Syriza: un congresso importante!
23 luglio, 2013
Poco più di una settimana fa si è svolto il congresso di Syriza, la formazione della sinistra radicale che con la leadership di Alexis Tsipras si è confermata alle ultime elezioni come il secondo partito greco. Oggi è la principale forza di opposizione al governo composto dai conservatori di Nuova Democrazia e dai socialisti del Pasok. Ma il blocco di potere che sta applicando le politiche di austerità della troika si sta assottigliando. La candidatura di Syriza a governare la Grecia rimane una questione all’ordine del giorno.
Quello che si è da poco concluso non è stato un congresso qualsiasi. Si è trattato di un vero e proprio atto fondativo che ha sancito la nascita di Syriza come partito. Finora la coalizione della sinistra radicale greca era un rassemblement di partiti e sigle di diverso orientamento, tenuti assieme da una piattaforma comune ma con orientamenti ideologici diversi, dall’anticapitalismo al trozkismo, dal comunismo al socialismo, dal femminismo all’ambientalismo, fino al maoismo. Sono – o sarebbe meglio dire, erano – tredici componenti, sigla più, sigla meno. Le più importanti, oltre al Synaspimos da cui proviene lo stesso Tsipras, sono la Sinistra ecologista innovatrice e comunista (Akoa) ispirata all’eurocomunismo e al socialismo democratico, poi il gruppo di Cittadini Attivi di Manolis Glezos, l’uomo simbolo della resistenza ellenica contro l’occupazione tedesca, che spinge per l’unità di tutta la sinistra greca; seguono gli Indipendenti di sinistra che non fanno parte di nessuna componente e i trotzkisti di Dea (Sinistra dei lavoratori internazionalisti) e Kokkino (Rosso). Vanno aggiunti anche i comunisti del Movimento per l’unità d’azione della sinistra (Keda), il gruppo di sinistra radicale Roza, i Radicali – una formazione a metà tra patriottismo e socialismo democratico – , gli ecosocialisti, il Movimento democratico sociale di orientamento nazionalistico ed euroscettico e, infine, l’altra sigla trotzkista Organizzazione socialista internazionalista.
Quello che si è da poco concluso non è stato un congresso qualsiasi. Si è trattato di un vero e proprio atto fondativo che ha sancito la nascita di Syriza come partito. Finora la coalizione della sinistra radicale greca era un rassemblement di partiti e sigle di diverso orientamento, tenuti assieme da una piattaforma comune ma con orientamenti ideologici diversi, dall’anticapitalismo al trozkismo, dal comunismo al socialismo, dal femminismo all’ambientalismo, fino al maoismo. Sono – o sarebbe meglio dire, erano – tredici componenti, sigla più, sigla meno. Le più importanti, oltre al Synaspimos da cui proviene lo stesso Tsipras, sono la Sinistra ecologista innovatrice e comunista (Akoa) ispirata all’eurocomunismo e al socialismo democratico, poi il gruppo di Cittadini Attivi di Manolis Glezos, l’uomo simbolo della resistenza ellenica contro l’occupazione tedesca, che spinge per l’unità di tutta la sinistra greca; seguono gli Indipendenti di sinistra che non fanno parte di nessuna componente e i trotzkisti di Dea (Sinistra dei lavoratori internazionalisti) e Kokkino (Rosso). Vanno aggiunti anche i comunisti del Movimento per l’unità d’azione della sinistra (Keda), il gruppo di sinistra radicale Roza, i Radicali – una formazione a metà tra patriottismo e socialismo democratico – , gli ecosocialisti, il Movimento democratico sociale di orientamento nazionalistico ed euroscettico e, infine, l’altra sigla trotzkista Organizzazione socialista internazionalista.
Tsipras ha proposto al congresso di unire in un solo partito le numerose forze che costituivano il cartello elettorale di Syriza e rendere la sinistra radicale greca in grado di contendere il governo ai conservatori di Samaras. La proposta è passata a maggioranza anche se la decisione di sciogliere le componenti non ha trovato tutte le anime concordi. La minoranza che comprende la corrente di sinistra del Synaspimos, i tre gruppi trotzkisti Kokkino, Dea e Apo (raccolte nella Rete rossa), i socialisti del Dikki (fuoriusciti dal Pasok) si è raccolta nella “Piattaforma di sinistra”. Al congresso ha ottenuto il 32,5 per cento dei voti dei delegati. La critica alla linea del partito unico consiste principalmente nel timore che finisca per marginalizzare il dissenso interno e accrescere il ruolo di leader di Tsipras. Secondo la minoranza il risultato del congresso avrebbe sancito il passaggio a «un partito elettoralista dalla vita interna atrofizzata», implicando la rottura «con aspetti decisivi della cultura politica e organizzativa della sinistra radicale» – come ha sostenuto Stathis Kouvelakis, del comitato centrale di Syriza (http://sinistracritica.org/2013/07/20/la-svolta-moderata-di-syriza/).
Dall’altra parte, quello che alla minoranza è apparsa irrimediabilmente come un’involuzione moderata di Syriza verso un «partito di governo» e «presidenzialista», è stata la risposta organizzativa alle esigenze di una formazione politica cresciuta nel giro di brevissimo tempo dal 4 per cento al 26 per cento delle ultime elezioni. Syriza si trova oggi a essere non più una costellazione di minuscole sigle, ma una forza popolare di massa che continua a ricevere adesioni e che ha davanti a sé il non facile compito di conquistare la maggioranza della società greca. Il congresso ha segnato una nuova fase nel dibattito interno, dedicato soprattutto alla forma organizzativa da adottare. La linea passata a maggioranza con oltre il 67 per cento dei delegati ha sancito che quello del partito unico sia oggi lo strumento più adeguato per i compiti che la sinistra radicale si pone. In realtà, la storia di Syriza dimostra una duttilità organizzativa: quando – come in passato – la divergenza ideologica delle sue componenti prevaleva sull’unità, la scelta è caduta sulla forma della «coalizione»; oggi, quando è in gioco l’egemonia nella politica nazionale e sono stati compiuti molti passi verso l’unità, si è scelta la forma del partito unico.
Del resto, non è che i rapporti all’interno di Syriza siano sempre stati idilliaci. Tutt’altro. Gli inizi furono, a dir poco, burrascosi. Nel 2004, alla prima prova elettorale, la formazione della sinistra radicale greca non andò ai là di un 3,3 per cento. Un risultato modesto che però consentì alla neonata formazione di eleggere in parlamento sei deputati. Ma contrariamente agli accordi tra i partiti della coalizione, tutti e sei i parlamentari provenivano dal Synaspimos, il partito maggiore. Da quel momento le tensioni interne salgono e, appena tre mesi dopo, alle elezioni europee, il Synaspimos decide di andare da solo. Al congresso del partito alla fine del 2004 si cambia di nuovo. La maggioranza decide di portare avanti la scelta di Syriza e nella carica di presidente, al posto di Nikos Konstantopoulos, viene eletto Alekos Alavanos, convinto sostenitore della linea della coalizione. La scelta paga e i risultati si vedono alle amministrative del 2006. I candidati di Syriza vanno bene, soprattutto ad Atene, dove a guidare la lista c’è un giovane. Si chiama Alexis Tsipras. E’ uno dei nuovi volti del Synaspimos che ha voluto Alavanos, «aperto alle nuove generazioni».
Ma il vero salto avviene l’anno successivo. I partiti della coalizione firmano una piattaforma comune. Syriza guadagna alle elezioni politiche 120 mila voti in più rispetto alle precedenti consultazioni e raggiunge il 5,04 per cento. Alevanos annuncia che non rinnoverà la propria candidatura alla carica di presidente e lascia il posto ad Alexis Tsipras, che ha solo 33 anni. In pochi anni, sotto la sua leadership, Syriza salirà nei sondaggi fino al 18 per cento. Ma all’inizio non sarà facile. Nel 2008 la coalizione si attesta al 4,7 per cento delle europee e al 4,6 delle parlamentari. L’exploit arriva nel 2012. La Grecia è in piena crisi finanziaria. Gli attacchi speculativi dei mercati fanno schizzare in alto gli interessi sui titoli di stato. Il debito pubblico lievita e in cambio degli aiuti il governo accetta il pacchetto di misure della troika, composta da Bce, Fmi e Ue. La Grecia diventa il laboratorio delle politiche europee dell’austerità. Nelle due tornate elettorali che si succedono a pochi mesi l’una dall’altra, Syriza diventa il secondo partito e ottiene prima il 16 per cento, poi addirittura il 26,89. Un risultato inimmaginabile se i partiti e le sigle che hanno dato vita a Syriza – a cominciare dal Synaspimos – non avessero perseguito fin dal 2004 l’obiettivo dell’unità di tutte le forze della sinistra di alternativa. Se ciascuna di esse fosse rimasta ancorata alle proprie posizioni di partenza – le più svariate e divergenti, dal maoismo al trotzkismo al socialismo democratico, per citarne alcune – non avrebbero mai accumulato quella massa critica che oggi consente di puntare al governo della Grecia. Fossero rimasti ciascuno nel proprio recinto, i soggetti che oggi militano in Syriza non avrebbero mai costruito una platea più ampia dalla quale parlare a tutta la società greca. Se, per ipotesi, il Synaspimos – all’epoca la sigla più importante della coalizione – non si fosse resa disponibile per un processo di ricomposizione delle forze della sinistra radicale, oggi non assisteremmo al miracolo di un partito che si candida alla guida del paese per mettere fine all’austerità, per rinegoziare il debito e cancellarne una parte, per bloccare la speculazione finanziaria e introdurre la patrimoniale, per redistribuire la ricchezza alle classi popolari e rilanciare l’occupazione. Tutto questo sarebbe stato, probabilmente, un bel programma, ma non un programma di governo.
Dall’altra parte, quello che alla minoranza è apparsa irrimediabilmente come un’involuzione moderata di Syriza verso un «partito di governo» e «presidenzialista», è stata la risposta organizzativa alle esigenze di una formazione politica cresciuta nel giro di brevissimo tempo dal 4 per cento al 26 per cento delle ultime elezioni. Syriza si trova oggi a essere non più una costellazione di minuscole sigle, ma una forza popolare di massa che continua a ricevere adesioni e che ha davanti a sé il non facile compito di conquistare la maggioranza della società greca. Il congresso ha segnato una nuova fase nel dibattito interno, dedicato soprattutto alla forma organizzativa da adottare. La linea passata a maggioranza con oltre il 67 per cento dei delegati ha sancito che quello del partito unico sia oggi lo strumento più adeguato per i compiti che la sinistra radicale si pone. In realtà, la storia di Syriza dimostra una duttilità organizzativa: quando – come in passato – la divergenza ideologica delle sue componenti prevaleva sull’unità, la scelta è caduta sulla forma della «coalizione»; oggi, quando è in gioco l’egemonia nella politica nazionale e sono stati compiuti molti passi verso l’unità, si è scelta la forma del partito unico.
Del resto, non è che i rapporti all’interno di Syriza siano sempre stati idilliaci. Tutt’altro. Gli inizi furono, a dir poco, burrascosi. Nel 2004, alla prima prova elettorale, la formazione della sinistra radicale greca non andò ai là di un 3,3 per cento. Un risultato modesto che però consentì alla neonata formazione di eleggere in parlamento sei deputati. Ma contrariamente agli accordi tra i partiti della coalizione, tutti e sei i parlamentari provenivano dal Synaspimos, il partito maggiore. Da quel momento le tensioni interne salgono e, appena tre mesi dopo, alle elezioni europee, il Synaspimos decide di andare da solo. Al congresso del partito alla fine del 2004 si cambia di nuovo. La maggioranza decide di portare avanti la scelta di Syriza e nella carica di presidente, al posto di Nikos Konstantopoulos, viene eletto Alekos Alavanos, convinto sostenitore della linea della coalizione. La scelta paga e i risultati si vedono alle amministrative del 2006. I candidati di Syriza vanno bene, soprattutto ad Atene, dove a guidare la lista c’è un giovane. Si chiama Alexis Tsipras. E’ uno dei nuovi volti del Synaspimos che ha voluto Alavanos, «aperto alle nuove generazioni».
Ma il vero salto avviene l’anno successivo. I partiti della coalizione firmano una piattaforma comune. Syriza guadagna alle elezioni politiche 120 mila voti in più rispetto alle precedenti consultazioni e raggiunge il 5,04 per cento. Alevanos annuncia che non rinnoverà la propria candidatura alla carica di presidente e lascia il posto ad Alexis Tsipras, che ha solo 33 anni. In pochi anni, sotto la sua leadership, Syriza salirà nei sondaggi fino al 18 per cento. Ma all’inizio non sarà facile. Nel 2008 la coalizione si attesta al 4,7 per cento delle europee e al 4,6 delle parlamentari. L’exploit arriva nel 2012. La Grecia è in piena crisi finanziaria. Gli attacchi speculativi dei mercati fanno schizzare in alto gli interessi sui titoli di stato. Il debito pubblico lievita e in cambio degli aiuti il governo accetta il pacchetto di misure della troika, composta da Bce, Fmi e Ue. La Grecia diventa il laboratorio delle politiche europee dell’austerità. Nelle due tornate elettorali che si succedono a pochi mesi l’una dall’altra, Syriza diventa il secondo partito e ottiene prima il 16 per cento, poi addirittura il 26,89. Un risultato inimmaginabile se i partiti e le sigle che hanno dato vita a Syriza – a cominciare dal Synaspimos – non avessero perseguito fin dal 2004 l’obiettivo dell’unità di tutte le forze della sinistra di alternativa. Se ciascuna di esse fosse rimasta ancorata alle proprie posizioni di partenza – le più svariate e divergenti, dal maoismo al trotzkismo al socialismo democratico, per citarne alcune – non avrebbero mai accumulato quella massa critica che oggi consente di puntare al governo della Grecia. Fossero rimasti ciascuno nel proprio recinto, i soggetti che oggi militano in Syriza non avrebbero mai costruito una platea più ampia dalla quale parlare a tutta la società greca. Se, per ipotesi, il Synaspimos – all’epoca la sigla più importante della coalizione – non si fosse resa disponibile per un processo di ricomposizione delle forze della sinistra radicale, oggi non assisteremmo al miracolo di un partito che si candida alla guida del paese per mettere fine all’austerità, per rinegoziare il debito e cancellarne una parte, per bloccare la speculazione finanziaria e introdurre la patrimoniale, per redistribuire la ricchezza alle classi popolari e rilanciare l’occupazione. Tutto questo sarebbe stato, probabilmente, un bel programma, ma non un programma di governo.
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