di stefano.galieni - controlacrisi
«Mio nonno era un taxista. Ha fatto questo mestiere dal 1939 al 1958, lavorava sotto padrone come tutti all’epoca. La sera tornava alla rimessa, lasciava l’incasso all’azienda, la “Citti e Piccini”, si prendeva una percentuale e tornava a casa. Mio nonno lottò insieme agli altri suoi colleghi per potersi autogestire il lavoro. Una battaglia fatta propria dal Pci dell’epoca. Ottennero una grande vittoria, una licenza individuale per guidare un taxi ad ognuno. Mio nonno non fece in tempo a prenderla, morì il giorno prima che glie la inviassero. Sui taxi all’epoca, c’erano spesso le bandiere rosse».
Vania Mancini è una taxista romana, una compagna da sempre impegnata anche nel sociale, soprattutto con i rom, a chiedergli delle ragioni della loro protesta diviene un fiume inarrestabile. Ha tanto da dire e tanto da spiegare. Quella che segue è una lunga intervista che permette di vedere le ragioni di una protesta con gli occhi di chi la sta portando avanti.
«Oggi abbiamo bloccato tutto e non ci fermeremo qui. Il decreto del governo mette in difficoltà il futuro delle famiglie. Il nostro è un lavoro da operaio, 9 ore al giorno senza tredicesima e quattordicesima. Nessuno ci rimborsa se stiamo in malattia, abbiamo le polizze assicurative più alte d’Italia, paghiamo la benzina come tutti ma ne consumiamo molta di più e non abbiamo alcun sostegno. Cosa che invece c’era negli anni Sessanta. Quando non siamo più in grado di lavorare ci ritroviamo con 600 euro di pensione. Il nostro Tfr è costituito dalla licenza, quella diventa la nostra liquidazione se non vale più niente siamo rovinati anche per il futuro. Mi domando perché la sinistra difenda solo le altre categorie. Noi siamo solo lavoratori».
Ma tu quanto guadagni al netto ogni mese?
«Ogni tassista guadagna diversamente. Se fai una corsa dall’aeroporto ci impieghi molto e hai la tariffa definita. Altrimenti dipende dai turni, dalla giornata. Non c’è niente di certo. Ma siamo sempre in giro e bastano due incidenti in un mese per rovinarti. Per noi i pezzi di ricambio e le riparazioni costano come per chiunque, dopo 3 anni una vettura è usurata e se si ferma non possiamo lavorare, quindi non guadagniamo. Aggiungi le spese per l’allestimento taxi e per mantenere l’autovettura pulita, che altrimenti rischiamo. Io sono in una cooperativa che è stata rovinata dalle manovre, debbo pagare fra contributi e assicurazione circa 1000 euro al mese. E non sono soldi che vanno alla cooperativa. La manutenzione dobbiamo farla al di fuori dall’orario di lavoro e anche quella è una fatica non retribuita. Il Comune non interviene neanche per contrastare l’abusivismo. Senza contare di quando ci rompiamo noi…».
Che intendi?
«Che ci capita di avere incidenti, le strade sono diventate sempre peggiori, in Italia muoiono 19 persone al giorno. Aggiungi che non ci è riconosciuta alcuna malattia professionale, persino gli odontotecnici sono considerati a rischio ictus e noi fra schiena e stress. Niente. Diritti che non cerca di difendere nessuno»
Il governo dice che in città come Roma mancano i taxi e hanno tariffe troppo alte, aumentando le vetture dovrebbero anche diminuire i costi.
«Non è possibile fare tariffe fisse abbassate. Come fai se ci vogliono a volte 3 ore per arrivare dalla periferia al centro? Eppure chi viaggia con i propri mezzi lo sa! A volte i taxi non riescono letteralmente ad arrivare, non è che non ci sono o non sono sufficienti. Bisognerebbe aumentare le corsie preferenziali e ad esempio incentivare i clienti a prendere il taxi insieme. Invece ognuno pretende di andare da solo. Così si risparmierebbe di fatto sulle tariffe senza penalizzarci».
Cosa rifiutate del decreto?
«In questo momento di crisi è intanto sbagliato aumentare le licenze, sono già diminuiti i clienti. Altro errore è quello dell’autority che si sostituisce ai Comuni in un meccanismo assurdo. A Roma, per parlare della mia realtà ci sono 8000 licenze, se poi si toglie anche la territorialità finisce che chiunque può venire ad esercitare nei posti in cui ci sono più clienti. Prendi la licenza da un paesino e vieni a Roma. Così si crea la guerra fra poveri, si va verso una de regolarizzazione totale che farebbe calare anche la professionalità».
Che reazione avete trovato da parte dei clienti quando si parlava delle vostre mobilitazioni?
«Spesso, quando eravamo in fila in attesa abbiamo incontrato persone solidali che ci hanno visto mentre i vigili ci intimavano di sgomberare la strada in cui eravamo incolonnati. E poi noi cerchiamo di parlare, lo diciamo che se vogliono prezzi più bassi finiamo a fare un lavoro da schiavi. A meno che non ci vengano riconosciuti i diritti di un lavoratore dipendente, dalla malattia alle ferie, alle mensilità al tfr. Io ho raccontato di amici che hanno acceso un mutuo per comperarsi la licenza e che adesso sarebbero rovinati».
Nella vulgata però la vostra protesta è stata raccontata come la reazione di una lobby di destra?
«Guarda fra gli 8000 colleghi c’è di tutto e non ti credere che io non trovi frustrante sentirmi difesa da Alemanno. Io ho lavorato nel sociale, con altri colleghi e colleghe abbiamo lanciato il progetto “Un libro a bordo” portando nelle vetture libri, anche prodotti da noi che i clienti potevano leggere. Con noi ci sono artisti, c’è chi ha fatto mostre fotografiche. Insomma siamo lavoratori come gli altri, non capitalisti. Eppure sinistra e sindacati sono mancati. A volte la licenza si prende grazie ad una conoscenza ma facciamo un lavoro faticoso e rischioso – sono aumentate le rapine contro di noi – per portare 10 – 15 clienti al giorno senza conoscere né Pasqua né Natale. Eppure anche la sinistra ci ha considerato come i notai».
Secondo te per quale ragione contro di voi
«Fra le ipotesi che girano c’è quella secondo cui Cordero Di Montezemolo sia intenzionato a mettere in piedi una sua rete di taxi con lavoratori sottopagati. Si tornerebbe alle condizioni del dopoguerra, senza la guerra. Forse è questo che vogliono».
In conclusione però il Prc ha preso posizione in sostegno alla vostra mobilitazione, non tutti sono uguali.
«Lo scopro adesso e mi fa piacere. C’è bisogno della sinistra anche da noi».
«Mio nonno era un taxista. Ha fatto questo mestiere dal 1939 al 1958, lavorava sotto padrone come tutti all’epoca. La sera tornava alla rimessa, lasciava l’incasso all’azienda, la “Citti e Piccini”, si prendeva una percentuale e tornava a casa. Mio nonno lottò insieme agli altri suoi colleghi per potersi autogestire il lavoro. Una battaglia fatta propria dal Pci dell’epoca. Ottennero una grande vittoria, una licenza individuale per guidare un taxi ad ognuno. Mio nonno non fece in tempo a prenderla, morì il giorno prima che glie la inviassero. Sui taxi all’epoca, c’erano spesso le bandiere rosse».
Vania Mancini è una taxista romana, una compagna da sempre impegnata anche nel sociale, soprattutto con i rom, a chiedergli delle ragioni della loro protesta diviene un fiume inarrestabile. Ha tanto da dire e tanto da spiegare. Quella che segue è una lunga intervista che permette di vedere le ragioni di una protesta con gli occhi di chi la sta portando avanti.
«Oggi abbiamo bloccato tutto e non ci fermeremo qui. Il decreto del governo mette in difficoltà il futuro delle famiglie. Il nostro è un lavoro da operaio, 9 ore al giorno senza tredicesima e quattordicesima. Nessuno ci rimborsa se stiamo in malattia, abbiamo le polizze assicurative più alte d’Italia, paghiamo la benzina come tutti ma ne consumiamo molta di più e non abbiamo alcun sostegno. Cosa che invece c’era negli anni Sessanta. Quando non siamo più in grado di lavorare ci ritroviamo con 600 euro di pensione. Il nostro Tfr è costituito dalla licenza, quella diventa la nostra liquidazione se non vale più niente siamo rovinati anche per il futuro. Mi domando perché la sinistra difenda solo le altre categorie. Noi siamo solo lavoratori».
Ma tu quanto guadagni al netto ogni mese?
«Ogni tassista guadagna diversamente. Se fai una corsa dall’aeroporto ci impieghi molto e hai la tariffa definita. Altrimenti dipende dai turni, dalla giornata. Non c’è niente di certo. Ma siamo sempre in giro e bastano due incidenti in un mese per rovinarti. Per noi i pezzi di ricambio e le riparazioni costano come per chiunque, dopo 3 anni una vettura è usurata e se si ferma non possiamo lavorare, quindi non guadagniamo. Aggiungi le spese per l’allestimento taxi e per mantenere l’autovettura pulita, che altrimenti rischiamo. Io sono in una cooperativa che è stata rovinata dalle manovre, debbo pagare fra contributi e assicurazione circa 1000 euro al mese. E non sono soldi che vanno alla cooperativa. La manutenzione dobbiamo farla al di fuori dall’orario di lavoro e anche quella è una fatica non retribuita. Il Comune non interviene neanche per contrastare l’abusivismo. Senza contare di quando ci rompiamo noi…».
Che intendi?
«Che ci capita di avere incidenti, le strade sono diventate sempre peggiori, in Italia muoiono 19 persone al giorno. Aggiungi che non ci è riconosciuta alcuna malattia professionale, persino gli odontotecnici sono considerati a rischio ictus e noi fra schiena e stress. Niente. Diritti che non cerca di difendere nessuno»
Il governo dice che in città come Roma mancano i taxi e hanno tariffe troppo alte, aumentando le vetture dovrebbero anche diminuire i costi.
«Non è possibile fare tariffe fisse abbassate. Come fai se ci vogliono a volte 3 ore per arrivare dalla periferia al centro? Eppure chi viaggia con i propri mezzi lo sa! A volte i taxi non riescono letteralmente ad arrivare, non è che non ci sono o non sono sufficienti. Bisognerebbe aumentare le corsie preferenziali e ad esempio incentivare i clienti a prendere il taxi insieme. Invece ognuno pretende di andare da solo. Così si risparmierebbe di fatto sulle tariffe senza penalizzarci».
Cosa rifiutate del decreto?
«In questo momento di crisi è intanto sbagliato aumentare le licenze, sono già diminuiti i clienti. Altro errore è quello dell’autority che si sostituisce ai Comuni in un meccanismo assurdo. A Roma, per parlare della mia realtà ci sono 8000 licenze, se poi si toglie anche la territorialità finisce che chiunque può venire ad esercitare nei posti in cui ci sono più clienti. Prendi la licenza da un paesino e vieni a Roma. Così si crea la guerra fra poveri, si va verso una de regolarizzazione totale che farebbe calare anche la professionalità».
Che reazione avete trovato da parte dei clienti quando si parlava delle vostre mobilitazioni?
«Spesso, quando eravamo in fila in attesa abbiamo incontrato persone solidali che ci hanno visto mentre i vigili ci intimavano di sgomberare la strada in cui eravamo incolonnati. E poi noi cerchiamo di parlare, lo diciamo che se vogliono prezzi più bassi finiamo a fare un lavoro da schiavi. A meno che non ci vengano riconosciuti i diritti di un lavoratore dipendente, dalla malattia alle ferie, alle mensilità al tfr. Io ho raccontato di amici che hanno acceso un mutuo per comperarsi la licenza e che adesso sarebbero rovinati».
Nella vulgata però la vostra protesta è stata raccontata come la reazione di una lobby di destra?
«Guarda fra gli 8000 colleghi c’è di tutto e non ti credere che io non trovi frustrante sentirmi difesa da Alemanno. Io ho lavorato nel sociale, con altri colleghi e colleghe abbiamo lanciato il progetto “Un libro a bordo” portando nelle vetture libri, anche prodotti da noi che i clienti potevano leggere. Con noi ci sono artisti, c’è chi ha fatto mostre fotografiche. Insomma siamo lavoratori come gli altri, non capitalisti. Eppure sinistra e sindacati sono mancati. A volte la licenza si prende grazie ad una conoscenza ma facciamo un lavoro faticoso e rischioso – sono aumentate le rapine contro di noi – per portare 10 – 15 clienti al giorno senza conoscere né Pasqua né Natale. Eppure anche la sinistra ci ha considerato come i notai».
Secondo te per quale ragione contro di voi
«Fra le ipotesi che girano c’è quella secondo cui Cordero Di Montezemolo sia intenzionato a mettere in piedi una sua rete di taxi con lavoratori sottopagati. Si tornerebbe alle condizioni del dopoguerra, senza la guerra. Forse è questo che vogliono».
In conclusione però il Prc ha preso posizione in sostegno alla vostra mobilitazione, non tutti sono uguali.
«Lo scopro adesso e mi fa piacere. C’è bisogno della sinistra anche da noi».
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