), i giovani privi di occupazione ed espulsi anche dal ciclo della formazione sono nel 2011 oltre 2,5 milioni mentre solo nel 2006 erano 824mila, tra i disoccupati solo 1 su 4 riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno (dati Bankitalia, novembre 2011). Già ricordare questi pochi dati, che Lei certo conosce bene, siamo in grado di definire questa come una situazione di allarmante "emergenza sociale" che attende una risposta di urgente decisione. Il nostro grido di allarme e rivolto dunque al nuovo governo e chiediamo a gran voce di "Fare Presto!".

Le nozze della crescita coi fichi secchi della manovra

Si prepara una manovra restrittiva per 25 miliardi, e insieme un intervento "per la crescita": le due cose non stanno insieme. La ripresa non potrà esserci, in assenza di domanda sia interna che estera

Secondo quanto si apprende dalle prime dichiarazioni, il nuovo governo Monti procederebbe dapprima ad una nuova forte manovra fiscale restrittiva, e poi “in tempi brevi” ad un intervento per stimolare la crescita.

Si parla per il primo intervento di un minor deficit pubblico pari a circa 25 miliardi di euro. Ovvero, si prepara un provvedimento urgente che renda certa l’impossibilita di stimolare la crescita tramite risorse pubbliche. Il secondo provvedimento, dunque, nasce “azzoppato” dal primo, già prima di vedere la luce: la crescita si sostiene con gli investimenti, lo sanno tutti, mentre a noi rimarranno spazi solo per liberare la crescita, che famosi editorialisti suppongono imbrigliata dai lacci e lacciuoli dell’intervento pubblico ma pronta a scalciare non appena glielo permetteremo.

Per intendersi, sono allo studio una serie di interventi di cosmesi legislativa, alcune possibili privatizzazioni e liberalizzazioni (presumibilmente in funzione dell’ampiezza della maggioranza parlamentare che sosterrà il governo), e un’ulteriore riforma del mercato del lavoro. Per la verità, per quanto tutti noi utenti possiamo spesso odiare tassisti, notai e avvocati, non possiamo davvero ritenere che il PIL nazionale (1.556 miliardi di euro nel 2010) riprenderà a correre quando solo il supposto nefasto giogo di queste corporazioni sull’intera società italiana venisse sciolto. Sarebbe come se ci fossimo aspettati la crescita dalle “lenzuolate” bersaniane. E infatti, é sulla riforma del mercato del lavoro che molte speranze vanno accumulandosi.
AFRICA TOMORROW am ungry

martedì 22 novembre 2011

La «gabbia» dell'Europa in balia dei mercati

da Il sole 24 ore (22/11/2011) di Morya Longo
In Europa la Banca centrale non può prestare soldi agli Stati, mentre all'estero le principali banche "concorrenti" lo fanno. In Europa non si può stampare moneta, mentre ormai all'estero si usa praticamente il ciclostile. In Europa c'è una moneta unica, ma 17 politiche fiscali e 17 diversi titoli di Stato: non esiste al mondo nulla di paragonabile. In Europa le regole dei trattati sono così ferree, che rendono impraticabili quasi tutte le politiche «non convenzionali» tipiche delle fasi di crisi: nel resto del mondo la flessibilità è molto maggiore. In Europa si soffre per la frenata
economica: ma se all'estero si cerca con tutte le forze di far ripartire la locomotiva, nel Vecchio continente le politiche sono tutte di direzione opposta. Si parla di crescita, ma nella realtà dei fatti le scelte politiche favoriscono la recessione.
Se l'Europa soffre la speculazione dei mercati e gli Stati Uniti no, il motivo è tutto qui: con le sue regole ferree, con i suoi dogmi inviolabili, ha creato con le sue mani una prigione dalla quale non riesce più a liberarsi. Dal punto di vista dei bilanci è molto più forte degli Stati Uniti: ha un debito pubblico più basso (85% del Pil contro il 100% Usa), ha un deficit complessivo più contenuto (6,2% del Pil contro il 10,7%), ha un debito delle famiglie più gestibile (100% del reddito disponibile contro il 119,7% Usa). Eppure l'Europa
soffre: non perché sia vittima della speculazione, ma perché è vittima di se stessa.
Nelle ultime settimane sono state avanzate decine di proposte per risolvere la crisi: dagli eurobond, fino a ingarbugliate strutture finanziarie che consentano di fare anche in Europa quello che si fa altrove ma che da noi è impedito dai Trattati. Sono state ipotizzate triangolazioni tra la Bce e il Fondo monetario per far arrivare soldi agli Stati. Sono state studiate alchimie finanziarie (come i Siv o i
Cdo) per raggiungere lo stesso obiettivo attraverso il fondo salva-Stati. Ma politiche più semplici, per esempio l'azione diretta della Bce come prestatore di ultima istanza, non sono state prese in considerazione. E poi ci chiediamo perché la speculazione attacchi proprio noi...

European Common Goods

Fonte: europeancommongoods
La crisi che colpisce l'economia mondiale e di conseguenza l'euro in questi mesi richiede una risposta radicalmente diversa da quelle attualmente programmate e realizzate. Il modo in cui l'Europa, i suoi governi e gli elettori si occuperanno della crisi greca creerà un precedente importante per la prossima crisi ed i connessi rischi di default nazionali.

Le decisioni probabili del governo greco, praticamente lasciato solo, come altri governi in simili crisi di debito, si basano sulla massiccia vendita di beni pubblici a compratori non meglio identificati in modo da raccogliere il denaro necessario per garantire prestiti ulteriori.

Questa decisione è sbagliata non solo sul piano politico, ma anche in termini pratici. Politicamente abbiamo avuto ampie dimostrazioni nel quarto di secolo passato che la deregulation e le privatizzazioni non sono sinonimo di efficienza, investimenti, modernizzazione e competitività.

Al contrario, c'è un lungo elenco in Europa e nel mondo, di clamorosi fallimenti e di distruzione di valore da parte di quelle stesse forze di mercato che erano invece state celebrate come portatrici di soluzioni durature a tutti i problemi dell'economia nazionale e internazionale.

L'ultima crisi economica e finanziaria del mercato globale ha dimostrato oltre ogni dubbio che i mercati da soli non sono in grado di governarsi, che non esiste la mano invisibile che bilancia i diversi interessi e che il denaro pubblico ha salvato gli stessi oligopoli che in teoria non avrebbero dovuto esistere in un ambiente competitivo sano, favorito da un mercato liberalizzato. Ma come non ci sono pranzi gratis, così non esiste un mercato deregolato che pensi al bene comune.

Noi crediamo fortemente, ispirati da una visione politica ed etica nonché dall’esperienza pratica, che le politiche pubbliche non possono solo limitarsi a regolamentare il neolaissez-faire, a sostenere interessi privati in nome di una presunta competitività nazionale o limitarsi a ridistribuire un reddito in diminuzione.

Le politiche pubbliche devono tutelare gli interessi pubblici , sotto controllo democratico, il che significa che hanno il compito di promuovere beni pubblici e investimenti a lungo termine, sostenuti da una gestione efficiente e da una tassazione sensata che tenda al bene della società.

Invece di lasciare che le proprietà pubbliche della Grecia siano svendute a prezzi ridicoli a grandi potenze, che hanno un forte interesse a controllare i mercati per rinforzare la loro competitività (fatalmente a discapito dei nostri interessi), o ad investitori privati che sono totalmente irresponsabili verso la società, gli elettori e gl’interessi nazionali, proponiamo di utilizzare in modo più efficace il denaro pubblico che abbiamo già impegnato nei prestiti della UE e del Fondo Monetario Internazionale, oltre che nelle misure di sostegno della BCE.

I beni pubblici greci, come quelli di altri paesi a rischio, dovrebbero essere venduti ad un raggruppamento economico europeo, pubblico o partecipato da quota di maggioranza pubblica, in modo da ottenere il denaro necessario direttamente da governi e istituzioni internazionali.

Questo permette di proteggere due interessi vitali a livello europeo e nazionale:

* I beni saranno rimborsabili da parte del paese interessato nei tempi necessari ed a condizioni ragionevoli o produrranno profitti proporzionali ai governi, ma la loro gestione avverrà tenendo conto delle esigenze economiche e sociali. Se esistono i fondi sovrani, non si vede perché imprese pubbliche, adeguatamente gestite e vigilate, siano inconcepibili.

* I beni rimarrebbero patrimonio economico e industriale europeo, invece di essere dispersi nel mondo, soggetti ad futuro molto incerto. L'Europa ha creato una formidabile entità integrata, soprattutto a livello economico: sarebbe un suicidio se, nei momenti di massima emergenza, l'Europa si rifiutasse di attuare una politica industriale di semplice buon senso.


Franco Berardi Bifo: Buon lavoro a Mario Monti

di Franco Berardi Bifo. Fonte: controlacrisi
Mi è molto difficile capire il generale congratularsi per la sconfitta di Berlusconi.Se non ci fermiamo alle apparenze e ragioniamo in termini strategici, direi che Berlusconi è il vero vincitore della fase attuale.
Senza avere perduto la maggioranza in Parlamento, il padrone di Mediaset ha passato le consegne a un banchiere della Goldman Sachs di nome Monti. Il governo che si è formato a tambur battente si dà come primo obiettivo la realizzazione del programma contenuto nella lettera di intenti che Berlusconi ha presentato alla Banca centrale europea poco prima di abbandonare Palazzo Chigi.

Il nuovo Presidente del Consiglio, ancor prima di avere ottenuto la fiducia, dichiara le sue intenzioni in un articolo scritto per il Corriere della sera. In questo articolo parla di

“due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.”

Le due azioni socialmente più violente e devastanti dell’era Berlusconi sono così assunte come linea direttrice del nuovo governo. I fari che illuminano la strada del nuovo governo sono dunque i tagli all’educazione e la cancellazione dei diritti di contrattazione, la riduzione dei salari e la totale sottomissione dei lavoratori industriali al padrone globalizzato.

Perché dovrei dunque pensare che Berlusconi è stato sconfitto?

Altro che opposti estremismi

di : Ida Dominijanni.
Fonte: informarecontroinformando
È tipico delle fasi d’emergenza non andarci tanto per il sottile con le distinzioni. Ed è tipico delle fasi d’emergenza all’italiana, tutte all’insegna dell’unità nazionale, fare ricorso alla tesi sempreverde degli opposti estremismi, che provvede a procurare due ali di nemici alle convergenze centripete. Vorrei dunque rassicurare alcuni lettori perplessi, e con loro le cattedre mediatiche che equiparano gli argomenti del manifesto a quelli delle vedove di Berlusconi, o le ragioni dei movimenti anti‐Bce alle urla di destra contro il complotto plutocratico‐massonico‐finanziario: non è affatto vero che diciamo tutti la stessa cosa. È vero invece che sotto il cielo della fine del ventennio berlusconiano il disordine è grande, e la situazione non propriamente eccellente. Qualche precisazione, allora, sullo stato della democrazia, il tramonto della politica e il feticismo dei mercati che fanno da sfondo al «passaggio Monti». È del tutto improprio o strumentale, intanto, gridare alla sospensione della democrazia o al golpe antidemocratico per fotografare la situazione. Non stupisce che queste grida provengano da una destra populista come quella berlusconiana, che ha sempre identificato l’esercizio della democrazia unicamente con l’appello al popolo, attribuendo alla conta elettorale il potere di decidere il governo. Questa investitura popolare diretta del governo, per quanto avallata dalle ultime leggi elettorali (e con l’aiuto dei settori più «bipolaristi» della sinistra), notoriamente non esiste nella nostra Costituzione: a norma di Costituzione, il governo non lo decide il popolo ma le maggioranze parlamentari.

Dal punto di vista formale dunque non c’è nessun golpe e nessuna sospensione della democrazia nella soluzione della crisi perseguita da Napolitano: il presidente della Repubblica non aveva l’obbligo di indire le elezioni, l’incarico a Monti rientrava nelle sue prerogative, il nuovo governo ha ottenuto il consenso necessario in parlamento. Tolto di mezzo il golpe formale, però, il problema resta. E a segnalarlo basta il fatto che sono proprio i più convinti sostenitori dell’operato del Presidente della Repubblica a difenderlo non in nome della norma e della normalità democratica, bensì dell’eccezione: mai Carl Schmitt, autore a lungo maledetto se non tabuizzato, è stato così gradito a sinistra. Ora non c’è nessun problema a riconoscere a Napolitano tempismo e abilità decisionista, e perfino (Carlo Galli, su Repubblica di qualche giorno fa) una sorta di «buon uso» dell’eccezione, di un’eccezione volta al ripristino della normalità costituzionale, contro l’eccezionalismo perpetuo e a vocazione eversiva di Berlusconi.
THE POLITICAL LEFT,WHEN IS TRUTHFUL WINS !

lunedì 21 novembre 2011

Spiegare ai tedeschi che l'euro è un loro affare

di Giuseppe Travaglini. Fonte: sbilanciamoci
La Germania è il paese che ha saputo trarre il massimo vantaggio dalla moneta unica. E quello che può salvarla. Sempre che si ricordi di quel giorno che Mitterrand e Kohl...

Una gustosa storiella in voga nell’Europa di fine Novecento raccontava che nelle settimane immediatamente successive alla caduta del muro di Berlino un circospetto ma deciso, Helmut Kohl, a quel tempo Cancelliere della Germania Occidentale, telefonò al suo amico François Mitterrand, presidente della Repubblica francese, per chiedere se ci fosse mai qualche perplessità od opposizione alla speranza tedesca di riunificare le due Germanie, sorelle separate dalla spartizione europea del 1945.

Mitterrand – narra sempre l’insinuante storiella – conosceva bene la cocciutaggine tedesca dell’amico Helmut. Opporsi sembrava inutile, e contro il fluire ineluttabile della eventi. Però, lasciar fare senza opporre obiezioni non era da Lui. E poi qualche grosso guaio la Germania l’aveva creato nei decenni precedenti. E due volte per giunta! E poi addirittura l’occupazione militare di Parigi!

Ricomponendosi nel suo aplomb presidenziale rispose perciò così. “Caro Helmut sono ben felice che la Germania torni unita. Tuttavia, per evitare sospetti e malintesi con gli altri Paesi europei, ma anche con gli amici americani, sarebbe cosa utile che voi faceste testimonianza di buone intenzioni”. “Cosa vuoi dire?” replicò sospettoso Kohl. Mitterand, sospirò e rispose in modo pacato ma perentorio “Non ti lascerebbero fare. Loro. Almeno non ti lascerebbero fare senza un’assicurazione sul “loro” futuro. Ti suggerisco perciò di proporre il seguente scambio: la Germania torna unita ma rinuncia a parte della sua supremazia economica, e dunque geo-politica, sacrificando il marco, e proponendo la creazione di una valuta sovrannazionale che chiameremo euro; e per questo, inevitabilmente, la Germania condividerà con gli altri paesi europei i vantaggi dell’unione monetaria ma anche il peso dei loro debiti pubblici. Insomma, caro Helmut, entri in una sorta di Società per azioni dal bilancio consolidato, dove ti prendi tutta la Germania, e l’imperitura gloria, contribuisci a costruire l’euro, ma leghi la nascitura Germania nella buona e nella cattiva sorte al destino dell’Europa intera. Un matrimonio, insomma. Naturalmente, per solidarietà anche noi francesi saremo con voi in questo accordo. Inoltre, l’euro sarà un buon affare per tutti”. “E poi così ti tengo d’occhio” pensava tra sé e sé. Il risoluto Kohl, non ci pensò due volte. Conosceva bene il detto aglosassone “there ain’t no such thing as a free lunch”. Il prezzo gli sembrò equo. E il risultato sicuro. Il processo di riunificazione della Germania iniziato con la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 si concluse il 3 ottobre 1990.

Questa è la storiella. Ora viene la storia. Quella attuale e amara.

Se l'Europa fosse un contropotere

di ETIENNE BALIBAR. Fonte: ilmanifesto
La risposta alla crisi da parte delle élite europee e dei mercati è l'instaurazione di uno stato d'eccezione incentrato su una «dittatura commissaria». Un incontro con il filosofo francese I movimenti sociali possono costituire l'antidoto alla politiche di austerità imposte da Bruxelles. Mentre i governi tecnici vanno interpretati come un laboratorio per il futuro assetto politico del vecchio continente

La provocazione arriva a metà del seminario tenuto all'Università di Bologna. «Quello che sta accadendo in Europa può essere considerato la messa in forma di un nuovo modello di governo politico. Stiamo cioè assistendo al rilancio del processo di unificazione politica dopo la battuta d'arresto successiva ai referendum francese, olandese e irlandese, che misero in evidenza il diffuso dissenso al processo avviato dai tecnocrati di Bruxelles. Il rilancio dell'unificazione politica avviene però all'insegna di un neoliberalismo che, nonostante la sua crisi, è ancora capace di esercitare un'egemonia nel vecchio continente». Etienne Balibar è un europeista convinto; e tuttavia non ha mai smesso di criticare l'Unione europea rispetto a quanto faceva nella definizione della sua costituzione. Un'attitudine critica che non viene meno neppure in questi giorni, con la formazione dei governi tecnici in Grecia e in Italia. «Non credo perciò che l'Europa sarà la vittima sacrificale necessaria per uscire dalla crisi del capitalismo. Più realisticamente, invece, stiamo appunto vedendo la formazione di un modello di governo europeo che ha tutte le carte in regola per affermarsi dentro e oltre la crisi».
In Italia per una serie di seminari e per ricevere, a Genova, il premio «Mondi migranti», il filosofo francese invita a guardare con attenzione le mutazioni in atto dei sistemi politici nazionali e, soprattutto, sovrannazionali. «In Francia, ma anche in Italia, Germania, Inghilterra, c'è una forte componente politica e intellettuale che vuol chiudere il discorso europeo per tornare a una sovranità nazionale, ritenuta la trincea indispensabile per fronteggiare il potere della finanza. Una posizione che non coglie un dato per me fondamentale: l'interdipendenza tra gli stati e la formazione di un mercato mondiale che non tollera confini. E soprattutto un cambiamento nella costituzione materiale delle società».

Verso l'economia del "suicidio deliberato"?

La nomina a nuovo premier del neosenatore a vita ed ex commissario europeo Mario Monti chiude il ventennio berlusconiano ma rappresenta un ulteriore passo verso il rafforzamento di una politica economica votata alla crescita senza freni "che significa solo dare ancora più soldi e risorse a chi vuole continuare a devastare il Paese e il pianeta per comprarsi il cinquantesimo panfilo. E sono praticamente tutti d'accordo".

di Paolo Ermani - Fonte: ilcambiamento
L'economista Mario Monti ha ricevuto l'incarico di formare il nuovo Governo
Dal cilindro è uscito Mario Monti.

Se mentre fino ad ora c'era comunque un Berlusconi a cui non dava retta quasi più nessuno, inviso addirittura ai mercati e ai mercanti, se non altro perché troppo spudoratamente rivolto ai suoi interessi e soprattutto piaceri, ecco che si profila all'orizzonte il grande timoniere che mette più o meno d'accordo tutti.


Nominato dai mercati e mercanti europei, Monti è visto come l'Arcangelo Gabriele, colui che farà piazza pulita e rimetterà le cose a posto cioè farà qualsiasi cosa per il rilancio dell'economia intesa come crescita, senza farsi distrarre da donnine allegre e addormentarsi durante gli impegni istituzionali. Si profila quindi lo scenario peggiore, cioè dove tutti o quasi sono d'accordo.


Recentemente infatti uno degli aspetti più negativi di questo periodo infausto, non sono stati solo gli infiniti scandali emersi dall'ombra ma anche uno scandalo al sole dove imprenditori e sindacati nel settembre scorso hanno sancito un accordo per agevolare la crescita. Un brivido di terrore è corso lungo la schiena di chiunque ha a cuore le sorti delle persone e dell'ambiente. Imprenditori e sindacati assieme per dire a gran voce che bisogna assolutamente ripartire a tutta velocità. Ma ripartire per fare cosa?


Prendiamo in esame due settori tradizionalmente trainanti dell'economia ai quali l'intero paese si è genuflesso per anni e anni e che ne hanno tragicamente cambiato il volto: l'industria automobilistica e l'edilizia.

Secondo questa Santa Alleanza imprenditori/sindacati per la crescita ripartire significherebbe ad esempio produrre ancora più automobili e farne acquistare sempre di più. L'Italia è già ai vertici mondiali per numero di automobili pro capite con seicento auto ogni mille abitanti e complessivamente abbiamo più veicoli a motore che potenziali conducenti.

Governo pericoloso

di Lorenzo Marsili - ilmanifesto. Fonte: megachipinfo
Si chiude ogni spazio per le alternative mentre bisognerebbe allargare sempre più la lotta per la democrazia europea

«Non ci sono alternative» è una menzogna comunemente usata per coprire con un mantello di inevitabilità scelte economiche partigiane. Raramente questo ritornello è suonato così convincente a tante persone come oggi, con i governi di Italia e Grecia messi di fronte alla scelta tra obbedienza o bancarotta. Al di là delle specifiche opinioni su Monti o Papademos e i loro governi, non possiamo che dirci fortemente preoccupati dalla riduzione della vita politica in Europa alla farsa di una competizione con un solo vincitore possibile.

Indipendentemente dal fatto che Monti possa essere o meno una risposta valida alla crisi italiana, le condizioni di nomina costituiscono un precedente pericoloso, che vede tutte le democrazie europee minacciate dai mercati finanziari e dal loro ricatto di far cadere i paesi in default.

Le élites continentali, che siano i leader di Francia e Germania, il gruppo di Francoforte, o i padroni delle banche e delle grandi imprese finanziarie che traggono profitto dalla situazione attuale, sono riuscite a sottrarre il potere ai cittadini usando la crisi economica per dirottare le istituzioni europee e il processo di integrazione, che, ora più che mai, appare ai cittadini e ai politici dei paesi debitori come una camicia di forza che paralizza quanti vorrebbero prendere decisioni contro l’inesorabile ortodossia economica.
La sovranità nazionale è ufficialmente decaduta.
THE POPE LEAVES AFRICA (…about me, a criminal press black-out)

domenica 20 novembre 2011

Melancholia

di Augusto Illuminati. Fonte: sinistrainrete
Cos’è questo rumore sordo di sottofondo, che impercettibilmente cresce soffocando le strida viola di giubilo su via del Plebiscito e davanti al Quirinale? Perché le fattezze oneste e non mascarate di Monti si sbozzano sul disco bluastro di un pianeta in avvicinamento? L’impatto ormai imminente è non con la crisi, ma peggio: con la cura della crisi. La cura presunta, s’intende, quella che ci vorrebbero propinare i responsabili della crisi secondo il discusso metodo omeopatico di Hahnemann, secondo il quale (wiki-citazione) il rimedio appropriato per una determinata malattia sarebbe dato da quella sostanza che, in una persona sana, induce sintomi simili a quelli osservati nella persona malata. Con l’unica differenza che il rimedio è somministrato in dose non diluita bensì concentrata. I precari rischiano di non avere pensioni? Tagliamo quelle dei nonni e dei padri che al momento li mantengono. I giovani sono disoccupati? Rendiamo più facili i licenziamenti degli occupati. Gli speculatori ci strozzano con il debito? Inseriamo in Costituzione l’obbligo di restituire i debiti. Il territorio si sfascia? Rendiamo costituzionalmente lecito fare di tutto e costruire per ogni dove. La crisi è pilotata dalla Goldmann Sachs? Piazziamo ai vertici europei e italiani i suoi esponenti.

I bocconiani che non hanno minimamente previsto la crisi dovrebbero fungere da medici. Come se non ci avessimo già provato con la finanza creativa di Tremonti. Più liberismo guarirà i mali del liberismo. In questo folle vortice –qui sta la differenza– ci precipitiamo con il consenso bipartisan di destra e sinistra (compreso chi, come Vendola, non deve manco votare Monti in Parlamento). O meglio: la sinistra ci si butta con entusiasmo, seguendo i consigli presidenziali e timorosa di vincere in elezioni anticipate, la destra fa il doppio gioco, strillando al tradimento, allo stato di necessità (per evitare il crollo delle azioni Mediaset e Mediolanum), riservandosi di scatenare una campagna contro i tagli, contro l’euro, contro i cattivi di Europa, Bce e Fmi, confidando magari in una rimonta elettorale a giugno 2012.

Arriva Monti E la democrazia?

di Alberto Burgio. Fonte: ilmanifesto
Il referendum greco bloccato, l'Italia commissariata. Tutti aspettano l'uomo che risanerà i conti dello Stato, ma nel frattempo il gioco democratico va in pezzi. E avanza una nuova forma di dispotismo illuminato

Le cronache della crisi offrono materia per qualche riflessione sulle sorti della democrazia. Quando Papandreou ha osato immaginare un referendum sulle misure imposte dalla Bce in cambio del prestito, è stato preso per pazzo da potenti e sapienti e additato al pubblico ludibrio. Eppure si era limitato a citare la Costituzione e un elementare principio democratico. Qualcuno - tolti noi, pensatori liberi e marginali - ha sentito il bisogno di dire, se non altro, che quella levata di scudi tradiva un problema? Che qualcosa non va in questa Europa, se anche solo ipotizzare di dar voce al «popolo sovrano» scatena una crisi di nervi?
Poi è venuto il turno nostro. Nel giro di una settimana ci siamo ritrovati il commissariamento del Paese, il governo in crisi, un senatore a vita già unto del Signore e la prospettiva di un nuovo esecutivo, decisa da un presidente della Repubblica che sta rivoluzionando il ruolo costituzionale del Capo dello Stato. Non bastasse, stiamo assistendo a un esemplare esercizio di obbedienza all'ordine dettato dai cosiddetti mercati. Lo stesso Napolitano si è mosso entro margini strettissimi, di tempo e di merito. Ed è stato, per dir così, costretto a imporre ai partiti una figura designata dal mondo della finanza internazionale. Difficilmente avrebbe potuto fare scelte molto diverse.
Come la condanna di Papandreou, così il giubilo per Monti è stato pressoché unanime. Certo, il fatto che l'arrivo di Monti coincida con l'uscita di Berlusconi aiuta a comprendere il generale sollievo, e lo stesso può dirsi del discredito che pesa sulla classe politica. Ma i modi e i tempi del suo irrompere - e questa stessa entusiastica accoglienza - destano preoccupazione: la Costituzione repubblicana non contempla governi presidenziali, né la figura del Salvatore della Patria.
Ce n'è abbastanza per dire che il gioco democratico è in pezzi. È vero, anche Monti dovrà ottenere il placet delle Camere e la resistenza della destra pare introdurre un po' di suspence al riguardo. Ma questo non toglie che la decisione del parlamento dovrà assumere un quadro di vincoli imperativi. Prendere - e riaprire il dialogo con la Bce e i Paesi forti dell'Unione; o lasciare - e allora precipitare in un gorgo. Qualche giorno fa una delle teste d'uovo di Bruxelles l'ha detto in modo chiaro: se Monti non passa, la reazione dei mercati sarà «molto violenta».

La Sinistra Fiduciosa

di Franco Berardi Bifo, Fonte: th-rough eu
Mentre la Spagna si prepara alle elezioni e alla vittoria della destra, la Fundaciòn Idea – il laboratorio ideologico del PSOE) ha riunito in un Hotel di Madrid il 15 novembre i leader della sinistra europea.

C’era Alfonso Guerra, François Hollande, Pier Luigi Bersani, Jesus Caldera e l’ungherese Attila Mesterhazi. Quest’ultimo, che viene da un paese nel quale il governo è saldamente nelle mani di una coalizione di destra della quale fa parte (con il 20% dei voti) il partito Jobbit (i migliori) diretto discendente di quello che nella seconda guerra mondiale fu il partito hitleriano, ha preso la parola per dire: “Dieci anni fa incontrarci sarebbe stato una festa perché c’era Tony Blair al governo in Gran Bretagna, e Gerhardt Schroder in Germania. Oggi il pendolo in Europa è girato verso i partiti conservatori. Perché?”



Attila si domanda perché. Come mai dopo il governo delle sinistre hanno vinto dovunque i partiti che lui chiama conservatori, e forse sarebbe meglio chiamare con il loro nome: partiti reazionari, in qualche caso razzisti, in qualche caso fascisti, in qualche caso nazisti? Perché? Non è poi così difficile comprenderlo, e dovrebbe farcela anche Attila, il quale ha in effetti nominato due signori che hanno distrutto quel che rimaneva da distruggere dell’affidabilità della sinistra come forza progressista, socialista, e anti-militarista: Blair e Schroder (ha dimenticato D’Alema, si parva licet componere magnis). Costoro hanno usato il mandato elettorale per portare a fondo l’attacco neoliberista contro il salario, contro le condizioni di vita dei lavoratori. Blair inoltre si è distinto come principale sostenitore della politica criminale di guerra del governo Bush. E D’Alema ha violato l’articolo 11 della Costituzione repubblicana, quando era presidente del Consiglio. D’Alema come Blair ha sulla coscienza migliaia di morti, anche se il cinismo permette forse ad entrambi di dormire sonni tranquilli. Centosessanta militari italiani sono morti e molti moriranno per malattie conseguenti all’uso di uranio impoverito nei bombardamenti che il criminale D’Alema ha ordinato sulle popolazioni serbe nel 1999 (e quanto serbi ha ucciso D’Alema?).
NOBEL PRIZE WINNERS TOUR
“and remember NEVER rest on your laurels!”

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