Fonte: senzasoste
Sfogliando lo stupidario delle dichiarazioni del ceto politico italiano nel bel mezzo della crisi finanziaria si colgono, nelle loro parole dei veri propri tratti storici tipici delle classi dirigenti italiane. Vengono a mente le frasi di Napolitano, che ha definito la finanziaria " un miracolo" alla vigilia dell'affondamento del prodotto celeste su tutte le piazze finanziarie, o di Bersani, "l'Italia non si farà mettere in ginocchio" (infatti è stata gambizzata), e infine di Tremonti che ha detto pubblicamente "hic manebus optime" quando non la storia ma la cronaca ha dimostrato che il superministro è polvere rispetto a quanto sta accadendo.
In questo modo, saranno contenti gli appassionati del tricolore, si intravede un tratto antropologico comune tra le classi dirigenti contemporanee e quelle non della prima repubblica ma del regno d'Italia. Possiamo definire questo tratto come cadornismo. Il
generale Luigi Cadorna infatti conosceva solo una strategia militare e la applicava al costo di migliaia di morti ogni offensiva. Se la strategia non funzionava ne inaspriva l'applicazione facendo fucilare dai carabinieri i soldati renitenti. Si è così sviluppato il primo grande massacro dell'Italia unitaria: la Grande Guerra del '15-'18.
La strategia del Cadorna collettivo contemporaneo, che va da Repubblica a Libero come da Di Pietro a Cicchitto, si chiama "unità nazionale per il rigore nei conti pubblici". Non sta funzionando: gli dei del mercato hanno sete di sangue. Il terzo mercato mondiale delle obbligazioni, l'Italia, tanto più fa finanziarie restrittive tanto più offre sangue agli squali del mercato. Le truppe del nuovo Cadorna finiscono per ripiegare proprio dove il nemico vuole che finiscano per poterle attaccare meglio. E nel momento in cui le perdite sono maggiori non si cambia strategia ma si gettano nuove truppe sul fronte.
Proprio là, dove saranno massacrate. Le parole d'ordine "privatizzazioni", "liberalizzazioni", "competitività" altro non sono che i nuovi dispacci del Cadorna collettivo del XXI secolo che comanda la classe dirigente tricolore. Classe che sta ripiegando sulla linea del Piave senza però intravedere una sorta di Vittorio Veneto. Vittoria finale che allora comportò ulteriori decine di migliaia di morti ma che, almeno, pose fine al conflitto.
Oggi si scopre che il conflitto combattuto dal cadornismo contemporaneo è in atto dalla crisi finanziaria del '92. Lo stanno pagando gli italiani. Una guerra dei vent'anni che si candida a diventare una di trenta.
Triste paese quello in mano ad adoratori di algoritimi, fanatici degli equilibri di bilancio, che bruciano il futuro di generazioni al grido di "non ci sono alternative a questa manovra". Le alternative, almeno quelle, fortunatamente ci sono.
Sfogliando lo stupidario delle dichiarazioni del ceto politico italiano nel bel mezzo della crisi finanziaria si colgono, nelle loro parole dei veri propri tratti storici tipici delle classi dirigenti italiane. Vengono a mente le frasi di Napolitano, che ha definito la finanziaria " un miracolo" alla vigilia dell'affondamento del prodotto celeste su tutte le piazze finanziarie, o di Bersani, "l'Italia non si farà mettere in ginocchio" (infatti è stata gambizzata), e infine di Tremonti che ha detto pubblicamente "hic manebus optime" quando non la storia ma la cronaca ha dimostrato che il superministro è polvere rispetto a quanto sta accadendo.
In questo modo, saranno contenti gli appassionati del tricolore, si intravede un tratto antropologico comune tra le classi dirigenti contemporanee e quelle non della prima repubblica ma del regno d'Italia. Possiamo definire questo tratto come cadornismo. Il
generale Luigi Cadorna infatti conosceva solo una strategia militare e la applicava al costo di migliaia di morti ogni offensiva. Se la strategia non funzionava ne inaspriva l'applicazione facendo fucilare dai carabinieri i soldati renitenti. Si è così sviluppato il primo grande massacro dell'Italia unitaria: la Grande Guerra del '15-'18.
La strategia del Cadorna collettivo contemporaneo, che va da Repubblica a Libero come da Di Pietro a Cicchitto, si chiama "unità nazionale per il rigore nei conti pubblici". Non sta funzionando: gli dei del mercato hanno sete di sangue. Il terzo mercato mondiale delle obbligazioni, l'Italia, tanto più fa finanziarie restrittive tanto più offre sangue agli squali del mercato. Le truppe del nuovo Cadorna finiscono per ripiegare proprio dove il nemico vuole che finiscano per poterle attaccare meglio. E nel momento in cui le perdite sono maggiori non si cambia strategia ma si gettano nuove truppe sul fronte.
Proprio là, dove saranno massacrate. Le parole d'ordine "privatizzazioni", "liberalizzazioni", "competitività" altro non sono che i nuovi dispacci del Cadorna collettivo del XXI secolo che comanda la classe dirigente tricolore. Classe che sta ripiegando sulla linea del Piave senza però intravedere una sorta di Vittorio Veneto. Vittoria finale che allora comportò ulteriori decine di migliaia di morti ma che, almeno, pose fine al conflitto.
Oggi si scopre che il conflitto combattuto dal cadornismo contemporaneo è in atto dalla crisi finanziaria del '92. Lo stanno pagando gli italiani. Una guerra dei vent'anni che si candida a diventare una di trenta.
Triste paese quello in mano ad adoratori di algoritimi, fanatici degli equilibri di bilancio, che bruciano il futuro di generazioni al grido di "non ci sono alternative a questa manovra". Le alternative, almeno quelle, fortunatamente ci sono.
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