di Nicola Cipolla - ilmanifesto -
Dal 1989 sono passati ormai ventitre anni, un tempo sufficiente per dare una valutazione laica e non emotiva del ruolo che il pensiero di Lenin ha avuto nel determinare, a partire dalla Russia degli zar, le grandi rivoluzioni del XX secolo della Cina di Mao, dell'India di Gandhi, del Sudafrica di Mandela, della Cuba di Fidel. Con la minaccia del comunismo e sull'esempio della pianificazione staliniana, a cui certamente si è ispirato Beveridge, si è evoluto lo stato sociale. La vittoria dei vietcong di Ho Chi Minh armati di missili terra aria forniti dall'Urss ha determinato anche, a partire da Berkeley, la rivolta degli studenti americani, il maggio francese e l'autunno caldo in Italia decisivo per lo scisma del gruppo fondatore de il manifesto. Alla base dell'ondata leninista, gli scritti su "imperialismo fase estrema (finale) del capitalismo" e quelli sulla questione agraria che individuavano nelle masse contadine e nelle rivendicazioni di indipendenza nazionale le forze motrici di grandi rivoluzioni che hanno chiuso la globalizzazione iniziata nel 1492.
Oggi, nel XXI secolo, il capitalismo ci coinvolge in due grosse crisi: nell'immediato, quella finanziaria, e nella vicina prospettiva di poche decine di anni, della crisi ambientale, come Viale ricorda, che può cancellare l'attuale sistema di vita sul pianeta. Due secoli di uso ed abuso di energie fossili hanno prodotto fenomeni che si vanno man mano aggravando confermando l'analisi degli scienziati delle NU che hanno, fin dalla conferenza di Los Angeles, avvertito il pericolo.
Il paragone della crisi attuale con quella del '29 non regge. Allora la crisi investì tutto il pianeta perché esisteva un'economia mondo (globale) basata sul colonialismo. La crisi attuale invece riguarda solo i paesi industrializzati, ex colonialisti, mentre continuano a svilupparsi le economie dei paesi liberatisi dall'oppressione coloniale. Le graduatorie annuali basate sul Pil dimostrano l'ascesa continua di questi paesi.
La proposta di Luciana Castellina (il manifesto 28/2) di spostare online il giornale mi spinge a fare un'altra considerazione. Pochi anni fa una proposta simile non sarebbe stata possibile, lo è ora perché si è diffuso negli ultimi anni, anche nel corso della crisi, l'uso di apparecchi elettronici (computer, telefonini, iPad, ecc.) la cui produzione raggiungerà quest'anno, secondo le previsioni, un miliardo e quattrocento milioni di pezzi per superare, entro breve tempo, il numero degli abitanti del pianeta. Alla base, l'uso del "silicio cristallino" che, investito dall'elettricità, produce, conserva, trasmette ed elabora immagini, suoni e parole. Ciò costituisce un elemento fondamentale di globalizzazione anche culturale. Senza questi strumenti la stessa globalizzazione finanziaria, oggi in crisi, non sarebbe stata possibile e così anche grandi lotte popolari dalla cosiddetta "primavera africana" fino ai No Tav.
Ma il silicio è ambivalente: se esposto a fonte luminosa (il sole) produce energia elettrica. Carlo Rubbia ci ha avvertito, oltre un decennio fa, che un quadrato di 250 km di lato nel Sahara riceve dal sole ogni giorno la quantità di luce necessaria per produrre tutta l'energia consumata dall'umanità nello stesso tempo. Negli ultimi anni, sotto l'impulso di paesi come la Germania ed altri del nord Europa, questa tecnologia si è sviluppata in modo da coprire quote crescenti del fabbisogno. Man mano ne è diminuito il costo, è aumentata l'efficienza e, con il barile di petrolio ormai sopra i 100 dollai, si potrebbe, nello spazio di pochi anni, raggiungere la grid parity.
Dopodiché il solare fotovoltaico (con le altre energie alternative: vento, biomasse, biogas, ecc.) potrebbe sostituire totalmente le fonti fossili, che hanno costituito la base dello sviluppo capitalistico, iniziato nel XIX secolo, con il carbone che ispirò gli scritti di Marx ed Engels e tutta la storia conseguente, e proseguito con il petrolio del XX secolo, che hanno determinato una nuova fase, a partire dagli Usa, riconosciuta da Gramsci negli scritti su Americanismo e fordismo. Diceva Marx che esiste un rapporto tra forze produttive che l'uomo riesce a dominare e modo di produzione. Il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili può portare a modificare il tipo di economia e di società.
Caratteristica delle energie rinnovabili, infatti, è quella di essere diffuse ed accessibili in tutto il mondo. Per cui ogni nazione, ogni città, ogni famiglia, ogni azienda potrà rendersi autonoma facendo venire meno così uno dei principali motivi dei conflitti che si sono succeduti nei due secoli precedenti, e i deserti si potranno popolare attorno ad industrie energivore: vetro, cemento ceramica, elettrosiderurgia, ecc..
Questo processo di sostituzione trova resistenze formidabili nei monopoli delle energie fossili e nei governi che da questi sono dominati, a cominciare dagli Usa,che prima non hanno aderito agli accordi di Kyoto, promossi dalla Ue, ed ora hanno fatto fallire la Conferenza di Durban, in Sudafrica, della quale si doveva approvarne il proseguimento e che ha rappresentato l'unico tentativo, contro il neoliberismo imperante, di realizzare un controllo pubblico sullo sviluppo dell'economia.
L'attuazione anche in Italia, con più di dieci anni di ritardo, del Conto energia tedesco (ricordiamo Hermann Scheer) ha prodotto negli ultimi tre anni un risultato eccezionale. Il 2011 si chiude con il primato mondiale del nostro paese, con 6.770 mw installati, ottenuto con un investimento di circa 14 miliardi, che ha portato a 60.000 gli addetti al settore (in Germania 360.000). Con questo ritmo, entro il 2020, si potrebbe andare ben oltre il 20 per cento stabilito dalla Ue, con una forte riduzione delle importazioni che oggi costituiscono l'85 per cento dei consumi e rappresentano il 4,5 per cento del Pil. L'Italia è agli ultimi posti in tutte le statistiche economiche. Le rinnovabili costituiscono l'unico settore che ha portato uno sviluppo degli investimenti, dell'occupazione e del reddito malgrado la crisi.
Questa verità è stata cancellata da tutta la stampa nazionale e, prima il governo Berlusconi e ora il governo Monti, con l'accordo di Bersani, hanno scelto di bloccare questo sviluppo. L'eolico è da due anni senza regolamentazione, il solare per quattro volte è stato sottoposto ad una riduzione degli incentivi e, nell'ultimo decreto Monti, è stata vietata l'installazione a pieno campo del solare fotovoltaico che poteva essere meglio regolamentata, come in Germania, ma certamente non vietata. La privatizzazione, imposta dalla Ue, dell'Eni e dell'Enel, ha prodotto una situazione paradossale che è la causa principale del 30 per cento in più del costo dell'energia in Italia rispetto al resto dell'Europa, a cominciare dai paesi confinanti, come Austria e Francia. L'Enel, costretto a cedere il 50 per cento delle sue centrali, ha esteso, assieme all'Eni, la sua attività fuori dall'Italia acquisendo in condizioni di assoluta mancanza di controlli nazionali, in paesi come l'Azerbaigiàn e la Nigeria, centrali elettriche, permessi di ricerca e di coltivazioni di idrocarburi e persino, in violazione del referendum sul nucleare, vecchi catorci atomici in Slovacchia, tipo Chernobyl. Questi investimenti che, specialmente nel campo elettrico, non portano nessun beneficio all'economia italiana, sono sostenuti "per cassa" dagli introiti delle bollette dell'energia elettrica, del gas e dei carburanti pagati dalla massa dei cittadini e delle imprese. Ad esempio, il prezzo dell'energia elettrica è basato sul costo dell'offerta marginale più elevata, il che costituisce, per tutti gli impianti più efficienti, una rendita di tipo quasi feudale. Il pensiero di Adam Smith (sul mercato il prezzo doveva essere adeguato al costo più basso) è completamente rovesciato da un intervento di tipo corporativo e protezionista consentito dalla Ue e sostenuto da tutte le forze politiche che abbiamo citato. La stampa e le tv italiane non affrontano questo problema.
Questo blocco però contrasta il sentimento popolare che si è manifestato nel voto di 27 milioni di cittadini italiani a favore dei referendum ambientalisti e contro le privatizzazioni, nella conquista di grandi comuni come Milano, Napoli, Cagliari ed ora forse Genova, che affrontano l'esigenza di sostituire lo sperpero neoliberista con un sistema che è stato definito, nel recente incontro nazionale promosso dalla giunta di Napoli: "Il Comune per i beni comuni". Già la vittoria di Nichi Vendola in Puglia ha avviato il processo di deprivatizzazione dell'acqua e soprattutto ha fatto raggiungere alla regione il primato nelle energie rinnovabili. Questo movimento ha bisogno però di un giornale che non solo dia notizia ma affronti giorno per giorno, situazione per situazione, un'azione di denuncia, di proposta e di sostegno ai movimenti ed anche alle imprese industriali delle rinnovabili con l'obiettivo di superare il modello energetico attuale. Voglio ricordare che l'Espresso di Scalfari e di Ernesto Rossi acquisì autorevolezza e decine di migliaia di lettori con la campagna contro i monopoli elettrici e per la nazionalizzazione dell'Enel.
Sono d'accordo con gli interventi che hanno affermato che il vecchio keynesismo non basta. Non solo perché ne viene continuamente attaccata, come nella recente dichiarazione di Mario Draghi dal pulpito della Bce, la base originaria che è il keynesismo sociale, ma perché, in effetti, il keynesismo che ha dominato, a partire dall'intervento Usa nella seconda guerra mondiale, è stato quello "militare" per cui la spesa bellica, finanziata dal deficit di bilancio, secondo il modulo di Bretton Woods, ha costituito il principale motore dello sviluppo industriale, portando ormai ad una situazione insostenibile a causa dell'indebitamento degli Usa verso tutto il mondo e, negli ultimi decenni soprattutto, verso la Cina che oggi ne è il principale concorrente.
L'unico incentivo di tipo keynesiano, che può stimolare l'uscita dall'attuale fase di crisi, può essere costituito solo dagli investimenti, dai posti di lavoro che potranno essere realizzati, per molti decenni di questo secolo, da questo storico passaggio dalle energie fossili (oggi l'anello più debole della catena) alle energie rinnovabili. Occorre passare dal keynesismo militare al keynesimo ambientale. I Comuni man mano conquistati a questo processo innovativo, utilizzando i tetti degli edifici pubblici, possono assicurarsi risorse finanziarie tali da compensare i tagli del governo Monti. Nell'ultimo sciopero dei metalmeccanici, sacrosanto, mancava però uno striscione di protesta contro la minaccia ai 60.000 posti di lavoro creati negli anni scorsi dall'industria delle rinnovabili e per aprire alla prospettiva verso i 360.00 posti della Germania. Non basta dire «no» agli attacchi allo stato sociale e ai diritti dei lavoratori conquistati nel secolo scorso, occorre anche aprirsi ad una nuova prospettiva di trasformazione economica e sociale. Valentino Parlato e Rossana Rossana mi scuseranno, ma io nelle loro argomentazioni non vedo questa apertura verso l'obiettivo centrale del XXI secolo: il secolo delle rinnovabili, il secolo del silicio.
L'articolo di Rossana Rossanda a cui si fa riferimento è uscito il 18/2. Sono seguiti gli interventi di Giorgio Ruffolo (21/2), Pierluigi Ciocca (22/2), Alberto Burgio (24/2), Mario Tronti (26/2), Luciana Castellina (28/2), Valentino Parlato (29/2), Luigi Cavallaro (1/3), Mariuccia Ciotta e Gabriele Polo (2/3), Aldo Tortorella (3/3)
Dal 1989 sono passati ormai ventitre anni, un tempo sufficiente per dare una valutazione laica e non emotiva del ruolo che il pensiero di Lenin ha avuto nel determinare, a partire dalla Russia degli zar, le grandi rivoluzioni del XX secolo della Cina di Mao, dell'India di Gandhi, del Sudafrica di Mandela, della Cuba di Fidel. Con la minaccia del comunismo e sull'esempio della pianificazione staliniana, a cui certamente si è ispirato Beveridge, si è evoluto lo stato sociale. La vittoria dei vietcong di Ho Chi Minh armati di missili terra aria forniti dall'Urss ha determinato anche, a partire da Berkeley, la rivolta degli studenti americani, il maggio francese e l'autunno caldo in Italia decisivo per lo scisma del gruppo fondatore de il manifesto. Alla base dell'ondata leninista, gli scritti su "imperialismo fase estrema (finale) del capitalismo" e quelli sulla questione agraria che individuavano nelle masse contadine e nelle rivendicazioni di indipendenza nazionale le forze motrici di grandi rivoluzioni che hanno chiuso la globalizzazione iniziata nel 1492.
Oggi, nel XXI secolo, il capitalismo ci coinvolge in due grosse crisi: nell'immediato, quella finanziaria, e nella vicina prospettiva di poche decine di anni, della crisi ambientale, come Viale ricorda, che può cancellare l'attuale sistema di vita sul pianeta. Due secoli di uso ed abuso di energie fossili hanno prodotto fenomeni che si vanno man mano aggravando confermando l'analisi degli scienziati delle NU che hanno, fin dalla conferenza di Los Angeles, avvertito il pericolo.
Il paragone della crisi attuale con quella del '29 non regge. Allora la crisi investì tutto il pianeta perché esisteva un'economia mondo (globale) basata sul colonialismo. La crisi attuale invece riguarda solo i paesi industrializzati, ex colonialisti, mentre continuano a svilupparsi le economie dei paesi liberatisi dall'oppressione coloniale. Le graduatorie annuali basate sul Pil dimostrano l'ascesa continua di questi paesi.
La proposta di Luciana Castellina (il manifesto 28/2) di spostare online il giornale mi spinge a fare un'altra considerazione. Pochi anni fa una proposta simile non sarebbe stata possibile, lo è ora perché si è diffuso negli ultimi anni, anche nel corso della crisi, l'uso di apparecchi elettronici (computer, telefonini, iPad, ecc.) la cui produzione raggiungerà quest'anno, secondo le previsioni, un miliardo e quattrocento milioni di pezzi per superare, entro breve tempo, il numero degli abitanti del pianeta. Alla base, l'uso del "silicio cristallino" che, investito dall'elettricità, produce, conserva, trasmette ed elabora immagini, suoni e parole. Ciò costituisce un elemento fondamentale di globalizzazione anche culturale. Senza questi strumenti la stessa globalizzazione finanziaria, oggi in crisi, non sarebbe stata possibile e così anche grandi lotte popolari dalla cosiddetta "primavera africana" fino ai No Tav.
Ma il silicio è ambivalente: se esposto a fonte luminosa (il sole) produce energia elettrica. Carlo Rubbia ci ha avvertito, oltre un decennio fa, che un quadrato di 250 km di lato nel Sahara riceve dal sole ogni giorno la quantità di luce necessaria per produrre tutta l'energia consumata dall'umanità nello stesso tempo. Negli ultimi anni, sotto l'impulso di paesi come la Germania ed altri del nord Europa, questa tecnologia si è sviluppata in modo da coprire quote crescenti del fabbisogno. Man mano ne è diminuito il costo, è aumentata l'efficienza e, con il barile di petrolio ormai sopra i 100 dollai, si potrebbe, nello spazio di pochi anni, raggiungere la grid parity.
Dopodiché il solare fotovoltaico (con le altre energie alternative: vento, biomasse, biogas, ecc.) potrebbe sostituire totalmente le fonti fossili, che hanno costituito la base dello sviluppo capitalistico, iniziato nel XIX secolo, con il carbone che ispirò gli scritti di Marx ed Engels e tutta la storia conseguente, e proseguito con il petrolio del XX secolo, che hanno determinato una nuova fase, a partire dagli Usa, riconosciuta da Gramsci negli scritti su Americanismo e fordismo. Diceva Marx che esiste un rapporto tra forze produttive che l'uomo riesce a dominare e modo di produzione. Il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili può portare a modificare il tipo di economia e di società.
Caratteristica delle energie rinnovabili, infatti, è quella di essere diffuse ed accessibili in tutto il mondo. Per cui ogni nazione, ogni città, ogni famiglia, ogni azienda potrà rendersi autonoma facendo venire meno così uno dei principali motivi dei conflitti che si sono succeduti nei due secoli precedenti, e i deserti si potranno popolare attorno ad industrie energivore: vetro, cemento ceramica, elettrosiderurgia, ecc..
Questo processo di sostituzione trova resistenze formidabili nei monopoli delle energie fossili e nei governi che da questi sono dominati, a cominciare dagli Usa,che prima non hanno aderito agli accordi di Kyoto, promossi dalla Ue, ed ora hanno fatto fallire la Conferenza di Durban, in Sudafrica, della quale si doveva approvarne il proseguimento e che ha rappresentato l'unico tentativo, contro il neoliberismo imperante, di realizzare un controllo pubblico sullo sviluppo dell'economia.
L'attuazione anche in Italia, con più di dieci anni di ritardo, del Conto energia tedesco (ricordiamo Hermann Scheer) ha prodotto negli ultimi tre anni un risultato eccezionale. Il 2011 si chiude con il primato mondiale del nostro paese, con 6.770 mw installati, ottenuto con un investimento di circa 14 miliardi, che ha portato a 60.000 gli addetti al settore (in Germania 360.000). Con questo ritmo, entro il 2020, si potrebbe andare ben oltre il 20 per cento stabilito dalla Ue, con una forte riduzione delle importazioni che oggi costituiscono l'85 per cento dei consumi e rappresentano il 4,5 per cento del Pil. L'Italia è agli ultimi posti in tutte le statistiche economiche. Le rinnovabili costituiscono l'unico settore che ha portato uno sviluppo degli investimenti, dell'occupazione e del reddito malgrado la crisi.
Questa verità è stata cancellata da tutta la stampa nazionale e, prima il governo Berlusconi e ora il governo Monti, con l'accordo di Bersani, hanno scelto di bloccare questo sviluppo. L'eolico è da due anni senza regolamentazione, il solare per quattro volte è stato sottoposto ad una riduzione degli incentivi e, nell'ultimo decreto Monti, è stata vietata l'installazione a pieno campo del solare fotovoltaico che poteva essere meglio regolamentata, come in Germania, ma certamente non vietata. La privatizzazione, imposta dalla Ue, dell'Eni e dell'Enel, ha prodotto una situazione paradossale che è la causa principale del 30 per cento in più del costo dell'energia in Italia rispetto al resto dell'Europa, a cominciare dai paesi confinanti, come Austria e Francia. L'Enel, costretto a cedere il 50 per cento delle sue centrali, ha esteso, assieme all'Eni, la sua attività fuori dall'Italia acquisendo in condizioni di assoluta mancanza di controlli nazionali, in paesi come l'Azerbaigiàn e la Nigeria, centrali elettriche, permessi di ricerca e di coltivazioni di idrocarburi e persino, in violazione del referendum sul nucleare, vecchi catorci atomici in Slovacchia, tipo Chernobyl. Questi investimenti che, specialmente nel campo elettrico, non portano nessun beneficio all'economia italiana, sono sostenuti "per cassa" dagli introiti delle bollette dell'energia elettrica, del gas e dei carburanti pagati dalla massa dei cittadini e delle imprese. Ad esempio, il prezzo dell'energia elettrica è basato sul costo dell'offerta marginale più elevata, il che costituisce, per tutti gli impianti più efficienti, una rendita di tipo quasi feudale. Il pensiero di Adam Smith (sul mercato il prezzo doveva essere adeguato al costo più basso) è completamente rovesciato da un intervento di tipo corporativo e protezionista consentito dalla Ue e sostenuto da tutte le forze politiche che abbiamo citato. La stampa e le tv italiane non affrontano questo problema.
Questo blocco però contrasta il sentimento popolare che si è manifestato nel voto di 27 milioni di cittadini italiani a favore dei referendum ambientalisti e contro le privatizzazioni, nella conquista di grandi comuni come Milano, Napoli, Cagliari ed ora forse Genova, che affrontano l'esigenza di sostituire lo sperpero neoliberista con un sistema che è stato definito, nel recente incontro nazionale promosso dalla giunta di Napoli: "Il Comune per i beni comuni". Già la vittoria di Nichi Vendola in Puglia ha avviato il processo di deprivatizzazione dell'acqua e soprattutto ha fatto raggiungere alla regione il primato nelle energie rinnovabili. Questo movimento ha bisogno però di un giornale che non solo dia notizia ma affronti giorno per giorno, situazione per situazione, un'azione di denuncia, di proposta e di sostegno ai movimenti ed anche alle imprese industriali delle rinnovabili con l'obiettivo di superare il modello energetico attuale. Voglio ricordare che l'Espresso di Scalfari e di Ernesto Rossi acquisì autorevolezza e decine di migliaia di lettori con la campagna contro i monopoli elettrici e per la nazionalizzazione dell'Enel.
Sono d'accordo con gli interventi che hanno affermato che il vecchio keynesismo non basta. Non solo perché ne viene continuamente attaccata, come nella recente dichiarazione di Mario Draghi dal pulpito della Bce, la base originaria che è il keynesismo sociale, ma perché, in effetti, il keynesismo che ha dominato, a partire dall'intervento Usa nella seconda guerra mondiale, è stato quello "militare" per cui la spesa bellica, finanziata dal deficit di bilancio, secondo il modulo di Bretton Woods, ha costituito il principale motore dello sviluppo industriale, portando ormai ad una situazione insostenibile a causa dell'indebitamento degli Usa verso tutto il mondo e, negli ultimi decenni soprattutto, verso la Cina che oggi ne è il principale concorrente.
L'unico incentivo di tipo keynesiano, che può stimolare l'uscita dall'attuale fase di crisi, può essere costituito solo dagli investimenti, dai posti di lavoro che potranno essere realizzati, per molti decenni di questo secolo, da questo storico passaggio dalle energie fossili (oggi l'anello più debole della catena) alle energie rinnovabili. Occorre passare dal keynesismo militare al keynesimo ambientale. I Comuni man mano conquistati a questo processo innovativo, utilizzando i tetti degli edifici pubblici, possono assicurarsi risorse finanziarie tali da compensare i tagli del governo Monti. Nell'ultimo sciopero dei metalmeccanici, sacrosanto, mancava però uno striscione di protesta contro la minaccia ai 60.000 posti di lavoro creati negli anni scorsi dall'industria delle rinnovabili e per aprire alla prospettiva verso i 360.00 posti della Germania. Non basta dire «no» agli attacchi allo stato sociale e ai diritti dei lavoratori conquistati nel secolo scorso, occorre anche aprirsi ad una nuova prospettiva di trasformazione economica e sociale. Valentino Parlato e Rossana Rossana mi scuseranno, ma io nelle loro argomentazioni non vedo questa apertura verso l'obiettivo centrale del XXI secolo: il secolo delle rinnovabili, il secolo del silicio.
L'articolo di Rossana Rossanda a cui si fa riferimento è uscito il 18/2. Sono seguiti gli interventi di Giorgio Ruffolo (21/2), Pierluigi Ciocca (22/2), Alberto Burgio (24/2), Mario Tronti (26/2), Luciana Castellina (28/2), Valentino Parlato (29/2), Luigi Cavallaro (1/3), Mariuccia Ciotta e Gabriele Polo (2/3), Aldo Tortorella (3/3)
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