- quinterna -
"Occupy the world together" (Occupiamo il mondo insieme). Titolo di una pagina su Facebook, di un sito sindacale canadese, di una manifestazione di Occupy Budapest, di molti filmati su YouTube… e di altre 12.000 ricorrenze su Google.
"Ci hanno buttato fuori dalle nostre case. Ci hanno costretti a scegliere tra mangiare o pagare l'affitto. Ci è negata l'assistenza medica. Soffriamo per l'inquinamento. Quando un lavoro l'abbiamo, facciamo orari impossibili per paghe basse e nessun diritto. Siamo il 99 per cento e non abbiamo niente, mentre l'altro 1% ha tutto". (Testo di apertura del sito web "We are 99%", dedicato a migliaia di brevissimi scorci di vita pubblicati da anonimi aderenti al movimento Occupy Wall Street).
"L'unica soluzione è la rivoluzione mondiale" (Conclusione dello statement nella Home page del sito Occupy Wall Street).
"Gli operai vinceranno se capiranno che nessuno deve venire. L'attesa del Messia e il culto del genio, spiegabili per Pietro e per Carlyle, sono per un marxista solo misere coperture di impotenza. La Rivoluzione si rialzerà tremenda, ma anonima" (PCInt., 1953).
Occupy Liberty Square
Il nostro movimento si allarga, l'esperienza di Zuccotti Park, cioè Liberty Square, ci sarà utile. La piazza era e rimane un punto di riferimento. Macché sporcizia e droga. Quella dell'igiene è ovviamente un pretesto. Prima che gli sbirri ci buttassero fuori, qui c'era molta collaborazione fra gli occupiers, la piazza era tenuta ben pulita, c'era un centro informatico munito di computer, generatori di corrente e router wireless, una cucina da centinaia di pasti al giorno, una biblioteca. Eravamo lì quando hanno scaraventato tutto nei camion della spazzatura. Tallonati dagli sbirri in tenuta antisommossa non abbiamo potuto fare niente. I libri erano già cinquemila, la tenda con gli scaffali ce l'aveva regalata Patti Smith. Qui il movimento raccoglieva persino soldi, cosa che in questo paese è sempre buon segno. Nella scatola delle offerte abbiamo trovato in un mese 150.000 dollari. Le donazioni sul conto corrente hanno superato il mezzo milione.
La piazza era presidiata di notte. Eravamo in due o trecento con le tende. Di giorno facevamo assemblee, un po' di spettacolo, molta controinformazione. È naturale che un movimento cerchi di avere un luogo che sia anche un punto di riferimento. L'avevano cercato e realizzato anche i greci in piazza Syntagma, gli egiziani in piazza Tahrir, gli spagnoli in piazza Puerta del Sol. All'inizio eravamo influenzati dagli altri movimenti, ma New York è una città un po' particolare ed è emerso il suo ambiente underground, liberal, anarcoide. Kalle Lasn dice che il movimento assomiglia un po' a quello del Sessantotto in Europa, che ha qualche tratto situazionista. Kalle ha fondato la rivista Adbusters. È stato uno dei promotori di Occupy Wall Street. Secondo noi sbaglia. Qui praticamente nessuno sa che cosa sia un situazionista. Figuriamoci poi un comunista. C'era un bel po' di ideologia nel movimento europeo, mentre la zuppa che serve il fast food di Zuccotti Park è fatta con un brodo pragmatista all'americana. Non c'è la ricetta e ogni giorno come viene viene. Oltre tutto il cuoco è nomade, un giorno è al Cairo, un giorno è ad Atene, un giorno è a Oakland.
A parte gli scherzi. Non è tutta ingenuità pragmatica quella riflessa dai cartelli e dai comunicati del nostro sito ufficiale. Noi mediamente ci crediamo nel motto "Stiamo impostando il primo giorno della nuova America". È una nostra idea fissa. Anche i fascisti neocons erano convinti di essere i precursori del nuovo secolo americano. Meno male che sono spariti. God bless America, noi non spariremo. Guarda il manifesto: una danzatrice leggera sul groppone del massiccio toro di Wall Street. Leggerezza contro pesantezza. Sarà una leggenda metropolitana, ma dicono che sia stato il gruppo di hacktivist Anonymus a lanciare l'idea di "invadere Manhattan" e di occupare Wall Street. Di fatto ha invitato tutti i suoi militanti ad appoggiare il movimento a fornirgli informazioni tecniche. Certe notizie diventano memi che si espandono ed evolvono. Anonymus ha promesso di attaccare i sistemi informatici di Wall Street, delle banche assassine e della polizia. Non è successo niente (la borsa è stata bloccata per un paio di minuti), ma con notizie come quella i media ci vanno a nozze. In realtà non c'è bisogno di essere geek per mettere in piedi una task force informatica. Siamo leggeri come i bit e attraverso il Web immateriale s'è formata la rete organizzata. Siamo nuovi e quindi rivoluzionari. L'avversario invece è vecchio, pachidermico, destinato a crepare.
Il nostro motto è: "Siamo il 99%". Non si sa quando è nato. Probabilmente nel 2010, quando è uscito il libro di DeGraw L'Elite economica contro il popolo americano. Ha attecchito subito. È una mezza verità statistica. È vero che in percentuale sulla popolazione siamo così numerosi, ma in due mesi di esistenza la nostra più riuscita mobilitazione a New York ha portato in piazza al massimo 40.000 persone. Non sono molte per una metropoli che ha undici milioni di abitanti. Il risultato maggiore però è la diffusione intorno al mondo. Un'onda che non abbiamo creato noi, s'è formata da sé a partire dal movimento arabo. Noi siamo un prodotto di questo tsunami, sarebbe bene che i nostri avversari lo tenessero presente. La mobilitazione del 15 ottobre, a un mese dalla nostra formazione, aveva chiamato in piazza forse dieci milioni di persone in un migliaio di città di 80 paesi. Il nostro sito conta adesso 2.600 comunità in ogni parte del mondo con 21.000 aderenti. In due mesi non è male.
A noi americani piacciono i numeri. Sali su un grattacielo da turista e ti danno un volantino con il conto degli anni che ci sono voluti per costruirlo, il peso dell'acciaio, la lunghezza dei cavi, la velocità degli ascensori, il numero degli impiegati. Secondo la legge empirica di Pareto l'80% della ricchezza dovrebbe essere in mano al 20% degli americani, invece questo 20% ne possiede l'87,7%. Noi riusciamo a far meglio delle leggi del capitalismo. A proposito. Alcuni ci dicono che siamo anticapitalisti, quindi socialisti oppure, orrore, comunisti. E naturalmente: giovani, sfaticati e magari anche drogati. Niente paura, sono già venuti i sociologi e gli statistici a farci le pulci, più numerosi dei giornalisti. Allora: i due terzi di noi ha meno di 35 anni, il resto di più. Gli anziani poveri sono molti, a Zuccotti Park rimediavano qualche pasto. Come si sa, il nostro non è un paese per vecchi. Il 27% dichiara di votare per i democratici, il 3% per i repubblicani. Al 70% non importa niente, o non vota o vota come capita. Nessuno ha detto di essere anarchico, socialista o comunista. La metà ha un lavoro fisso, l'altra metà non l'ha o è precaria. Sai cosa vuol dire qui da noi. E adesso attento a queste due cifre: solo il 6% trova che la cosa più frustrante sia la sperequazione dei redditi. Solo il 4% dichiara che vorrebbe una politica di perequazione del reddito se il movimento fosse al governo. Vuol dire che il problema non è qualche dollaro in più, è che facciamo una vita di merda.
L'Assemblea Generale di New York City (NYCGA) che si tiene ogni sera alle sette è il posto dove si prendono le decisioni. L'assemblea è pubblica. Non esiste una leadership formale e non la vogliamo. Chi partecipa di più contribuisce di più alla formazione delle decisioni. C'è un po' di confusione, ma la cosa funziona. Non abbiamo un programma rivendicativo se non quello di occupare New York in pianta stabile. Qualcuno ha fatto delle proposte ma sono cadute. È certo che prima o poi si preciserà un programma. Dal punto di vista logistico, adesso che ci hanno sloggiato da Zuccotti Park vedremo il da farsi. Intanto quello è sempre un punto di riferimento. Potremmo occupare degli edifici, ma al momento non ha importanza.
C'è il problema della centralizzazione. Il movimento è andato molto oltre i confini di uno stato e anche di un continente. Wall Stret è una strada-simbolo di New York e giustamente stanno nascendo Occupy Altre Città, come ad esempio Occupy Oakland, Los Angeles, Denver, Portland, Firenze, Parigi, Londra, Berlino, Melbourne, Toronto, eccetera. La Rete è lo strumento che centralizza il lavoro anche se si sviluppano realtà locali più o meno indipendenti. La mobilitazione del 15 ottobre ha dimostrato che si formano spontaneamente dei nodi collegati sia tra loro che a hub nazionali, e tutti quanti a loro volta attingono e trasmettono informazione dal/al hub di New York, per cui il centralismo non si perde mai e il coordinamento è assicurato in via del tutto automatica. Così non ha più senso il dibattito sull'autorità. Appena nato era già morto.
Abbiamo una struttura ormai riconosciuta da altre strutture. Molti lavoratori partecipano al movimento. Era inevitabile che i sindacati in crisi finissero per cercare un contatto con noi. I primi sono stati quelli degli infermieri e dei trasporti. Poi sono venuti quelli del settore pubblico locale e gli IWW. Alla manifestazione del 4 ottobre a New York erano presenti migliaia di lavoratori. Hanno sfilato i rappresentanti sindacali di 14 fra le più grandi Unions degli Stati Uniti. Non crediamo che la saldatura tra il movimento Occupy Wall Street e i sindacati possa essere dannosa come dice qualcuno. È vero che non siamo un movimento politico nel senso classico del termine. Non siamo un partito anche se siamo di parte. Non siamo neppure un movimento sindacale. È anche vero che i sindacati sono organismi gerarchici a struttura piramidale, mentre noi siamo organizzati a rete e questo provoca qualche incompatibilità. Ma crediamo sia impossibile che la vecchia struttura possa creare problemi a noi, mentre ci sembra assai più probabile che avvenga il contrario. La verità è che i sindacati americani stavano soffocando per mancanza di iscritti e hanno trovato in Occupy Wall Street un po' di ossigeno. Addirittura, la potentissima UAW (United Automobile, Aerospace and Agricultural Workers), ha dichiarato: "Riconosciamo la necessità di lavorare insieme e di imparare gli uni dagli altri. La vitalità, l'energia e il dialogo che emergono dal movimento OWS mostra il potenziale per organizzare, rafforzare, vincere, la lotta per i diritti della classe media". Beh, per noi americani gli operai fanno parte della classe media. In ogni occasione di manifestazioni appena un po' numerose queste Union si sono accodate. Molti organismi del panorama politico americano sta tentando di salire sul carro di OWS, dai situazionisti di Ken Knabb a certi destri americani, dai sindacati agli anarchici, ecc. Per noi è un segno di forza e non di debolezza. Non riusciranno a fare niente. Immaginateli in una nostra assemblea, con il loro linguaggio, con i loro programmi, con la loro spocchiosa voglia di egemonia.
Occupy the top
Ok, sono uno speculatore. Tutti i trader lo sono. Speculano anche i pensionati con i loro fondi pensione. Parliamoci chiaro: per me è meglio stare nell'attico che in cantina. Se gli sfigati che occupano e protestano sono il 99% bisogna capire bene che cosa è il restante 1%. Negli States siamo 300 milioni in tutto. L'1% fa 3 milioni. Non ci sono così tanti padroni del vapore. Ci sono tanti che hanno soldi, ma sono pochi quelli che hanno il controllo dei soldi. Faccio un esempio. Tutto il mondo vale più o meno 60.000 miliardi di dollari in capitale vivo, il cosiddetto valore aggiunto. Non metto in conto il capitale morto, ad ammortamento, tipo impianti, infrastrutture, ecc. Di fronte a questa massa di dollari nuovi prodotti ogni anno sta il capitale finanziario. Lasciamo perdere la definizione. Una volta era capitale da investimento che nasceva nell'industria e nei servizi e finiva nel circuito del credito per essere re-investito negli stessi settori. Adesso è capitale prodotto in passato che vuole riprodursi in un circuito tutto suo, che usa il capitale morto (anche le fabbriche) solo per una parvenza di solvibilità. E del resto neppure si usa più essere solvibili, il debito è diventato la norma ed è oggetto di speculazione. Ecco perché il cosiddetto capitale finanziario fa paura e tutti si precipitano a servirlo per evitare disastri.
La speculazione esisteva anche nell'antichità, ma era un fenomeno marginale. Adesso il capitale da speculazione allarma semplicemente perché è grosso. Quanto nessuno lo sa. La Banca Mondiale ha provato a fare dei calcoli: solo in derivati sarebbero investiti un milione di miliardi di dollari. Inquietante, ma non è tutto: il 30% di questa cifra rappresenta movimenti OtC, Over the Counter, cioè non registrati dagli istituti ufficiali, fuori controllo. Poi ci sono i mercati azionari, i debiti pubblici, le riserve monetarie, i fondi d'investimento, tutti strumenti negoziabili sul mercato e a loro volta intrecciati. Ad esempio un fondo potrebbe avere in portafoglio valuta, derivati, azioni, altri fondi. I numeri nudi e crudi sono la migliore spiegazione di che cosa siano veramente i "fondamentali" dell'economia d'oggi.
Tre milioni di supercapitalisti sono veramente troppi, anche togliendo nonni e nipotini. Quelli che vogliono occupare Wall Street hanno sbagliato obiettivo. Cosa vuoi che importi, a chi controlla anche solo una parte di milioni di miliardi di dollari, delle scaramucce fra mille giovanotti sfigati e qualche centinaio di poliziotti non meno sfigati di loro? C'è un errore di fondo, che è tipico degli sfigati: immaginare che la propria situazione personale sia "colpa" di qualcuno. Di qualche oligarchia che trama nell'ombra. La Spectre esiste solo nei romanzi di Fleming. La realtà è fatta di impiegati del Capitale. Siamo pagati bene, stiamo ai piani alti dei grattacieli e facciamo un lavoro anonimo di routine. Immettiamo dei dati in un sistema computerizzato e lasciamo fare ad algoritmi escogitati da qualche altro impiegato. Dalle finestre dei nostri uffici non si distingue nemmeno cosa succede nella strada. In fondo i grandi direttori che guadagnano le cifre che leggiamo sui giornali non contano niente, sono solo uno spreco.
Io sono dunque un impiegato. Certo, guadagno molto. Ma rischio anche molto. La mobilità nel nostro ambiente è alta. Conosco gente che rischia ancora più di me facendo trading in proprio, con piccole società che impiegano soldi loro e soldi degli altri (il confine non è definito, pecunia non olet). La massa del capitale fluttuante transita da molti nodi nella rete degli operatori, ma gli hub, i nodi importanti, anzi, essenziali, sono pochi. Rispetto alle percentuali degli slogan molto, molto pochi. La crisi li ha fatti finire sui giornali. Sono istituti di prestito immobiliare, banche, fondi pensione, assicurazioni. Non è l'1% di qualcosa, è un intero sistema.
Quelli che manifestano sono degli sfigati perché non rappresentano un sistema contro un altro sistema, sono solo degli individui con dei problemi. Non intaccano minimamente quello che credono sia il loro avversario perché esso non esiste. Ci sono dei cartelli con scritto "Shut down the 1%", abbattilo. Ci vogliono morti? È una frase senza senso. Ammazza il più alto dei papaveri e non succederà niente. Quello che è scritto sulla massa dei cartelli non è altro che una rivendicazione di giustizia distributiva. Ma nei piani alti dei grattacieli non vige l'ingiustizia, perché in questo paese l'arricchimento è sacro più che altrove. Semmai si cerca di operare tra la legalità e la terra di nessuno dove la legge è opinabile, per evitare troppi impedimenti alla formazione del profitto. La giustizia distributiva ha un solo significato: distribuire ad altri quello che tu hai guadagnato. Ecco perché l'America non sopporta le tasse e si ribellerà prima contro il fisco che contro la cosiddetta ingiustizia. In un sistema libero c'è già la giustizia distributiva, le opportunità ci sono per tutti. Darwin aveva ragione, l'esistenza su questo mondo è regolata da leggi di natura. Quelli di Zuccotti Park non sono soltanto sfigati, sono un-fit, inadatti. Vuoi una prova? Sul loro sito è nato un dibattito sull'opportunità di bloccare davvero la borsa di Wall Street. Sai perché? Perché al NYSE i maggiori operatori sono i fondi pensione dei lavoratori. Questo è ciò che chiamo essere dei perdenti. Come dice un mio amico che lavora alla sicurezza informatica delle banche: viviamo pure tranquilli, nelle file nemiche ci sono più messaggeri che tiratori.
Noi siamo quello che loro vorrebbero essere, e che potrebbero davvero essere se avessero energia sufficiente per ottenere quello che pretendono gli sia regalato da altri. L'energia viene dal denaro. Noi rispettiamo le regole di un paese che basa il proprio dinamismo sulla promessa che il denaro ti dà la libertà. E lavoriamo sodo, ci misuriamo ogni giorno con questa promessa. Perciò raccogliamo denaro dal sistema e lo re-immettiamo nel sistema per fare più denaro, non importa cosa succede nei mille rivoli che stanno agli estremi della rete. Fare più soldi possibile con meno soldi possibile, questa è la semplice formula magica che riassume tutti gli astrusi linguaggi della finanza, l'effetto leva che sostiene il mondo. E tutti, anche gli sfigati che vogliono abbattere Wall Street, anche i poveri diavoli che perdono il lavoro e fanno la fame o i professori che pontificano sui giornali sono d'accordo in linea di massima sulla natura del sistema. Non vogliono un altro sistema, vogliono che questo sistema non sia sé stesso. Ma questo è assurdo.
Se vai a chiedere in giro nessuno te lo dirà, ma basta leggere i documenti, gli interventi sul Web, i cartelli nelle manifestazioni, non trovi nessuno che sia veramente al di fuori delle regole di questo sistema. È per quello che noi continuiamo a fare il nostro lavoro assolutamente indisturbati. Mi hanno dato dell'avvoltoio, ma io rispetto le leggi, non faccio male al prossimo, anzi, se voglio faccio anche beneficienza. Se voglio non sfioro nemmeno la terra di nessuno in cui le regole sfumano e il guadagno si amplifica. Dicono che la nostra attività di high frequency trading sia illegale e altamente speculativa. Non è vero per la prima parte e bisogna che qualcuno mi spieghi la seconda, cioè il termine "speculazione". Non c'è nessuno sano di mente che immetta denaro in un sistema per non tirar fuori più denaro.
Occupy the market
Siedo in questo ufficio da molti anni e conosco bene i giovani raider. Sono giovani predoni senza scrupoli, sono dinamici, hanno intuito e grinta. Fanno carriere fulminanti ma spesso cadono dall'alto e si fanno molto male. Il denaro è una droga e li fa sentire padreterni. Ma sono assolutamente individualisti e non capiscono fino in fondo la loro appartenenza a un sistema. Naturalmente a noi fanno comodo così, ma a volte rappresentano un problema. Ad esempio quando finiscono sui giornali perché si son fatti prendere la mano e speculano per conto loro con il denaro della compagnia che li paga profumatamente. O quando guadagnano abbastanza per mettersi in proprio e, col gruzzolo, si comprano un po' d'informatica per mettere a frutto le conoscenze acquisite. Il che vuol dire utilizzarle anche illegalmente, come nel caso dell'insider trading [speculare sfruttando notizie riservate provenienti dall'interno delle aziende].
La morale non c'entra. Io dirigo un hedge fund, cioè un fondo dichiaratamente speculativo ad alto rendimento ma anche ad alto rischio. Anche noi utilizziamo i sistemi informatici per strategie sofisticate e operiamo su diversi mercati contemporaneamente, sfruttando gli orari locali 24 ore su 24. Anche noi non disdegniamo le informazioni riservate. Ma cerchiamo di operare nell'ambito di un sistema che presumiamo di controllare, sebbene entro i limiti delle sue fluttuazioni fisiologiche. Anzi, come si sa, le fluttuazioni sono il nostro pane quotidiano. Il fatto è che il sistema è andato fuori controllo, e molto è dovuto agli automatismi che ormai tutti usano. È come se la massa enorme del capitale finanziario esistente avesse preso la mano degli operatori obbligandoli al suo ritmo. Il meccanismo è perverso: si distribuiscono dei sensori informatici nel sistema e a seconda dell'informazione ricevuta si danno delle risposte operative, vendere o comprare, con effetto leva o meno, azioni, petrolio, titoli di stato, valute, grano. Di tutto. L'operatore umano non può reagire a quella velocità, quindi tutto è affidato alle macchine e al loro software. O meglio, quasi tutto.
Il "quasi" è di importanza fondamentale. L'automatismo è come un cancro nel sistema. Una volta introdotto dal primo operatore, si propaga come una metastasi perché la concorrenza obbliga tutti ad aggiornarsi. E siccome il nostro cervello non reagisce alla complessità dei mercati nei microsecondi impiegati da un computer, ecco che la rete dei computer diventa autoreferente. Soros, che gestisce un hedge fund di gran lunga più potente del nostro, è stato il primo a teorizzare questa autoreferenza, chiamandola riflessività. Prima che si diffondessero come adesso le procedure automatiche, era già evidente che l'osservatore, se era abbastanza importante, influiva sul sistema con il solo fatto di esistere. A maggior ragione, se operava, produceva i risultati che gli altri osservavano.
Oggi siamo giunti al limite estremo della riflessività. Immaginiamo qualcuno che possegga un sistema informatico molto potente con adeguati software in grado di operare sui mercati in modo da immettere informazione che altri ricaveranno per operare a loro volta. È evidente che così facendo questo qualcuno influenzerà i mercati stessi, perché tutti gli operatori automatici rileveranno l'informazione immessa. Sto facendo una sintesi. In realtà molti fattori contribuiscono alla complessità dei mercati, le società di rating, le banche, i governi, la congiuntura economica. Sta di fatto, però, che i nodi più potenti della rete in cui si articolano i mercati hanno la possibilità di influenzare tutti gli altri nodi e trarne vantaggio. Sarebbe normale, nel mondo finanziario è sempre successo. Ma oggi siamo di fronte a pochissimi nodi che possono influenzare masse immense di capitali, tanto da mettere in ginocchio anche gli stati più potenti. Non dico che vi sia un complotto di pochi contro i molti, dico che succede e basta.
Le piccole aziende di intermediazione che operano con sistemi automatici ad alta frequenza sono ovviamente preda di quelle grandi e contribuiscono più di tutte a creare i trend giornalieri. La loro azione non è trasparente. Sono collegate tramite rapporti molto personali con gli ambienti delle borse, specie quelle di New York e Chicago. Guarda caso, attraverso questi canali riescono ad avere informazioni molto riservate. Sanno ad esempio con qualche secondo di anticipo che cosa farà un grande fondo pensioni che muove miliardi di dollari, e si muovono velocemente per anticipare le conseguenze. Noi pensiamo ovviamente che ci sia un interesse a farle operare a quel modo, spesso all'unisono. Riescono a intercettare flussi di compravendita e ad anticipare le variazioni di prezzo prima degli altri. Da una dozzina di anni, cioè da quando è permesso operare con sistemi elettronici, la cosa è diventata sempre più evidente. E quel fondo pensioni magari ci rimette, cioè ci rimettono i capitali racimolati con i versamenti di migliaia di lavoratori. D'accordo, non dovrebbe dirlo il rappresentante di un fondo speculativo, ma il fatto è che anche noi siamo vittime degli automatismi del mercato. È tutto fuori controllo, non si sa più se comandiamo noi o i capitali impazziti. E sono guai, perché le cifre in ballo sono immense.
Quelli di Occupy Wall Street si muovono per rifiutare un sistema di sperequazioni che c'è sempre stato, ma che adesso incomincia ad avere effetti micidiali. Se si va a guardare, persino alcuni esponenti del Partito Repubblicano non hanno avuto il coraggio di seguire i loro colleghi negli insulti al movimento. Ma né gli uni né gli altri sanno che la sperequazione è il risultato inesorabile di un principio statistico [la legge di Pareto]. Normalmente gli stati prendevano dei provvedimenti e mitigavano questo effetto, mentre adesso, con gli automatismi imposti da un sistema incontrollabile, le conseguenze sono portate all'estremo.
Del resto le leggi le fa chi possiede i capitali o è al loro servizio tramite le lobby. La tassazione sul capital gain è negli Stati Uniti del 15%, mentre quella sui redditi da lavoro è del 35%. Quindi la segretaria di un miliardario paga percentualmente più tasse del suo principale. Se lo dice Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo, c'è da credergli. Però queste sono piccole cose in confronto al funzionamento dell'intero sistema. Ad esempio, noi riceviamo dei capitali in custodia affinché rendano un certo surplus. Tutti i nostri clienti sanno che un hedge fund è altamente speculativo, rischioso, quindi non si stupiscono per le sue scorrerie sui mercati. Lo stesso vale per le banche d'affari. Ma fuori dal giro non tutti sanno che dal 1999 le banche commerciali possono fare la stessa cosa con i soldi dei loro clienti normali. Le banche sono diventate in realtà i più giganteschi hedge fund del mondo. Detto terra terra non esiste più distinzione tra la speculazione e l'investimento, nel senso che ormai c'è solo speculazione.
A noi che siamo percepiti come i "cattivi" del mercato permettono di usare una leva finanziaria di cinque o sei volte il capitale che teniamo a garanzia. Le banche arrivano come niente a un rapporto di trenta a uno. Ciò vuol dire che la banca, con un milione di dollari in capitale proprio ne investe trenta milioni, ventinove dei quali sono dei risparmiatori. Il guaio è che il sistema bancario, arrivato a questo punto, non è riformabile. Come si fa a ricapitalizzare una banca in misura sufficiente a riportare il capitale proprio al, poniamo, 15% dei movimenti come una volta? È impossibile. E poi bisognerebbe mandare a casa gran parte dei dirigenti, eliminare i superbonus che essi stessi si sono garantiti, programmare licenziamenti massicci tra il personale. Già comunque lo si è cominciato a fare qui in America e fra poco saranno costretti a farlo anche in Europa. Sarà una guerra mondiale, anche se nessuno la vuole, ma i capitali che fluttuano tra i cinque continenti non ne vogliono sapere di star fermi. Vogliono profitto, e nessuna manifestazione di strada potrà fermarli.
Per sottoscrivere il nostro fondo occorre al minimo mezzo milione di dollari. Sono cifre importanti, che possono trovare una buona remunerazione solo con movimenti importanti. E movimenti di una simile portata li trovi principalmente nel campo dei derivati. È quello dove la speculazione è massima, ma è anche quello dove più che altrove chi interviene non può fare a meno di modificare il campo stesso. I derivati si chiamano così perché il loro prezzo deriva dal prezzo di un'attività collegata. Ovviamente più i collegamenti diventano intricati, meno si riesce ad avere il controllo della situazione. Già si perde il filo quando si tratta di derivati su materia fisica, sul petrolio, sul rame, sul grano, sul caffè. Figuriamoci quando si tratta di valute, variazioni dei tassi, azioni, debiti, indici su pacchetti in cui tutto questo è contenuto. È un sistema, nessuno può essere considerato "colpevole" se il grano e il riso rincarano al punto da affamare della gente. Oppure se si infilano i mutui dei poveracci in strumenti finanziari strutturati e, quando la massa degli insolventi supera una soglia critica, salta l'economia del mondo per l'effetto a catena. Nessuno può sapere se e quando la soglia è veramente critica. Per questo i manifestanti di Occupy Wall Street sbagliano bersaglio e sono destinati al fallimento.
Occupy Oakland
Il 2 novembre scorso abbiamo dato un grande scossone all'America. Oakland, 400.000 abitanti, è una delle città portuali più importanti degli Stati Uniti e qui Occupy Wall Street ha organizzato, per la prima volta da quando esiste, uno sciopero generale. O meglio: dopo un'assemblea di piazza migliaia di persone hanno auto-organizzato uno sciopero generale. Come al solito il Web è stato l'elemento coordinatore. Abbiamo realizzato un sito apposta, Occupy Oakland. Lo sciopero ha bloccato l'intera città, ma l'obiettivo più importante per tutti era ovviamente il porto. Migliaia di manifestanti hanno coinvolto la popolazione marciando con cartelli improvvisati, i sindacati si sono accodati, sono sorti picchetti spontanei, il movimento dei container è stato paralizzato. Anche al di là della baia, a San Francisco, gli occupanti, solidali, presidiavano le piazze.
Qui negli anni '60 era forte la protesta contro la guerra in Vietnam ed erano radicate le Pantere nere. Qui s'era sviluppata la lotta degli studenti a partire dall'università di Berkely. C'era anche una forte organizzazione operaia, e qualche anno fa c'era stato un colpo di coda potente durante lo sciopero a oltranza dei portuali del Pacifico. Adesso la crisi si fa sentire più che altrove, marinai e portuali rimangono disoccupati mentre il viavai di migliaia di navi cinesi fa toccare con mano cosa voglia dire globalizzazione. Lo scenario non si discosta da quello solito del movimento. Vengono individuati i luoghi cari all'1% (banche, multinazionali, uffici statali), si piantano tende, si bivacca, si manifesta, si tengono infuocate assemblee. Un po' diverso il comportamento della polizia locale. Siccome circola qualche spinello e c'è un po' di spazzatura, un numero spropositato di agenti viene mobilitato con il solito pretesto della "droga" e dell' "igiene". Come succederà anche a New York e altrove.
L'attacco della polizia in assetto di guerra, sferrato la notte del 25 ottobre, non riesce. Si radunano centinaia di manifestanti, la polizia arretra. Negli scontri un giovane viene colpito alla testa da un lacrimogeno e viene portato all'ospedale, in coma. È un marine, veterano della guerra in Iraq. Manifestava con i giovani disoccupati. Come in altre occasioni, la repressione fa montare la rabbia. Le tende vengono rimesse in piedi, il sindaco (una cinese) cerca di mediare, la polizia viene ritirata dalle strade. In piazza Oscar Grant i manifestanti riuniti in assemblea chiedono lo sciopero generale. Un comitato mette per iscritto una breve dichiarazione:
"Noi, in quanto militanti che occupano la piazza, proponiamo che mercoledì 2 novembre 2011 sia liberata Oakland facendo chiudere i battenti all'1%. Proponiamo uno sciopero generale cittadino e invitiamo anche tutti gli studenti a uscire di scuola. Invece di raggiungere i posti di lavoro e le scuole, convergeremo verso il centro e chiuderemo la città. Tutte le banche e le grandi aziende dovranno essere chiuse per quel giorno o marceremo contro di esse. Mentre vi chiamiamo allo sciopero generale, vi chiediamo molto di più. Tutti coloro che fanno attività nei quartieri, nelle scuole, nelle comunità, negli organismi, nei gruppi, nei luoghi di lavoro e nelle famiglie sono invitati ad auto-organizzarsi in modo da permettere il blocco totale dell'intera città. Gli occhi del mondo sono puntati su Oakland. Facciamo vedere cosa è possibile fare".
Alcuni di noi sono perplessi. La motivazione ricalca troppo sfacciatamente gli slogan generici scritti sui cartelli del movimento. Non rispecchia alcuna rivendicazione particolare. Comunque risulta provato che i movimenti di massa non prendono la loro energia dai pezzi di carta e dalle votazioni. Anche se lo slogan "Sciopero del 99% contro l'1%" suona un po' troppo debole, la piazza risponde con una maggioranza incredibile: su circa 1.600 persone presenti solo 47 votano contro. L'appello sembra a molti pura velleità ma come spesso succede il clima effervescente fa superare ogni titubanza. La decisione viene presa e la data fissata. La parola d'ordine è "Shut down", chiudere, bloccare. Anonimi occupiers incominciano a organizzare sul Web picchetti e cortei, a tracciare percorsi fino al raduno finale. Tre cortei avranno il compito di far chiudere le banche. Alla confluenza finale verrà bloccato il porto.
Il programma è più o meno rispettato. Nella mattinata del 2 novembre risultano ferme tutte le attività, compresi i negozi, le scuole, i servizi. Il tempo è magnifico, con un bel sole. I cortei hanno un aspetto pazzesco. Sono apparentemente caotici ma alla fine prendono forma e si muovono sicuri. C'è di tutto, dai neonati in carrozzina ai vecchietti, dagli operai ben inquadrati ai fricchettoni con lo spinello. I cortei s'ingrossano mentre procedono e fanno chiudere Bank of America, Wells Fargo, Citibank, Chase Manhattan. In uno dei punti d'incontro per i cortei, sale sul palco degli oratori una signora attempata. Incita alla rivolta "questo magnifico movimento su cui sono puntati gli occhi del mondo". Scatta un'ovazione, ma ben pochi dei presenti possono ricordare Angela Davis quando, quarant'anni fa arringava masse ben più numerose e combattive. Noi pensiamo che il movimento di oggi non sia meno importante di quello di ieri. Oggi non si tratta di rivendicare diritti civili, di far valere un movimento politico. È in ballo qualcosa di più profondo, che riguarda il modo di essere della società, un rifiuto viscerale degli effetti del capitalismo.
Più tardi un grande picchetto blocca il porto. È a questo punto che i sindacati di categoria si decidono, prendono atto dello sciopero in corso e si accodano manifestando la loro solidarietà. Prima il sindacato dei dockers, visto che i portuali sono in prima fila, poi quello della scuola, quello della sanità, quello dei lavoratori delle cooperative e persino quello della polizia locale, che si dissocia dalle cariche dei giorni precedenti e pubblica una lettera aperta in cui si dichiara che anche i poliziotti fanno parte del 99%. Intorno al porto c'è di nuovo una confusione incredibile, la gente si muove in tutte le direzioni piuttosto eccitata. Ma non ne risente il coordinamento. Singoli manifestanti e piccoli gruppi alzano cartelli artigianali davanti alle fotocamere. C'è scritto di tutto. Molti sono i riferimenti alla "primavera araba". Gandhi è rappresentato più di Lenin. C'è anche un grande striscione che inneggia alla "Comune di Oakland". Cartelli in versi, ecologici, contro le carcerazioni, pro-spinello, per aumenti salariali, contro i ricchi, per i fondi alle scuole, contro gli armamenti, contro gli sfratti. Campeggia, grande, lo sfruttatissimo "Capitalism, game over", il gioco è finito. Forse il più bello di tutti è: "Ci sono più ragioni per l'entusiasmo che per la paura".
Occupy Wall Street
Facciamo parte di un grande movimento anonimo. Non abbiamo Inviati del Signore o del Destino. Non ci sono Grandi Uomini che si prendono cura di noi e dell'Umanità illuminandoci sulla loro Weltanschauung, la loro visione del mondo. Qui anche i filosofi sono venuti a patti con il nostro linguaggio. Chi vuole venire a trovarci, vada a farsi un giro sul sito We are the 99 percent. Ci sono più di tremila profili anonimi di persone normali che lottano per una vita normale. La stragrande maggioranza ha problemi seri. Molti non ne hanno ma sanno che basta un niente per essere spediti nell'inferno della miseria. Quasi tutti sono indebitati, cioè hanno ipotecato la loro vita presso una banca. Sono semplicemente stufi e per adesso vogliono solo farlo sapere. Anonimi sono andati sul Web, anonimi sono scesi in piazza.
Il 17 novembre il nostro movimento ha compiuto due mesi. Per l'occasione, nei giorni precedenti, sul sito di Occupy Wall Street è comparso un programma di massima: 1) colazione, occupare le strade intorno al New York Standard Exchange, cioè bloccare la borsa più importante del mondo; 2) pranzo, occupare sedici stazioni della metropolitana in posizioni strategiche; 3) cena, grande raduno finale in Foley Square (opzione di riserva: occupare anche i ponti). Sembra una follia, non è realistico pensare che ti lascino occupare davvero Wall Street, le metropolitane, le piazze, i ponti. E poi: quante persone ci vorrebbero?
Alle sette del mattino incominciamo ad affluire verso Wall Street. Alle otto siamo già qualche migliaio, ma troppo pochi per bloccare tutte le vie d'accesso al quartiere. Comunque riusciamo a presidiare due lati nonostante la presenza massiccia della polizia. Ha transennato tutta la zona minacciando di arresto tutti coloro che sorpassano i blocchi. Impressionante l'afflusso di cronisti, richiamati dal programma preannunciato. Bene, sono così numerosi che, senza volerlo, ci aiutano a bloccare le strade. Alle otto e mezza risultano chiuse le due principali uscite della metropolitana vicine a Wall Street e tutte le vie d'accesso. La polizia muove alcuni contingenti e incominciano gli arresti.
Verso le nove da alcune vie laterali riceviamo richiesta di aiuto: i manifestanti che bloccano gli accessi con un sit-in sono attaccati da poliziotti con lunghi bastoni. Siamo sufficientemente numerosi da spostare le transenne e ammucchiarle per bloccare i veicoli della polizia. Gli impiegati di Wall street sono titubanti di fronte ai check point. Contribuiscono a far massa con noi e con i reporter intasando le strade del quartiere. In alcune vie molto strette la polizia è sopraffatta dalla ressa. Una pattuglia di motociclisti rimane imbottigliata proprio in Wall Street. Altrove gli agenti devono sguarnire degli incroci per accorrere a tenere aperte le stazioni della metropolitana. Arriva la notizia di 30 arrestati, tra i quali una donna disabile in carrozzella. I traders della borsa non ce la fanno a entrare in orario. Abbiamo bloccato per mezz'ora la campana di apertura delle transazioni: si alza un'ovazione. Il giorno dopo i media ci prenderanno in giro per il nostro trionfalismo per questa sciocchezza che vale meno di niente. È solo un simbolo, lo sappiamo benissimo. Sappiamo che se anche riuscissimo a bloccare il NYSE [New York Stock Exchange] non succederebbe niente, gli scambi fisici in quell'edificio non sono che una parte insignificante del totale. Ma nelle rivoluzioni i simboli sono importanti.
Alle nove e mezza arriva sui cellulari la notizia di un attacco brutale della polizia al 60 di Wall Street, sotto il grattacielo della Deutsche Bank. Si sciolgono alcuni sit-in per accorrere. Gli occupiers sono confinati sui marciapiedi, dietro le transenne, chi si muove viene arrestato. Ne arrivano folti gruppi da Broadway, ci dicono che anche lì ci sono stati arresti a catena. Che sono ormai una cinquantina, più una dozzina di reporter. Alle dieci sembra che ci sia uno stallo, non riusciamo a capire in quanti siamo. In molti incroci i sit-in sono circondati dalla polizia. Nelle vie intorno c'è un viavai indisturbato di manifestanti. Alle dieci e un quarto arriva la notizia che i lavoratori della nettezza urbana hanno messo i camion di traverso chiudendo un'importante via d'accesso a Wall Street in solidarietà con gli occupiers. Centinaia di questi, tagliati fuori dal quartiere di Wall Street, sono dirottati a occupare Liberty Square, che dista due o trecento metri. Non appena si sparge la voce, un grosso corteo si forma a Broadway e si muove per raggiungere la piazza, che trova circondata dalla polizia. Gli assedianti si trovano assediati e chiamano rinforzi. Intanto continuano gli arresti e i reporter che cercano di documentarli sono malmenati.
Alle undici vediamo chiaramente che la polizia, pur essendo sempre all'attacco, è nel caos, non riesce a controllare la situazione. La grande mobilità dei manifestanti, in parte voluta e in parte no, risulta molto efficace. Alle undici e mezza dichiariamo Liberty Square riconquistata. Demoliamo il sistema di transenne su un lato del parco. Intanto si forma un altro corteo che marcia su Wall Street. Sono migliaia di persone. La polizia ripristina di corsa le transenne abbattute dai dimostranti. Dai palazzi escono degli impiegati e si uniscono al corteo. Arriva la solidarietà da Occupy Los Angeles e Occupy Portland: in entrambe le città hanno bloccato alcuni ponti. Stiamo occupando in 30 città degli Stati Uniti. Solidarietà anche da Atene, dove in 30.000 marciano sul centro. Entro mezzogiorno non si contano le città nel mondo in cui si sono svolte manifestazioni OWS. Il nostro team di avvocati comunica che gli arrestati sono più di duecento. Circola un messaggio: "Il nostro Giorno dell'Azione è appena incominciato, rimani sintonizzato".
All'una e mezza la polizia attacca a Liberty Square in tenuta antisommossa e armata di bastoni. Chiude tutti gli accessi in entrata e in uscita. Ripristina le transenne e schiera diversi autobus che già in precedenza erano serviti a portar via gli arrestati. L'attacco più che prevedibile provoca molti feriti e molti arresti. Non è permesso ai medici di intervenire. Alle due e un quarto la piazza-simbolo è di nuovo occupata e si fotografano le chiazze di sangue sul selciato per documentazione. La polizia si attesta in forze intorno alla piazza, i rapporti di forza ci sono sfavorevoli. Accorre un gran numero di reporter che incominciano a scattare foto. Gli occupiers scandiscono in coro: "forza sbirri, il mondo intero vi guarda!".
Alle due e quaranta la prima parte della giornata è conclusa. Migliaia di occupiers lasciano Wall Street e Liberty Park risalendo alla spicciolata lungo i due lati di Broadway verso Nord dove, a qualche chilometro di distanza, si sono radunati gli studenti in sciopero. Per unire le due manifestazioni diversi cortei marciano verso Foley Square. Alle quattro e mezza c'è un tentativo di occupare la Quinta Avenue ma la polizia riesce a impedirlo. Vengono occupate la Sesta Strada e la Settima, e infine anche la Quinta Avenue. La polizia presidia e transenna le vie adiacenti per impedire lo spontaneo dilagare della manifestazione. Nonostante i blocchi, migliaia di manifestanti si incontrano con migliaia di lavoratori dei sindacati che stanno marciando verso Foley Square. Alle cinque la piazza è piena e urla: "Bloomberg attento, Liberty Square è dappertutto!". La polizia schiera le guardie a cavallo. Gli occupiers per tutta risposta chiudono altre vie. Nella confusione salta il programma di bloccare le sedici stazioni della metropolitana.
Alle sei e un quarto da Foley Square parte un corteo di almeno 20.000 persone dirette verso il ponte di Brooklin. Twitter va in fibrillazione, migliaia di messaggi si incrociano. Alle sette la testa del corteo, circa 2.000 persone, arriva alla stazione d'entrata del ponte, davanti a City Hall e la bloccano. Nello stesso momento arriva la notizia che gli scanner aerei della polizia hanno contato 32.650 manifestanti a Foley Square e dintorni. Noi non avevamo idea di quanti fossimo. Se la polizia dà quella cifra eravamo certo di più, ma prendiamola per buona, diventerà quella ufficiale. La folla esplode in un boato e incomincia a scandire: "Nessuno ci può fermare, un altro mondo è possibile!". Non è vero. Proveranno a fermarci e probabilmente, per un po', ci riusciranno. Non lo faranno con la polizia, lo faranno attraverso noi stessi. Finché la nostra struttura mentale sarà legata a questo mondo, l'altro mondo non sarà possibile. Non è un problema psicologico, teorico, politico, ma pratico. Per volere davvero un altro mondo bisogna rifiutare tutte le categorie di quello attuale. Fino ad allora, questo sarà un mondo per vecchi, indipendentemente dall'età anagrafica. Basta dare uno sguardo alle migliaia di interventi sulle pagine del sito OWS. Il nostro movimento è più grande della somma delle sue opinioni individuali.
Poco prima delle otto viene dispiegato per l'ennesima volta il grande striscione giallo, con la scritta Occupy Wall Street, che ci ha accompagnato per chilometri. La massa dei manifestanti attraversa il ponte senza bloccarlo, fermandosi alla testata opposta, dove si tiene un'assemblea generale. Non cessano gli arresti di chi occupa la strada mentre la manifestazione si scioglie. Alla fine della giornata gli arrestati saranno 252, compresi 26 giornalisti. In tutte le città americane più di 300. In due mesi, cioè da quando è nato il movimento, sono 1.400. C'è determinazione, rabbia, voglia di lottare. Sul Web nascono migliaia e migliaia di pagine dedicate al movimento e alle sue manifestazioni. Milioni di fotografie e di filmati circolano come documentazione. Ci chiediamo quale potrà essere il nostro limite.
Occupy the general intellect
Sul Web ci sono delle nostre foto a Liberty Square. Alcune sono ad alta risoluzione, si distinguono quei particolari che fanno gola a tutta la banda di smanettoni che gravita attorno a OWS. Non sembriamo affatto ai nerd asociali dello stereotipo. Nelle foto si vedono i tavoli di granito rosso del parco coperti di laptop, router, smartphone, alimentatori, cavi. È il nostro Media Center, la nostra rete wireless, la nostra interfaccia col mondo. Si vede il generatore a bicicletta che fa da gruppo elettrogeno. Si vede la Freedom Tower, cioè il ricetrasmettitore della nostra rete Mesh. Adesso non c'è più niente. Quando c'è stato lo sgombero, la polizia ha fracassato tutto.
Chiamavano Freedom Tower qualche modem e sei antenne radio montate su un palo alto tre metri. Non era solo una rete Wi-Fi pubblica e gratuita, era l'embrione di un nuovo tipo di Internet per Occupy Wall Streeet. La distruzione del materiale non è altro che una stupida provocazione, non serve a niente. Un progetto come il nostro non si può fermare. Volendo, in un'ora raccogliamo i soldi, in tre ore rimettiamo in funzione tutto. Al momento abbiamo quattro reti Wi-Fi locali: New York, Austin, San Antonio e Los Angeles. Gli egiziani di Tahrir Square sono stati i primi a realizzare una rete Mesh per neutralizzare il blocco governativo delle comunicazioni. Ma questo è solo uno degli aspetti di ciò che sta succedendo.
È affascinante l'improvviso dilagare della protesta, delle sue modalità, dei suoi simboli. Dalla Tunisia all'Egitto, dalla Grecia alla Spagna era già esplosa la rabbia, ma è da New York, da Liberty Square che i neuroni del cervello sociale hanno incominciato ad attivarsi in sincronia. C'è stato un velocissimo processo evolutivo che ha dato luogo a una forma di vita in grado, adesso, di influenzare l'evoluzione successiva. La nostra Freedom Tower è solo una protesi del Media Center e questo è una delle protesi del movimento. Sono protesi viventi che non sostituiscono un arto o un organo ma lo integrano. Amplificano il nostro cervello collettivo, si sono già riprodotte e si riprodurranno ancora, si evolveranno. Come ha detto uno di noi, siamo il cancro del capitalismo, le nostre metastasi lo uccideranno.
Forse la metafora è un po' macabra e per il momento anche ottimistica. Comunque è certo che è in atto un'opera di ingegneria genetica, un processo di scomposizione e ricombinazione del Dna sociale. Occupy Wall Street usa per adesso il linguaggio che trova, cioè quello che si può rilevare dai cartelli, dai discorsi, dai siti sul Web. Ma il linguaggio del processo reale in corso è già di un altro mondo, come se stesse nascendo una nuova forma di vita. Del resto più di uno scienziato ha studiato il fenomeno: la nostra specie negli ultimi millenni ha dato luogo a un'evoluzione extracorporea, cioè tecnica e sociale, che procede in modo infinitamente più veloce di quella biologica.
La Rete ha avuto un brivido quando Wired ha pubblicato il video del primo drone OWS. I droni sono robot muniti di telecamere, sensori vari o anche missili. Oggi sono normalmente usati in guerra. La polizia di diversi paesi è in procinto di adottarli per controllare le rivolte urbane. Ebbene, abbiamo anticipato l'avversario: il primo drone utilizzato in una rivolta urbana l'abbiamo costruito noi. A Varsavia abbiamo spiato dall'aria i movimenti della polizia antisommossa. Un'arma può essere puntata contro di noi o puntata da noi. È una macchina che costruiscono gli umani. Come tutte le macchine copiano i nostri arti e i nostri sensi. Producono, memorizzano, calcolano, costituiscono sistemi automatici che già nell'800 erano paragonati a prodotti del cervello sociale, in grado di rappresentare un'estensione non solo del nostro corpo ma anche della nostra intelligenza. Comunicano tra loro e con noi tramite un loro linguaggio. Occupy Wall Street è un cyborg, un organismo bio-cibernetico aperto, in grado di assorbire informazione, di filtrarla, di utilizzarla o di ignorarla.
Il più semplice meccanismo cibernetico è quello che riceve dati dall'ambiente e, a seconda di come è regolato, aziona dei dispositivi che producono una variazione del'ambiente stesso. Il nostro corpo regola la propria temperatura, ma se le variazioni sono troppo grandi, comanda al cervello di accendere un fuoco o di cercare dell'ombra. Con lo stesso principio è stato inventato il termostato. La rappresentazione più semplice di questo comportamento è una sequenza del tipo: se succede la tal cosa, allora agisci in tal modo, altrimenti in tal altro. Reagisce così un corpo vivente, una macchina progettata allo scopo, una società intera o una sua parte. Twitter è un social network nato per comunicare. Si è evoluto filtrando, aggiungendo ed eliminando informazione a seconda delle esigenze di chi lo adopera. Noi possiamo polarizzare il network con tre semplici comandi: preleva informazione dalla rete, immettine, oppure cancellane.
Si può affermare che a grandi linee tutta la nostra società, come il mondo biologico, funziona secondo questi elementi semplici di informazione. Ci sarà certo qualcuno che tirerà in ballo le meraviglie insondabili della mente, l'irriducibilità dell'Uomo a una serie di leggi bio-fisiche, ma in natura gran parte della reale complessità delle relazioni non è che un'estensione, una elaborazione di quelle poche informazioni o comandi.
Evidentemente nel mondo si è superata una certa soglia, per cui il sensore sociale (se, preleva) di una parte dell'umanità registra che bisogna fare qualcosa (allora, immetti). L'informazione primaria che ha dato luogo alle manifestazioni è ovviamente quella dell'insopportabilità del sistema di vita prima ancora di quello economico. Molti elementi della società (il 99%) hanno elaborato questa informazione primaria aggiungendo un "colpevole" (l'1%). Non appena l'informazione minimamente elaborata si è diffusa risultando condivisa, ci si è resi conto che questo sistema aveva bisogno di un reset, una ripolarizzazione su nuovi parametri e che il risultato doveva essere ottenuto con la drastica negazione dei parametri esistenti (altrimenti, cancella). D'accordo, la società non è un computer, non è un social network ed è più complessa di un programmino per Twitter, ma intanto qualcuno provi a spiegare con la psicologia, con la sociologia, con la politica o con la religione l'affermarsi di un movimento che in due mesi ha portato in piazza milioni di persone stufe di condurre una vita grama, senza senso.
Dopo sei mesi di incubazione, a partire dalla rivolta tunisina, dalle ormai celebri piazze occupate, a Zuccotti Park, nel cuore di New York, a due passi da Wall Street, il nostro movimento ha prelevato la prima, fondamentale informazione: occupare. Cosa? Il cuore dell'1%, il mercato azionario più importante del mondo. Come? Fisicamente, mobilitando migliaia di persone. Per fare cosa? Per manifestare, per far capire che ne abbiamo abbastanza. Per avere un luogo fisico da cui partire per comunicare con il mondo. Siamo solo al primo livello del prelievo, che già l'informazione prelevata si è trasformata in informazione immessa. Non si va a casa per ricominciare la settimana dopo, si resta, si piantano le tende, si costruisce un centro informatico operativo, ci si dà una struttura fermamente organizzata (che sarà a rete e non più a piramide). Soprattutto non ci si organizza soltanto per organizzare, per manifestare, per essere in tanti. Il movimento dev'essere inclusive, cioè abbracciare il 99% della popolazione, ma dev'essere chiaro che è finalizzato a una società diversa. Per adesso la si chiami come si vuole, ma diversa da quella attuale.
Zuccotti Park è stato il serbatoio di nuova informazione. Dopo averne prelevata da una società in rivolta ed averla elaborata, adesso ne immette in modo che altri possano prelevarla. A questo punto la dislocazione del luogo fisico non ha più importanza, esso si è diffuso nel mondo, vive sulla Rete, è fisicamente ubiquo. È stato un meme evolutivo, rimane come simbolo, ma potrebbe sparire. Il movimento ha raggiunto una soglia critica, non si può più fermare. A Oakland dichiara uno sciopero generale. A New York scopre che lo sforzo organizzativo e logistico che coinvolge migliaia di persone non è fine a sé stesso ma configura rapporti sociali. Si solidarizza con gli operai cinesi in lotta, si appoggia la lotta degli egiziani ritornati in piazza, si distribuiscono migliaia di pasti caldi:
"Il movimento può fare molto di più che protestare. Noi possiamo anche fare qualcosa gli uni per gli altri. In giro per il mondo ci sono persone ancora senza tetto, intrappolate nella povertà, in debiti e pignoramenti. Le sperequazioni economiche sono tremende. Ma oggi ricordiamo a noi stessi e al mondo che possiamo essere soddisfatti della solidarietà [che abbiamo messo in pratica]. Oggi da Oakland a Washington, ovunque siano presenti, gli occupiers sono seduti alla mensa comune" (OWS home page, 24/11).
Occupy Wall Street vive di vita propria, è già un corpo estraneo in questa società, un organismo vivente il cui codice genetico è open source, nessuno lo può brevettare. L'assemblea generale che lo coordina è basata sul principio (che fu della Comune di Parigi): membri sostituibili in qualsiasi momento. Anzi, siccome l'assemblea si riunisce tutti i giorni e nessuno può essere presente in continuazione, il ricambio è automatico. Sbaglia chi crede di vedere in noi un movimento anarchico. Noi siamo organizzatissimi e applichiamo il centralismo. La rete ha nodi differenziati, alcuni sono hub, altri vanno e vengono. C'è sicuramente un interesse nel dipingerci diversi da quello che siamo. Basta andare sul Web e leggere quello che dicono mediamente di noi i professionisti dell'informazione. Non hanno capito niente. Comunque, i media mainstream possono dire di noi quello che vogliono. In genere è meglio quando ci ignorano. Noi sicuramente ignoriamo loro. La nostra "visibilità mediatica" è il movimento stesso. Per il resto il nostro futuro è strettamente legato a quel che sapremo fare con la terza istruzione, cancella. Cancella tutto ciò che è inerente a questa società infame. È la più difficile da attivare. È quella che ci dirà se saremo capaci di sopravvivere o se andremo incontro all'ennesima estinzione.
Occupy the World
Il 15 ottobre manifestanti coordinati di mille città in ottanta paesi hanno alzato cartelli con il messaggio essenziale degli occupiers americani. Siamo il 99% e quell'altro 1% detta legge, si pappa tutto e ci costringe al girone infernale del bisogno insoddisfatto. Il messaggio attecchisce benissimo anche fuori d'America. Là aveva dovuto abbattere il tabù della proprietà, della ricchezza, delle opportunità per tutti. O forse già non era più un vero tabù. Qui in Europa il tema della proprietà fa parte del lessico politico.
Ma forse il messaggio americano tocca degli archetipi, ataviche memorie che ci portiamo dentro. I primi cristiani non erano ben disposti verso la proprietà, come attesta la parabola del ricco, del cammello e della cruna dell'ago. Nel Medioevo erano sorte comunità eretiche contro gli eccessi della proprietà e della ricchezza. Persino il liberista Adamo Smith era convinto che lo stato dovesse impedire le perversioni dovute all'accumulo di ricchezza. Marx ha dato una sistemata alla faccenda dal punto di vista teorico, individuando i processi di formazione del valore e quelli della sua distribuzione fra le classi. Come si sa, era giunto alla conclusione che non è questione di ripartire equamente il valore ma di eliminare le classi. Di trasformare il tempo di lavoro in tempo di vita. Mai le rivoluzioni sono avvenute per ripartire la ricchezza secondo "giustizia", esse sono state totalitarie, chi ha vinto si è preso sempre tutto. La borghesia c'è riuscita, e s'è presa anche i cervelli. Infatti siamo ancora qui a innalzare cartelli con l'elementare messaggio 99/100. È chiaro che non è una questione di forma bensì di forza.
Noi in Europa crediamo di essere più scafati degli americani. Ci fanno sorridere le loro ingenue pretese quando vogliono che il capitalismo sia diverso da quello che è. Abbiamo letto Marx, Bakunin, Lenin, Mao, Trotsky o Debord e abbiamo meticolosamente disseminato la società di aree chiuse, denominandole con mille "ismi", quasi sempre con radice riferita a uno dei tanti Grandi Uomini che avrebbero fatto la storia. E adesso guardate che frana: stiamo diventando americani. Tutti indignati, tutti aperti, tutti non violenti. Tutti, cioè, quelli della nuova generazione; perché quelli della vecchia sono rincoglioniti davanti al televisore. Quarant'anni fa i giovani americani infilavano fiori nelle canne dei fucili spianati contro di loro e ancora oggi, a giudicare dai filmati, non hanno perso il vizio. La teoria spesso si discosta dalla prassi e sono guai. Quando il livello dello scontro raggiunge una determinata soglia, sono botte da orbi, e gli americani, bisogna dargliene atto, non si sono mai tirati indietro.
Comunque non sempre la soglia è superata e, mentre ci si avvicina, c'è sempre spazio per la discussione sulla violenza o non-violenza. Naturalmente questo dibattito è un infame prodotto del tutto ideologico, e i suoi risultati sono tanto elastici da essere utilizzati a seconda delle convenienze. In natura tale dualismo non esiste. Esistono invece eventi, cause ed effetti, processi, interazioni. Le molecole di un gas surriscaldato si agitano. Si scopre come, se ne traccia una teoria, si fanno dei calcoli. A nessuno viene in mente di dare un giudizio morale sulla loro agitazione.
Gli esseri umani sono individualmente molecole sociali. Se l'ambiente si surriscalda si agitano. Oppure si agitano e l'ambiente si surriscalda. Vi sono organismi unicellulari che, pur non possedendo sistema nervoso, mostrano una serie di comportamenti "intelligenti" al pari delle molecole sociali della nostra specie. Ad esempio nella ricerca di cibo. Ma incominciano ad agitarsi in modo caotico non appena questo diminuisce: invece di darsi una calmata per non dissipare troppa energia, fanno esattamente il contrario. Cercando disperatamente di alimentarsi per sopravvivere, consumano più in fretta il poco che c'è. All'uomo capitalistico stanno mancando progressivamente troppe cose. È naturale che aumenti l'agitazione e l'ambiente si surriscaldi.
Essendo l'uomo un animale sociale, ha bisogni infinitamente più complessi di quelli di un organismo unicellulare. Entra in agitazione per molto meno della quantità vitale di cibo. Anzi, al livello elementare di sopravvivenza piomba nell'inedia, mentre s'incazza enormemente quando gli tolgono ciò che ha conquistato o, a maggior ragione, quando incomincia a fare paragoni, non più con ciò che è stato, ma con ciò che potrebbe essere.
Oggi la borghesia, coadiuvata da un servizievole stuolo di ruffiani, alza al cielo insopportabili lamenti sulle violenze nelle banlieues parigine, nei quartieri emarginati delle città inglesi, nelle piazze greche, arabe, americane. Ma nella sua storia si è liberata dei feudali non certo chiedendo loro se per favore si toglievano dai piedi: ha fatto lavorare la ghigliottina a orario continuato, ha sconfitto eserciti dinastici, ha messo a ferro e a fuoco l'Europa e l'America e ha continuato il lavoro colonizzando il mondo con i metodi che sappiamo. Soprattutto ha piegato alla schiavitù salariata miliardi di proletari cavandogli il sangue. Oggi parla di non-violenza mentre conduce guerre con milioni di morti, reprime spietatamente ogni movimento che sia contro i suoi interessi, appoggia e fomenta sanguinosissime guerre civili. Violenza da parte di chi e su chi?
I custodi della tranquillità capitalistica paventano la crescita eversiva che chiamano di volta in volta comunista, anarco-insurrezionalista, teppista, criminale, canaglia. Fingono di non sapere che da febbraio fibrilla il mondo. Hanno rimosso l'indice di Gini, la legge di Pareto, i modelli di estrema sperequazione dei redditi. Hanno relegato alla storia rivolte gigantesche dovute alla non-vita di una società infame, gli incendi del passato nel paradiso capitalistico americano, a Chicago, Watts, Los Angeles. Credono di poter usare contro il "comunismo" le duecentomila rivolte all'anno dei proletari e contadini cinesi, schiacciati dal paradiso "comunista" di Pechino.
In Nordafrica e in Medio Oriente le rivolte non hanno prodotto cambiamenti e quindi non sono mai cessate le manifestazioni e gli scontri. Ad Atene non si contano più gli scioperi generali, si licenzia e si taglia fino a costringere decine di migliaia di persone ad abbandonare le città per tornare in campagna dove qualcuno può almeno sopravvivere. In Italia ci sono circa dieci milioni di lavoratori "atipici", cioè precari supersfruttati. Due o tre milioni sono disoccupati. Non esiste più nessuno che non sia coinvolto in questo macello, che non abbia qualche congiunto costretto a vivere con l'aiuto altrui, che non veda intorno a sé qualcuno praticamente alla fame. In Inghilterra la quasi totale de-industrializzazione produce sacche di povertà da Terzo mondo. I proletari dei paesi dell'Est europeo hanno provato sulla loro pelle l'avvento del feroce neoliberismo occidentale al posto del decrepito keynesismo orientale, e la Polonia, uno dei paesi con la più alta tensione sociale, ha visto grandi manifestazioni organizzate da Occupy Warsaw.
Anche un cretino capirebbe che, per puro calcolo statistico, fra la massa dei milioni di giovani incazzati qualche migliaio per forza incomincia ad agitarsi. E siccome un essere umano con il suo sistema nervoso è un po' più complesso di un batterio, lo scambio d'informazione tra gli incazzati non avviene attraverso toccamenti di vibrisse ma usando Internet, spostandosi in treno o in aereo da una città all'altra, scaricando la rabbia contro i simboli di coloro che ti promettono il paradiso del dio denaro e poi te lo negano.
Pancia e gambe precedono la sistemazione teorica, l'organizzazione viene per ultima. Non vogliamo leader! gridano i giovani in mille città: c'è da sperare abbiano capito non solo che i leader del passato hanno quasi tutti tradito, ma che la rivoluzione d'oggi non ha più bisogno di leader. E che i candidati potenziali sono gli infiltrati di quell'1% ricordato dai cartelli. È ovvio che prima o poi dovranno pensare ad organizzarsi. Facebook non basta e lo stato ha tutto l'interesse a fare una bella confusione tra indignados e ultras, marxisti e delinquenti. Per adesso gli americani resistono all'infiltrazione, ma a Londra la politique-politicienne, cioè la politica possibile oggi, ha sposato la delazione più turpe. Ad Atene ha bastonato i violenti facendo picchetto in difesa del parlamento. A Roma ha schierato un campionario impressionante di sbirri improvvisati, compresi dei patetici ex spaccatutto, molto più oltranzisti degli sbirri di stato (giovani, se per caso un tempo li avete seguiti, stampatevi in mente ciò che dicono oggi!). In un certo senso va bene così: era ora che venissero a galla i campioni della politica. I margini per la mistificazione si fanno sempre più stretti, si capisce bene che gli spaccavetrine, qualunque cosa pensino o dicano di sé stessi, rappresentano una efficace cartina di tornasole. Violenza? Suvvia, a parte lo storico avvento della borghesia, è fin troppo banale far presente che nel mondo, quotidianamente, ci sono seimila morti sui posti di lavoro, che le amate automobili andate arrosto nelle manifestazioni ne provocano più di tremila, che la mancanza di cure sanitarie ne provoca centomila, senza parlare delle guerre, ecc. ecc.
C'è chi dice che gli attacchi dei ragazzotti, le fiamme, le cariche, gli arresti e tutto quanto hanno offuscato le grandi manifestazioni dei 300.000 di Roma, dei 100.000 di Atene, dei 30.00 di Oakland e quelle svoltesi in altre mille città in questo periodo. È vero. Ma è perché gli organi d'informazione guadagnano sugli eventi eclatanti e non sulla grigia routine. E le manifestazioni-processione senza costrutto sono diventate, appunto, grigia routine. Niente è più soporifero del tran-tran sindacale, niente è più malinconico dei ragazzi che gridano "no alla violenza!" mentre si beccano botte da orbi dalla polizia (visto a Madrid, ormai tipico in America). Niente è più mistificante che autodefinirsi "indignato" invece che incazzato, ribelle, sovversivo, magari comunista (sempre che si sappia ancora che cosa voglia dire).
S'indigna l'intellettuale, il prete, il moralista. Per dovere professionale fingono di indignarsi anche il politico e il giornalista. Ma è facile constatare quanta efficacia abbiano avuto sessant'anni di indignazione contro le manifestazioni del potere borghese. Meno male che la copertura mediatica trascura in genere la palude dei candidi indignati e dei funesti politicanti mostrandoci diffusamente la poco digeribile punta dell'iceberg. Il potenziale tellurico che ha sconvolto mezzo mondo ha solo due possibilità per continuare a manifestarsi: o maturare verso forme radicali, dandosi obiettivi e organizzazione, o integrarsi nella pratica politica corrente.
Quest'anno milioni di persone hanno sfidato le armi degli stati rischiando la pelle. Migliaia sono morte e stanno morendo, senza una chiara prospettiva programmatica, solo perché ne avevano abbastanza di una vita senza senso. Le fotogeniche fiammate, i ragazzi mascherati, le falangi poliziesche delle metropoli occidentali, i gas, le bombole al peperoncino, sono epifenomeni di un marasma planetario, la posta in gioco è la sopravvivenza di un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti. Paradossalmente, proprio dove la mistificazione è massima, massimo è il potenziale. La borghesia occidentale aveva appena tirato un sospiro di sollievo dicendo che sì, "in Nordafrica e in Medio Oriente ci si batteva per la democrazia, ma qui che la democrazia c'è…", ed ecco che la risposta è venuta, più rapida del pensiero omologato: anche "qui" in mille città, milioni di persone lottano contro la vita senza senso. Nei cartelli del 99% non c'è una rivendicazione, solo una constatazione. Sarà dura imboccare una strada nuova, ma quale "rivendicazione", quale "riforma" potrà mai scalzare la natura di un sistema sociale? Quando a New York c'è stato il sit-in sul ponte di Brooklin, la polizia ha arrestato 700 occupiers sui duemila che erano, una percentuale che fa riflettere. Dopodiché il sindaco ha concesso al movimento una piazza-ghetto in cui potesse sfogarsi senza rompere le scatole. Salvo poi pentirsi e sgombrare di notte con reparti antisommossa.
Classico. E poi? La borghesia americana, quell'1% che conta, ha già rivelato i suoi sentimenti: "Ammazzate quei bolscevichi, fateli a pezzi". L'avevano già detto a proposito dei liberi hackers della rete, che non erano in fondo così pericolosi come si voleva far credere. Hanno fatto il giro del mondo le immagini dei pestaggi e delle sadiche torture con lo spray al peperoncino. Indignatevi pure, se volete.
Si sa, molti a voce rifiutano la "violenza" ma in cuor loro ne hanno piene le tasche di demagogia e sono contenti quando si rompe il mortorio delle processioni. Anche gli americani, che in questa fase sono molto ligi alla linea non violenta, ogni tanto perdono la pazienza. Comunque, in generale, la gran massa dei manifestanti rimane inattiva sia rispetto ai "teppisti" sia rispetto agli improvvisati sotto-sbirri dei partiti e dei gruppetti omologati. Questi ultimi si trovano ormai del tutto impreparati. Finito il tempo dei nutriti servizi d'ordine, incarogniti dall'impotenza, si limitano all'invettiva ed è raro che facciano direttamente gli sbirri come gli stalinisti ad Atene davanti al Parlamento.
Di fronte all'esplosione della rabbia prende piede una rimozione sulle sue cause e si tira in ballo la "provocazione". Sono assai gettonate le teorie complottiste. Varie dietrologie su chi manovra chi e che cosa. In realtà la parvenza di organizzazione da parte degli spacca-vetrine ha una spiegazione elementare: il coordinamento è sempre unico, basato sui moderni mezzi di comunicazione, diffusi, condivisi, internazionali, facili da usare. Una spontaneità ordinata alla quale quasi ovunque i vecchi organismi politici e sindacali si sono accodati. Non hanno più l'inziativa. Di fronte a un rifiuto totale della società sono spiazzati perché hanno ancora in testa il vecchio modello rivendicativo riformista.
Non possono neppure capire quell'occuper di Los Angeles che sfilava con un cartello scritto a pennarello su carta da imballaggio: "Lasciateci essere umani". Nel contesto di manifestazioni dove la parola Greed, avidità, è una delle più usate insieme con il simbolo 99/1, traduciamo: cerchiamo di non essere bestie schiave del denaro. Nel mondo del denaro, invece, l'unica rivendicazione è avere più denaro. L'umanità non è contemplata. Il concetto di umanità ovviamente può confinare con l'interclassimo, e in effetti il proletariato oggi è del tutto assente in quanto classe. Ma un timido accenno di polarizzazione sociale ha contrapposto chi è o crede di essere contro il capitalismo e chi vi si adagia più o meno comodamente utilizzando tutte le sue categorie politiche, sindacali, parlamentari, democratiche. Polarizzazione che causa già una buona dose di isteria borghese, semplice e inequivocabile paura. Tuttavia niente che al momento possa impensierire davvero gli apparati della classe dominante, se non l'inquietante (per loro) estendersi planetario della protesta e della sua organizzazione in rete.
Sullo sfondo di una società che non funziona più, vengono a mancare le salvifiche, proverbiali, corruttrici briciole del banchetto. Il processo in corso è irreversibile. Dalla crisi storica dei rapporti di valore non si esce. I riflessi sulla società potranno produrre caos, demagogia o repressione, ma già adesso si sente nell'aria che le vecchie categorie politiche sono lasciate in appannaggio a isterici zombie. Il capitalismo non è al momento in pericolo se non a causa di sé stesso. Però si fa strada la convinzione che può non essere l'unica forma sociale possibile, e per gli osservatori omologati è sorprendente che proprio negli Stati Uniti cresca un forte sentimento anticapitalista. Noi non vedevamo l'ora. Può lasciar perplessi un movimento ormai internazionale che non ha una sede, un centro, dei leader, un programma politico o almeno rivendicativo. Che secondo i canoni correnti quindi non è niente.
La mera organizzazione a raffica di manifestazioni del 99% contro l'1% può sembrare un dispendio di energia inutile e anche un po' stupido. Ma se fossimo nei panni della borghesia pregheremmo tutti i santi in paradiso affinché Occupy the World si esaurisca in fretta, prima che la massa degli incazzati si metta ad escogitare qualcosa di utile e intelligente. Cosa che ad ogni modo sta già succedendo: a Oakland il movimento ha proclamato un riuscitissimo sciopero generale cittadino e ne sta organizzando un altro per l'intera costa occidentale in unione con i lavoratori portuali. In tutti gli Stati Uniti aumenta il numero dei proletari presenti alle manifestazioni. Ovunque il movimento sta trascinando dietro di sé le organizzazioni tradizionali, senza al momento, subirne l'influenza nefasta.
Questo articolo è stato interamente realizzato attingendo dal Web. Oltre alla gran quantità di materiali "ufficiali" presenti sui siti citati in bibliografia, abbiamo utilizzato quelli ricavati da alcuni delle migliaia di commenti "postati" nelle pagine dei vari siti, nei blog, nei forum, ecc. Le due interviste Occupy the top e Occupy the market sono "autentiche", nel senso che sono ottenute con un collage di dichiarazioni effettivamente rilasciate da due personaggi a un sito finanziario. Le abbiamo solo riscritte con lo stile dell'intero articolo e integrate con alcuni post ricavati da altri siti dello stesso tipo. La battaglia di Wall Street, terminata a Foley Square e a Brooklyn, è stata ricostruita sulla base della cronologia presente sul sito di OWS, confrontata con i post collegati e con la mappa di Manhattan. Tutte le cifre presenti nell'articolo sono state verificate. Il capitolo finale è l'adattamento e ampliamento di un volantino digitale da noi distribuito sul Web dopo le manifestazioni del 15 ottobre. I milioni di cartelli autoprodotti dagli occupier di tutto il mondo rappresentano di per sé un elemento essenziale per capire a fondo il movimento OWS.
"Occupy the world together" (Occupiamo il mondo insieme). Titolo di una pagina su Facebook, di un sito sindacale canadese, di una manifestazione di Occupy Budapest, di molti filmati su YouTube… e di altre 12.000 ricorrenze su Google.
"Ci hanno buttato fuori dalle nostre case. Ci hanno costretti a scegliere tra mangiare o pagare l'affitto. Ci è negata l'assistenza medica. Soffriamo per l'inquinamento. Quando un lavoro l'abbiamo, facciamo orari impossibili per paghe basse e nessun diritto. Siamo il 99 per cento e non abbiamo niente, mentre l'altro 1% ha tutto". (Testo di apertura del sito web "We are 99%", dedicato a migliaia di brevissimi scorci di vita pubblicati da anonimi aderenti al movimento Occupy Wall Street).
"L'unica soluzione è la rivoluzione mondiale" (Conclusione dello statement nella Home page del sito Occupy Wall Street).
"Gli operai vinceranno se capiranno che nessuno deve venire. L'attesa del Messia e il culto del genio, spiegabili per Pietro e per Carlyle, sono per un marxista solo misere coperture di impotenza. La Rivoluzione si rialzerà tremenda, ma anonima" (PCInt., 1953).
Occupy Liberty Square
Il nostro movimento si allarga, l'esperienza di Zuccotti Park, cioè Liberty Square, ci sarà utile. La piazza era e rimane un punto di riferimento. Macché sporcizia e droga. Quella dell'igiene è ovviamente un pretesto. Prima che gli sbirri ci buttassero fuori, qui c'era molta collaborazione fra gli occupiers, la piazza era tenuta ben pulita, c'era un centro informatico munito di computer, generatori di corrente e router wireless, una cucina da centinaia di pasti al giorno, una biblioteca. Eravamo lì quando hanno scaraventato tutto nei camion della spazzatura. Tallonati dagli sbirri in tenuta antisommossa non abbiamo potuto fare niente. I libri erano già cinquemila, la tenda con gli scaffali ce l'aveva regalata Patti Smith. Qui il movimento raccoglieva persino soldi, cosa che in questo paese è sempre buon segno. Nella scatola delle offerte abbiamo trovato in un mese 150.000 dollari. Le donazioni sul conto corrente hanno superato il mezzo milione.
La piazza era presidiata di notte. Eravamo in due o trecento con le tende. Di giorno facevamo assemblee, un po' di spettacolo, molta controinformazione. È naturale che un movimento cerchi di avere un luogo che sia anche un punto di riferimento. L'avevano cercato e realizzato anche i greci in piazza Syntagma, gli egiziani in piazza Tahrir, gli spagnoli in piazza Puerta del Sol. All'inizio eravamo influenzati dagli altri movimenti, ma New York è una città un po' particolare ed è emerso il suo ambiente underground, liberal, anarcoide. Kalle Lasn dice che il movimento assomiglia un po' a quello del Sessantotto in Europa, che ha qualche tratto situazionista. Kalle ha fondato la rivista Adbusters. È stato uno dei promotori di Occupy Wall Street. Secondo noi sbaglia. Qui praticamente nessuno sa che cosa sia un situazionista. Figuriamoci poi un comunista. C'era un bel po' di ideologia nel movimento europeo, mentre la zuppa che serve il fast food di Zuccotti Park è fatta con un brodo pragmatista all'americana. Non c'è la ricetta e ogni giorno come viene viene. Oltre tutto il cuoco è nomade, un giorno è al Cairo, un giorno è ad Atene, un giorno è a Oakland.
A parte gli scherzi. Non è tutta ingenuità pragmatica quella riflessa dai cartelli e dai comunicati del nostro sito ufficiale. Noi mediamente ci crediamo nel motto "Stiamo impostando il primo giorno della nuova America". È una nostra idea fissa. Anche i fascisti neocons erano convinti di essere i precursori del nuovo secolo americano. Meno male che sono spariti. God bless America, noi non spariremo. Guarda il manifesto: una danzatrice leggera sul groppone del massiccio toro di Wall Street. Leggerezza contro pesantezza. Sarà una leggenda metropolitana, ma dicono che sia stato il gruppo di hacktivist Anonymus a lanciare l'idea di "invadere Manhattan" e di occupare Wall Street. Di fatto ha invitato tutti i suoi militanti ad appoggiare il movimento a fornirgli informazioni tecniche. Certe notizie diventano memi che si espandono ed evolvono. Anonymus ha promesso di attaccare i sistemi informatici di Wall Street, delle banche assassine e della polizia. Non è successo niente (la borsa è stata bloccata per un paio di minuti), ma con notizie come quella i media ci vanno a nozze. In realtà non c'è bisogno di essere geek per mettere in piedi una task force informatica. Siamo leggeri come i bit e attraverso il Web immateriale s'è formata la rete organizzata. Siamo nuovi e quindi rivoluzionari. L'avversario invece è vecchio, pachidermico, destinato a crepare.
Il nostro motto è: "Siamo il 99%". Non si sa quando è nato. Probabilmente nel 2010, quando è uscito il libro di DeGraw L'Elite economica contro il popolo americano. Ha attecchito subito. È una mezza verità statistica. È vero che in percentuale sulla popolazione siamo così numerosi, ma in due mesi di esistenza la nostra più riuscita mobilitazione a New York ha portato in piazza al massimo 40.000 persone. Non sono molte per una metropoli che ha undici milioni di abitanti. Il risultato maggiore però è la diffusione intorno al mondo. Un'onda che non abbiamo creato noi, s'è formata da sé a partire dal movimento arabo. Noi siamo un prodotto di questo tsunami, sarebbe bene che i nostri avversari lo tenessero presente. La mobilitazione del 15 ottobre, a un mese dalla nostra formazione, aveva chiamato in piazza forse dieci milioni di persone in un migliaio di città di 80 paesi. Il nostro sito conta adesso 2.600 comunità in ogni parte del mondo con 21.000 aderenti. In due mesi non è male.
A noi americani piacciono i numeri. Sali su un grattacielo da turista e ti danno un volantino con il conto degli anni che ci sono voluti per costruirlo, il peso dell'acciaio, la lunghezza dei cavi, la velocità degli ascensori, il numero degli impiegati. Secondo la legge empirica di Pareto l'80% della ricchezza dovrebbe essere in mano al 20% degli americani, invece questo 20% ne possiede l'87,7%. Noi riusciamo a far meglio delle leggi del capitalismo. A proposito. Alcuni ci dicono che siamo anticapitalisti, quindi socialisti oppure, orrore, comunisti. E naturalmente: giovani, sfaticati e magari anche drogati. Niente paura, sono già venuti i sociologi e gli statistici a farci le pulci, più numerosi dei giornalisti. Allora: i due terzi di noi ha meno di 35 anni, il resto di più. Gli anziani poveri sono molti, a Zuccotti Park rimediavano qualche pasto. Come si sa, il nostro non è un paese per vecchi. Il 27% dichiara di votare per i democratici, il 3% per i repubblicani. Al 70% non importa niente, o non vota o vota come capita. Nessuno ha detto di essere anarchico, socialista o comunista. La metà ha un lavoro fisso, l'altra metà non l'ha o è precaria. Sai cosa vuol dire qui da noi. E adesso attento a queste due cifre: solo il 6% trova che la cosa più frustrante sia la sperequazione dei redditi. Solo il 4% dichiara che vorrebbe una politica di perequazione del reddito se il movimento fosse al governo. Vuol dire che il problema non è qualche dollaro in più, è che facciamo una vita di merda.
L'Assemblea Generale di New York City (NYCGA) che si tiene ogni sera alle sette è il posto dove si prendono le decisioni. L'assemblea è pubblica. Non esiste una leadership formale e non la vogliamo. Chi partecipa di più contribuisce di più alla formazione delle decisioni. C'è un po' di confusione, ma la cosa funziona. Non abbiamo un programma rivendicativo se non quello di occupare New York in pianta stabile. Qualcuno ha fatto delle proposte ma sono cadute. È certo che prima o poi si preciserà un programma. Dal punto di vista logistico, adesso che ci hanno sloggiato da Zuccotti Park vedremo il da farsi. Intanto quello è sempre un punto di riferimento. Potremmo occupare degli edifici, ma al momento non ha importanza.
C'è il problema della centralizzazione. Il movimento è andato molto oltre i confini di uno stato e anche di un continente. Wall Stret è una strada-simbolo di New York e giustamente stanno nascendo Occupy Altre Città, come ad esempio Occupy Oakland, Los Angeles, Denver, Portland, Firenze, Parigi, Londra, Berlino, Melbourne, Toronto, eccetera. La Rete è lo strumento che centralizza il lavoro anche se si sviluppano realtà locali più o meno indipendenti. La mobilitazione del 15 ottobre ha dimostrato che si formano spontaneamente dei nodi collegati sia tra loro che a hub nazionali, e tutti quanti a loro volta attingono e trasmettono informazione dal/al hub di New York, per cui il centralismo non si perde mai e il coordinamento è assicurato in via del tutto automatica. Così non ha più senso il dibattito sull'autorità. Appena nato era già morto.
Abbiamo una struttura ormai riconosciuta da altre strutture. Molti lavoratori partecipano al movimento. Era inevitabile che i sindacati in crisi finissero per cercare un contatto con noi. I primi sono stati quelli degli infermieri e dei trasporti. Poi sono venuti quelli del settore pubblico locale e gli IWW. Alla manifestazione del 4 ottobre a New York erano presenti migliaia di lavoratori. Hanno sfilato i rappresentanti sindacali di 14 fra le più grandi Unions degli Stati Uniti. Non crediamo che la saldatura tra il movimento Occupy Wall Street e i sindacati possa essere dannosa come dice qualcuno. È vero che non siamo un movimento politico nel senso classico del termine. Non siamo un partito anche se siamo di parte. Non siamo neppure un movimento sindacale. È anche vero che i sindacati sono organismi gerarchici a struttura piramidale, mentre noi siamo organizzati a rete e questo provoca qualche incompatibilità. Ma crediamo sia impossibile che la vecchia struttura possa creare problemi a noi, mentre ci sembra assai più probabile che avvenga il contrario. La verità è che i sindacati americani stavano soffocando per mancanza di iscritti e hanno trovato in Occupy Wall Street un po' di ossigeno. Addirittura, la potentissima UAW (United Automobile, Aerospace and Agricultural Workers), ha dichiarato: "Riconosciamo la necessità di lavorare insieme e di imparare gli uni dagli altri. La vitalità, l'energia e il dialogo che emergono dal movimento OWS mostra il potenziale per organizzare, rafforzare, vincere, la lotta per i diritti della classe media". Beh, per noi americani gli operai fanno parte della classe media. In ogni occasione di manifestazioni appena un po' numerose queste Union si sono accodate. Molti organismi del panorama politico americano sta tentando di salire sul carro di OWS, dai situazionisti di Ken Knabb a certi destri americani, dai sindacati agli anarchici, ecc. Per noi è un segno di forza e non di debolezza. Non riusciranno a fare niente. Immaginateli in una nostra assemblea, con il loro linguaggio, con i loro programmi, con la loro spocchiosa voglia di egemonia.
Occupy the top
Ok, sono uno speculatore. Tutti i trader lo sono. Speculano anche i pensionati con i loro fondi pensione. Parliamoci chiaro: per me è meglio stare nell'attico che in cantina. Se gli sfigati che occupano e protestano sono il 99% bisogna capire bene che cosa è il restante 1%. Negli States siamo 300 milioni in tutto. L'1% fa 3 milioni. Non ci sono così tanti padroni del vapore. Ci sono tanti che hanno soldi, ma sono pochi quelli che hanno il controllo dei soldi. Faccio un esempio. Tutto il mondo vale più o meno 60.000 miliardi di dollari in capitale vivo, il cosiddetto valore aggiunto. Non metto in conto il capitale morto, ad ammortamento, tipo impianti, infrastrutture, ecc. Di fronte a questa massa di dollari nuovi prodotti ogni anno sta il capitale finanziario. Lasciamo perdere la definizione. Una volta era capitale da investimento che nasceva nell'industria e nei servizi e finiva nel circuito del credito per essere re-investito negli stessi settori. Adesso è capitale prodotto in passato che vuole riprodursi in un circuito tutto suo, che usa il capitale morto (anche le fabbriche) solo per una parvenza di solvibilità. E del resto neppure si usa più essere solvibili, il debito è diventato la norma ed è oggetto di speculazione. Ecco perché il cosiddetto capitale finanziario fa paura e tutti si precipitano a servirlo per evitare disastri.
La speculazione esisteva anche nell'antichità, ma era un fenomeno marginale. Adesso il capitale da speculazione allarma semplicemente perché è grosso. Quanto nessuno lo sa. La Banca Mondiale ha provato a fare dei calcoli: solo in derivati sarebbero investiti un milione di miliardi di dollari. Inquietante, ma non è tutto: il 30% di questa cifra rappresenta movimenti OtC, Over the Counter, cioè non registrati dagli istituti ufficiali, fuori controllo. Poi ci sono i mercati azionari, i debiti pubblici, le riserve monetarie, i fondi d'investimento, tutti strumenti negoziabili sul mercato e a loro volta intrecciati. Ad esempio un fondo potrebbe avere in portafoglio valuta, derivati, azioni, altri fondi. I numeri nudi e crudi sono la migliore spiegazione di che cosa siano veramente i "fondamentali" dell'economia d'oggi.
Tre milioni di supercapitalisti sono veramente troppi, anche togliendo nonni e nipotini. Quelli che vogliono occupare Wall Street hanno sbagliato obiettivo. Cosa vuoi che importi, a chi controlla anche solo una parte di milioni di miliardi di dollari, delle scaramucce fra mille giovanotti sfigati e qualche centinaio di poliziotti non meno sfigati di loro? C'è un errore di fondo, che è tipico degli sfigati: immaginare che la propria situazione personale sia "colpa" di qualcuno. Di qualche oligarchia che trama nell'ombra. La Spectre esiste solo nei romanzi di Fleming. La realtà è fatta di impiegati del Capitale. Siamo pagati bene, stiamo ai piani alti dei grattacieli e facciamo un lavoro anonimo di routine. Immettiamo dei dati in un sistema computerizzato e lasciamo fare ad algoritmi escogitati da qualche altro impiegato. Dalle finestre dei nostri uffici non si distingue nemmeno cosa succede nella strada. In fondo i grandi direttori che guadagnano le cifre che leggiamo sui giornali non contano niente, sono solo uno spreco.
Io sono dunque un impiegato. Certo, guadagno molto. Ma rischio anche molto. La mobilità nel nostro ambiente è alta. Conosco gente che rischia ancora più di me facendo trading in proprio, con piccole società che impiegano soldi loro e soldi degli altri (il confine non è definito, pecunia non olet). La massa del capitale fluttuante transita da molti nodi nella rete degli operatori, ma gli hub, i nodi importanti, anzi, essenziali, sono pochi. Rispetto alle percentuali degli slogan molto, molto pochi. La crisi li ha fatti finire sui giornali. Sono istituti di prestito immobiliare, banche, fondi pensione, assicurazioni. Non è l'1% di qualcosa, è un intero sistema.
Quelli che manifestano sono degli sfigati perché non rappresentano un sistema contro un altro sistema, sono solo degli individui con dei problemi. Non intaccano minimamente quello che credono sia il loro avversario perché esso non esiste. Ci sono dei cartelli con scritto "Shut down the 1%", abbattilo. Ci vogliono morti? È una frase senza senso. Ammazza il più alto dei papaveri e non succederà niente. Quello che è scritto sulla massa dei cartelli non è altro che una rivendicazione di giustizia distributiva. Ma nei piani alti dei grattacieli non vige l'ingiustizia, perché in questo paese l'arricchimento è sacro più che altrove. Semmai si cerca di operare tra la legalità e la terra di nessuno dove la legge è opinabile, per evitare troppi impedimenti alla formazione del profitto. La giustizia distributiva ha un solo significato: distribuire ad altri quello che tu hai guadagnato. Ecco perché l'America non sopporta le tasse e si ribellerà prima contro il fisco che contro la cosiddetta ingiustizia. In un sistema libero c'è già la giustizia distributiva, le opportunità ci sono per tutti. Darwin aveva ragione, l'esistenza su questo mondo è regolata da leggi di natura. Quelli di Zuccotti Park non sono soltanto sfigati, sono un-fit, inadatti. Vuoi una prova? Sul loro sito è nato un dibattito sull'opportunità di bloccare davvero la borsa di Wall Street. Sai perché? Perché al NYSE i maggiori operatori sono i fondi pensione dei lavoratori. Questo è ciò che chiamo essere dei perdenti. Come dice un mio amico che lavora alla sicurezza informatica delle banche: viviamo pure tranquilli, nelle file nemiche ci sono più messaggeri che tiratori.
Noi siamo quello che loro vorrebbero essere, e che potrebbero davvero essere se avessero energia sufficiente per ottenere quello che pretendono gli sia regalato da altri. L'energia viene dal denaro. Noi rispettiamo le regole di un paese che basa il proprio dinamismo sulla promessa che il denaro ti dà la libertà. E lavoriamo sodo, ci misuriamo ogni giorno con questa promessa. Perciò raccogliamo denaro dal sistema e lo re-immettiamo nel sistema per fare più denaro, non importa cosa succede nei mille rivoli che stanno agli estremi della rete. Fare più soldi possibile con meno soldi possibile, questa è la semplice formula magica che riassume tutti gli astrusi linguaggi della finanza, l'effetto leva che sostiene il mondo. E tutti, anche gli sfigati che vogliono abbattere Wall Street, anche i poveri diavoli che perdono il lavoro e fanno la fame o i professori che pontificano sui giornali sono d'accordo in linea di massima sulla natura del sistema. Non vogliono un altro sistema, vogliono che questo sistema non sia sé stesso. Ma questo è assurdo.
Se vai a chiedere in giro nessuno te lo dirà, ma basta leggere i documenti, gli interventi sul Web, i cartelli nelle manifestazioni, non trovi nessuno che sia veramente al di fuori delle regole di questo sistema. È per quello che noi continuiamo a fare il nostro lavoro assolutamente indisturbati. Mi hanno dato dell'avvoltoio, ma io rispetto le leggi, non faccio male al prossimo, anzi, se voglio faccio anche beneficienza. Se voglio non sfioro nemmeno la terra di nessuno in cui le regole sfumano e il guadagno si amplifica. Dicono che la nostra attività di high frequency trading sia illegale e altamente speculativa. Non è vero per la prima parte e bisogna che qualcuno mi spieghi la seconda, cioè il termine "speculazione". Non c'è nessuno sano di mente che immetta denaro in un sistema per non tirar fuori più denaro.
Occupy the market
Siedo in questo ufficio da molti anni e conosco bene i giovani raider. Sono giovani predoni senza scrupoli, sono dinamici, hanno intuito e grinta. Fanno carriere fulminanti ma spesso cadono dall'alto e si fanno molto male. Il denaro è una droga e li fa sentire padreterni. Ma sono assolutamente individualisti e non capiscono fino in fondo la loro appartenenza a un sistema. Naturalmente a noi fanno comodo così, ma a volte rappresentano un problema. Ad esempio quando finiscono sui giornali perché si son fatti prendere la mano e speculano per conto loro con il denaro della compagnia che li paga profumatamente. O quando guadagnano abbastanza per mettersi in proprio e, col gruzzolo, si comprano un po' d'informatica per mettere a frutto le conoscenze acquisite. Il che vuol dire utilizzarle anche illegalmente, come nel caso dell'insider trading [speculare sfruttando notizie riservate provenienti dall'interno delle aziende].
La morale non c'entra. Io dirigo un hedge fund, cioè un fondo dichiaratamente speculativo ad alto rendimento ma anche ad alto rischio. Anche noi utilizziamo i sistemi informatici per strategie sofisticate e operiamo su diversi mercati contemporaneamente, sfruttando gli orari locali 24 ore su 24. Anche noi non disdegniamo le informazioni riservate. Ma cerchiamo di operare nell'ambito di un sistema che presumiamo di controllare, sebbene entro i limiti delle sue fluttuazioni fisiologiche. Anzi, come si sa, le fluttuazioni sono il nostro pane quotidiano. Il fatto è che il sistema è andato fuori controllo, e molto è dovuto agli automatismi che ormai tutti usano. È come se la massa enorme del capitale finanziario esistente avesse preso la mano degli operatori obbligandoli al suo ritmo. Il meccanismo è perverso: si distribuiscono dei sensori informatici nel sistema e a seconda dell'informazione ricevuta si danno delle risposte operative, vendere o comprare, con effetto leva o meno, azioni, petrolio, titoli di stato, valute, grano. Di tutto. L'operatore umano non può reagire a quella velocità, quindi tutto è affidato alle macchine e al loro software. O meglio, quasi tutto.
Il "quasi" è di importanza fondamentale. L'automatismo è come un cancro nel sistema. Una volta introdotto dal primo operatore, si propaga come una metastasi perché la concorrenza obbliga tutti ad aggiornarsi. E siccome il nostro cervello non reagisce alla complessità dei mercati nei microsecondi impiegati da un computer, ecco che la rete dei computer diventa autoreferente. Soros, che gestisce un hedge fund di gran lunga più potente del nostro, è stato il primo a teorizzare questa autoreferenza, chiamandola riflessività. Prima che si diffondessero come adesso le procedure automatiche, era già evidente che l'osservatore, se era abbastanza importante, influiva sul sistema con il solo fatto di esistere. A maggior ragione, se operava, produceva i risultati che gli altri osservavano.
Oggi siamo giunti al limite estremo della riflessività. Immaginiamo qualcuno che possegga un sistema informatico molto potente con adeguati software in grado di operare sui mercati in modo da immettere informazione che altri ricaveranno per operare a loro volta. È evidente che così facendo questo qualcuno influenzerà i mercati stessi, perché tutti gli operatori automatici rileveranno l'informazione immessa. Sto facendo una sintesi. In realtà molti fattori contribuiscono alla complessità dei mercati, le società di rating, le banche, i governi, la congiuntura economica. Sta di fatto, però, che i nodi più potenti della rete in cui si articolano i mercati hanno la possibilità di influenzare tutti gli altri nodi e trarne vantaggio. Sarebbe normale, nel mondo finanziario è sempre successo. Ma oggi siamo di fronte a pochissimi nodi che possono influenzare masse immense di capitali, tanto da mettere in ginocchio anche gli stati più potenti. Non dico che vi sia un complotto di pochi contro i molti, dico che succede e basta.
Le piccole aziende di intermediazione che operano con sistemi automatici ad alta frequenza sono ovviamente preda di quelle grandi e contribuiscono più di tutte a creare i trend giornalieri. La loro azione non è trasparente. Sono collegate tramite rapporti molto personali con gli ambienti delle borse, specie quelle di New York e Chicago. Guarda caso, attraverso questi canali riescono ad avere informazioni molto riservate. Sanno ad esempio con qualche secondo di anticipo che cosa farà un grande fondo pensioni che muove miliardi di dollari, e si muovono velocemente per anticipare le conseguenze. Noi pensiamo ovviamente che ci sia un interesse a farle operare a quel modo, spesso all'unisono. Riescono a intercettare flussi di compravendita e ad anticipare le variazioni di prezzo prima degli altri. Da una dozzina di anni, cioè da quando è permesso operare con sistemi elettronici, la cosa è diventata sempre più evidente. E quel fondo pensioni magari ci rimette, cioè ci rimettono i capitali racimolati con i versamenti di migliaia di lavoratori. D'accordo, non dovrebbe dirlo il rappresentante di un fondo speculativo, ma il fatto è che anche noi siamo vittime degli automatismi del mercato. È tutto fuori controllo, non si sa più se comandiamo noi o i capitali impazziti. E sono guai, perché le cifre in ballo sono immense.
Quelli di Occupy Wall Street si muovono per rifiutare un sistema di sperequazioni che c'è sempre stato, ma che adesso incomincia ad avere effetti micidiali. Se si va a guardare, persino alcuni esponenti del Partito Repubblicano non hanno avuto il coraggio di seguire i loro colleghi negli insulti al movimento. Ma né gli uni né gli altri sanno che la sperequazione è il risultato inesorabile di un principio statistico [la legge di Pareto]. Normalmente gli stati prendevano dei provvedimenti e mitigavano questo effetto, mentre adesso, con gli automatismi imposti da un sistema incontrollabile, le conseguenze sono portate all'estremo.
Del resto le leggi le fa chi possiede i capitali o è al loro servizio tramite le lobby. La tassazione sul capital gain è negli Stati Uniti del 15%, mentre quella sui redditi da lavoro è del 35%. Quindi la segretaria di un miliardario paga percentualmente più tasse del suo principale. Se lo dice Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo, c'è da credergli. Però queste sono piccole cose in confronto al funzionamento dell'intero sistema. Ad esempio, noi riceviamo dei capitali in custodia affinché rendano un certo surplus. Tutti i nostri clienti sanno che un hedge fund è altamente speculativo, rischioso, quindi non si stupiscono per le sue scorrerie sui mercati. Lo stesso vale per le banche d'affari. Ma fuori dal giro non tutti sanno che dal 1999 le banche commerciali possono fare la stessa cosa con i soldi dei loro clienti normali. Le banche sono diventate in realtà i più giganteschi hedge fund del mondo. Detto terra terra non esiste più distinzione tra la speculazione e l'investimento, nel senso che ormai c'è solo speculazione.
A noi che siamo percepiti come i "cattivi" del mercato permettono di usare una leva finanziaria di cinque o sei volte il capitale che teniamo a garanzia. Le banche arrivano come niente a un rapporto di trenta a uno. Ciò vuol dire che la banca, con un milione di dollari in capitale proprio ne investe trenta milioni, ventinove dei quali sono dei risparmiatori. Il guaio è che il sistema bancario, arrivato a questo punto, non è riformabile. Come si fa a ricapitalizzare una banca in misura sufficiente a riportare il capitale proprio al, poniamo, 15% dei movimenti come una volta? È impossibile. E poi bisognerebbe mandare a casa gran parte dei dirigenti, eliminare i superbonus che essi stessi si sono garantiti, programmare licenziamenti massicci tra il personale. Già comunque lo si è cominciato a fare qui in America e fra poco saranno costretti a farlo anche in Europa. Sarà una guerra mondiale, anche se nessuno la vuole, ma i capitali che fluttuano tra i cinque continenti non ne vogliono sapere di star fermi. Vogliono profitto, e nessuna manifestazione di strada potrà fermarli.
Per sottoscrivere il nostro fondo occorre al minimo mezzo milione di dollari. Sono cifre importanti, che possono trovare una buona remunerazione solo con movimenti importanti. E movimenti di una simile portata li trovi principalmente nel campo dei derivati. È quello dove la speculazione è massima, ma è anche quello dove più che altrove chi interviene non può fare a meno di modificare il campo stesso. I derivati si chiamano così perché il loro prezzo deriva dal prezzo di un'attività collegata. Ovviamente più i collegamenti diventano intricati, meno si riesce ad avere il controllo della situazione. Già si perde il filo quando si tratta di derivati su materia fisica, sul petrolio, sul rame, sul grano, sul caffè. Figuriamoci quando si tratta di valute, variazioni dei tassi, azioni, debiti, indici su pacchetti in cui tutto questo è contenuto. È un sistema, nessuno può essere considerato "colpevole" se il grano e il riso rincarano al punto da affamare della gente. Oppure se si infilano i mutui dei poveracci in strumenti finanziari strutturati e, quando la massa degli insolventi supera una soglia critica, salta l'economia del mondo per l'effetto a catena. Nessuno può sapere se e quando la soglia è veramente critica. Per questo i manifestanti di Occupy Wall Street sbagliano bersaglio e sono destinati al fallimento.
Occupy Oakland
Il 2 novembre scorso abbiamo dato un grande scossone all'America. Oakland, 400.000 abitanti, è una delle città portuali più importanti degli Stati Uniti e qui Occupy Wall Street ha organizzato, per la prima volta da quando esiste, uno sciopero generale. O meglio: dopo un'assemblea di piazza migliaia di persone hanno auto-organizzato uno sciopero generale. Come al solito il Web è stato l'elemento coordinatore. Abbiamo realizzato un sito apposta, Occupy Oakland. Lo sciopero ha bloccato l'intera città, ma l'obiettivo più importante per tutti era ovviamente il porto. Migliaia di manifestanti hanno coinvolto la popolazione marciando con cartelli improvvisati, i sindacati si sono accodati, sono sorti picchetti spontanei, il movimento dei container è stato paralizzato. Anche al di là della baia, a San Francisco, gli occupanti, solidali, presidiavano le piazze.
Qui negli anni '60 era forte la protesta contro la guerra in Vietnam ed erano radicate le Pantere nere. Qui s'era sviluppata la lotta degli studenti a partire dall'università di Berkely. C'era anche una forte organizzazione operaia, e qualche anno fa c'era stato un colpo di coda potente durante lo sciopero a oltranza dei portuali del Pacifico. Adesso la crisi si fa sentire più che altrove, marinai e portuali rimangono disoccupati mentre il viavai di migliaia di navi cinesi fa toccare con mano cosa voglia dire globalizzazione. Lo scenario non si discosta da quello solito del movimento. Vengono individuati i luoghi cari all'1% (banche, multinazionali, uffici statali), si piantano tende, si bivacca, si manifesta, si tengono infuocate assemblee. Un po' diverso il comportamento della polizia locale. Siccome circola qualche spinello e c'è un po' di spazzatura, un numero spropositato di agenti viene mobilitato con il solito pretesto della "droga" e dell' "igiene". Come succederà anche a New York e altrove.
L'attacco della polizia in assetto di guerra, sferrato la notte del 25 ottobre, non riesce. Si radunano centinaia di manifestanti, la polizia arretra. Negli scontri un giovane viene colpito alla testa da un lacrimogeno e viene portato all'ospedale, in coma. È un marine, veterano della guerra in Iraq. Manifestava con i giovani disoccupati. Come in altre occasioni, la repressione fa montare la rabbia. Le tende vengono rimesse in piedi, il sindaco (una cinese) cerca di mediare, la polizia viene ritirata dalle strade. In piazza Oscar Grant i manifestanti riuniti in assemblea chiedono lo sciopero generale. Un comitato mette per iscritto una breve dichiarazione:
"Noi, in quanto militanti che occupano la piazza, proponiamo che mercoledì 2 novembre 2011 sia liberata Oakland facendo chiudere i battenti all'1%. Proponiamo uno sciopero generale cittadino e invitiamo anche tutti gli studenti a uscire di scuola. Invece di raggiungere i posti di lavoro e le scuole, convergeremo verso il centro e chiuderemo la città. Tutte le banche e le grandi aziende dovranno essere chiuse per quel giorno o marceremo contro di esse. Mentre vi chiamiamo allo sciopero generale, vi chiediamo molto di più. Tutti coloro che fanno attività nei quartieri, nelle scuole, nelle comunità, negli organismi, nei gruppi, nei luoghi di lavoro e nelle famiglie sono invitati ad auto-organizzarsi in modo da permettere il blocco totale dell'intera città. Gli occhi del mondo sono puntati su Oakland. Facciamo vedere cosa è possibile fare".
Alcuni di noi sono perplessi. La motivazione ricalca troppo sfacciatamente gli slogan generici scritti sui cartelli del movimento. Non rispecchia alcuna rivendicazione particolare. Comunque risulta provato che i movimenti di massa non prendono la loro energia dai pezzi di carta e dalle votazioni. Anche se lo slogan "Sciopero del 99% contro l'1%" suona un po' troppo debole, la piazza risponde con una maggioranza incredibile: su circa 1.600 persone presenti solo 47 votano contro. L'appello sembra a molti pura velleità ma come spesso succede il clima effervescente fa superare ogni titubanza. La decisione viene presa e la data fissata. La parola d'ordine è "Shut down", chiudere, bloccare. Anonimi occupiers incominciano a organizzare sul Web picchetti e cortei, a tracciare percorsi fino al raduno finale. Tre cortei avranno il compito di far chiudere le banche. Alla confluenza finale verrà bloccato il porto.
Il programma è più o meno rispettato. Nella mattinata del 2 novembre risultano ferme tutte le attività, compresi i negozi, le scuole, i servizi. Il tempo è magnifico, con un bel sole. I cortei hanno un aspetto pazzesco. Sono apparentemente caotici ma alla fine prendono forma e si muovono sicuri. C'è di tutto, dai neonati in carrozzina ai vecchietti, dagli operai ben inquadrati ai fricchettoni con lo spinello. I cortei s'ingrossano mentre procedono e fanno chiudere Bank of America, Wells Fargo, Citibank, Chase Manhattan. In uno dei punti d'incontro per i cortei, sale sul palco degli oratori una signora attempata. Incita alla rivolta "questo magnifico movimento su cui sono puntati gli occhi del mondo". Scatta un'ovazione, ma ben pochi dei presenti possono ricordare Angela Davis quando, quarant'anni fa arringava masse ben più numerose e combattive. Noi pensiamo che il movimento di oggi non sia meno importante di quello di ieri. Oggi non si tratta di rivendicare diritti civili, di far valere un movimento politico. È in ballo qualcosa di più profondo, che riguarda il modo di essere della società, un rifiuto viscerale degli effetti del capitalismo.
Più tardi un grande picchetto blocca il porto. È a questo punto che i sindacati di categoria si decidono, prendono atto dello sciopero in corso e si accodano manifestando la loro solidarietà. Prima il sindacato dei dockers, visto che i portuali sono in prima fila, poi quello della scuola, quello della sanità, quello dei lavoratori delle cooperative e persino quello della polizia locale, che si dissocia dalle cariche dei giorni precedenti e pubblica una lettera aperta in cui si dichiara che anche i poliziotti fanno parte del 99%. Intorno al porto c'è di nuovo una confusione incredibile, la gente si muove in tutte le direzioni piuttosto eccitata. Ma non ne risente il coordinamento. Singoli manifestanti e piccoli gruppi alzano cartelli artigianali davanti alle fotocamere. C'è scritto di tutto. Molti sono i riferimenti alla "primavera araba". Gandhi è rappresentato più di Lenin. C'è anche un grande striscione che inneggia alla "Comune di Oakland". Cartelli in versi, ecologici, contro le carcerazioni, pro-spinello, per aumenti salariali, contro i ricchi, per i fondi alle scuole, contro gli armamenti, contro gli sfratti. Campeggia, grande, lo sfruttatissimo "Capitalism, game over", il gioco è finito. Forse il più bello di tutti è: "Ci sono più ragioni per l'entusiasmo che per la paura".
Occupy Wall Street
Facciamo parte di un grande movimento anonimo. Non abbiamo Inviati del Signore o del Destino. Non ci sono Grandi Uomini che si prendono cura di noi e dell'Umanità illuminandoci sulla loro Weltanschauung, la loro visione del mondo. Qui anche i filosofi sono venuti a patti con il nostro linguaggio. Chi vuole venire a trovarci, vada a farsi un giro sul sito We are the 99 percent. Ci sono più di tremila profili anonimi di persone normali che lottano per una vita normale. La stragrande maggioranza ha problemi seri. Molti non ne hanno ma sanno che basta un niente per essere spediti nell'inferno della miseria. Quasi tutti sono indebitati, cioè hanno ipotecato la loro vita presso una banca. Sono semplicemente stufi e per adesso vogliono solo farlo sapere. Anonimi sono andati sul Web, anonimi sono scesi in piazza.
Il 17 novembre il nostro movimento ha compiuto due mesi. Per l'occasione, nei giorni precedenti, sul sito di Occupy Wall Street è comparso un programma di massima: 1) colazione, occupare le strade intorno al New York Standard Exchange, cioè bloccare la borsa più importante del mondo; 2) pranzo, occupare sedici stazioni della metropolitana in posizioni strategiche; 3) cena, grande raduno finale in Foley Square (opzione di riserva: occupare anche i ponti). Sembra una follia, non è realistico pensare che ti lascino occupare davvero Wall Street, le metropolitane, le piazze, i ponti. E poi: quante persone ci vorrebbero?
Alle sette del mattino incominciamo ad affluire verso Wall Street. Alle otto siamo già qualche migliaio, ma troppo pochi per bloccare tutte le vie d'accesso al quartiere. Comunque riusciamo a presidiare due lati nonostante la presenza massiccia della polizia. Ha transennato tutta la zona minacciando di arresto tutti coloro che sorpassano i blocchi. Impressionante l'afflusso di cronisti, richiamati dal programma preannunciato. Bene, sono così numerosi che, senza volerlo, ci aiutano a bloccare le strade. Alle otto e mezza risultano chiuse le due principali uscite della metropolitana vicine a Wall Street e tutte le vie d'accesso. La polizia muove alcuni contingenti e incominciano gli arresti.
Verso le nove da alcune vie laterali riceviamo richiesta di aiuto: i manifestanti che bloccano gli accessi con un sit-in sono attaccati da poliziotti con lunghi bastoni. Siamo sufficientemente numerosi da spostare le transenne e ammucchiarle per bloccare i veicoli della polizia. Gli impiegati di Wall street sono titubanti di fronte ai check point. Contribuiscono a far massa con noi e con i reporter intasando le strade del quartiere. In alcune vie molto strette la polizia è sopraffatta dalla ressa. Una pattuglia di motociclisti rimane imbottigliata proprio in Wall Street. Altrove gli agenti devono sguarnire degli incroci per accorrere a tenere aperte le stazioni della metropolitana. Arriva la notizia di 30 arrestati, tra i quali una donna disabile in carrozzella. I traders della borsa non ce la fanno a entrare in orario. Abbiamo bloccato per mezz'ora la campana di apertura delle transazioni: si alza un'ovazione. Il giorno dopo i media ci prenderanno in giro per il nostro trionfalismo per questa sciocchezza che vale meno di niente. È solo un simbolo, lo sappiamo benissimo. Sappiamo che se anche riuscissimo a bloccare il NYSE [New York Stock Exchange] non succederebbe niente, gli scambi fisici in quell'edificio non sono che una parte insignificante del totale. Ma nelle rivoluzioni i simboli sono importanti.
Alle nove e mezza arriva sui cellulari la notizia di un attacco brutale della polizia al 60 di Wall Street, sotto il grattacielo della Deutsche Bank. Si sciolgono alcuni sit-in per accorrere. Gli occupiers sono confinati sui marciapiedi, dietro le transenne, chi si muove viene arrestato. Ne arrivano folti gruppi da Broadway, ci dicono che anche lì ci sono stati arresti a catena. Che sono ormai una cinquantina, più una dozzina di reporter. Alle dieci sembra che ci sia uno stallo, non riusciamo a capire in quanti siamo. In molti incroci i sit-in sono circondati dalla polizia. Nelle vie intorno c'è un viavai indisturbato di manifestanti. Alle dieci e un quarto arriva la notizia che i lavoratori della nettezza urbana hanno messo i camion di traverso chiudendo un'importante via d'accesso a Wall Street in solidarietà con gli occupiers. Centinaia di questi, tagliati fuori dal quartiere di Wall Street, sono dirottati a occupare Liberty Square, che dista due o trecento metri. Non appena si sparge la voce, un grosso corteo si forma a Broadway e si muove per raggiungere la piazza, che trova circondata dalla polizia. Gli assedianti si trovano assediati e chiamano rinforzi. Intanto continuano gli arresti e i reporter che cercano di documentarli sono malmenati.
Alle undici vediamo chiaramente che la polizia, pur essendo sempre all'attacco, è nel caos, non riesce a controllare la situazione. La grande mobilità dei manifestanti, in parte voluta e in parte no, risulta molto efficace. Alle undici e mezza dichiariamo Liberty Square riconquistata. Demoliamo il sistema di transenne su un lato del parco. Intanto si forma un altro corteo che marcia su Wall Street. Sono migliaia di persone. La polizia ripristina di corsa le transenne abbattute dai dimostranti. Dai palazzi escono degli impiegati e si uniscono al corteo. Arriva la solidarietà da Occupy Los Angeles e Occupy Portland: in entrambe le città hanno bloccato alcuni ponti. Stiamo occupando in 30 città degli Stati Uniti. Solidarietà anche da Atene, dove in 30.000 marciano sul centro. Entro mezzogiorno non si contano le città nel mondo in cui si sono svolte manifestazioni OWS. Il nostro team di avvocati comunica che gli arrestati sono più di duecento. Circola un messaggio: "Il nostro Giorno dell'Azione è appena incominciato, rimani sintonizzato".
All'una e mezza la polizia attacca a Liberty Square in tenuta antisommossa e armata di bastoni. Chiude tutti gli accessi in entrata e in uscita. Ripristina le transenne e schiera diversi autobus che già in precedenza erano serviti a portar via gli arrestati. L'attacco più che prevedibile provoca molti feriti e molti arresti. Non è permesso ai medici di intervenire. Alle due e un quarto la piazza-simbolo è di nuovo occupata e si fotografano le chiazze di sangue sul selciato per documentazione. La polizia si attesta in forze intorno alla piazza, i rapporti di forza ci sono sfavorevoli. Accorre un gran numero di reporter che incominciano a scattare foto. Gli occupiers scandiscono in coro: "forza sbirri, il mondo intero vi guarda!".
Alle due e quaranta la prima parte della giornata è conclusa. Migliaia di occupiers lasciano Wall Street e Liberty Park risalendo alla spicciolata lungo i due lati di Broadway verso Nord dove, a qualche chilometro di distanza, si sono radunati gli studenti in sciopero. Per unire le due manifestazioni diversi cortei marciano verso Foley Square. Alle quattro e mezza c'è un tentativo di occupare la Quinta Avenue ma la polizia riesce a impedirlo. Vengono occupate la Sesta Strada e la Settima, e infine anche la Quinta Avenue. La polizia presidia e transenna le vie adiacenti per impedire lo spontaneo dilagare della manifestazione. Nonostante i blocchi, migliaia di manifestanti si incontrano con migliaia di lavoratori dei sindacati che stanno marciando verso Foley Square. Alle cinque la piazza è piena e urla: "Bloomberg attento, Liberty Square è dappertutto!". La polizia schiera le guardie a cavallo. Gli occupiers per tutta risposta chiudono altre vie. Nella confusione salta il programma di bloccare le sedici stazioni della metropolitana.
Alle sei e un quarto da Foley Square parte un corteo di almeno 20.000 persone dirette verso il ponte di Brooklin. Twitter va in fibrillazione, migliaia di messaggi si incrociano. Alle sette la testa del corteo, circa 2.000 persone, arriva alla stazione d'entrata del ponte, davanti a City Hall e la bloccano. Nello stesso momento arriva la notizia che gli scanner aerei della polizia hanno contato 32.650 manifestanti a Foley Square e dintorni. Noi non avevamo idea di quanti fossimo. Se la polizia dà quella cifra eravamo certo di più, ma prendiamola per buona, diventerà quella ufficiale. La folla esplode in un boato e incomincia a scandire: "Nessuno ci può fermare, un altro mondo è possibile!". Non è vero. Proveranno a fermarci e probabilmente, per un po', ci riusciranno. Non lo faranno con la polizia, lo faranno attraverso noi stessi. Finché la nostra struttura mentale sarà legata a questo mondo, l'altro mondo non sarà possibile. Non è un problema psicologico, teorico, politico, ma pratico. Per volere davvero un altro mondo bisogna rifiutare tutte le categorie di quello attuale. Fino ad allora, questo sarà un mondo per vecchi, indipendentemente dall'età anagrafica. Basta dare uno sguardo alle migliaia di interventi sulle pagine del sito OWS. Il nostro movimento è più grande della somma delle sue opinioni individuali.
Poco prima delle otto viene dispiegato per l'ennesima volta il grande striscione giallo, con la scritta Occupy Wall Street, che ci ha accompagnato per chilometri. La massa dei manifestanti attraversa il ponte senza bloccarlo, fermandosi alla testata opposta, dove si tiene un'assemblea generale. Non cessano gli arresti di chi occupa la strada mentre la manifestazione si scioglie. Alla fine della giornata gli arrestati saranno 252, compresi 26 giornalisti. In tutte le città americane più di 300. In due mesi, cioè da quando è nato il movimento, sono 1.400. C'è determinazione, rabbia, voglia di lottare. Sul Web nascono migliaia e migliaia di pagine dedicate al movimento e alle sue manifestazioni. Milioni di fotografie e di filmati circolano come documentazione. Ci chiediamo quale potrà essere il nostro limite.
Occupy the general intellect
Sul Web ci sono delle nostre foto a Liberty Square. Alcune sono ad alta risoluzione, si distinguono quei particolari che fanno gola a tutta la banda di smanettoni che gravita attorno a OWS. Non sembriamo affatto ai nerd asociali dello stereotipo. Nelle foto si vedono i tavoli di granito rosso del parco coperti di laptop, router, smartphone, alimentatori, cavi. È il nostro Media Center, la nostra rete wireless, la nostra interfaccia col mondo. Si vede il generatore a bicicletta che fa da gruppo elettrogeno. Si vede la Freedom Tower, cioè il ricetrasmettitore della nostra rete Mesh. Adesso non c'è più niente. Quando c'è stato lo sgombero, la polizia ha fracassato tutto.
Chiamavano Freedom Tower qualche modem e sei antenne radio montate su un palo alto tre metri. Non era solo una rete Wi-Fi pubblica e gratuita, era l'embrione di un nuovo tipo di Internet per Occupy Wall Streeet. La distruzione del materiale non è altro che una stupida provocazione, non serve a niente. Un progetto come il nostro non si può fermare. Volendo, in un'ora raccogliamo i soldi, in tre ore rimettiamo in funzione tutto. Al momento abbiamo quattro reti Wi-Fi locali: New York, Austin, San Antonio e Los Angeles. Gli egiziani di Tahrir Square sono stati i primi a realizzare una rete Mesh per neutralizzare il blocco governativo delle comunicazioni. Ma questo è solo uno degli aspetti di ciò che sta succedendo.
È affascinante l'improvviso dilagare della protesta, delle sue modalità, dei suoi simboli. Dalla Tunisia all'Egitto, dalla Grecia alla Spagna era già esplosa la rabbia, ma è da New York, da Liberty Square che i neuroni del cervello sociale hanno incominciato ad attivarsi in sincronia. C'è stato un velocissimo processo evolutivo che ha dato luogo a una forma di vita in grado, adesso, di influenzare l'evoluzione successiva. La nostra Freedom Tower è solo una protesi del Media Center e questo è una delle protesi del movimento. Sono protesi viventi che non sostituiscono un arto o un organo ma lo integrano. Amplificano il nostro cervello collettivo, si sono già riprodotte e si riprodurranno ancora, si evolveranno. Come ha detto uno di noi, siamo il cancro del capitalismo, le nostre metastasi lo uccideranno.
Forse la metafora è un po' macabra e per il momento anche ottimistica. Comunque è certo che è in atto un'opera di ingegneria genetica, un processo di scomposizione e ricombinazione del Dna sociale. Occupy Wall Street usa per adesso il linguaggio che trova, cioè quello che si può rilevare dai cartelli, dai discorsi, dai siti sul Web. Ma il linguaggio del processo reale in corso è già di un altro mondo, come se stesse nascendo una nuova forma di vita. Del resto più di uno scienziato ha studiato il fenomeno: la nostra specie negli ultimi millenni ha dato luogo a un'evoluzione extracorporea, cioè tecnica e sociale, che procede in modo infinitamente più veloce di quella biologica.
La Rete ha avuto un brivido quando Wired ha pubblicato il video del primo drone OWS. I droni sono robot muniti di telecamere, sensori vari o anche missili. Oggi sono normalmente usati in guerra. La polizia di diversi paesi è in procinto di adottarli per controllare le rivolte urbane. Ebbene, abbiamo anticipato l'avversario: il primo drone utilizzato in una rivolta urbana l'abbiamo costruito noi. A Varsavia abbiamo spiato dall'aria i movimenti della polizia antisommossa. Un'arma può essere puntata contro di noi o puntata da noi. È una macchina che costruiscono gli umani. Come tutte le macchine copiano i nostri arti e i nostri sensi. Producono, memorizzano, calcolano, costituiscono sistemi automatici che già nell'800 erano paragonati a prodotti del cervello sociale, in grado di rappresentare un'estensione non solo del nostro corpo ma anche della nostra intelligenza. Comunicano tra loro e con noi tramite un loro linguaggio. Occupy Wall Street è un cyborg, un organismo bio-cibernetico aperto, in grado di assorbire informazione, di filtrarla, di utilizzarla o di ignorarla.
Il più semplice meccanismo cibernetico è quello che riceve dati dall'ambiente e, a seconda di come è regolato, aziona dei dispositivi che producono una variazione del'ambiente stesso. Il nostro corpo regola la propria temperatura, ma se le variazioni sono troppo grandi, comanda al cervello di accendere un fuoco o di cercare dell'ombra. Con lo stesso principio è stato inventato il termostato. La rappresentazione più semplice di questo comportamento è una sequenza del tipo: se succede la tal cosa, allora agisci in tal modo, altrimenti in tal altro. Reagisce così un corpo vivente, una macchina progettata allo scopo, una società intera o una sua parte. Twitter è un social network nato per comunicare. Si è evoluto filtrando, aggiungendo ed eliminando informazione a seconda delle esigenze di chi lo adopera. Noi possiamo polarizzare il network con tre semplici comandi: preleva informazione dalla rete, immettine, oppure cancellane.
Si può affermare che a grandi linee tutta la nostra società, come il mondo biologico, funziona secondo questi elementi semplici di informazione. Ci sarà certo qualcuno che tirerà in ballo le meraviglie insondabili della mente, l'irriducibilità dell'Uomo a una serie di leggi bio-fisiche, ma in natura gran parte della reale complessità delle relazioni non è che un'estensione, una elaborazione di quelle poche informazioni o comandi.
Evidentemente nel mondo si è superata una certa soglia, per cui il sensore sociale (se, preleva) di una parte dell'umanità registra che bisogna fare qualcosa (allora, immetti). L'informazione primaria che ha dato luogo alle manifestazioni è ovviamente quella dell'insopportabilità del sistema di vita prima ancora di quello economico. Molti elementi della società (il 99%) hanno elaborato questa informazione primaria aggiungendo un "colpevole" (l'1%). Non appena l'informazione minimamente elaborata si è diffusa risultando condivisa, ci si è resi conto che questo sistema aveva bisogno di un reset, una ripolarizzazione su nuovi parametri e che il risultato doveva essere ottenuto con la drastica negazione dei parametri esistenti (altrimenti, cancella). D'accordo, la società non è un computer, non è un social network ed è più complessa di un programmino per Twitter, ma intanto qualcuno provi a spiegare con la psicologia, con la sociologia, con la politica o con la religione l'affermarsi di un movimento che in due mesi ha portato in piazza milioni di persone stufe di condurre una vita grama, senza senso.
Dopo sei mesi di incubazione, a partire dalla rivolta tunisina, dalle ormai celebri piazze occupate, a Zuccotti Park, nel cuore di New York, a due passi da Wall Street, il nostro movimento ha prelevato la prima, fondamentale informazione: occupare. Cosa? Il cuore dell'1%, il mercato azionario più importante del mondo. Come? Fisicamente, mobilitando migliaia di persone. Per fare cosa? Per manifestare, per far capire che ne abbiamo abbastanza. Per avere un luogo fisico da cui partire per comunicare con il mondo. Siamo solo al primo livello del prelievo, che già l'informazione prelevata si è trasformata in informazione immessa. Non si va a casa per ricominciare la settimana dopo, si resta, si piantano le tende, si costruisce un centro informatico operativo, ci si dà una struttura fermamente organizzata (che sarà a rete e non più a piramide). Soprattutto non ci si organizza soltanto per organizzare, per manifestare, per essere in tanti. Il movimento dev'essere inclusive, cioè abbracciare il 99% della popolazione, ma dev'essere chiaro che è finalizzato a una società diversa. Per adesso la si chiami come si vuole, ma diversa da quella attuale.
Zuccotti Park è stato il serbatoio di nuova informazione. Dopo averne prelevata da una società in rivolta ed averla elaborata, adesso ne immette in modo che altri possano prelevarla. A questo punto la dislocazione del luogo fisico non ha più importanza, esso si è diffuso nel mondo, vive sulla Rete, è fisicamente ubiquo. È stato un meme evolutivo, rimane come simbolo, ma potrebbe sparire. Il movimento ha raggiunto una soglia critica, non si può più fermare. A Oakland dichiara uno sciopero generale. A New York scopre che lo sforzo organizzativo e logistico che coinvolge migliaia di persone non è fine a sé stesso ma configura rapporti sociali. Si solidarizza con gli operai cinesi in lotta, si appoggia la lotta degli egiziani ritornati in piazza, si distribuiscono migliaia di pasti caldi:
"Il movimento può fare molto di più che protestare. Noi possiamo anche fare qualcosa gli uni per gli altri. In giro per il mondo ci sono persone ancora senza tetto, intrappolate nella povertà, in debiti e pignoramenti. Le sperequazioni economiche sono tremende. Ma oggi ricordiamo a noi stessi e al mondo che possiamo essere soddisfatti della solidarietà [che abbiamo messo in pratica]. Oggi da Oakland a Washington, ovunque siano presenti, gli occupiers sono seduti alla mensa comune" (OWS home page, 24/11).
Occupy Wall Street vive di vita propria, è già un corpo estraneo in questa società, un organismo vivente il cui codice genetico è open source, nessuno lo può brevettare. L'assemblea generale che lo coordina è basata sul principio (che fu della Comune di Parigi): membri sostituibili in qualsiasi momento. Anzi, siccome l'assemblea si riunisce tutti i giorni e nessuno può essere presente in continuazione, il ricambio è automatico. Sbaglia chi crede di vedere in noi un movimento anarchico. Noi siamo organizzatissimi e applichiamo il centralismo. La rete ha nodi differenziati, alcuni sono hub, altri vanno e vengono. C'è sicuramente un interesse nel dipingerci diversi da quello che siamo. Basta andare sul Web e leggere quello che dicono mediamente di noi i professionisti dell'informazione. Non hanno capito niente. Comunque, i media mainstream possono dire di noi quello che vogliono. In genere è meglio quando ci ignorano. Noi sicuramente ignoriamo loro. La nostra "visibilità mediatica" è il movimento stesso. Per il resto il nostro futuro è strettamente legato a quel che sapremo fare con la terza istruzione, cancella. Cancella tutto ciò che è inerente a questa società infame. È la più difficile da attivare. È quella che ci dirà se saremo capaci di sopravvivere o se andremo incontro all'ennesima estinzione.
Occupy the World
Il 15 ottobre manifestanti coordinati di mille città in ottanta paesi hanno alzato cartelli con il messaggio essenziale degli occupiers americani. Siamo il 99% e quell'altro 1% detta legge, si pappa tutto e ci costringe al girone infernale del bisogno insoddisfatto. Il messaggio attecchisce benissimo anche fuori d'America. Là aveva dovuto abbattere il tabù della proprietà, della ricchezza, delle opportunità per tutti. O forse già non era più un vero tabù. Qui in Europa il tema della proprietà fa parte del lessico politico.
Ma forse il messaggio americano tocca degli archetipi, ataviche memorie che ci portiamo dentro. I primi cristiani non erano ben disposti verso la proprietà, come attesta la parabola del ricco, del cammello e della cruna dell'ago. Nel Medioevo erano sorte comunità eretiche contro gli eccessi della proprietà e della ricchezza. Persino il liberista Adamo Smith era convinto che lo stato dovesse impedire le perversioni dovute all'accumulo di ricchezza. Marx ha dato una sistemata alla faccenda dal punto di vista teorico, individuando i processi di formazione del valore e quelli della sua distribuzione fra le classi. Come si sa, era giunto alla conclusione che non è questione di ripartire equamente il valore ma di eliminare le classi. Di trasformare il tempo di lavoro in tempo di vita. Mai le rivoluzioni sono avvenute per ripartire la ricchezza secondo "giustizia", esse sono state totalitarie, chi ha vinto si è preso sempre tutto. La borghesia c'è riuscita, e s'è presa anche i cervelli. Infatti siamo ancora qui a innalzare cartelli con l'elementare messaggio 99/100. È chiaro che non è una questione di forma bensì di forza.
Noi in Europa crediamo di essere più scafati degli americani. Ci fanno sorridere le loro ingenue pretese quando vogliono che il capitalismo sia diverso da quello che è. Abbiamo letto Marx, Bakunin, Lenin, Mao, Trotsky o Debord e abbiamo meticolosamente disseminato la società di aree chiuse, denominandole con mille "ismi", quasi sempre con radice riferita a uno dei tanti Grandi Uomini che avrebbero fatto la storia. E adesso guardate che frana: stiamo diventando americani. Tutti indignati, tutti aperti, tutti non violenti. Tutti, cioè, quelli della nuova generazione; perché quelli della vecchia sono rincoglioniti davanti al televisore. Quarant'anni fa i giovani americani infilavano fiori nelle canne dei fucili spianati contro di loro e ancora oggi, a giudicare dai filmati, non hanno perso il vizio. La teoria spesso si discosta dalla prassi e sono guai. Quando il livello dello scontro raggiunge una determinata soglia, sono botte da orbi, e gli americani, bisogna dargliene atto, non si sono mai tirati indietro.
Comunque non sempre la soglia è superata e, mentre ci si avvicina, c'è sempre spazio per la discussione sulla violenza o non-violenza. Naturalmente questo dibattito è un infame prodotto del tutto ideologico, e i suoi risultati sono tanto elastici da essere utilizzati a seconda delle convenienze. In natura tale dualismo non esiste. Esistono invece eventi, cause ed effetti, processi, interazioni. Le molecole di un gas surriscaldato si agitano. Si scopre come, se ne traccia una teoria, si fanno dei calcoli. A nessuno viene in mente di dare un giudizio morale sulla loro agitazione.
Gli esseri umani sono individualmente molecole sociali. Se l'ambiente si surriscalda si agitano. Oppure si agitano e l'ambiente si surriscalda. Vi sono organismi unicellulari che, pur non possedendo sistema nervoso, mostrano una serie di comportamenti "intelligenti" al pari delle molecole sociali della nostra specie. Ad esempio nella ricerca di cibo. Ma incominciano ad agitarsi in modo caotico non appena questo diminuisce: invece di darsi una calmata per non dissipare troppa energia, fanno esattamente il contrario. Cercando disperatamente di alimentarsi per sopravvivere, consumano più in fretta il poco che c'è. All'uomo capitalistico stanno mancando progressivamente troppe cose. È naturale che aumenti l'agitazione e l'ambiente si surriscaldi.
Essendo l'uomo un animale sociale, ha bisogni infinitamente più complessi di quelli di un organismo unicellulare. Entra in agitazione per molto meno della quantità vitale di cibo. Anzi, al livello elementare di sopravvivenza piomba nell'inedia, mentre s'incazza enormemente quando gli tolgono ciò che ha conquistato o, a maggior ragione, quando incomincia a fare paragoni, non più con ciò che è stato, ma con ciò che potrebbe essere.
Oggi la borghesia, coadiuvata da un servizievole stuolo di ruffiani, alza al cielo insopportabili lamenti sulle violenze nelle banlieues parigine, nei quartieri emarginati delle città inglesi, nelle piazze greche, arabe, americane. Ma nella sua storia si è liberata dei feudali non certo chiedendo loro se per favore si toglievano dai piedi: ha fatto lavorare la ghigliottina a orario continuato, ha sconfitto eserciti dinastici, ha messo a ferro e a fuoco l'Europa e l'America e ha continuato il lavoro colonizzando il mondo con i metodi che sappiamo. Soprattutto ha piegato alla schiavitù salariata miliardi di proletari cavandogli il sangue. Oggi parla di non-violenza mentre conduce guerre con milioni di morti, reprime spietatamente ogni movimento che sia contro i suoi interessi, appoggia e fomenta sanguinosissime guerre civili. Violenza da parte di chi e su chi?
I custodi della tranquillità capitalistica paventano la crescita eversiva che chiamano di volta in volta comunista, anarco-insurrezionalista, teppista, criminale, canaglia. Fingono di non sapere che da febbraio fibrilla il mondo. Hanno rimosso l'indice di Gini, la legge di Pareto, i modelli di estrema sperequazione dei redditi. Hanno relegato alla storia rivolte gigantesche dovute alla non-vita di una società infame, gli incendi del passato nel paradiso capitalistico americano, a Chicago, Watts, Los Angeles. Credono di poter usare contro il "comunismo" le duecentomila rivolte all'anno dei proletari e contadini cinesi, schiacciati dal paradiso "comunista" di Pechino.
In Nordafrica e in Medio Oriente le rivolte non hanno prodotto cambiamenti e quindi non sono mai cessate le manifestazioni e gli scontri. Ad Atene non si contano più gli scioperi generali, si licenzia e si taglia fino a costringere decine di migliaia di persone ad abbandonare le città per tornare in campagna dove qualcuno può almeno sopravvivere. In Italia ci sono circa dieci milioni di lavoratori "atipici", cioè precari supersfruttati. Due o tre milioni sono disoccupati. Non esiste più nessuno che non sia coinvolto in questo macello, che non abbia qualche congiunto costretto a vivere con l'aiuto altrui, che non veda intorno a sé qualcuno praticamente alla fame. In Inghilterra la quasi totale de-industrializzazione produce sacche di povertà da Terzo mondo. I proletari dei paesi dell'Est europeo hanno provato sulla loro pelle l'avvento del feroce neoliberismo occidentale al posto del decrepito keynesismo orientale, e la Polonia, uno dei paesi con la più alta tensione sociale, ha visto grandi manifestazioni organizzate da Occupy Warsaw.
Anche un cretino capirebbe che, per puro calcolo statistico, fra la massa dei milioni di giovani incazzati qualche migliaio per forza incomincia ad agitarsi. E siccome un essere umano con il suo sistema nervoso è un po' più complesso di un batterio, lo scambio d'informazione tra gli incazzati non avviene attraverso toccamenti di vibrisse ma usando Internet, spostandosi in treno o in aereo da una città all'altra, scaricando la rabbia contro i simboli di coloro che ti promettono il paradiso del dio denaro e poi te lo negano.
Pancia e gambe precedono la sistemazione teorica, l'organizzazione viene per ultima. Non vogliamo leader! gridano i giovani in mille città: c'è da sperare abbiano capito non solo che i leader del passato hanno quasi tutti tradito, ma che la rivoluzione d'oggi non ha più bisogno di leader. E che i candidati potenziali sono gli infiltrati di quell'1% ricordato dai cartelli. È ovvio che prima o poi dovranno pensare ad organizzarsi. Facebook non basta e lo stato ha tutto l'interesse a fare una bella confusione tra indignados e ultras, marxisti e delinquenti. Per adesso gli americani resistono all'infiltrazione, ma a Londra la politique-politicienne, cioè la politica possibile oggi, ha sposato la delazione più turpe. Ad Atene ha bastonato i violenti facendo picchetto in difesa del parlamento. A Roma ha schierato un campionario impressionante di sbirri improvvisati, compresi dei patetici ex spaccatutto, molto più oltranzisti degli sbirri di stato (giovani, se per caso un tempo li avete seguiti, stampatevi in mente ciò che dicono oggi!). In un certo senso va bene così: era ora che venissero a galla i campioni della politica. I margini per la mistificazione si fanno sempre più stretti, si capisce bene che gli spaccavetrine, qualunque cosa pensino o dicano di sé stessi, rappresentano una efficace cartina di tornasole. Violenza? Suvvia, a parte lo storico avvento della borghesia, è fin troppo banale far presente che nel mondo, quotidianamente, ci sono seimila morti sui posti di lavoro, che le amate automobili andate arrosto nelle manifestazioni ne provocano più di tremila, che la mancanza di cure sanitarie ne provoca centomila, senza parlare delle guerre, ecc. ecc.
C'è chi dice che gli attacchi dei ragazzotti, le fiamme, le cariche, gli arresti e tutto quanto hanno offuscato le grandi manifestazioni dei 300.000 di Roma, dei 100.000 di Atene, dei 30.00 di Oakland e quelle svoltesi in altre mille città in questo periodo. È vero. Ma è perché gli organi d'informazione guadagnano sugli eventi eclatanti e non sulla grigia routine. E le manifestazioni-processione senza costrutto sono diventate, appunto, grigia routine. Niente è più soporifero del tran-tran sindacale, niente è più malinconico dei ragazzi che gridano "no alla violenza!" mentre si beccano botte da orbi dalla polizia (visto a Madrid, ormai tipico in America). Niente è più mistificante che autodefinirsi "indignato" invece che incazzato, ribelle, sovversivo, magari comunista (sempre che si sappia ancora che cosa voglia dire).
S'indigna l'intellettuale, il prete, il moralista. Per dovere professionale fingono di indignarsi anche il politico e il giornalista. Ma è facile constatare quanta efficacia abbiano avuto sessant'anni di indignazione contro le manifestazioni del potere borghese. Meno male che la copertura mediatica trascura in genere la palude dei candidi indignati e dei funesti politicanti mostrandoci diffusamente la poco digeribile punta dell'iceberg. Il potenziale tellurico che ha sconvolto mezzo mondo ha solo due possibilità per continuare a manifestarsi: o maturare verso forme radicali, dandosi obiettivi e organizzazione, o integrarsi nella pratica politica corrente.
Quest'anno milioni di persone hanno sfidato le armi degli stati rischiando la pelle. Migliaia sono morte e stanno morendo, senza una chiara prospettiva programmatica, solo perché ne avevano abbastanza di una vita senza senso. Le fotogeniche fiammate, i ragazzi mascherati, le falangi poliziesche delle metropoli occidentali, i gas, le bombole al peperoncino, sono epifenomeni di un marasma planetario, la posta in gioco è la sopravvivenza di un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti. Paradossalmente, proprio dove la mistificazione è massima, massimo è il potenziale. La borghesia occidentale aveva appena tirato un sospiro di sollievo dicendo che sì, "in Nordafrica e in Medio Oriente ci si batteva per la democrazia, ma qui che la democrazia c'è…", ed ecco che la risposta è venuta, più rapida del pensiero omologato: anche "qui" in mille città, milioni di persone lottano contro la vita senza senso. Nei cartelli del 99% non c'è una rivendicazione, solo una constatazione. Sarà dura imboccare una strada nuova, ma quale "rivendicazione", quale "riforma" potrà mai scalzare la natura di un sistema sociale? Quando a New York c'è stato il sit-in sul ponte di Brooklin, la polizia ha arrestato 700 occupiers sui duemila che erano, una percentuale che fa riflettere. Dopodiché il sindaco ha concesso al movimento una piazza-ghetto in cui potesse sfogarsi senza rompere le scatole. Salvo poi pentirsi e sgombrare di notte con reparti antisommossa.
Classico. E poi? La borghesia americana, quell'1% che conta, ha già rivelato i suoi sentimenti: "Ammazzate quei bolscevichi, fateli a pezzi". L'avevano già detto a proposito dei liberi hackers della rete, che non erano in fondo così pericolosi come si voleva far credere. Hanno fatto il giro del mondo le immagini dei pestaggi e delle sadiche torture con lo spray al peperoncino. Indignatevi pure, se volete.
Si sa, molti a voce rifiutano la "violenza" ma in cuor loro ne hanno piene le tasche di demagogia e sono contenti quando si rompe il mortorio delle processioni. Anche gli americani, che in questa fase sono molto ligi alla linea non violenta, ogni tanto perdono la pazienza. Comunque, in generale, la gran massa dei manifestanti rimane inattiva sia rispetto ai "teppisti" sia rispetto agli improvvisati sotto-sbirri dei partiti e dei gruppetti omologati. Questi ultimi si trovano ormai del tutto impreparati. Finito il tempo dei nutriti servizi d'ordine, incarogniti dall'impotenza, si limitano all'invettiva ed è raro che facciano direttamente gli sbirri come gli stalinisti ad Atene davanti al Parlamento.
Di fronte all'esplosione della rabbia prende piede una rimozione sulle sue cause e si tira in ballo la "provocazione". Sono assai gettonate le teorie complottiste. Varie dietrologie su chi manovra chi e che cosa. In realtà la parvenza di organizzazione da parte degli spacca-vetrine ha una spiegazione elementare: il coordinamento è sempre unico, basato sui moderni mezzi di comunicazione, diffusi, condivisi, internazionali, facili da usare. Una spontaneità ordinata alla quale quasi ovunque i vecchi organismi politici e sindacali si sono accodati. Non hanno più l'inziativa. Di fronte a un rifiuto totale della società sono spiazzati perché hanno ancora in testa il vecchio modello rivendicativo riformista.
Non possono neppure capire quell'occuper di Los Angeles che sfilava con un cartello scritto a pennarello su carta da imballaggio: "Lasciateci essere umani". Nel contesto di manifestazioni dove la parola Greed, avidità, è una delle più usate insieme con il simbolo 99/1, traduciamo: cerchiamo di non essere bestie schiave del denaro. Nel mondo del denaro, invece, l'unica rivendicazione è avere più denaro. L'umanità non è contemplata. Il concetto di umanità ovviamente può confinare con l'interclassimo, e in effetti il proletariato oggi è del tutto assente in quanto classe. Ma un timido accenno di polarizzazione sociale ha contrapposto chi è o crede di essere contro il capitalismo e chi vi si adagia più o meno comodamente utilizzando tutte le sue categorie politiche, sindacali, parlamentari, democratiche. Polarizzazione che causa già una buona dose di isteria borghese, semplice e inequivocabile paura. Tuttavia niente che al momento possa impensierire davvero gli apparati della classe dominante, se non l'inquietante (per loro) estendersi planetario della protesta e della sua organizzazione in rete.
Sullo sfondo di una società che non funziona più, vengono a mancare le salvifiche, proverbiali, corruttrici briciole del banchetto. Il processo in corso è irreversibile. Dalla crisi storica dei rapporti di valore non si esce. I riflessi sulla società potranno produrre caos, demagogia o repressione, ma già adesso si sente nell'aria che le vecchie categorie politiche sono lasciate in appannaggio a isterici zombie. Il capitalismo non è al momento in pericolo se non a causa di sé stesso. Però si fa strada la convinzione che può non essere l'unica forma sociale possibile, e per gli osservatori omologati è sorprendente che proprio negli Stati Uniti cresca un forte sentimento anticapitalista. Noi non vedevamo l'ora. Può lasciar perplessi un movimento ormai internazionale che non ha una sede, un centro, dei leader, un programma politico o almeno rivendicativo. Che secondo i canoni correnti quindi non è niente.
La mera organizzazione a raffica di manifestazioni del 99% contro l'1% può sembrare un dispendio di energia inutile e anche un po' stupido. Ma se fossimo nei panni della borghesia pregheremmo tutti i santi in paradiso affinché Occupy the World si esaurisca in fretta, prima che la massa degli incazzati si metta ad escogitare qualcosa di utile e intelligente. Cosa che ad ogni modo sta già succedendo: a Oakland il movimento ha proclamato un riuscitissimo sciopero generale cittadino e ne sta organizzando un altro per l'intera costa occidentale in unione con i lavoratori portuali. In tutti gli Stati Uniti aumenta il numero dei proletari presenti alle manifestazioni. Ovunque il movimento sta trascinando dietro di sé le organizzazioni tradizionali, senza al momento, subirne l'influenza nefasta.
Questo articolo è stato interamente realizzato attingendo dal Web. Oltre alla gran quantità di materiali "ufficiali" presenti sui siti citati in bibliografia, abbiamo utilizzato quelli ricavati da alcuni delle migliaia di commenti "postati" nelle pagine dei vari siti, nei blog, nei forum, ecc. Le due interviste Occupy the top e Occupy the market sono "autentiche", nel senso che sono ottenute con un collage di dichiarazioni effettivamente rilasciate da due personaggi a un sito finanziario. Le abbiamo solo riscritte con lo stile dell'intero articolo e integrate con alcuni post ricavati da altri siti dello stesso tipo. La battaglia di Wall Street, terminata a Foley Square e a Brooklyn, è stata ricostruita sulla base della cronologia presente sul sito di OWS, confrontata con i post collegati e con la mappa di Manhattan. Tutte le cifre presenti nell'articolo sono state verificate. Il capitolo finale è l'adattamento e ampliamento di un volantino digitale da noi distribuito sul Web dopo le manifestazioni del 15 ottobre. I milioni di cartelli autoprodotti dagli occupier di tutto il mondo rappresentano di per sé un elemento essenziale per capire a fondo il movimento OWS.
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