Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

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sabato 19 gennaio 2013

Pagatevi anche l'aria che respirate


 
Pagatevi anche l'aria che respirate
A Bologna il paradosso diventa realtà. Un assessore propone di pagare un ticket per entrare nei parchi pubblici e per i giochi dei bambini. La valorizzazione capitalistica delle metropoli non ha alcun pudore.


Molte volte ci siamo ripetuti come paradosso che prima o poi ci faranno pagare anche l'aria che respiriamo o introdurranno la tassa sulla tosse. Ma la realtà supera sempre la fantasia ed ecco che un assessore comunale di Bologna, anche lei un tecnico prestato alla politica, avanza la proposta adeguata. L'ispiratrice è Patrizia Gabellini, docente al Politecnico di Milano e assessora all'urbanistica della Giunta Merola. La proposta è quella di far pagare un ticket di uno o due euro per l'uso dei giochi nei parchi pubblici da parte dei bambini. “Si stiamo prendendo in considerazione l'idea di privatizzare alcuni dei giochi per bambini nei parchi pubblici, abbiamo già ricevuto alcune proposte da parte di imprenditori e, qualora andasse in porto, sarebbe previstoun ticket di 1 o due euro, dipende...” dice l'assessora Gabellini (nomen omen viene voglia di dire) al Corriere della Sera. Ma si sa che il modello emiliano del XXI Secolo ha sempre qualche correttivo per le opzioni più brutali. Tra le ipotesi per edulcorare questo orrore economico e sociale, ci sono anche altre strade come “l'autogestione da parte dei genitori o forme di sponsorizzazione”.

La motivazione come al solito è economica: il Comune spende quasi 800mila euro l'anno per la manutenzione di 128 parchi pubblici e quasi 1.300 tra scivoli, piccole giostre e casette dei sette nani. Quindi pagatevi l'aria “pulita” e i giochi dei vostri bambini.

Le innumerevoli imposte, tasse e balzelli già esistenti, e quelle in arrivo, non bastano più per assicurare il patto tra cittadini e istituzioni: tasse in cambio di servizi. Adesso oltre alle tasse occorre pagarsi anche tutti i servizi. E' la rottura unilaterale di un patto da parte dello Stato e delle amministrazione locali e la cosa non dovrebbe rimanere senza conseguenze.

Il paradosso bolognese non deve però sorprendere oltre un certo limite. Da tempo infatti segnaliamo che la lotta per lo spazio e il tempo nelle metropoli è un motivo di conflitto strategico tra la logica della valorizzazione capitalistica e il diritto alla città. Negli agglomerati urbani lo spazio è sempre meno, perchè uno spazio vuoto non messo a valore viene considerato dai “prenditori” uno spreco. Non solo ma diventando lo spazio vuoto (tali vengono considerate le aree verdi) un bene sempre più scarso, è dis-econonomico che sia gratuito e dunque la sua fruizione deve essere messa a pagamento. Un esempio lampante sono le strisce blu che disegnano le strade. E' sufficiente cambiare il colore delle strisce affinchè quello spazio vuoto debba essere pagato per parcheggiare. Coerentemente a questa logica non potevamo che aspettarci di dover pagare anche il verde pubblico e i giochi per i bambini. Anche l'aria resa un po' più respirabile dagli alberi o un tempo di vita sottratto alla giornata lavorativa sociale (sempre più lunga) come quello che magari uno dedica ai propri bambini per portarli a giocare in un parco, diventano uno sperpero nella logica del capitale. Se non possono estorcere valore direttamente sul lavoro, ti fanno pagare tutto il resto, incluso il verde pubblico, lo spazio vuoto, il tempo sottratto alla produzione sociale.

C'è materia per discuterne e mobilitarsi, ma soprattutto c'è materia per una rivoluzione, vera però.

martedì 17 luglio 2012

La finanza non cambia, la società va difesa

di Claudio Gnesutta - sbilanciamoci -

"Non esistono soluzioni facili e immediate alla crisi". Nella relazione della Banca dei regolamenti internazionali, una conferma del fatto che la crisi è strutturale e che non ci sono margini nel sistema per riattivare la crescita. È per questo che l'unica strada è cambiare strada

“Chi spera in una soluzione facile e immediata continuerà a essere deluso: soluzioni di questo tipo non esistono.” L’affermazione è della Banca dei Regolamenti Internazionali (82a Relazione annuale, 24 giugno 2012, p. 8), istituzione internazionale il cui compito è di promuovere la collaborazione tra le banche centrali.
L’interpretazione delle Bri è di particolare interesse poiché scaturisce da un’analisi attenta e convincente del processo in atto. Il punto cruciale del quadro interpretativo è individuato – in modo non inedito – nel fatto che la crisi sia una crisi di indebitamente generalizzato e che il processo in atto e le prospettive future derivano dai comportamenti “normali” dei singoli soggetti indotti a privilegiare a ricostituire il proprio equilibrio patrimoniale. Non è certo una novità che le famiglie siano indebitate e siano costrette a risparmiare per rientrare dai loro debiti; che le imprese utilizzino i loro profitti per ridurre l’indebitamento piuttosto che finanziare nuovi investimenti; che il settore pubblico sia sotto pressione per realizzare avanzi correnti e ridurre il debito accumulato nel passato; che le banche e le altre istituzioni finanziarie, appesantite da titoli tossici e dalla perdita di valore di crediti e titoli, siano indotte a utilizzare i redditi correnti per ammortizzare le perdite prima di pensare ad espandere il credito all’economia. Il fatto che tutti i settori dell’economia registrino la medesima situazione segnala che non vi sono margini all’interno del sistema in grado di riattivare la crescita; la crisi è sistemica, di un intero sistema economico e sociale dai carenti meccanismi autoregolatori.
Non si tratta certamente di una novità, se non per il fatto che proviene da un’autorevole istituzione mainstream. Non dovrebbe sorprendere nemmeno l’implicazione che “lentezza del processo di deleveraging in tutti i maggiori settori dell'attività economica contribuisce a spiegare perché la ripresa nelle economie avanzate sia stata così debole”. È evidente che “i tentativi di aggiustamento di ciascun gruppo peggiorano la posizione degli altri” dato che “il settore finanziario esercita pressioni sui governi e rallenta la riduzione dell'indebitamento da parte di famiglie e imprese. I governi, a causa del deterioramento della loro affidabilità creditizia e dell'esigenza di risanare conti pubblici, stanno minando la capacità di recupero degli altri settori. Infine, il processo di deleveraging di famiglie e imprese incide negativamente sulla ripresa di governi e banche”. Una crisi da indebitamento generalizzato comporta inevitabilmente una compressione generalizzata della domanda e quindi dei redditi creando una situazione paradossale in cui l’obiettivo prioritario di ridurre l’indebitamento comporta una compressione dei redditi che impedisce la riduzione del debito. Un’osservazione che, ampiamente sviluppata per il debito pubblico, vale per tutti i settori generando non uno ma “molteplici circoli viziosi.” Un messaggio più chiaro di così non si potrebbe avere per una classe dirigente europea che, incapace di vedere gli effetti complessivi del meccanismo in atto, si trincera dietro a giudizi moralistici (talvolta fondati) sulla correttezza dei comportamenti altrui e propone (in maniera infondata) come prioritario un intervento per mettere ordina in casa propria.
Le difficoltà non si esauriscono qui, poiché nonostante quanto è successo vi è la preoccupazione che le principali banche continuino “ad accrescere la leva finanziaria” (espandendo le operazioni in derivati, ovvero le loro posizioni speculative) “senza prestare la debita attenzione alle conseguenze di un possibile fallimento”. Pare che stiano “gradualmente riassumendo il profilo di elevata rischiosità che le caratterizzava prima della crisi”, ovviamente sempre nella convinzione che, qualsiasi cosa succeda, sarà il settore pubblico a farsi carico della loro insolvenza.
Dall’analisi presentata, tre aspetti dovrebbero balzare immediatamente all’attenzione di qualsiasi autorità di politica economica.

domenica 3 giugno 2012

MACAO: dove eravamo rimasti?

Pubblicato il · in alfapiù, società ·

Manuela Gandini
MG – Facciamo il riassunto di ciò che è successo e perché. Perché l’occupazione della Torre Galfa e poi Palazzo Citterio, con quali obiettivi e soprattutto: Macao è sempre vivo?
MACAO – Tutto il movimento di Macao è nato da una riflessione sui sistemi di produzione culturale. A Milano, occupare la Torre Galfa è stato un modo per cercare di dare un segno forte rispetto a un meccanismo di produzione culturale e di pianificazione della città, che è quello di grande controllo invasivo dei poteri della finanza e dei palazzinari. Siamo entrati alla Torre Galfa per restituirla alla città e trovare un altro modo di produrre. Abbiamo creduto fino in fondo che potesse essere un braccio di ferro contro-egemonico, dove, col fatto che ci fossero dieci, mille, millecinquecento persone, si potesse far capire anche alle amministrazioni cittadine che era necessario tenere una sospensione, un dialogo, un tavolo. E che l’istituzione potesse usare tutti gli strumenti in suo potere, ad esempio espropriare il bene e vincolarlo a uso temporaneo per questo progetto. La torre era abbandonata da 15 anni. Volevamo dare un segno forte a livello territoriale e nazionale, affermare che se un movimento di persone vuole in modo propositivo ribaltare i rapporti di forza è possibile, ci abbiamo creduto, non è stata una cosa simbolica. Siamo stati repressi dagli stessi poteri che criticavamo. Il fatto che il figlio del ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri, Piergiorgio Peluso, sia il direttore della FonSai, di cui Ligresti è presidente, è stata una delle principali ragioni dello sgombero. Ligresti ha fatto un sacco di società a scatole cinesi. Come FonSai ci sono parecchie società sotto di lui, questo fa la sua forza, perché ogni società è legata a livello creditizio a molti gruppi politici su tutto l’arco, quindi distruggere lui non fa bene a nessuno, questo è il suo potere. Nel particolare Torre Galfa era sotto FonSai Ligrestiche è una società che controlla il suo patrimonio e il direttore generale è il figlio del ministro dell’interno. È stata direttamente la Cancellieri, come abbiamo potuto controllare a posteriori, il vero mandante dello sgombero perché, sia l’amministrazione che la questura di Milano stavano cercando di capire come fare a creare un tavolo.

MG – Poi avete occupato un edificio simbolicamente e istituzionalmente molto diverso, Palazzo Citterio.
MACAO – Sì, il secondo tentativo di Macao è stato Palazzo Citterio perché in qualche modo si voleva sottolineare il fatto che una grossa dipendenza da questi poteri forti privati ha censurato un certo sviluppo alternativo della città e che, all’origine del grosso blocco della produzione culturale, c’è anche una mala gestione dei fondi pubblici. Palazzo Citterio fa parte del progetto Grande Brera che da quarant’anni è fermo, due anni fa con l’anniversario del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, è stato oggetto di una speranza di rilancio che è stata in realtà solo una scusa per far rubare i soldi ai sovrintendenti. Dietro c’era tutta la cricca di Anemone e Bertolaso, sparpagliati in tutt’Italia a fare questo tipo di ladrocini. Della Grande Brera si sono fregati 52 milioni di euro. Crediamo che questo tipo di mala gestione dei fondi pubblici stia alla base e che sia dovuto in parte alla mancanza di partecipazione e di attenzione della cittadinanza sulla gestione dei fondi. Siamo entrati in Palazzo Citterio pensando che, tanto quanto la Torre Galfa, fosse un laboratorio di ricostruzione, attraverso tutte le competenze della città, di un modello alternativo della cultura. Anche per un progetto, da sempre deflagrato e da sempre promesso come la Grande Brera, poteva esserci l’occasione di coinvolgere le istituzioni e i poteri forti costituiti, assieme alla cittadinanza, per capire come realizzare l’opera. Quindi stavamo cercando di creare un tavolo con sovrintendenza e studenti dell’Accademia, per snodare la trasparenza del progetto e le vere tensioni che ci sono sotto. Si è pensato che si sarebbe potuto portarlo a termine in modo partecipato, chiaro e discusso nella città. Il secondo giorno abbiamo redatto un documento cristallino con la proposta di questo tipo di interlocuzione, ma l’azione è stata continuamente denigrata come occupazione abusiva e si è adottato il tema dell’illegalità. La maggioranza nel consiglio comunale del Pd moderato è andato su tutte le furie, il ministro Ornaghi è passato e s’è ricompattato su questa linea per neanche prendere in considerazione la possibilità di una legittimazione della proposta, motivata da 40 anni di inefficienza.

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