di Vincenzo Comito. Fonte: sbilanciamoci
È sempre più difficile salvare la moneta europea dai pericoli delle prossime settimane. Gli aiuti esterni richiesti ai paesi del Bric non potranno mai sostituire la volontà della Germania
“…la risposta alla crisi non è meno Europa, ma più Europa…” Angela Merkel. “…troppo poco, troppo tardi…” Martin Wolf. “…la crisi sta correndo troppo velocemente…” Wolfgang Munchau.
Premessa
Molte persone, in Italia, in Europa e nel mondo, hanno certamente tirato un gran sospiro di sollievo per la caduta del governo Berlusconi. Peraltro, la reazione positiva dei mercati finanziari a tale avvenimento e all’arrivo del governo Monti – che ha, da una parte, collocato di nuovo l’Italia in una posizione dignitosa nel consesso politico europeo, ma dall’altra si è presentato al paese con un programma di governo francamente molto discutibile – è durata molto poco, al contrario di come ci si poteva forse attendere. Il fatto è che sull’euro si sono addensate nel frattempo nuove, pesanti nubi, tanto che si può ragionevolmente pensare, come fa ad esempio un autorevole commentatore di “The Financial Times” (Munchau, 2011), che siamo molto vicini (potrebbe essere ormai una questione di settimane) al crollo della moneta unica. Sostanzialmente sulla stessa linea hanno rilasciato dichiarazioni nei giorni scorsi J. Attali (Mattioli, 2011) e P. Krugman.
I sintomi del possibile imminente collasso, che speriamo possa essere comunque in qualche modo scongiurato, non mancano.
Ricordiamo, a questo proposito, che il mercato dei titoli di stato dei paesi della zona euro – tranne il caso della Germania – è già virtualmente bloccato e ormai soltanto la Bce continua a comprarli (sino a quando?); intanto l’associazione delle banche europee ha suggerito agli istituti aderenti di vendere tutti i titoli pubblici dei paesi del Sud Europa detenuti in portafoglio; questo sia pure tra le proteste delle banche italiane per una decisione che appare in effetti inaudita.
Dietro questi mutamenti si profilano sviluppi rilevanti e recenti degli avvenimenti: da una parte l’attacco in atto della speculazione internazionale anche verso paesi come la Francia, l’Austria, la Finlandia e il rinnovo degli assalti alla Spagna, dall’altra anche la reazione dei mercati finanziari ad alcune sciagurate decisioni prese al summit dell’eurozona qualche settimana fa.
La crisi francese
Lo spread di rendimenti richiesti dal mercato per i titoli di stato francesi a lungo termine ha raggiunto ormai giovedì 17 novembre il livello di oltre duecento punti sui bund tedeschi; siamo ormai alla situazione in cui si trovava l’Italia appena pochi mesi fa e arrestare la macchina della speculazione sembra ormai molto difficile.
Dietro questi movimenti dei tassi di interesse non mancano in astratto delle ragioni, sia a livello di economia reale che finanziaria.
Un centro di studi europeo, il Consiglio di Lisbona, in occasione della pubblicazione di un barometro economico intitolato Euro Plus Monitor, ha messo in questione il mantenimento del rating di tripla A della Francia; secondo tale studio (“Le Monde”, 2011, a), che prende in considerazione criteri di analisi quali la crescita, la competitività e la sostenibilità del debito dei vari paesi dell’euro, i risultati pongono la Francia al 13° posto, giusto tra la Spagna e l’Italia, sui 17 stati dell’euro presi in considerazione.
Il presidente Sarkozy e il suo governo (come ci ricorda ad esempio Carnegy, 2011) negli ultimi tre mesi hanno dovuto introdurre per ben due volte delle misure budgetarie di emergenza a fronte di una crescita economica in prospettiva anemica ed appare abbastanza chiaro che altre ne dovranno presto seguire: così, a livello di metodo, sembra che il duo Berlusconi-Tremonti abbia fatto scuola.
È vero che quest’anno il pil francese dovrebbe crescere dell’1,6-1,7%, livelli per noi stratosferici, ma per il 2012 diversi esperti prevedono una recessione e lo stesso pil potrebbe diminuire dello 0,6%. Si è, d’altro canto,innescato il ben noto circolo vizioso di austerità, recessione, deficit. I mercati percepiscono bene tale dinamica e tendono ad agire di conseguenza.
Sul fronte strettamente finanziario gli stessi mercati sono poi soprattutto impauriti dalla presenza nel portafoglio delle principali banche francesi di titoli greci e italiani in abbondanza. E così accade che qualche settimana fa un’agenzia di rating ha minacciato di togliere la tripla A alla Francia, decisione che sembra ormai pronta nei cassetti delle stesse agenzie, che la tireranno probabilmente fuori al momento più opportuno per assecondare una qualche nuova ondata speculativa.
Le conseguenze di tale eventuale decisione potrebbero essere drammatiche.
Le difficoltà sul fronte dell’economia reale e su quello finanziario del paese transalpino, del resto strettamente intrecciate tra di loro, sono in effetti una manna per gli speculatori internazionali, il cui obiettivo di fondo da molto tempo è quello di far andare a pezzi l’euro, risultato che appare ormai vicino.
I crescenti problemi francesi mettono ovviamente in dubbio il mantenimento di un asse egemonico franco-tedesco sull’euro e sull’Europa, già peraltro da tempo, almeno in parte, in discussione. L’Europa sarà plausibilmente tedesca o non sarà.
Il summit di eurolandia
L’altro evento rilevante che sta contribuendo a fare forse precipitare la situazione è costituito da alcune decisioni prese nell’ultimo incontro dei paesi dell’eurozona, in particolare quella che riguarda l’ampliamento della dotazione del fondo salva-stati sino a 1.000 miliardi di euro e l’altra che fa riferimento all’haircut “volontario” del 50% per quanto riguarda il valore dei titoli pubblici greci detenuti dalle istituzioni finanziarie.
In relazione al primo tema bisogna sottolineare che l’allargamento del fondo salva-stati dovrebbe essere fatto, secondo i desiderata di Bruxelles, ricorrendo a dei prestiti. Questa indicazione è stata subito interpretata dai mercati in maniera molto negativa, sottintendendo che gli stessi stati dell’eurozona non avevano alcuna voglia o possibilità “politica” di metterli loro stessi.
Una variante sul tema è stata poi costituita dalla manifestata e bizzarra idea – chissà chi l’ha pensata per primo – delle autorità di Eurolandia di chiedere alla Cina ed eventualmente agli altri paesi del gruppo dei Bric di partecipare al salvataggio attraverso prestiti al fondo salva stati ed eventuali altre modalità. Senza entrare nel merito tecnico della questione, vogliamo soltanto ricordare che non esiste in realtà un problema di mancanza di risorse finanziarie in Europa e che quindi non c’è in alcun modo la necessità di ricorrere all’esterno, come già sottolineato da autorevoli commentatori. I soldi sono potenzialmente disponibili ed in abbondanza; il punto è che i loro proprietari non hanno voglia di investirli, in relazione alla loro scarsa fiducia nella situazione e nelle prospettive dei paesi dell’eurozona.
Per quale motivo la Cina dovrebbe averne di più? Il paese asiatico sarebbe, per altro verso, ben lieto di intervenire più di quanto stia già facendo, ma le contropartite economiche e politiche che esso richiederebbe sarebbero certamente vistose.
Anche per quanto riguarda l’altra misura prevista al vertice di Bruxelles, il taglio del 50% sui titoli pubblici greci, i mercati hanno interpretato la mossa nel senso di pensare che sia ormai caduto un tabù e che si sia costituito un pericoloso precedente; così, dopo il taglio dei titoli greci, potrà arrivare anche quello dei titoli portoghesi, spagnoli, irlandesi, italiani e così via.
Cosa potrà accadere
Le tendenze sopra descritte, se non fermate in tempo, potrebbero portare entro breve termine, come già indicato, al collasso del sistema dell’euro.
Quali sono le possibili vie d’uscita da una situazione altrimenti molto pesante?
Come scrive ad esempio M. Pianta (Pianta, 2011), sul piano “tecnico” non mancano in astratto gli strumenti per contrastare tale deriva. Più in generale le possibili mosse indicate dall’autore sono tre: il primo è quello che l’Europa garantisca collettivamente il debito pubblico dei paesi dell’area euro, il secondo è una ristrutturazione concordata dello stesso debito, il terzo è l’insolvenza generale degli stati debitori.
Forse la linea più praticabile è una via di mezzo tra la prima e la seconda alternativa, quella cioè che l’Europa arrivi a garantire il debito dei paesi in difficoltà previo un haircut del valore degli stessi titoli, haircut più o meno variabile come percentuale a seconda della situazione specifica degli stessi paesi.
Gli strumenti adeguati per operare con successo e allontanare gli avvoltoi della speculazione non mancherebbero, da quello di un intervento di acquisto largo e sistematico di titoli da parte della Bce, che dovrebbe diventare più in generale un lender di last resort come nel caso di tutti gli stati sovrani, a un’estensione delle dimensioni e del raggio di azione del fondo salva stati, all’emissione di eurobond, con una miscela più o meno variabile dei tre strumenti indicati.
Ma il problema che rende tutto difficile è quello che, in realtà, le soluzioni tecniche intraviste non sono indolori, che tali strumenti possono essere attivati soltanto con l’assenso politico dei paesi del Nord Europa e in particolare della Germania e che alla fine la cosa può funzionare, al punto in cui si è giunti, soltanto con l’avvio dell’unificazione politica del continente o, almeno, dei paesi della zona euro, come ci ricorda di nuovo, tra l’altro, Munchau (Munchau, 2011).
Esaminiamo soltanto alcuni aspetti del problema: ad esempio, attivare gli eurobond significherebbe per la Germania pagare ogni anno una somma extra a titolo di interessi sui suoi titoli pubblici pari a 20-30 miliardi di euro in più. E come dar torto agli stessi tedeschi quando affermano che permettere alla Bce e al fondo salva stati di intervenire in misura illimitata sul mercato dei titoli pubblici dei paesi del Sud-Europa significherebbe dare di nuovo a dei paesi che si sono dimostrati in passato irresponsabili, come la Grecia e l’Italia, la possibilità di rimettersi a spendere a volontà? E questo ovviamente in assenza di un coordinamento stretto dei conti dei vari paesi da parte di Bruxelles?
Comunque, tutto sommato, sembra che i gruppi dirigenti del paese si vadano convincendo poco a poco che, facendo il conto del dare e dell’avere, conviene ancora per loro intervenire per salvare l’euro e che si rendano conto che per farlo l’unica via appare quello dell’avvio della progressiva unificazione non solo dei bilanci pubblici, ma più in generale dei sistemi politici del continente.
In questo senso, è opinabile quanto sostiene Travaglini (Travaglini, 2011). Non appare più necessario, secondo me, spiegare alle élite tedesche che l’euro è un affare per il loro paese; il problema è semmai quello di far acquisire tale consapevolezza a tutto il paese, lavoro peraltro di lunga lena.
Un segnale in qualche modo incoraggiante è venuto nei giorni scorsi dal congresso della Cdu, il partito della Merkel e dalle stesse parole della leader tedesca in tale occasione. La Cancelliera vorrebbe una revisione rapida dei trattati di Lisbona e si dichiara pronta a fare dei passi concreti, ma ahimè limitati, sul fronte del processo di integrazione europea, quali l’elezione diretta a suffragio universale del presidente dell’Unione (“Le Monde”, 2011, b). Troppo poco, troppo tardi, come si chiede M. Wolf (Wolf, 2011)?
La crisi incalza in tempi molto più rapidi di quelli della politica tedesca e la maturazione di tutto il paese a favore delle soluzioni indicate potrebbe richiedere, come già accennato, ancora parecchio tempo.
Peraltro bisogna ricordare, come fa ad esempio, tra gli altri, ancora Pianta, che sino ad oggi il deficit di democrazia dell’intero processo a livello dell’euro è negli ultimi anni diventato drammatico e che bisogna necessariamente porvi rimedio. Inoltre, in intervento di salvataggio dei paesi del Sud Europa va accompagnato anche da un grande piano di sviluppo per tale area, che miri nel lungo termine ad annullare od almeno a ridurre in maniera significativa il suo attuale e rilevante deficit di competitività.
Speriamo che si faccia in tempo e bene.
Testi citati nell’articolo
Carnegy H., France struggles as growth flags, www.ft.com, 14 novembre 2011
Le Monde, La pression monte sur la triple A de la France, www.lemonde.fr,15 novembre 2011, a
Le Monde, L’Allemagne pousse pour une modification des traités de l’UE, www.lemonde.fr, 13 novembre 2011, b
Mattioli A., Jacques Attali: l’unica via di uscita è attivare il controllo europeo sui conti pubblici, La Stampa, 20 novembre 2011
Munchau W., The only way to save eurozone from collapse, www.ft.com, 13 novembre 2011
Pianta M., Correzione di rotta. Finanza, economia e democrazia in Europa, www.sbilanciamoci.info, 17 novembre 2011
Travaglini G., Spiegare ai tedeschi che l’euro è un loro affare, www.sbilanciamoci.info, 12 novembre 2011
Wolf M., Europe must not allow Rome to burn,, 15 novembre 2011 www.ft.com
È sempre più difficile salvare la moneta europea dai pericoli delle prossime settimane. Gli aiuti esterni richiesti ai paesi del Bric non potranno mai sostituire la volontà della Germania
“…la risposta alla crisi non è meno Europa, ma più Europa…” Angela Merkel. “…troppo poco, troppo tardi…” Martin Wolf. “…la crisi sta correndo troppo velocemente…” Wolfgang Munchau.
Premessa
Molte persone, in Italia, in Europa e nel mondo, hanno certamente tirato un gran sospiro di sollievo per la caduta del governo Berlusconi. Peraltro, la reazione positiva dei mercati finanziari a tale avvenimento e all’arrivo del governo Monti – che ha, da una parte, collocato di nuovo l’Italia in una posizione dignitosa nel consesso politico europeo, ma dall’altra si è presentato al paese con un programma di governo francamente molto discutibile – è durata molto poco, al contrario di come ci si poteva forse attendere. Il fatto è che sull’euro si sono addensate nel frattempo nuove, pesanti nubi, tanto che si può ragionevolmente pensare, come fa ad esempio un autorevole commentatore di “The Financial Times” (Munchau, 2011), che siamo molto vicini (potrebbe essere ormai una questione di settimane) al crollo della moneta unica. Sostanzialmente sulla stessa linea hanno rilasciato dichiarazioni nei giorni scorsi J. Attali (Mattioli, 2011) e P. Krugman.
I sintomi del possibile imminente collasso, che speriamo possa essere comunque in qualche modo scongiurato, non mancano.
Ricordiamo, a questo proposito, che il mercato dei titoli di stato dei paesi della zona euro – tranne il caso della Germania – è già virtualmente bloccato e ormai soltanto la Bce continua a comprarli (sino a quando?); intanto l’associazione delle banche europee ha suggerito agli istituti aderenti di vendere tutti i titoli pubblici dei paesi del Sud Europa detenuti in portafoglio; questo sia pure tra le proteste delle banche italiane per una decisione che appare in effetti inaudita.
Dietro questi mutamenti si profilano sviluppi rilevanti e recenti degli avvenimenti: da una parte l’attacco in atto della speculazione internazionale anche verso paesi come la Francia, l’Austria, la Finlandia e il rinnovo degli assalti alla Spagna, dall’altra anche la reazione dei mercati finanziari ad alcune sciagurate decisioni prese al summit dell’eurozona qualche settimana fa.
La crisi francese
Lo spread di rendimenti richiesti dal mercato per i titoli di stato francesi a lungo termine ha raggiunto ormai giovedì 17 novembre il livello di oltre duecento punti sui bund tedeschi; siamo ormai alla situazione in cui si trovava l’Italia appena pochi mesi fa e arrestare la macchina della speculazione sembra ormai molto difficile.
Dietro questi movimenti dei tassi di interesse non mancano in astratto delle ragioni, sia a livello di economia reale che finanziaria.
Un centro di studi europeo, il Consiglio di Lisbona, in occasione della pubblicazione di un barometro economico intitolato Euro Plus Monitor, ha messo in questione il mantenimento del rating di tripla A della Francia; secondo tale studio (“Le Monde”, 2011, a), che prende in considerazione criteri di analisi quali la crescita, la competitività e la sostenibilità del debito dei vari paesi dell’euro, i risultati pongono la Francia al 13° posto, giusto tra la Spagna e l’Italia, sui 17 stati dell’euro presi in considerazione.
Il presidente Sarkozy e il suo governo (come ci ricorda ad esempio Carnegy, 2011) negli ultimi tre mesi hanno dovuto introdurre per ben due volte delle misure budgetarie di emergenza a fronte di una crescita economica in prospettiva anemica ed appare abbastanza chiaro che altre ne dovranno presto seguire: così, a livello di metodo, sembra che il duo Berlusconi-Tremonti abbia fatto scuola.
È vero che quest’anno il pil francese dovrebbe crescere dell’1,6-1,7%, livelli per noi stratosferici, ma per il 2012 diversi esperti prevedono una recessione e lo stesso pil potrebbe diminuire dello 0,6%. Si è, d’altro canto,innescato il ben noto circolo vizioso di austerità, recessione, deficit. I mercati percepiscono bene tale dinamica e tendono ad agire di conseguenza.
Sul fronte strettamente finanziario gli stessi mercati sono poi soprattutto impauriti dalla presenza nel portafoglio delle principali banche francesi di titoli greci e italiani in abbondanza. E così accade che qualche settimana fa un’agenzia di rating ha minacciato di togliere la tripla A alla Francia, decisione che sembra ormai pronta nei cassetti delle stesse agenzie, che la tireranno probabilmente fuori al momento più opportuno per assecondare una qualche nuova ondata speculativa.
Le conseguenze di tale eventuale decisione potrebbero essere drammatiche.
Le difficoltà sul fronte dell’economia reale e su quello finanziario del paese transalpino, del resto strettamente intrecciate tra di loro, sono in effetti una manna per gli speculatori internazionali, il cui obiettivo di fondo da molto tempo è quello di far andare a pezzi l’euro, risultato che appare ormai vicino.
I crescenti problemi francesi mettono ovviamente in dubbio il mantenimento di un asse egemonico franco-tedesco sull’euro e sull’Europa, già peraltro da tempo, almeno in parte, in discussione. L’Europa sarà plausibilmente tedesca o non sarà.
Il summit di eurolandia
L’altro evento rilevante che sta contribuendo a fare forse precipitare la situazione è costituito da alcune decisioni prese nell’ultimo incontro dei paesi dell’eurozona, in particolare quella che riguarda l’ampliamento della dotazione del fondo salva-stati sino a 1.000 miliardi di euro e l’altra che fa riferimento all’haircut “volontario” del 50% per quanto riguarda il valore dei titoli pubblici greci detenuti dalle istituzioni finanziarie.
In relazione al primo tema bisogna sottolineare che l’allargamento del fondo salva-stati dovrebbe essere fatto, secondo i desiderata di Bruxelles, ricorrendo a dei prestiti. Questa indicazione è stata subito interpretata dai mercati in maniera molto negativa, sottintendendo che gli stessi stati dell’eurozona non avevano alcuna voglia o possibilità “politica” di metterli loro stessi.
Una variante sul tema è stata poi costituita dalla manifestata e bizzarra idea – chissà chi l’ha pensata per primo – delle autorità di Eurolandia di chiedere alla Cina ed eventualmente agli altri paesi del gruppo dei Bric di partecipare al salvataggio attraverso prestiti al fondo salva stati ed eventuali altre modalità. Senza entrare nel merito tecnico della questione, vogliamo soltanto ricordare che non esiste in realtà un problema di mancanza di risorse finanziarie in Europa e che quindi non c’è in alcun modo la necessità di ricorrere all’esterno, come già sottolineato da autorevoli commentatori. I soldi sono potenzialmente disponibili ed in abbondanza; il punto è che i loro proprietari non hanno voglia di investirli, in relazione alla loro scarsa fiducia nella situazione e nelle prospettive dei paesi dell’eurozona.
Per quale motivo la Cina dovrebbe averne di più? Il paese asiatico sarebbe, per altro verso, ben lieto di intervenire più di quanto stia già facendo, ma le contropartite economiche e politiche che esso richiederebbe sarebbero certamente vistose.
Anche per quanto riguarda l’altra misura prevista al vertice di Bruxelles, il taglio del 50% sui titoli pubblici greci, i mercati hanno interpretato la mossa nel senso di pensare che sia ormai caduto un tabù e che si sia costituito un pericoloso precedente; così, dopo il taglio dei titoli greci, potrà arrivare anche quello dei titoli portoghesi, spagnoli, irlandesi, italiani e così via.
Cosa potrà accadere
Le tendenze sopra descritte, se non fermate in tempo, potrebbero portare entro breve termine, come già indicato, al collasso del sistema dell’euro.
Quali sono le possibili vie d’uscita da una situazione altrimenti molto pesante?
Come scrive ad esempio M. Pianta (Pianta, 2011), sul piano “tecnico” non mancano in astratto gli strumenti per contrastare tale deriva. Più in generale le possibili mosse indicate dall’autore sono tre: il primo è quello che l’Europa garantisca collettivamente il debito pubblico dei paesi dell’area euro, il secondo è una ristrutturazione concordata dello stesso debito, il terzo è l’insolvenza generale degli stati debitori.
Forse la linea più praticabile è una via di mezzo tra la prima e la seconda alternativa, quella cioè che l’Europa arrivi a garantire il debito dei paesi in difficoltà previo un haircut del valore degli stessi titoli, haircut più o meno variabile come percentuale a seconda della situazione specifica degli stessi paesi.
Gli strumenti adeguati per operare con successo e allontanare gli avvoltoi della speculazione non mancherebbero, da quello di un intervento di acquisto largo e sistematico di titoli da parte della Bce, che dovrebbe diventare più in generale un lender di last resort come nel caso di tutti gli stati sovrani, a un’estensione delle dimensioni e del raggio di azione del fondo salva stati, all’emissione di eurobond, con una miscela più o meno variabile dei tre strumenti indicati.
Ma il problema che rende tutto difficile è quello che, in realtà, le soluzioni tecniche intraviste non sono indolori, che tali strumenti possono essere attivati soltanto con l’assenso politico dei paesi del Nord Europa e in particolare della Germania e che alla fine la cosa può funzionare, al punto in cui si è giunti, soltanto con l’avvio dell’unificazione politica del continente o, almeno, dei paesi della zona euro, come ci ricorda di nuovo, tra l’altro, Munchau (Munchau, 2011).
Esaminiamo soltanto alcuni aspetti del problema: ad esempio, attivare gli eurobond significherebbe per la Germania pagare ogni anno una somma extra a titolo di interessi sui suoi titoli pubblici pari a 20-30 miliardi di euro in più. E come dar torto agli stessi tedeschi quando affermano che permettere alla Bce e al fondo salva stati di intervenire in misura illimitata sul mercato dei titoli pubblici dei paesi del Sud-Europa significherebbe dare di nuovo a dei paesi che si sono dimostrati in passato irresponsabili, come la Grecia e l’Italia, la possibilità di rimettersi a spendere a volontà? E questo ovviamente in assenza di un coordinamento stretto dei conti dei vari paesi da parte di Bruxelles?
Comunque, tutto sommato, sembra che i gruppi dirigenti del paese si vadano convincendo poco a poco che, facendo il conto del dare e dell’avere, conviene ancora per loro intervenire per salvare l’euro e che si rendano conto che per farlo l’unica via appare quello dell’avvio della progressiva unificazione non solo dei bilanci pubblici, ma più in generale dei sistemi politici del continente.
In questo senso, è opinabile quanto sostiene Travaglini (Travaglini, 2011). Non appare più necessario, secondo me, spiegare alle élite tedesche che l’euro è un affare per il loro paese; il problema è semmai quello di far acquisire tale consapevolezza a tutto il paese, lavoro peraltro di lunga lena.
Un segnale in qualche modo incoraggiante è venuto nei giorni scorsi dal congresso della Cdu, il partito della Merkel e dalle stesse parole della leader tedesca in tale occasione. La Cancelliera vorrebbe una revisione rapida dei trattati di Lisbona e si dichiara pronta a fare dei passi concreti, ma ahimè limitati, sul fronte del processo di integrazione europea, quali l’elezione diretta a suffragio universale del presidente dell’Unione (“Le Monde”, 2011, b). Troppo poco, troppo tardi, come si chiede M. Wolf (Wolf, 2011)?
La crisi incalza in tempi molto più rapidi di quelli della politica tedesca e la maturazione di tutto il paese a favore delle soluzioni indicate potrebbe richiedere, come già accennato, ancora parecchio tempo.
Peraltro bisogna ricordare, come fa ad esempio, tra gli altri, ancora Pianta, che sino ad oggi il deficit di democrazia dell’intero processo a livello dell’euro è negli ultimi anni diventato drammatico e che bisogna necessariamente porvi rimedio. Inoltre, in intervento di salvataggio dei paesi del Sud Europa va accompagnato anche da un grande piano di sviluppo per tale area, che miri nel lungo termine ad annullare od almeno a ridurre in maniera significativa il suo attuale e rilevante deficit di competitività.
Speriamo che si faccia in tempo e bene.
Testi citati nell’articolo
Carnegy H., France struggles as growth flags, www.ft.com, 14 novembre 2011
Le Monde, La pression monte sur la triple A de la France, www.lemonde.fr,15 novembre 2011, a
Le Monde, L’Allemagne pousse pour une modification des traités de l’UE, www.lemonde.fr, 13 novembre 2011, b
Mattioli A., Jacques Attali: l’unica via di uscita è attivare il controllo europeo sui conti pubblici, La Stampa, 20 novembre 2011
Munchau W., The only way to save eurozone from collapse, www.ft.com, 13 novembre 2011
Pianta M., Correzione di rotta. Finanza, economia e democrazia in Europa, www.sbilanciamoci.info, 17 novembre 2011
Travaglini G., Spiegare ai tedeschi che l’euro è un loro affare, www.sbilanciamoci.info, 12 novembre 2011
Wolf M., Europe must not allow Rome to burn,, 15 novembre 2011 www.ft.com
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