di Vincenzo Comito - rifondazione -
Tutti sembrano essere d’accordo sulla constatazione che il sistema economico cinese deve essere profondamente riformato. In quale direzione farlo è una questione sulla quale le opinioni sono invece divise, almeno in parte. Tra le stesse élite dirigenti del paese sembra svolgersi una lotta dura su quali debbano essere le scelte da portare avanti nei prossimi anni, come sembra indicare, tra l’altro, la recente caduta in disgrazia di una delle colonne del regime, Bo Xilai, il quale sostiene che è possibile avere insieme un alto tasso di sviluppo del Pil e un’equa distribuzione del reddito (The Economist, 2012). A nostro parere, una questione fondamentale che richiede un intervento deciso proprio quella relativa alla cattiva distribuzione del reddito tra le varie classi della popolazione e tra le varie realtà geografiche in cui si articola il paese.
Le disuguaglianze sono fortemente aumentate in Cina insieme ai processi di sviluppo; ad esempio, il coefficiente di Gini è passato da 0,28 nel 1981 a 0,41 nel 2003 e a 0,47 più di recente (secondo alcuni, avrebbe perfino superato il livello di 0,50). Come è noto, un valore di 0 indica una concentrazione nulla dei redditi e un valore di 1 invece una concentrazione massima. E’ poi molto rilevante la differenza di redditi tra città e campagna. Il rapporto relativo è salito al livello di 3,3 ad 1 nel 2008, la soglia più alta dal momento in cui, circa trent’anni prima, erano state avviate le riforme economiche. Inoltre vanno segnalate le grandi differenze registrabili tra la parte costiera e le regioni più interne del paese (De Vreyer, 2009). Per quanto riguarda il Brasile, l’indice di Gini si colloca a un livello ancora più elevato, intorno a 0,53, posizionando il paese tra quelli con le maggiori disuguaglianze di reddito del pianeta. L’indice comunque è diminuito regolarmente, anche se molto moderatamente, negli ultimi nove anni. Le disuguaglianze toccano anche la dimensione geografica, con un Nord sostanzialmente rurale, povero e con un tasso di scolarizzazione limitato e un Sud più industrializzato, opulento, scolarizzato (Lambert, 2010). La Russia, infine, ha seguito, sul piano della distribuzione del reddito, un percorso per molti versi simile a quello cinese. Dopo la caduta del comunismo, l’indice di Gini è aumentato del 46% in relativamente pochi anni e da allora ha continuato a crescere; oggi esso può essere stimato intorno al valore di 0,42. A livello territoriale, le maggiori disuguaglianze si registrano tra le grandi città, in particolare Mosca, i cui livelli di reddito si vanno avvicinando a quelli delle metropoli dei paesi occidentali, e il resto del paese, che rimane molto indietro (Comito, 2011). Per quanto riguarda l’India, infine, l’indice di Gini si colloca sorprendentemente intorno alla cifra di 0,31-0,32 per qualche fonte, intorno a 0,37 per qualche altra, comunque a un valore inferiore a quello degli altri paesi, mentre a livello territoriale si riscontrano, come nel caso della Cina, delle grandi differenze tra le zone costiere e quelle più interne. Le tendenze alla differenziazione, comunque, sembrano in aumento anche in tale paese. La situazione dei vari paesi del BRIC appare dunque abbastanza differenziata, anche con la presenza di tendenze diverse da paese a paese.
S. Kuznets (Kuznets, 1955) aveva individuato, per quanto riguarda la possibile correlazione tra sviluppo e diseguaglianze, l’esistenza di uno schema a U rovesciata: i processi di sviluppo economico porterebbero, in una prima fase, ad accrescere le diseguaglianze di reddito e le condizioni di vita tra le varie fasce della popolazione di un paese e successivamente invece a ridurle. In particolare l’autore sottolineava come in un primo tempo le diseguaglianze aumenterebbero per il trasferimento di una parte dei contadini verso le città. In una seconda fase, invece, le disuguaglianze prima si stabilizzerebbero, poi diminuirebbero per la progressiva riduzione di peso del mondo rurale e l’avanzare dei processi di industrializzazione. Le tesi di Kuznets non hanno peraltro ottenuto l’unanimità. Altri studiosi hanno contestato le sue conclusioni: un economista come P. Salama (Salama, 2009) è arrivato a mostrare come le cose appaiono nella realtà come molto più complesse di quanto indichi Kuznets. Tra l’altro, i processi di sviluppo per Salama oggi sono collegabili almeno a due importanti fattori di disuguaglianza, che operano però anche per i paesi ricchi: da una parte, le tendenze all’avanzamento tecnico e all’innovazione tecnologica, dall’altra quelle, abbastanza parallele, di globalizzazione e di finanziarizzazione dell’economia. Le spinte allo sviluppo delle diseguaglianze, comunque, possono essere contrastate attraverso delle idonee politiche pubbliche, che possono andare, come è noto, dalle strategie educative alla manovra della fiscalità, a opzioni specifiche di lotta alla povertà, al cambiamento delle regole per quanto riguarda i diritti di proprietà, ecc..In ogni caso, le tendenze degli ultimi venti anni mostrano in realtà, da una parte, una crescita delle disuguaglianze anche nei paesi sviluppati, con poche eccezioni, mentre, per quanto riguarda i paesi emergenti, si possono riscontrare le situazioni e le dinamiche più varie, come abbiamo del resto già mostrato per quanto riguarda il piccolo campione dei paesi del BRIC.
Ci si può chiedere se e quanto sulla crescita delle diseguaglianze in Cina negli ultimi decenni abbiano influito ragioni ideologiche, che hanno teso a far pensare alle classi dirigenti del paese che le diseguaglianze facessero bene allo sviluppo. E ci si può chiedere anche se una distribuzione del reddito molto diseguale potesse essere organica agli interessi materiali delle classi dirigenti. Si può peraltro essere sicuri che ci sono almeno due altre ragioni che influiscono fortemente sul fenomeno, come viene sottolineato in un testo recente (Yukon Huang, 2012). Esse fanno riferimento da una parte ai limiti dei budget pubblici e del sistema finanziario del paese, dall’altra alle distorsioni evidenti derivanti dal controllo sull’uso della terra e del lavoro. Per quanto riguarda il primo fenomeno, ricordiamo che il bilancio pubblico cinese appare di dimensioni limitate, rappresentando una quota sul Pil che appare sostanzialmente pari alla metà di quella media dei paesi dell’Unione Europea. Di conseguenza, la spesa per il welfare è molto inadeguata, anche se la situazione sembra lentamente migliorare. Parallelamente, il governo fa leva sul sistema bancario per sostenere una parte della spesa – ad esempio quella per le infrastrutture-, che in altri paesi fa carico sui bilanci pubblici. Ancora oggi, alla fine, la spesa pubblica per la salute ammonta soltanto al 2,5% del Pil (The Economist, 2012). D’altro canto, le autorità locali, in assenza di entrate strutturali derivanti dalla tassazione, sono affamate di denaro. Così esse sono obbligate a vendere i diritti all’uso delle terre per far quadrare i conti. Sia pagando poco i contadini e gli altri possessori delle terre sia facendosi pagare molto di più dagli imprenditori del settore edilizio e di quello industriale. la burocrazia locale mette le mani su somme di grande rilievo. Questo processo, come sottolinea Yukon Huang, offre molte opportunità per i fenomeni di corruzione, mentre alimenta uno scontento sociale crescente.
Il livello delle disuguaglianze in Cina, in relazione anche a una crescita della consapevolezza dei loro diritti da parte delle masse, ha contribuito fortemente ad alimentare di recente le proteste di tipo sociale. Il nuovo gruppo dirigente del paese, che si insedierà nei prossimi mesi, dovrà incidere fortemente sul fenomeno. Appare importante a tale fine aumentare fortemente i budget pubblici, attraverso il ricorso a un livello della tassazione molto maggiore, nonché arrivare a un controllo di tipo nuovo sulle risorse del paese. Queste potenziali misure urtano con i grandi interessi consolidati e quindi non appare chiaro se e quanto esse riusciranno ad andare avanti. In ogni caso, nel dodicesimo piano quinquennale varato di recente sono contenute delle importanti promesse in direzione di una migliore giustizia sociale. Staremo a vedere.
Tutti sembrano essere d’accordo sulla constatazione che il sistema economico cinese deve essere profondamente riformato. In quale direzione farlo è una questione sulla quale le opinioni sono invece divise, almeno in parte. Tra le stesse élite dirigenti del paese sembra svolgersi una lotta dura su quali debbano essere le scelte da portare avanti nei prossimi anni, come sembra indicare, tra l’altro, la recente caduta in disgrazia di una delle colonne del regime, Bo Xilai, il quale sostiene che è possibile avere insieme un alto tasso di sviluppo del Pil e un’equa distribuzione del reddito (The Economist, 2012). A nostro parere, una questione fondamentale che richiede un intervento deciso proprio quella relativa alla cattiva distribuzione del reddito tra le varie classi della popolazione e tra le varie realtà geografiche in cui si articola il paese.
Le disuguaglianze sono fortemente aumentate in Cina insieme ai processi di sviluppo; ad esempio, il coefficiente di Gini è passato da 0,28 nel 1981 a 0,41 nel 2003 e a 0,47 più di recente (secondo alcuni, avrebbe perfino superato il livello di 0,50). Come è noto, un valore di 0 indica una concentrazione nulla dei redditi e un valore di 1 invece una concentrazione massima. E’ poi molto rilevante la differenza di redditi tra città e campagna. Il rapporto relativo è salito al livello di 3,3 ad 1 nel 2008, la soglia più alta dal momento in cui, circa trent’anni prima, erano state avviate le riforme economiche. Inoltre vanno segnalate le grandi differenze registrabili tra la parte costiera e le regioni più interne del paese (De Vreyer, 2009). Per quanto riguarda il Brasile, l’indice di Gini si colloca a un livello ancora più elevato, intorno a 0,53, posizionando il paese tra quelli con le maggiori disuguaglianze di reddito del pianeta. L’indice comunque è diminuito regolarmente, anche se molto moderatamente, negli ultimi nove anni. Le disuguaglianze toccano anche la dimensione geografica, con un Nord sostanzialmente rurale, povero e con un tasso di scolarizzazione limitato e un Sud più industrializzato, opulento, scolarizzato (Lambert, 2010). La Russia, infine, ha seguito, sul piano della distribuzione del reddito, un percorso per molti versi simile a quello cinese. Dopo la caduta del comunismo, l’indice di Gini è aumentato del 46% in relativamente pochi anni e da allora ha continuato a crescere; oggi esso può essere stimato intorno al valore di 0,42. A livello territoriale, le maggiori disuguaglianze si registrano tra le grandi città, in particolare Mosca, i cui livelli di reddito si vanno avvicinando a quelli delle metropoli dei paesi occidentali, e il resto del paese, che rimane molto indietro (Comito, 2011). Per quanto riguarda l’India, infine, l’indice di Gini si colloca sorprendentemente intorno alla cifra di 0,31-0,32 per qualche fonte, intorno a 0,37 per qualche altra, comunque a un valore inferiore a quello degli altri paesi, mentre a livello territoriale si riscontrano, come nel caso della Cina, delle grandi differenze tra le zone costiere e quelle più interne. Le tendenze alla differenziazione, comunque, sembrano in aumento anche in tale paese. La situazione dei vari paesi del BRIC appare dunque abbastanza differenziata, anche con la presenza di tendenze diverse da paese a paese.
S. Kuznets (Kuznets, 1955) aveva individuato, per quanto riguarda la possibile correlazione tra sviluppo e diseguaglianze, l’esistenza di uno schema a U rovesciata: i processi di sviluppo economico porterebbero, in una prima fase, ad accrescere le diseguaglianze di reddito e le condizioni di vita tra le varie fasce della popolazione di un paese e successivamente invece a ridurle. In particolare l’autore sottolineava come in un primo tempo le diseguaglianze aumenterebbero per il trasferimento di una parte dei contadini verso le città. In una seconda fase, invece, le disuguaglianze prima si stabilizzerebbero, poi diminuirebbero per la progressiva riduzione di peso del mondo rurale e l’avanzare dei processi di industrializzazione. Le tesi di Kuznets non hanno peraltro ottenuto l’unanimità. Altri studiosi hanno contestato le sue conclusioni: un economista come P. Salama (Salama, 2009) è arrivato a mostrare come le cose appaiono nella realtà come molto più complesse di quanto indichi Kuznets. Tra l’altro, i processi di sviluppo per Salama oggi sono collegabili almeno a due importanti fattori di disuguaglianza, che operano però anche per i paesi ricchi: da una parte, le tendenze all’avanzamento tecnico e all’innovazione tecnologica, dall’altra quelle, abbastanza parallele, di globalizzazione e di finanziarizzazione dell’economia. Le spinte allo sviluppo delle diseguaglianze, comunque, possono essere contrastate attraverso delle idonee politiche pubbliche, che possono andare, come è noto, dalle strategie educative alla manovra della fiscalità, a opzioni specifiche di lotta alla povertà, al cambiamento delle regole per quanto riguarda i diritti di proprietà, ecc..In ogni caso, le tendenze degli ultimi venti anni mostrano in realtà, da una parte, una crescita delle disuguaglianze anche nei paesi sviluppati, con poche eccezioni, mentre, per quanto riguarda i paesi emergenti, si possono riscontrare le situazioni e le dinamiche più varie, come abbiamo del resto già mostrato per quanto riguarda il piccolo campione dei paesi del BRIC.
Ci si può chiedere se e quanto sulla crescita delle diseguaglianze in Cina negli ultimi decenni abbiano influito ragioni ideologiche, che hanno teso a far pensare alle classi dirigenti del paese che le diseguaglianze facessero bene allo sviluppo. E ci si può chiedere anche se una distribuzione del reddito molto diseguale potesse essere organica agli interessi materiali delle classi dirigenti. Si può peraltro essere sicuri che ci sono almeno due altre ragioni che influiscono fortemente sul fenomeno, come viene sottolineato in un testo recente (Yukon Huang, 2012). Esse fanno riferimento da una parte ai limiti dei budget pubblici e del sistema finanziario del paese, dall’altra alle distorsioni evidenti derivanti dal controllo sull’uso della terra e del lavoro. Per quanto riguarda il primo fenomeno, ricordiamo che il bilancio pubblico cinese appare di dimensioni limitate, rappresentando una quota sul Pil che appare sostanzialmente pari alla metà di quella media dei paesi dell’Unione Europea. Di conseguenza, la spesa per il welfare è molto inadeguata, anche se la situazione sembra lentamente migliorare. Parallelamente, il governo fa leva sul sistema bancario per sostenere una parte della spesa – ad esempio quella per le infrastrutture-, che in altri paesi fa carico sui bilanci pubblici. Ancora oggi, alla fine, la spesa pubblica per la salute ammonta soltanto al 2,5% del Pil (The Economist, 2012). D’altro canto, le autorità locali, in assenza di entrate strutturali derivanti dalla tassazione, sono affamate di denaro. Così esse sono obbligate a vendere i diritti all’uso delle terre per far quadrare i conti. Sia pagando poco i contadini e gli altri possessori delle terre sia facendosi pagare molto di più dagli imprenditori del settore edilizio e di quello industriale. la burocrazia locale mette le mani su somme di grande rilievo. Questo processo, come sottolinea Yukon Huang, offre molte opportunità per i fenomeni di corruzione, mentre alimenta uno scontento sociale crescente.
Il livello delle disuguaglianze in Cina, in relazione anche a una crescita della consapevolezza dei loro diritti da parte delle masse, ha contribuito fortemente ad alimentare di recente le proteste di tipo sociale. Il nuovo gruppo dirigente del paese, che si insedierà nei prossimi mesi, dovrà incidere fortemente sul fenomeno. Appare importante a tale fine aumentare fortemente i budget pubblici, attraverso il ricorso a un livello della tassazione molto maggiore, nonché arrivare a un controllo di tipo nuovo sulle risorse del paese. Queste potenziali misure urtano con i grandi interessi consolidati e quindi non appare chiaro se e quanto esse riusciranno ad andare avanti. In ogni caso, nel dodicesimo piano quinquennale varato di recente sono contenute delle importanti promesse in direzione di una migliore giustizia sociale. Staremo a vedere.
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