Modigliani e l’inizio della fine del Pci

Modigliani: la riduzione del salario reale e il compito dei sindacati
Gli anni ’70 furono attraversati da diversi fenomeni economici. Da una parte si concluse il ciclo di lotte cominciano nei decenni precedenti, con la conquista di molti diritti, tra cui lo Statuto dei Lavoratori e la scala mobile per i salari. Dall’altro l’Italia, come le altre economie capitaliste fu colpita da una crisi di stagflazione, che univa quindi alla crisi della produzione un’impennata dell’inflazione.
Per uscire dalla crisi era necessario, secondo Modigliani, una riduzione del salario reale, che sarebbe dovuta passare attraverso la modifica o la cancellazione del meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione (conosciuto appunto come scala mobile). La tesi di Modigliani era che questo meccanismo, di cui a prima vista beneficiavano i lavoratori, andava in realtà contro i loro stessi interessi collettivi. La scala mobile infatti conduceva, a suo dire, a un aumento del salario reale ( a causa dell’impossibilità per gli imprenditori di scaricare tutto l’aumento salariale sui prezzi) determinando così un peggioramento della bilancia commerciale italiana (le importazioni sarebbero aumentate, mentre le esportazioni sarebbero diminuite). Inoltre l’occupazione sarebbe calata. In definitiva, secondo Modigliani, il meccanismo della scala mobile tutelava i lavoratori attivi a discapito dei disoccupati. Era quindi nell’interesse dei lavoratori stessi, e compito dei loro sindacati, cancellare la scala mobile e accettare un livello salariale più basso, che fosse compatibile con la piena occupazione. Inoltre la riduzione del costo del lavoro avrebbe fermato l’inflazione.
In sostanza i lavoratori ci avrebbero guadagnato rispetto alla situazione che stavano vivendo: mentre la scala mobile generava inflazione e disoccupazione (tutelando solo una parte della forza lavoro), con le sue proposte si sarebbe sconfitta l’inflazione e si sarebbe ottenuta la piena occupazione. A fronte di un sacrificio momentaneo, si sarebbero quindi potuti ottenere benefici successivi.
Graziani: conflittualisti o compatibilisti
La figura di Modigliani rendeva le sue proposte interessanti all’interno del dibattito degli anni ’70. Questo è stato il decennio che ha segnato la crisi del pensiero keynesiano e dell’efficacia delle politiche economiche di intervento pubblico contro la disoccupazione e la crisi. Modigliani si considerava, ed era considerato, un rinomato economista keynesiano del Mit, e in quanto tale le sue proposte raccolsero l’attenzione tanto accademica quanto della pubblica opinione.
La risposta più dura alle sue analisi e alle sue proposte venne dall’economista Augusto Graziani.
Graziani vedeva infatti nelle proposte di Modigliani (e di Padoa Schioppa, coautore di un importante articolo del 1977(1)) una riaffermazione “aggiornata” dei principi marginalisti. Questi legavano in modo biunivoco il prezzo di una merce (in questo caso il salario) con la quantità acquistata di questa merce (in questo caso la forza lavoro): qualsiasi deviazione da questo equilibrio di mercato avrebbe causato disoccupazione (una minore quantità) e inflazione (per l’aumento dei salari oltre l’equilibrio). L’unica differenza rispetto ai criteri classici era che il livello salariale era determinato dall’accettazione dei lavoratori piuttosto che dalla domanda e dall’offerta. Questa posizione veniva definita da Graziani come “compatibilista”(2).
Al contrario Graziani riteneva (come altri economisti) che la società fosse divisa in classi e che il livello salariale fosse determinato dal risultato del conflitto tra le classi. In questo visione non esisteva un solo livello salariale possibile, ma le soluzioni sarebbero state molteplici. Questa impostazione veniva definita dallo stesso Graziani come conflittualista(3).
Un aumento dei salari avrebbe quindi determinato un aumento dei consumi, con una ripresa dell’economia e attraverso essa miglioramenti occupazionali.