Posted by keynesblog di Stephan Schulmeister
L’interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca».
Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
Il Patto di bilancio prevede due norme: secondo la prima, ai singoli Paesi è consentito mantenere un deficit strutturale che non superi lo 0,5% del Pil, mentre la seconda precisa che il rapporto debito/Pil deve essere ridotto annualmente di un ventesimo della differenza tra il rapporto debito/Pil corrente e un obiettivo del 60%. La semplicità di queste norme ha distratto i leader dall´approfondire le conseguenze della loro applicazione e, in particolare, il fatto che l’interazione tra le due norme peserà sulla crescita economica.
Stando al criterio del deficit, la Spagna dovrà ridurre l’attuale deficit dall’8,5% del Pil al 3% entro il 2013. Assumendo che una riduzione del deficit di un punto percentuale abbassi della stessa misura il prodotto nazionale, con un’inflazione stabile o leggermente più bassa, il Pil nominale spagnolo potrebbe contrarsi addirittura del 5% tra il 2012 e il 2013, permettendo al Paese di interrompere i programmi di austerità. Qui subentra però la norma sul debito. Tra il 2012 e il 2013, il suo rapporto debito/Pil sarà salito dal 70% circa a un quasi 90% (per un 8,4 % a causa dei deficit di bilancio). Più seria ancora sarà la contrazione del Pil nominale del 10%. Stando invece al criterio del debito, la Spagna dovrebbe ridurre il debito pubblico per vent´anni di 1,5 punti percentuali di Pil l´anno.
È proprio l´interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito che porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca». L’Italia, per esempio, che deve abbassare il rapporto debito/Pil del 3% l´anno, per ottemperare contemporaneamente anche alla norma sul debito, dovrà ridurlo su vent’anni del 5,4% del Pil l’anno. Buona fortuna. Una terapia sistemica per risolvere la crisi non può che partire dalla comprensione che la deriva imboccata dalla maggior parte dei suoi Stati è conseguente a un malfunzionamento del sistema nel suo complesso. La finanza pubblica si mantiene in equilibrio quando i risparmi delle famiglie passano al settore produttivo sotto forma di credito per gli investimenti, ovvero, quando la redditività degli investimenti reali supera con un buon margine quella degli investimenti finanziari, come negli anni ’50 e ’60, l´era del «vero capitalismo». Ciò permette al debito pubblico di scendere in rapporto al Pil.
Con gli anni ’70, la volatilità dei tassi di cambio, dei prezzi delle materie prime, dei tassi d’interesse e dei prezzi delle azioni ha invece allontanato i capitali dagli investimenti reali verso la finanza. L’innovazione finanziaria, e in particolare i derivati di ogni tipo, portate avanti non solo dalle banche e dagli hedge fund, ma anche dalle attività non finanziarie, ha spostato la generazione dei profitti dalla sfera reale a quella finanziaria. Così, anche i settori non finanziari sono diventati produttori di surplus, come quello finanziario e quello delle famiglie, gravando gli Stati con deficit persistenti, dovuti all’aumento della disoccupazione e alla contrazione della raccolta fiscale.
Perché un consolidamento fiscale sia sostenibile è necessario cambiare le regole del gioco in modo tale da spostare la generazione di profitti – l’essenza stessa del capitalismo – dalla sfera finanziaria dell´economia a quella reale. Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
L’autore è ricercatore presso l’Istituto austriaco per la ricerca economica
Traduzione di Guiomar Parada
da “La Repubblica” del 29 marzo 2012
L’interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca».
Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
Il Patto di bilancio prevede due norme: secondo la prima, ai singoli Paesi è consentito mantenere un deficit strutturale che non superi lo 0,5% del Pil, mentre la seconda precisa che il rapporto debito/Pil deve essere ridotto annualmente di un ventesimo della differenza tra il rapporto debito/Pil corrente e un obiettivo del 60%. La semplicità di queste norme ha distratto i leader dall´approfondire le conseguenze della loro applicazione e, in particolare, il fatto che l’interazione tra le due norme peserà sulla crescita economica.
Stando al criterio del deficit, la Spagna dovrà ridurre l’attuale deficit dall’8,5% del Pil al 3% entro il 2013. Assumendo che una riduzione del deficit di un punto percentuale abbassi della stessa misura il prodotto nazionale, con un’inflazione stabile o leggermente più bassa, il Pil nominale spagnolo potrebbe contrarsi addirittura del 5% tra il 2012 e il 2013, permettendo al Paese di interrompere i programmi di austerità. Qui subentra però la norma sul debito. Tra il 2012 e il 2013, il suo rapporto debito/Pil sarà salito dal 70% circa a un quasi 90% (per un 8,4 % a causa dei deficit di bilancio). Più seria ancora sarà la contrazione del Pil nominale del 10%. Stando invece al criterio del debito, la Spagna dovrebbe ridurre il debito pubblico per vent´anni di 1,5 punti percentuali di Pil l´anno.
È proprio l´interazione tra la norma sul deficit e quella sul debito che porterà la maggior parte dei paesi della Ue sulla «strada greca». L’Italia, per esempio, che deve abbassare il rapporto debito/Pil del 3% l´anno, per ottemperare contemporaneamente anche alla norma sul debito, dovrà ridurlo su vent’anni del 5,4% del Pil l’anno. Buona fortuna. Una terapia sistemica per risolvere la crisi non può che partire dalla comprensione che la deriva imboccata dalla maggior parte dei suoi Stati è conseguente a un malfunzionamento del sistema nel suo complesso. La finanza pubblica si mantiene in equilibrio quando i risparmi delle famiglie passano al settore produttivo sotto forma di credito per gli investimenti, ovvero, quando la redditività degli investimenti reali supera con un buon margine quella degli investimenti finanziari, come negli anni ’50 e ’60, l´era del «vero capitalismo». Ciò permette al debito pubblico di scendere in rapporto al Pil.
Con gli anni ’70, la volatilità dei tassi di cambio, dei prezzi delle materie prime, dei tassi d’interesse e dei prezzi delle azioni ha invece allontanato i capitali dagli investimenti reali verso la finanza. L’innovazione finanziaria, e in particolare i derivati di ogni tipo, portate avanti non solo dalle banche e dagli hedge fund, ma anche dalle attività non finanziarie, ha spostato la generazione dei profitti dalla sfera reale a quella finanziaria. Così, anche i settori non finanziari sono diventati produttori di surplus, come quello finanziario e quello delle famiglie, gravando gli Stati con deficit persistenti, dovuti all’aumento della disoccupazione e alla contrazione della raccolta fiscale.
Perché un consolidamento fiscale sia sostenibile è necessario cambiare le regole del gioco in modo tale da spostare la generazione di profitti – l’essenza stessa del capitalismo – dalla sfera finanziaria dell´economia a quella reale. Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive.
L’autore è ricercatore presso l’Istituto austriaco per la ricerca economica
Traduzione di Guiomar Parada
da “La Repubblica” del 29 marzo 2012
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