di Massimo Rossi* (Liberazione del 2 aprile 2011) Fonte: controlacrisi
C’è ancora più bisogno che in passato di una reazione forte e capillare contro questa maledetta cultura della guerra delle tante persone che, anche questa volta, non si sono fatte arruolare nella nutrita schiera dei “se” e dei “ma”. Un’esigenza che scaturisce dall’inevitabile constatazione che farlo oggi è certamente più dura che in passato.
E’ infatti una cultura perversa, quella contro la quale oggi scendiamo in piazza; che si insinua, complice il senso di sconfitta e di impotenza, fin dove appena qualche anno fa, non si sarebbe neppure immaginato. C’è ancora più bisogno di riaffermare che non può esistere “guerra umanitaria” perchè, come prova indiscutibilmente la storia degli ultimi decenni, i diritti umani non si difendono proprio con la guerra.
E che la guerra, lungi dal risolvere i problemi, certamente li moltiplica e li esaspera. Inoltre, contrariamente a quanto alcuni affermano, la scelta della guerra è stata esattamente la sciagurata alternativa all’unica possibilità di affermazione delle migliori istanze di quella ribellione esplosa anche in Libia sull’onda della salutare primavera magrebina.
Una premeditata alternativa alle vere competenze dell’Onu per la prevenzione della guerra e alle svariate proposte di mediazione, di soluzione politica del conflitto, avanzate tra gli altri da autorevoli Paesi latinoamericani in tempo utile per fermare sul nascere la guerra civile ed il massacro.
Proprio la guerra, laddove non verrà fermata ora, sarà la negazione di quelle istanze libiche di giustizia sociale, di liberazione dal loro dittatore e di democrazia. Istanze che non troveranno certamente sponda sotto l’ala di quei “volenterosi” che come ci dicono anche i sondaggi, ben oltre l’universo pacifista, a tutti appaiono animati, al di là di ogni ipocrisia, soprattutto dal loro inderogabile bisogno di controllare le ingenti risorse energetiche locali.
Un’esigenza imprescindibile per stiracchiare oltre i limiti oramai ampiamente conclamati, ed a qualsiasi costo, come la stessa Fukushima insegna, un sistema economico mondiale, quello capitalista, basato sul consumo dissennato e la rapina delle risorse naturali e dei diritti umani. Un sistema che non contempla umanità e accoglienza per quanti costringe all’esodo forzato ed al rifugio lontano dalle proprie terre martoriate da povertà, desertificazione e guerre. Anzi ne fa strumento di inqualificabili battaglie da cortile per conquistare gli umori delle pance di una società precaria, disgregata ed impaurita.
Un sistema che proprio in armamenti dissipa risorse enormi, potenzialmente sufficienti ad affermare un “altro” indispensabile futuro di giustizia sociale e sostenibilità ambientale. Per tutte queste ragioni ci riconosciamo in pieno nella piattaforma del Coordinamento “2 Aprile”, che ha indetto quest’importante giornata di partecipazione per la pace. Una mobilitazione che nella data odierna deve trovare un nuovo punto di partenza di un percorso consapevole lungo i territori fatto di iniziative, incontri, mobilitazioni.
Che riproponga già le collaudate bandiere della pace insieme a quelle dei beni comuni, dei diritti del lavoro, della democrazia e dei diritti umani, tanto da noi che nell’altra sponda del nostro mediterraneo perché un futuro o c’è per tutti o non c’è per nessuno.
*portavoce della Federazione della Sinistra
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