Non è solo l’arrivo della nube di Fukushima che ci costringe ad alzare gli occhi al cielo in questo drammatico inizio di primavera e di quaresima. Mentre i telegiornali ci insegnano i nomi degli aerei da combattimento, in pochi ci ricordano che le armi con cui Gheddafi sta massacrando il popolo libico sono targate Finmeccanica.
È sempre antipatico fare i conti con le proprie ipocrisie. Intanto il calendario sembra voler giocare con le coincidenze: la Pasqua di Resurrezione cade il 24 aprile; il giorno dopo, pasquetta, è la festa della Liberazione. Chi si è lamentato perché la festa del 17 marzo avrebbe danneggiato le imprese (Marcegaglia), fingeva di non aver sfogliato i mesi successivi: persino il 1° maggio, quest’anno, cade di domenica. L’unica cosa che non cade è il governo. Sfortune cicliche. Quasi nessuno pare illudersi che il governo più pericoloso della storia repubblicana possa cadere entro il prossimo mese. Sarebbe, senza ombra di dubbio, un 25 aprile indimenticabile. Forse, oggi, a molti elettori di sinistra non basterebbero nemmeno le dimissioni di B per sollevare un umore gravato dal nuovo incubo nucleare, dall’ennesima guerra in cui ci ritroviamo coinvolti e dal lavoro che continua a non esserci.
Davanti ad eventi di tale portata, rischiano di passare inosservati i piccoli tsunami con i quali il governo sta radendo al suolo lo stato di diritto, picconando quotidianamente la casa degli italiani. In attesa della “liberazione”, il calendario dell’Italia civile ci segnala altre tre date importanti: sabato 2 aprile Gino Strada e il popolo della Pace chiama a raccolta tutti coloro che sono contro la guerra “senza se e senza ma”. Il mercoledì successivo, mentre in un’aula del tribunale di Milano qualcuno si ostinerà a fare il proprio dovere – comportandosi come se la legge fosse ancora uguale per tutti -, gli aquilani – e non solo loro – ricorderanno, insieme, il terremoto del 6 aprile 2009.
Da allora i cittadini de L’Aquila hanno perso, dopo la casa, anche il sindaco. Dopo due anni di lotte contro un governo che non faceva e un’Italia che si distraeva, Massimo Cialente (Pd) si è arreso: all’inizio di marzo si è dimesso, in polemica con la propria maggioranza, con il governo e con il presidente della Regione Chiodi (Pdl). Vedremo se davvero Silvio Berlusconi avrà il coraggio di presentarsi a L’Aquila il 6 aprile, disertando l’udienza a Milano. Infine c’è il popolo, crescente, dei precari. Invisibili, atomizzati. Sempre più consapevoli della propria condizione nella società.
Il 9 aprile i lavoratori “atipici” scenderanno in piazza con uno slogan che riassume perfettamente il malessere di tante esistenze individuali: “Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta”. Meriterebbe una rifessione a parte il ritorno della piazza sulla scena politica: da anni non si vedeva un numero così alto di manifestazioni. Ma torniamo alla demolizione della Costituzione, attività che non conosce soste. L’ultima picconata, assestata con tempestività e precisione chirurgiche, è opera dei muratori della commissione giustizia di Montecitorio.
La premiata ditta Pdl-Lega colpisce ancora, intervenendo a gamba tesa sulla responsabilità civile delle toghe; tema da sempre caro ai Radicali di Pannella, che infatti anche stavolta non hanno fatto mancare il loro aiutino alla maggioranza. Addio serenità di giudizio: all’eventuale condannato sarà sufficiente evocare una “violazione manifesta del diritto” per poter chiedere un risarcimento al giudice.
Leggendo il parere di Giulia Bongiorno (già avvocato di Andreotti, oggi parlamentare in quota Fini), verrebbe voglia di ribattezzarla “Commissione Ingiustizia”: «Questa norma è illogica, ha solo un sapore punitivo e intimidatorio nei confronti dei magistrati. Una riforma serve, ce ne siamo occupati qui in commissione, ma ormai dovremo fermarci. Per questa via ci si limita solo a dilatare la responsabilità, senza mettere paletti e limiti. Si scatenerà il caos».
Intanto si ha l’impressione che i leader del centrosinistra non comprendano che un’opposizione “responsabile” – parola sempre più svuotata del suo reale significato – non è quella che salva il governo sulla missione in Libia, compensando i voti della Lega (quella sì sarebbe stata un’occasione d’oro per mettere la parola fine a un governo che sta soffocando il futuro di tutti). Altro che firme e cortei: in questo momento un’opposizione autorevole, che non fosse ossessionata prevalentemente dai sondaggi, metterebbe in pratica tutto l’ostruzionismo consentito dai regolamenti parlamentari.
Cos’altro deve accadere per convincere gli oppositori che, finché questo governo resterà al suo posto, non sarà possibile dedicarsi “responsabilmente” alle urgenti necessità di un paese fiaccato, nel morale e nel portafogli? Eppure si continua a chiamare responsabilità l’accondiscendenza, per esempio astenendosi sul federalismo regionale di Bossi e Calderoli (che incassano e ringraziano). Motivo ufficiale? Il Pd era riuscito a convincere il governo a ripristinare almeno le risorse per le Regioni (per i Comuni si vedrà), precedentemente tagliate da Tremonti.
Mah… Ai posteri la non troppo ardua sentenza. Da tempo la Fiom e i movimenti invocano uno sciopero generale. Le Usb hanno già fatto il loro sciopero l’11 marzo. Basteranno le quattro ore di sciopero generale del 6 maggio, programmate dalla Cgil, per mandare a casa questo governo e la sua maggioranza di “responsabili”? Il dubbio è legittimo. In altri paesi d’Europa si sono visti ben altri scioperi, decisi ed organizzati in seguito a fatti molto meno gravi di quelli che accadono in questa Italia.
Proviamo a riflettere: cosa può fare più danni agli italiani? Cosa sarebbe più “irresponsabile”: un altro mese di governo Berlusconi, o uno sciopero generale ad oltranza che lo costringa alle dimissioni? Nel frattempo anche l’altro mondo del lavoro (quelli che non ce l’hanno) prova a resistere. Ricordate le operaie della Omsa? Un anno fa le abbiamo viste a “Rai per una notte”, quando Michele Santoro le prese per mano e le portò in mezzo alla folla che assediava il palasport di Bologna. Oggi continuano a lottare per i loro diritti. Come?
Per esempio con un presidio di 50 giorni per bloccare lo smantellamento dei macchinari da trasferire in Serbia. Oppure con una campagna di boicottaggio di tutti i marchi Golden Lady (esiste un gruppo Facebook che si chiama “A piedi nudi!”).
Tanti anni fa Edoardo Bennato ci invitava a non smettere mai di cercare l’isola che non c’è. Nonostante l’oblio della teleinformazione, molti italiani quell’isola l’hanno individuata sulla costa nord della Sardegna: è l’Asinara, ribattezzata Isola dei Cassintegrati dagli operai della Vinyls di Porto Torres, che la occupano dal 24 febbraio dell’anno scorso. Il coraggio e l’intelligenza di questi non-vip avrebbero meritato un posto in prima fila nelle celebrazioni del 150° dell’unità nazionale. Se, prima o poi, potremo dirci orgogliosi di essere italiani, sarà anche grazie a loro.
E a persone come Gustavo Zagrebelsky* e Gianrico Carofiglio**, che si battono per difendere i loro concittadini dalla “manomissione delle parole” e dai “luoghi comuni linguistici” propinati dalle tv e dalla incultura di regime: *«Il linguaggio acriticamente accettato esercita qualcosa come una dittatura simbolica. Chi non si adegua è, etimologicamente, un diavolo, dia-bolon, uno che rompe l’unità, un seminatore di discordia attraverso il linguaggio “politicamente scorretto”. (…) Oggi è politicamente corretto il dileggio, l’aggressione verbale, la volgarità, la scurrilità. È politicamente corretta la semplificazione, fino alla banalizzazione, dei problemi comuni». **
«La questione fondamentale è la scelta, cioè chi sceglie cosa, per chi e in base a quali criteri. (…) Il coraggio, il rispetto di noi stessi, il senso dell’umorismo inteso come attitudine morale sono le qualità che ci rendono padroni della nostra sorte, anche di fronte alla “feroce morsa del caso”. Scelta può essere di volta in volta – o insieme – ribellione non violenta, ricerca della giustizia, pratica etica della bellezza e dell’eleganza, salvezza dalla vergogna.
E ancora: capacità di disobbedire agli ordini ingiusti e inumani, capacità di sottrarsi al conformismo, capacità di non dare nulla per scontato, di praticare l’arte del dubbio, di sfuggire ai vincoli e alla prepotenza delle verità convenzionali, anche quando questo può costare molto caro».
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