di Vladimiro Giacché. Fonte: marx21
La manovra ferragostana del governo Berlusconi-Tremonti da 50 miliardi di euro e' peggiore delle previsioni più pessimistiche.
Per quello che contiene e per quello che non contiene.
Ecco quello che contiene:
ATTACCO AL SALARIO E AI DIRITTI DEL LAVORO
La manovra contiene innanzitutto un attacco al salario e ai diritti del lavoro dipendente di portata inedita, che si può sintetizzare come segue:
Attacco al salario
1. Tagli al salario diretto dei dipendenti pubblici. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa perderanno il pagamento della tredicesima mensilità.
2. Tagli al salario indiretto di tutti i lavoratori. Questo e' il risultato inevitabile della riduzione di 6 miliardi di trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali per il 2012 e per 3,5 miliardi nel 2013, come pure dell'incentivo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali (a questo riguardo si usa a sproposito il termine di "liberalizzazione", ma si tratta di una mistificazione in quanto la gran parte di questi servizi sono monopoli naturali). Lo stesso effetto avranno, almeno in parte, i tagli ai Ministeri per 6 miliardi nel 2012 e per 3,5 miliardi nel 2013. E anche la soppressione delle province sotto i 300.000 abitanti e la fusione dei comuni sotto i 1000 abitanti. E' infatti certo che queste misure si tradurranno in minori servizi o servizi più cari per i cittadini. Oltretutto va ricordato che i lavoratori e i pensionati sono già stati colpiti a luglio dai tagli sulle deduzioni fiscali , sulle indennità assistenziali, sugli asili e su altri servizi che in particolare i Comuni dovranno ridurre.
3. Tagli al salario differito dei lavoratori. Per i lavoratori pubblici questo avverrà tramite il pagamento con due anni di ritardo (e senza interessi) dell'indennità di buonuscita. Per tutti i lavoratori questo e' il risultato dei previsti interventi disincentivanti per le pensioni di anzianità (con anticipo al 2012 del requisito di 97 anni tra eta' anagrafica e anni di contribuzione). Infine, un segnale di attenzione specifico nei confronti delle donne: viene anticipato dal 2020 al 2015 l'inizio del progressivo innalzamento a 65 anni dell'età pensionabile per le donne del settore privato.
Attacco ai diritti del lavoro
1. La manovra consente di derogare a livello aziendale a quanto previsto dai contratti nazionali su "mansioni, classificazione e inquadramento del personale, disciplina dell'orario di lavoro, modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro" (cose in buona parte già previste dall'infelicissimo accordo firmato anche dalla CGIL il 28 giugno scorso), ma anche sul "recesso dal rapporto di lavoro", ossia sui licenziamenti, con la sola eccezione - bontà loro - del "licenziamento discriminatorio" e del "licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio". Nelle intenzioni del governo, si potrà così aggirare l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori ed effettuare licenziamenti anche non per giusta causa.
2. C'e inoltre (art. 8, par. 3 del decreto legge della manovra) anche un avallo postumo ai colpi di mano della Fiat su Pomigliano e Mirafiori che sinora – va detto – non hanno granché giovato alle sorti della ex casa automobilistica italiana, con vendite e quotazioni azionarie in caduta libera (evidentemente le bastonate ai lavoratori non sono un colpo di bacchetta magica che risolve i problemi aziendali).
3. Infine, per quanto riguarda il pubblico impiego, viene introdotta la libertà di trasferimento del personale anche in altra città, e l'assegnazione a mansioni superiori e di maggiore responsabilità a parità di stipendio.
ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA
1. La manovra forza la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Questo rappresenta una evidente violazione della volontà popolare, che si e' espressa di recente con assoluta chiarezza nei due referendum sull'acqua. Anche questo e' gravissimo.
2. Il continuo richiamo degli esponenti del governo alla "lettera della Bce" – inviata al governo in occasione del tracollo dei titoli di Stato ad inizio agosto e contenente le misure urgenti da adottare, probabilmente in qualche caso strumentale e finalizzato a scaricare su qualcun altro le colpe delle parti più inaccettabili della manovra – pone l'accento su due inquietanti novità dell'attuale situazione: a) la perdita della sovranità nazionale su scelte politiche di fondamentale importanza, per di più a favore di organismi non eletti ma nominati (come appunto è la Bce; ma il discorso non sarebbe sostanzialmente differente per la Commissione Europea); b) il ritorno agli arcana imperii della diplomazia segreta: infatti dei contenuti di questa lettera né il Parlamento italiano né l'opinione pubblica sa assolutamente nulla, oltre al fatto che esiste. Se consideriamo che gli organismi dell'Unione Europea perdono molto del loro tempo a dare lezioni di democrazia al resto del mondo, davvero non c'è male. Ma al di là di questo aspetto – diciamo così – di stile e di coerenza, è importante rilevare qualcosa di ben più importante: il tentativo dell'establishment europeo di sottrarre al libero dibattito e alla pubblica discussione le scelte di politica economica cruciali rispetto alla crisi in atto. Tra ukase segreti e presunti "percorsi obbligati per il risanamento dei conti pubblici", i provvedimenti economici dei governi acquisiscono un'aura di obbligatorietà e di inevitabilità: escono dalla sfera delle scelte politiche e divengono presunte necessità dettate da tecnocrazie infallibili e super partes. Si tratta di una mistificazione che va combattuta con la massima energia: non ci sono misure necessarie. E la stessa riduzione del debito via austerità è una scelta politica e di classe che va contrastata con forza. Nel caso italiano, come vedremo più avanti, essa è non soltanto iniqua ma dannosa per le stesse sorti della nostra economia.
ATTACCO AI SIMBOLI DEL LAVORO E DELL'ITALIA ANTIFASCISTA E REPUBBLICANA
L'abolizione delle festività laiche (25 aprile, 1 maggio e 2 giugno) non ha alcun significativo effetto sull'aumento della produzione e del prodotto interno lordo. Ha invece un significato simbolico da non sottovalutare: è la cancellazione di date simbolo – e con ciò un attacco ai valori fondanti – dell'Italia repubblicana e antifascista. Non stupisce che una forza politica secessionista e antinazionale come la Lega e un Pdl che sempre più chiaramente si pone come forza politica di riferimento della peggiore feccia fascista di questo Paese tentino questo affondo. La cui giustificazione "europea" è in questo caso particolarmente falsa e pretestuosa (si provi anche soltanto ad immaginare l'eliminazione del 14 luglio in Francia). Del resto, non si può che apprezzare la coerenza della manovra sul punto: è perfettamente conseguente, dopo aver colpito il lavoro e la democrazia, calpestarne le date simbolo.
Dopo aver visto quello che la manovra contiene, passiamo ad esaminare quello che non contiene:
NIENTE CONTRO L'EVASIONE FISCALE
1. In una manovra da 50 miliardi di euro, e in presenza di un'evasione fiscale che annualmente sottrae gettito per 120 miliardi di euro, le maggiori entrate previste in relazione alla lotta all'evasione ammontano a meno di 1 miliardo di euro.
2. Anche questa ridicola cifra è in realtà presunta, perché nessuna delle misure contenute in manovra appare in grado di incrementare significativamente il contrasto all'evasione (la stessa tracciabilita' delle transazioni superiori ai 2.500 euro è molto meno efficace della soglia introdotta dal governo Prodi II e soppressa come primo atto di questo governo). La verità è che nel caso della lotta all'evasione è evidente l'intento del governo di non colpire la propria base sociale: quella piccola e media borghesia parassitaria che costituisce ormai da decenni la vera palla al piede dello sviluppo economico italiano.
NESSUNA TASSAZIONE DEI GRANDI PATRIMONI
1. La manovra non prevede alcuna tassazione dei grandi patrimoni.
2. Lo stesso prelievo di solidarietà del 5% oltre i 90.000 euro di reddito e del 10% oltre i 150.000 euro, oltre ad essere edulcorato in vari modi (deducibilita' fiscale parziale, pagamento solo sino al raggiungimento del tetto massimo di aliquota del 48%), non può essere considerato una vera e propria patrimoniale, e si rivolge ad una platea molto ristretta di contribuenti: essenzialmente lavoratori dipendenti ad alto reddito.
3. Come se non bastasse, su questa tassazione, e solo su questa, una parte del Pdl, su probabile istigazione dello stesso Berlusconi, sta inscenando delle barricate che serviranno ad abbandonare questa misura, magari in cambio di un aumento delle tasse indirette (che per loro natura non sono progressive).
NESSUNA MISURA PER LA CRESCITA
1. La manovra non contiene nessuna misura né per la crescita economica né per l'incremento della produttività totale dei fattori che è il vero nodo di fondo della perdita di produttività che contraddistingue il nostro Paese da oltre un decennio. Ecco le misure essenziali per la crescita che nella manovra non ci sono:
2. Investimenti in: a) formazione di base e universitaria (questo governo li ha drasticamente ridotti); b) ricerca e sviluppo tecnologico (idem come sopra); c) infrastrutture utili (a questo governo interessano solo quelle inutili, come ponte sullo Stretto e Tav in Piemonte, mentre tutti gli altri investimenti infrastrutturali sono bloccati);
3. Riordino delle agevolazioni pubbliche alle imprese, che oggi costano decine di miliardi e sono fonte di infiniti sprechi e ruberie. Le agevolazioni oggi in essere andrebbero drasticamente ridotte, a favore di incentivi che favoriscano la concentrazione industriale (il nanocapitalismo italico, favorito dall'evasione fiscale, è diventato uno dei vincoli più gravi allo sviluppo) e gli investimenti in ricerca e innovazione da parte delle imprese private italiane (che da questo punto di vista sono il fanalino di coda in Europa).
4. Restituzione allo Stato di compiti di orientamento dell'economia e ricostruzione di un forte settore pubblico dell'economia.
5. Si può osservare che nulla di tutto questo è contenuto nella manovra governativa. Ed è abbastanza logico che non possa concepire un ampliamento del ruolo dello Stato nell'economia un governo a guida Berlusconi-Tremonti (a dispetto del colbertismo verbale di quest'ultimo). Ma va notato che praticamente su ognuno di questi punti la manovra contiene dei passi indietro: prosegue l'attacco al pubblico impiego anche nel settore fondamentale della formazione, il sistema agevolativo pubblico e' imbalsamato nella sua inefficienza, e al settore pubblico vengono tolte ulteriori leve con la privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali.
IL RISULTATO: UNA RICETTA PER IL DECLINO
1. L'unica vera cura per il debito (sia esso pubblico o privato) è la crescita economica. Da questo punto di vista, politiche di austerita' che comprimano una o più componenti del salario (diretto, indiretto o differito) avranno un effetto depressivo sulla domanda interna e quindi anche sulla crescita. Questo avrà un duplice effetto negativo sul rapporto debito/pil: da un lato, siccome il denominatore (il pil) diminuirà, quel rapporto peggiorerà, a meno che il numeratore (il debito) non scenda ancora di più (cosa impossibile); dall'altro, i vantaggi delle stesse politiche di austerità dal punto di vista della riduzione del deficit annuale (e quindi dell'accumulo di stock di debito) saranno vanificati per il semplice fatto che la diminuzione del pil ridurrà le entrate fiscali ordinarie.
2. L'Italia è un Paese che soffre da anni di una crescita insufficiente e di seri problemi di competitività derivanti, da un lato, da investimenti in infrastrutture e in formazione e ricerca molto inferiori a quelli dei principali competitori, dall'altro, da una dimensione d'impresa inadeguata a reggere il confronto internazionale (in termini di economie di scala, organizzazione del lavoro, capacita' d'investimento in innovazione). Se gli investimenti pubblici diminuiscono e se la dimensione d'impresa resta quella attuale, il risultato sarà ovviamente un'ulteriore perdita di competitività sui mercati internazionali e quindi di quote sull'export internazionale.
3. La manovra da un lato deprime i consumi e quindi la domanda interna, dall'altro non programma alcun investimento pubblico e non colpisce uno dei motivi fondamentali del nanismo dell'impresa italiana, ossia il ricorso all'evasione fiscale.
4. Il risultato è obbligato: calo del pil dovuto alla debolezza della domanda interna e contemporaneamente alla perdita di ulteriori quote del commercio internazionale, che aggraverà un deficit della bilancia commerciale già pesante. E quindi insostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo periodo. È possibile che gli operatori sul mercato dei titoli di Stato questi conti se li facciano e votino contro la manovra vendendo Btp. È anche possibile che invece condividano i dogmi della Bce o addirittura abbraccino le teorie dell'"austerità espansiva" (che pochi mesi fa e' stata confutata da una ricerca dello stesso Fondo Monetario Internazionale) e quindi non continuino a vendere Btp. In questo secondo caso la situazione del nostro debito non peggiorerà subito, ma soltanto nel medio-lungo periodo. Non è una grande consolazione. Ma con questa manovra è la cosa migliore che ci possa capitare.
CONCLUSIONE
1. La manovra Berlusconi-Tremonti non è soltanto iniqua: è devastante tanto per i bilanci di milioni di famiglie, quanto per le sorti della nostra economia e per la stessa sostenibilità del nostro debito pubblico. Con essa il declino economico del nostro Paese, che in questi anni è andato di pari passo con una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito, rischia di diventare irreversibile.
2. È comprensibile che questo non risulti chiaro a un ceto imprenditoriale e a un ceto politico, italiano ed europeo, che non riescono a concepire alcun recupero di competitività che non passi per la strada esclusiva della riduzione del salario e del potere contrattuale dei lavoratori; e che non vede strada diversa, per la riduzione del debito accumulato dalle economie europee (tutte, in misura maggiore o minore), dal fatto che tale debito sia pagato dai lavoratori. Questo è anche il senso profondo della delirante proposta, rilanciata dalla strana coppia Merkel-Sarkozy, di inserire in tutte le costituzioni del pareggio di bilancio.
3. Ma proprio su questo si misura l'assoluta inadeguatezza della classe dominante europea e del ceto politico che la rappresenta. Per colmo d'ironia, la proposta di costituzionalizzare il pareggio di bilancio è stata ribadita nello stesso giorno in cui i dati ufficiali dell'economia tedesca hanno evidenziato che nel secondo trimestre di quest'anno la Germania non e' cresciuta: ossia nel preciso momento in cui è emerso con chiarezza che il destino economico della Germania (le cui esportazioni sono per il 63,5% dirette ad altri Paesi dell'Unione Europea) è legato a doppio filo alle sorti dei Paesi che le politiche europee stanno costringendo a politiche deflative e di violenta compressione dei consumi.
4. Lo scenario che si prospetta se, come sembra, si procederà nella direzione scellerata intrapresa da oltre un anno, è quindi il seguente: a) politiche depressive antidebito che in realtà massacrano le economie interessate e per questa via conducono all'insolvenza dei relativi debiti sovrani; b) fallimenti bancari a catena a causa del forte deprezzamento/svalutazione dei titoli di Stato in portafoglio; c) prosecuzione dell'effetto domino delle crisi del debito, con la Francia come prossima tessera a cadere; d) crisi finanziaria e industriale anche in Germania a causa del crollo del valore dei titoli di Stato posseduti dalle banche tedesche da una parte, e a causa del crollo dell'export infraeuropeo dall'altra; e) fine dell'euro a causa della divergenza non più sanabile tra le economie dell'eurozona, nel contesto di una depressione generalizzata.
5. È importante notare che il processo di compressione dei redditi da lavoro e contemporanea distruzione del welfare non si sta verificando solo in Europa. Con riferimento alla situazione degli Stati Uniti, Nouriel Roubini, intervistato il 12 agosto scorso dal Wall Street Journal, ha osservato: "Negli ultimi due o tre anni, in effetti abbiamo avuto un peggioramento della situazione a causa di una massiccia redistribuzione del reddito dal lavoro al capitale, dai salari ai profitti, di un'accresciuta disuguaglianza. Il punto è che le famiglie hanno maggiore propensione a spendere delle imprese... E quindi questa redistribuzione del reddito e della ricchezza ha ulteriormente aggravato il problema dell'insufficienza della domanda aggregata". Roubini da ciò ha tratto una conclusione tanto più significativa trattandosi di un economista non marxista: "Karl Marx aveva ragione. A un certo punto, il capitalismo può autodistruggersi. Non si può trasferire all'infinito reddito dal lavoro al capitale senza avere come risultato capacità produttiva in eccesso e carenza di domanda aggregata. Ma è successo proprio questo. Pensavamo che i mercati funzionassero. Non stanno funzionando."
6. La conclusione che si può trarre da tutto questo è duplice. A) Le strategie anticrisi che si vanno attuando in tutto l'Occidente capitalistico per risolvere la crisi peggiore dopo il 1929 non fanno che aggravarla. B) Per quanto riguarda più in particolare la manovra Berlusconi-Tremonti avallata dall'establishment dell'Unione Europea, opporsi ad essa è oggi l'unico modo per difendere non soltanto gli interessi di chi lavora, ma anche le prospettive dell'economia italiana. L'alternativa è un declino irreversibile e in prospettiva anche la fine della nostra unità nazionale, stritolata dalla guerra tra poveri per accaparrarsi le ultime briciole del welfare. Ricordiamocene, quando verranno a chiederci di accettare questa manovra indecente, iniqua e devastante in nome di "superiori interessi nazionali".
(17 agosto 2011)
La manovra ferragostana del governo Berlusconi-Tremonti da 50 miliardi di euro e' peggiore delle previsioni più pessimistiche.
Per quello che contiene e per quello che non contiene.
Ecco quello che contiene:
ATTACCO AL SALARIO E AI DIRITTI DEL LAVORO
La manovra contiene innanzitutto un attacco al salario e ai diritti del lavoro dipendente di portata inedita, che si può sintetizzare come segue:
Attacco al salario
1. Tagli al salario diretto dei dipendenti pubblici. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa perderanno il pagamento della tredicesima mensilità.
2. Tagli al salario indiretto di tutti i lavoratori. Questo e' il risultato inevitabile della riduzione di 6 miliardi di trasferimenti dallo Stato agli Enti Locali per il 2012 e per 3,5 miliardi nel 2013, come pure dell'incentivo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali (a questo riguardo si usa a sproposito il termine di "liberalizzazione", ma si tratta di una mistificazione in quanto la gran parte di questi servizi sono monopoli naturali). Lo stesso effetto avranno, almeno in parte, i tagli ai Ministeri per 6 miliardi nel 2012 e per 3,5 miliardi nel 2013. E anche la soppressione delle province sotto i 300.000 abitanti e la fusione dei comuni sotto i 1000 abitanti. E' infatti certo che queste misure si tradurranno in minori servizi o servizi più cari per i cittadini. Oltretutto va ricordato che i lavoratori e i pensionati sono già stati colpiti a luglio dai tagli sulle deduzioni fiscali , sulle indennità assistenziali, sugli asili e su altri servizi che in particolare i Comuni dovranno ridurre.
3. Tagli al salario differito dei lavoratori. Per i lavoratori pubblici questo avverrà tramite il pagamento con due anni di ritardo (e senza interessi) dell'indennità di buonuscita. Per tutti i lavoratori questo e' il risultato dei previsti interventi disincentivanti per le pensioni di anzianità (con anticipo al 2012 del requisito di 97 anni tra eta' anagrafica e anni di contribuzione). Infine, un segnale di attenzione specifico nei confronti delle donne: viene anticipato dal 2020 al 2015 l'inizio del progressivo innalzamento a 65 anni dell'età pensionabile per le donne del settore privato.
Attacco ai diritti del lavoro
1. La manovra consente di derogare a livello aziendale a quanto previsto dai contratti nazionali su "mansioni, classificazione e inquadramento del personale, disciplina dell'orario di lavoro, modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro" (cose in buona parte già previste dall'infelicissimo accordo firmato anche dalla CGIL il 28 giugno scorso), ma anche sul "recesso dal rapporto di lavoro", ossia sui licenziamenti, con la sola eccezione - bontà loro - del "licenziamento discriminatorio" e del "licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio". Nelle intenzioni del governo, si potrà così aggirare l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori ed effettuare licenziamenti anche non per giusta causa.
2. C'e inoltre (art. 8, par. 3 del decreto legge della manovra) anche un avallo postumo ai colpi di mano della Fiat su Pomigliano e Mirafiori che sinora – va detto – non hanno granché giovato alle sorti della ex casa automobilistica italiana, con vendite e quotazioni azionarie in caduta libera (evidentemente le bastonate ai lavoratori non sono un colpo di bacchetta magica che risolve i problemi aziendali).
3. Infine, per quanto riguarda il pubblico impiego, viene introdotta la libertà di trasferimento del personale anche in altra città, e l'assegnazione a mansioni superiori e di maggiore responsabilità a parità di stipendio.
ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA
1. La manovra forza la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Questo rappresenta una evidente violazione della volontà popolare, che si e' espressa di recente con assoluta chiarezza nei due referendum sull'acqua. Anche questo e' gravissimo.
2. Il continuo richiamo degli esponenti del governo alla "lettera della Bce" – inviata al governo in occasione del tracollo dei titoli di Stato ad inizio agosto e contenente le misure urgenti da adottare, probabilmente in qualche caso strumentale e finalizzato a scaricare su qualcun altro le colpe delle parti più inaccettabili della manovra – pone l'accento su due inquietanti novità dell'attuale situazione: a) la perdita della sovranità nazionale su scelte politiche di fondamentale importanza, per di più a favore di organismi non eletti ma nominati (come appunto è la Bce; ma il discorso non sarebbe sostanzialmente differente per la Commissione Europea); b) il ritorno agli arcana imperii della diplomazia segreta: infatti dei contenuti di questa lettera né il Parlamento italiano né l'opinione pubblica sa assolutamente nulla, oltre al fatto che esiste. Se consideriamo che gli organismi dell'Unione Europea perdono molto del loro tempo a dare lezioni di democrazia al resto del mondo, davvero non c'è male. Ma al di là di questo aspetto – diciamo così – di stile e di coerenza, è importante rilevare qualcosa di ben più importante: il tentativo dell'establishment europeo di sottrarre al libero dibattito e alla pubblica discussione le scelte di politica economica cruciali rispetto alla crisi in atto. Tra ukase segreti e presunti "percorsi obbligati per il risanamento dei conti pubblici", i provvedimenti economici dei governi acquisiscono un'aura di obbligatorietà e di inevitabilità: escono dalla sfera delle scelte politiche e divengono presunte necessità dettate da tecnocrazie infallibili e super partes. Si tratta di una mistificazione che va combattuta con la massima energia: non ci sono misure necessarie. E la stessa riduzione del debito via austerità è una scelta politica e di classe che va contrastata con forza. Nel caso italiano, come vedremo più avanti, essa è non soltanto iniqua ma dannosa per le stesse sorti della nostra economia.
ATTACCO AI SIMBOLI DEL LAVORO E DELL'ITALIA ANTIFASCISTA E REPUBBLICANA
L'abolizione delle festività laiche (25 aprile, 1 maggio e 2 giugno) non ha alcun significativo effetto sull'aumento della produzione e del prodotto interno lordo. Ha invece un significato simbolico da non sottovalutare: è la cancellazione di date simbolo – e con ciò un attacco ai valori fondanti – dell'Italia repubblicana e antifascista. Non stupisce che una forza politica secessionista e antinazionale come la Lega e un Pdl che sempre più chiaramente si pone come forza politica di riferimento della peggiore feccia fascista di questo Paese tentino questo affondo. La cui giustificazione "europea" è in questo caso particolarmente falsa e pretestuosa (si provi anche soltanto ad immaginare l'eliminazione del 14 luglio in Francia). Del resto, non si può che apprezzare la coerenza della manovra sul punto: è perfettamente conseguente, dopo aver colpito il lavoro e la democrazia, calpestarne le date simbolo.
Dopo aver visto quello che la manovra contiene, passiamo ad esaminare quello che non contiene:
NIENTE CONTRO L'EVASIONE FISCALE
1. In una manovra da 50 miliardi di euro, e in presenza di un'evasione fiscale che annualmente sottrae gettito per 120 miliardi di euro, le maggiori entrate previste in relazione alla lotta all'evasione ammontano a meno di 1 miliardo di euro.
2. Anche questa ridicola cifra è in realtà presunta, perché nessuna delle misure contenute in manovra appare in grado di incrementare significativamente il contrasto all'evasione (la stessa tracciabilita' delle transazioni superiori ai 2.500 euro è molto meno efficace della soglia introdotta dal governo Prodi II e soppressa come primo atto di questo governo). La verità è che nel caso della lotta all'evasione è evidente l'intento del governo di non colpire la propria base sociale: quella piccola e media borghesia parassitaria che costituisce ormai da decenni la vera palla al piede dello sviluppo economico italiano.
NESSUNA TASSAZIONE DEI GRANDI PATRIMONI
1. La manovra non prevede alcuna tassazione dei grandi patrimoni.
2. Lo stesso prelievo di solidarietà del 5% oltre i 90.000 euro di reddito e del 10% oltre i 150.000 euro, oltre ad essere edulcorato in vari modi (deducibilita' fiscale parziale, pagamento solo sino al raggiungimento del tetto massimo di aliquota del 48%), non può essere considerato una vera e propria patrimoniale, e si rivolge ad una platea molto ristretta di contribuenti: essenzialmente lavoratori dipendenti ad alto reddito.
3. Come se non bastasse, su questa tassazione, e solo su questa, una parte del Pdl, su probabile istigazione dello stesso Berlusconi, sta inscenando delle barricate che serviranno ad abbandonare questa misura, magari in cambio di un aumento delle tasse indirette (che per loro natura non sono progressive).
NESSUNA MISURA PER LA CRESCITA
1. La manovra non contiene nessuna misura né per la crescita economica né per l'incremento della produttività totale dei fattori che è il vero nodo di fondo della perdita di produttività che contraddistingue il nostro Paese da oltre un decennio. Ecco le misure essenziali per la crescita che nella manovra non ci sono:
2. Investimenti in: a) formazione di base e universitaria (questo governo li ha drasticamente ridotti); b) ricerca e sviluppo tecnologico (idem come sopra); c) infrastrutture utili (a questo governo interessano solo quelle inutili, come ponte sullo Stretto e Tav in Piemonte, mentre tutti gli altri investimenti infrastrutturali sono bloccati);
3. Riordino delle agevolazioni pubbliche alle imprese, che oggi costano decine di miliardi e sono fonte di infiniti sprechi e ruberie. Le agevolazioni oggi in essere andrebbero drasticamente ridotte, a favore di incentivi che favoriscano la concentrazione industriale (il nanocapitalismo italico, favorito dall'evasione fiscale, è diventato uno dei vincoli più gravi allo sviluppo) e gli investimenti in ricerca e innovazione da parte delle imprese private italiane (che da questo punto di vista sono il fanalino di coda in Europa).
4. Restituzione allo Stato di compiti di orientamento dell'economia e ricostruzione di un forte settore pubblico dell'economia.
5. Si può osservare che nulla di tutto questo è contenuto nella manovra governativa. Ed è abbastanza logico che non possa concepire un ampliamento del ruolo dello Stato nell'economia un governo a guida Berlusconi-Tremonti (a dispetto del colbertismo verbale di quest'ultimo). Ma va notato che praticamente su ognuno di questi punti la manovra contiene dei passi indietro: prosegue l'attacco al pubblico impiego anche nel settore fondamentale della formazione, il sistema agevolativo pubblico e' imbalsamato nella sua inefficienza, e al settore pubblico vengono tolte ulteriori leve con la privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali.
IL RISULTATO: UNA RICETTA PER IL DECLINO
1. L'unica vera cura per il debito (sia esso pubblico o privato) è la crescita economica. Da questo punto di vista, politiche di austerita' che comprimano una o più componenti del salario (diretto, indiretto o differito) avranno un effetto depressivo sulla domanda interna e quindi anche sulla crescita. Questo avrà un duplice effetto negativo sul rapporto debito/pil: da un lato, siccome il denominatore (il pil) diminuirà, quel rapporto peggiorerà, a meno che il numeratore (il debito) non scenda ancora di più (cosa impossibile); dall'altro, i vantaggi delle stesse politiche di austerità dal punto di vista della riduzione del deficit annuale (e quindi dell'accumulo di stock di debito) saranno vanificati per il semplice fatto che la diminuzione del pil ridurrà le entrate fiscali ordinarie.
2. L'Italia è un Paese che soffre da anni di una crescita insufficiente e di seri problemi di competitività derivanti, da un lato, da investimenti in infrastrutture e in formazione e ricerca molto inferiori a quelli dei principali competitori, dall'altro, da una dimensione d'impresa inadeguata a reggere il confronto internazionale (in termini di economie di scala, organizzazione del lavoro, capacita' d'investimento in innovazione). Se gli investimenti pubblici diminuiscono e se la dimensione d'impresa resta quella attuale, il risultato sarà ovviamente un'ulteriore perdita di competitività sui mercati internazionali e quindi di quote sull'export internazionale.
3. La manovra da un lato deprime i consumi e quindi la domanda interna, dall'altro non programma alcun investimento pubblico e non colpisce uno dei motivi fondamentali del nanismo dell'impresa italiana, ossia il ricorso all'evasione fiscale.
4. Il risultato è obbligato: calo del pil dovuto alla debolezza della domanda interna e contemporaneamente alla perdita di ulteriori quote del commercio internazionale, che aggraverà un deficit della bilancia commerciale già pesante. E quindi insostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo periodo. È possibile che gli operatori sul mercato dei titoli di Stato questi conti se li facciano e votino contro la manovra vendendo Btp. È anche possibile che invece condividano i dogmi della Bce o addirittura abbraccino le teorie dell'"austerità espansiva" (che pochi mesi fa e' stata confutata da una ricerca dello stesso Fondo Monetario Internazionale) e quindi non continuino a vendere Btp. In questo secondo caso la situazione del nostro debito non peggiorerà subito, ma soltanto nel medio-lungo periodo. Non è una grande consolazione. Ma con questa manovra è la cosa migliore che ci possa capitare.
CONCLUSIONE
1. La manovra Berlusconi-Tremonti non è soltanto iniqua: è devastante tanto per i bilanci di milioni di famiglie, quanto per le sorti della nostra economia e per la stessa sostenibilità del nostro debito pubblico. Con essa il declino economico del nostro Paese, che in questi anni è andato di pari passo con una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito, rischia di diventare irreversibile.
2. È comprensibile che questo non risulti chiaro a un ceto imprenditoriale e a un ceto politico, italiano ed europeo, che non riescono a concepire alcun recupero di competitività che non passi per la strada esclusiva della riduzione del salario e del potere contrattuale dei lavoratori; e che non vede strada diversa, per la riduzione del debito accumulato dalle economie europee (tutte, in misura maggiore o minore), dal fatto che tale debito sia pagato dai lavoratori. Questo è anche il senso profondo della delirante proposta, rilanciata dalla strana coppia Merkel-Sarkozy, di inserire in tutte le costituzioni del pareggio di bilancio.
3. Ma proprio su questo si misura l'assoluta inadeguatezza della classe dominante europea e del ceto politico che la rappresenta. Per colmo d'ironia, la proposta di costituzionalizzare il pareggio di bilancio è stata ribadita nello stesso giorno in cui i dati ufficiali dell'economia tedesca hanno evidenziato che nel secondo trimestre di quest'anno la Germania non e' cresciuta: ossia nel preciso momento in cui è emerso con chiarezza che il destino economico della Germania (le cui esportazioni sono per il 63,5% dirette ad altri Paesi dell'Unione Europea) è legato a doppio filo alle sorti dei Paesi che le politiche europee stanno costringendo a politiche deflative e di violenta compressione dei consumi.
4. Lo scenario che si prospetta se, come sembra, si procederà nella direzione scellerata intrapresa da oltre un anno, è quindi il seguente: a) politiche depressive antidebito che in realtà massacrano le economie interessate e per questa via conducono all'insolvenza dei relativi debiti sovrani; b) fallimenti bancari a catena a causa del forte deprezzamento/svalutazione dei titoli di Stato in portafoglio; c) prosecuzione dell'effetto domino delle crisi del debito, con la Francia come prossima tessera a cadere; d) crisi finanziaria e industriale anche in Germania a causa del crollo del valore dei titoli di Stato posseduti dalle banche tedesche da una parte, e a causa del crollo dell'export infraeuropeo dall'altra; e) fine dell'euro a causa della divergenza non più sanabile tra le economie dell'eurozona, nel contesto di una depressione generalizzata.
5. È importante notare che il processo di compressione dei redditi da lavoro e contemporanea distruzione del welfare non si sta verificando solo in Europa. Con riferimento alla situazione degli Stati Uniti, Nouriel Roubini, intervistato il 12 agosto scorso dal Wall Street Journal, ha osservato: "Negli ultimi due o tre anni, in effetti abbiamo avuto un peggioramento della situazione a causa di una massiccia redistribuzione del reddito dal lavoro al capitale, dai salari ai profitti, di un'accresciuta disuguaglianza. Il punto è che le famiglie hanno maggiore propensione a spendere delle imprese... E quindi questa redistribuzione del reddito e della ricchezza ha ulteriormente aggravato il problema dell'insufficienza della domanda aggregata". Roubini da ciò ha tratto una conclusione tanto più significativa trattandosi di un economista non marxista: "Karl Marx aveva ragione. A un certo punto, il capitalismo può autodistruggersi. Non si può trasferire all'infinito reddito dal lavoro al capitale senza avere come risultato capacità produttiva in eccesso e carenza di domanda aggregata. Ma è successo proprio questo. Pensavamo che i mercati funzionassero. Non stanno funzionando."
6. La conclusione che si può trarre da tutto questo è duplice. A) Le strategie anticrisi che si vanno attuando in tutto l'Occidente capitalistico per risolvere la crisi peggiore dopo il 1929 non fanno che aggravarla. B) Per quanto riguarda più in particolare la manovra Berlusconi-Tremonti avallata dall'establishment dell'Unione Europea, opporsi ad essa è oggi l'unico modo per difendere non soltanto gli interessi di chi lavora, ma anche le prospettive dell'economia italiana. L'alternativa è un declino irreversibile e in prospettiva anche la fine della nostra unità nazionale, stritolata dalla guerra tra poveri per accaparrarsi le ultime briciole del welfare. Ricordiamocene, quando verranno a chiederci di accettare questa manovra indecente, iniqua e devastante in nome di "superiori interessi nazionali".
(17 agosto 2011)
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