Scritto da Alessandro Di Meo - Guerra e verità in contropiano. org - megachip -
Un interessante reportage dalle comunità serbe del Kosovo a 13 anni dall'inizio dei bombardamenti "umanitari" della Nato sulle popolazioni dell'ex Yugoslavia e dall'inizio dell'ennesima tragedia balcanica.
Padre Ilarion è un monaco ortodosso, vive nel monastero di Draganac, in Kosovo. Proviene dal monastero di Dečani, il più importante per la chiesa ortodossa serba. Nel pogrom antiserbo del marzo del 2004, più di 150 fra monasteri e chiese ortodosse, oltre a molte case e cimiteri, furono distrutti o incendiati dalla furia indipendentista kosovaro-albanese, che avrebbe avuto soddisfazione 4 anni dopo, il 17 febbraio 2008, quando il Kosovo si autoproclamò indipendente, subito riconosciuto dai paesi aderenti alla Nato.
A Draganac c’è tanto da sistemare. Dalla chiesa ai locali per i monaci, da quelli per gli ospiti a quelli per gli animali. Vicino al monastero, c'è una sorgente d'acqua che si crede benedetta. E quando, il primo venerdì dopo la Pasqua ortodossa si celebra la Vergine Maria, vengono in migliaia a prenderla. Moltissimi gli albanesi che, come in altri monasteri, cercano la grazia di Dio, anche se ortodosso…
Ma padre Ilarion si occupa anche di altro. Ad esempio, di tante famiglie serbe che vivono in condizioni assurde. Isolate dall’intolleranza del fanatismo indipendentista made in Usa, dall’oblio di mezzi di informazione per nulla interessati alle loro vite, isolate dalla natura che, a volte, le rende irraggiungibili. Come nei mesi scorsi quando due metri di neve hanno reso la loro vita ancora più drammatica. Per la mancanza di cibo, di acqua, per la difficoltà a portare loro un aiuto.
Queste famiglie ricevono un pasto al giorno dalla Cucina Popolare, una piccola organizzazione guidata da Svetlana, una donna serba che in questi anni è riuscita a garantire pasti giornalieri a circa 800 famiglie. Ricevono aiuti anche dal monastero ed è padre Ilarion che divide donazioni, sceglie beneficiari, le porta direttamente. La cosa che più sconvolge ma che, pure, incredibilmente riconcilia con la vita è vedere come queste famiglie siano piene di bambini!
Vedere come la vita scorra anche in questi posti, dove per arrivarci ti ci vorrebbe una di quelle jeep di ricche ONG umanitarie che sfrecciano per strade umanitariamente distrutte da bombe altrettanto umanitarie. E tu, che non ce le hai quelle jeep e per fortuna, in questi posti ci puoi arrivare solo col furgone di Radovan, del villaggio di Koš, vicino Osojane, in piena Metohija. Ci arrivi con le sue manovre, a volte improbabili, ma pure con la tua ostinazione. E pure con la tua rabbia. Si, serve anche quella.
Perché ti chiedi come mai nessuno racconti di questa gente, della loro vita. Ti chiedi del perché il vivere in queste condizioni non diventi grido di dolore da far sentire al mondo. Ti chiedi perché il Kosovo e la Metohija siano stati ridotti così, senza che nessuno abbia mosso un dito.
Per creare questa finta e insopportabile pseudo-libertà e pseudo-indipendenza, sono stati ridotti prima a un ammasso di macerie, ora lasciati a se stessi. Che si consumino le violenze contro i serbi nella Metohija, che si consumino nell’isolamento più totale gli stessi serbi del Kosovo!
E si costruiscano ancora alberghi lussuosi, pompe di benzina, statue della Libertà (a Priština, sopra un hotel), statue dei Liberatori (Bill Clinton, sempre a Priština).
E si lascino marcire le carogne di tanti animali ammazzati dalle auto lungo le strade. Cani, gatti, volpi, si lascino così, che il Kosovo e la Metohija sono una discarica a cielo aperto e l’immondizia la trovi ovunque. Vicino le case, lungo le strade, sparsa nei campi.
Era questa, dunque, la libertà a cui si aspirava? Era questa l’ indipendenza? Era il poter sventolare bandiere dell’Albania e degli Stati Uniti su tanti, troppi balconi? Era il ricevere soldi a fondo perduto per rendere il territorio sgombro da gente scomoda? Nei pressi di Uroševac, a sud della regione, sorge Bond Steel, la più grande base Usa in Europa. Una vera e propria città di cui poco si sa e poco si deve sapere. E chi può controllare un territorio da cui nulla deve trapelare meglio di mafie, malavita e narcotraffico, oggi al potere nel Kosovo “libero e indipendente” dove è perfino proibito pronunciare la parola “Metohija”, dal greco: terre che appartengono ai monasteri?
E’ tempo di Quaresima e padre Ilarion mi illustra la pratica del digiuno, osservato per sette settimane prima della Pasqua, esclusi sabati e domeniche, tanto da arrivare a 35 giorni. Un digiuno detto dell’acqua, si mangiano solo cose bollite, niente carne, pesce, proteine animali, oli, vino. Si arriverà a 36,5 giorni col sabato santo e metà della domenica di Pasqua. Un decimo di anno di digiuno offerto al Cristo Risorto.
Ma nei villaggi di Gnjlane e Novo Brdo, visitando famiglie, non sembra necessario il rispetto di date e ricorrenze per praticare digiuni. La povertà concede spesso solo pane e farinacei, la carne è cosa rara.
Parlare di ingresso nell’Unione Europea qui fa sorridere. Così come parlare di sacrifici per superare la crisi.
E fa sorridere incontrare all’aeroporto di Belgrado, al ritorno, operai specializzati della nuova Fiat che "esporta lavoro". Questi lavoratori devono dire "signorsì", ché la lettera di licenziamento è pronta anche per loro. Sono quasi 1700 e stanno a Kragujevac, dove non c’è più posto per dormire, con intere famiglie serbe senza lavoro trasferitesi a casa di parenti o amici pur di affittare agli italiani la propria a prezzi stracciati, per guadagnare qualcosa per sopravvivere. Sono preoccupati, questi lavoratori, del cibo mangiato in Serbia, in questo loro distaccamento forzato, lontano dalla famiglia perché c’è da formare operai serbi per farli produrre tanto pagandoli poco, a zero diritti. E’ la cura Marchionne.
Del resto non erano umani, quei diritti, ma solo roba di malattie, turni e orari decenti, tutela delle donne, ferie, pause pranzo, cose così.
Fa sorridere e anche tenerezza, che si preoccupino per il cibo. Le bombe hanno fatto danni al ciclo vitale. Uranio impoverito, plutonio, radiazioni, inquinamento chimico e batteriologico. Loro lo sanno, glielo hanno detto ma devono arrangiarsi. Sanno pure che la gente qui si ammala sempre più di leucemia e tumori vari a causa di quello che c’è stato. Qualcuno ha dimenticato? Sono passati 13 anni da quel 24 marzo 1999, quando la Jugoslavia fu definitivamente affossata da 78 giorni di bombardamenti Nato, ai quali partecipò anche l’Italia. Ci dissero che si andava a proteggere civili e portare democrazia e rispetto di diritti umani. Si, fa proprio sorridere tutto questo. Ma anche piangere.
Lo sguardo dei bambini visitati non sappiamo toglierceli dagli occhi. Alcuni sereni, nonostante tutto, altri impauriti da situazioni difficili dentro le famiglie stesse, altri persi nel vuoto; problemi psichici, chi mai se ne occuperà? Si, quello sguardo ti resta appiccicato addosso.
Professionisti dei diritti umani non vengono fino quaggiù. Preferiscono la ribalta, dove c’è il dittatore di turno da abbattere e fantomatici oppositori da foraggiare con armi e soldi, coi quali accordarsi per il futuro da sfruttare.
Qui no, non viene nessuno. Non ci sono dittatori. La Serbia è paese democratico, si manganellano manifestanti e si finisce in carcere se protesti troppo, anche se puzzi di fame. Questo, poi, dicono che sia Kosovo, un altro governo, con a capo criminali indagati per traffico di organi umani, ma eletti democraticamente. E allora? E allora, questi bambini semplicemente non esistono!
Stupidi noi che li andiamo a cercare, che torniamo con nel cuore idee per farli sorridere un po’, mica tanto, solo un po’. “Smeješ se!”, Sorridi!, bambina persa nel vuoto di un gioco che neppure sai sognare. Vuoi conoscere il mare? In televisione l’avrai visto. Proveremo a portarti noi. Ci vorranno soldi, sarà difficile trovarli, mica dobbiamo comprarci aerei da guerra! Per quelli si troverebbero facilmente, per il tuo sorriso no. Per il tuo sorriso bisogna scalare montagne e pregare. Ma non il tuo Dio, che pure ti guarda e ti benedice. Bisogna pregare gli umani, quelli che non si fanno scrupoli davanti all’immagine della tua povera casa, perché sanno trovare alibi.
Ma noi, cocciuti e testardi come i cromosomi che ti porti dentro, puoi giurarci che il mare te lo faremo conoscere. E toccare. E giocare. Insieme ai tuoi fratelli, alle tue sorelle, ai tuoi amichetti, quelli del villaggio vicino, così vicino che nemmeno riesci a giocarci insieme. E’ pericoloso, la sera c’è il coprifuoco. Passano follia e provocazione, tirano sassi alle finestre, vogliono spaventare il tuo sonno. A volte sparano. Alla fine ci riescono, ti spaventano.
Ma tu chiudi i tuoi occhi e prova a dormire lo stesso. Prova a sognarlo, quel mare visto in televisione. Vedrai, da vicino sarà pure più bello.
Un interessante reportage dalle comunità serbe del Kosovo a 13 anni dall'inizio dei bombardamenti "umanitari" della Nato sulle popolazioni dell'ex Yugoslavia e dall'inizio dell'ennesima tragedia balcanica.
Padre Ilarion è un monaco ortodosso, vive nel monastero di Draganac, in Kosovo. Proviene dal monastero di Dečani, il più importante per la chiesa ortodossa serba. Nel pogrom antiserbo del marzo del 2004, più di 150 fra monasteri e chiese ortodosse, oltre a molte case e cimiteri, furono distrutti o incendiati dalla furia indipendentista kosovaro-albanese, che avrebbe avuto soddisfazione 4 anni dopo, il 17 febbraio 2008, quando il Kosovo si autoproclamò indipendente, subito riconosciuto dai paesi aderenti alla Nato.
A Draganac c’è tanto da sistemare. Dalla chiesa ai locali per i monaci, da quelli per gli ospiti a quelli per gli animali. Vicino al monastero, c'è una sorgente d'acqua che si crede benedetta. E quando, il primo venerdì dopo la Pasqua ortodossa si celebra la Vergine Maria, vengono in migliaia a prenderla. Moltissimi gli albanesi che, come in altri monasteri, cercano la grazia di Dio, anche se ortodosso…
Ma padre Ilarion si occupa anche di altro. Ad esempio, di tante famiglie serbe che vivono in condizioni assurde. Isolate dall’intolleranza del fanatismo indipendentista made in Usa, dall’oblio di mezzi di informazione per nulla interessati alle loro vite, isolate dalla natura che, a volte, le rende irraggiungibili. Come nei mesi scorsi quando due metri di neve hanno reso la loro vita ancora più drammatica. Per la mancanza di cibo, di acqua, per la difficoltà a portare loro un aiuto.
Queste famiglie ricevono un pasto al giorno dalla Cucina Popolare, una piccola organizzazione guidata da Svetlana, una donna serba che in questi anni è riuscita a garantire pasti giornalieri a circa 800 famiglie. Ricevono aiuti anche dal monastero ed è padre Ilarion che divide donazioni, sceglie beneficiari, le porta direttamente. La cosa che più sconvolge ma che, pure, incredibilmente riconcilia con la vita è vedere come queste famiglie siano piene di bambini!
Vedere come la vita scorra anche in questi posti, dove per arrivarci ti ci vorrebbe una di quelle jeep di ricche ONG umanitarie che sfrecciano per strade umanitariamente distrutte da bombe altrettanto umanitarie. E tu, che non ce le hai quelle jeep e per fortuna, in questi posti ci puoi arrivare solo col furgone di Radovan, del villaggio di Koš, vicino Osojane, in piena Metohija. Ci arrivi con le sue manovre, a volte improbabili, ma pure con la tua ostinazione. E pure con la tua rabbia. Si, serve anche quella.
Perché ti chiedi come mai nessuno racconti di questa gente, della loro vita. Ti chiedi del perché il vivere in queste condizioni non diventi grido di dolore da far sentire al mondo. Ti chiedi perché il Kosovo e la Metohija siano stati ridotti così, senza che nessuno abbia mosso un dito.
Per creare questa finta e insopportabile pseudo-libertà e pseudo-indipendenza, sono stati ridotti prima a un ammasso di macerie, ora lasciati a se stessi. Che si consumino le violenze contro i serbi nella Metohija, che si consumino nell’isolamento più totale gli stessi serbi del Kosovo!
E si costruiscano ancora alberghi lussuosi, pompe di benzina, statue della Libertà (a Priština, sopra un hotel), statue dei Liberatori (Bill Clinton, sempre a Priština).
E si lascino marcire le carogne di tanti animali ammazzati dalle auto lungo le strade. Cani, gatti, volpi, si lascino così, che il Kosovo e la Metohija sono una discarica a cielo aperto e l’immondizia la trovi ovunque. Vicino le case, lungo le strade, sparsa nei campi.
Era questa, dunque, la libertà a cui si aspirava? Era questa l’ indipendenza? Era il poter sventolare bandiere dell’Albania e degli Stati Uniti su tanti, troppi balconi? Era il ricevere soldi a fondo perduto per rendere il territorio sgombro da gente scomoda? Nei pressi di Uroševac, a sud della regione, sorge Bond Steel, la più grande base Usa in Europa. Una vera e propria città di cui poco si sa e poco si deve sapere. E chi può controllare un territorio da cui nulla deve trapelare meglio di mafie, malavita e narcotraffico, oggi al potere nel Kosovo “libero e indipendente” dove è perfino proibito pronunciare la parola “Metohija”, dal greco: terre che appartengono ai monasteri?
E’ tempo di Quaresima e padre Ilarion mi illustra la pratica del digiuno, osservato per sette settimane prima della Pasqua, esclusi sabati e domeniche, tanto da arrivare a 35 giorni. Un digiuno detto dell’acqua, si mangiano solo cose bollite, niente carne, pesce, proteine animali, oli, vino. Si arriverà a 36,5 giorni col sabato santo e metà della domenica di Pasqua. Un decimo di anno di digiuno offerto al Cristo Risorto.
Ma nei villaggi di Gnjlane e Novo Brdo, visitando famiglie, non sembra necessario il rispetto di date e ricorrenze per praticare digiuni. La povertà concede spesso solo pane e farinacei, la carne è cosa rara.
Parlare di ingresso nell’Unione Europea qui fa sorridere. Così come parlare di sacrifici per superare la crisi.
E fa sorridere incontrare all’aeroporto di Belgrado, al ritorno, operai specializzati della nuova Fiat che "esporta lavoro". Questi lavoratori devono dire "signorsì", ché la lettera di licenziamento è pronta anche per loro. Sono quasi 1700 e stanno a Kragujevac, dove non c’è più posto per dormire, con intere famiglie serbe senza lavoro trasferitesi a casa di parenti o amici pur di affittare agli italiani la propria a prezzi stracciati, per guadagnare qualcosa per sopravvivere. Sono preoccupati, questi lavoratori, del cibo mangiato in Serbia, in questo loro distaccamento forzato, lontano dalla famiglia perché c’è da formare operai serbi per farli produrre tanto pagandoli poco, a zero diritti. E’ la cura Marchionne.
Del resto non erano umani, quei diritti, ma solo roba di malattie, turni e orari decenti, tutela delle donne, ferie, pause pranzo, cose così.
Fa sorridere e anche tenerezza, che si preoccupino per il cibo. Le bombe hanno fatto danni al ciclo vitale. Uranio impoverito, plutonio, radiazioni, inquinamento chimico e batteriologico. Loro lo sanno, glielo hanno detto ma devono arrangiarsi. Sanno pure che la gente qui si ammala sempre più di leucemia e tumori vari a causa di quello che c’è stato. Qualcuno ha dimenticato? Sono passati 13 anni da quel 24 marzo 1999, quando la Jugoslavia fu definitivamente affossata da 78 giorni di bombardamenti Nato, ai quali partecipò anche l’Italia. Ci dissero che si andava a proteggere civili e portare democrazia e rispetto di diritti umani. Si, fa proprio sorridere tutto questo. Ma anche piangere.
Lo sguardo dei bambini visitati non sappiamo toglierceli dagli occhi. Alcuni sereni, nonostante tutto, altri impauriti da situazioni difficili dentro le famiglie stesse, altri persi nel vuoto; problemi psichici, chi mai se ne occuperà? Si, quello sguardo ti resta appiccicato addosso.
Professionisti dei diritti umani non vengono fino quaggiù. Preferiscono la ribalta, dove c’è il dittatore di turno da abbattere e fantomatici oppositori da foraggiare con armi e soldi, coi quali accordarsi per il futuro da sfruttare.
Qui no, non viene nessuno. Non ci sono dittatori. La Serbia è paese democratico, si manganellano manifestanti e si finisce in carcere se protesti troppo, anche se puzzi di fame. Questo, poi, dicono che sia Kosovo, un altro governo, con a capo criminali indagati per traffico di organi umani, ma eletti democraticamente. E allora? E allora, questi bambini semplicemente non esistono!
Stupidi noi che li andiamo a cercare, che torniamo con nel cuore idee per farli sorridere un po’, mica tanto, solo un po’. “Smeješ se!”, Sorridi!, bambina persa nel vuoto di un gioco che neppure sai sognare. Vuoi conoscere il mare? In televisione l’avrai visto. Proveremo a portarti noi. Ci vorranno soldi, sarà difficile trovarli, mica dobbiamo comprarci aerei da guerra! Per quelli si troverebbero facilmente, per il tuo sorriso no. Per il tuo sorriso bisogna scalare montagne e pregare. Ma non il tuo Dio, che pure ti guarda e ti benedice. Bisogna pregare gli umani, quelli che non si fanno scrupoli davanti all’immagine della tua povera casa, perché sanno trovare alibi.
Ma noi, cocciuti e testardi come i cromosomi che ti porti dentro, puoi giurarci che il mare te lo faremo conoscere. E toccare. E giocare. Insieme ai tuoi fratelli, alle tue sorelle, ai tuoi amichetti, quelli del villaggio vicino, così vicino che nemmeno riesci a giocarci insieme. E’ pericoloso, la sera c’è il coprifuoco. Passano follia e provocazione, tirano sassi alle finestre, vogliono spaventare il tuo sonno. A volte sparano. Alla fine ci riescono, ti spaventano.
Ma tu chiudi i tuoi occhi e prova a dormire lo stesso. Prova a sognarlo, quel mare visto in televisione. Vedrai, da vicino sarà pure più bello.
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