Festeggiamo i quarant'anni del Manifesto con Umberto Eco.
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Parla lo scrittore che nel 1971 si firmava Dedalus. "Berlusconi è unabile, geniale piazzista, ha capito gli umori del mercato e la naturaprofonda degli italiani, che non si sono mai identificati con lo Stato".Raccontami come è cominciata, già il 28 aprile del 1971, la tuacollaborazione al manifesto.La mia prima risposta è molto banale: è venuto Pintor a casa mia e mel’ha chiesto e poiché era tanto simpatico gli ho detto di sì.
Ma c’era un’altra ragione.
C’era una situazione tipica di una certa sinistra diallora, anche di quella di antiche origini cattoliche come la mia, chenon riusciva a identificarsi col Partito comunista italiano. Specie noi della cosiddetta neoavanguardia del Gruppo 63, se eravamo certamente orientati a sinistra, stavamo per così dire sulle scatole alla culturaufficiale del Pci, ancora guttusiana, pratoliniana, con la sua idea di intellettuale organico che non era compatibile, tanto per fare un esempio, con gli eretici come Vittorini, diffidente verso tante nuovetendenze culturali emergenti, quasi sempre bollate come trucchiinsidiosi del neocapitalismo.
Una volta il buon Mario Spinella mi chiesedi scrivere un lungo articolo su Rinascita per indicare quali erano iproblemi che una cultura di sinistra doveva affrontare. Io scrissi disociologia delle comunicazioni di massa e dello strutturalismo: fuicoperto di feci dall’intellighentia del Pci. Mi viene da citarel’attacco dell’allora marxista Massimo Pini, poi finito in An, e unpersonaggio francese che scrisse «ma cosa diavolo racconta questoUmberto Eco: da un punto di vista marxista lo strutturalismo èinaccettabile». Questo signore si chiamava Althusser e due anni dopoavrebbe tentato il suo celebre connubio tra marxismo e strutturalismo.
C’era un clima molto difficile per chi volesse essere di sinistra, senzastare con il Pci. All’epoca l’unica alternativa possibile era con ilgiro di Lelio Basso e con il manifesto: l’unico modo di essere disinistra senza venire irreggimentati nel Pci, anche se non era piùquello togliattiano che accusava di decadentismo Visconti perché avevagirato Senso ma che tuttavia erano ancora accolte con diffidenza. Tantoper fare un esempio, nel 1962 Vittorini pubblicava il Menabò numero 5, quello dedicato a industria e letteratura, ma proponendo un nuovo mododi intendere l’espressione «letteratura e industria», focalizzandol’attenzione critica non sul tema industriale ma sulle nuove tendenze stilistiche in un mondo dominato dalla tecnologia. Era un coraggioso passaggio dal neorealismo (dove valevano i contenuti più che lo stile) auna ricerca sullo stile dei tempi nuovi, ed ecco che dopo un mio lungo saggio Sul modo di formare come impegno sulla realtà apparivano provenarrative molto ‘sperimentali’ di Edoardo Sanguineti, Nanni Filippini eFurio Colombo. Perciò accettai la proposta di Pintor; ma poiché avevo un contratto per la terza pagina del Corriere della sera non potevo mettere la stessa firma su due quotidiani e scelsi di firmare Dedalus.Dedalus, una firma di grande prestigio, nel segno di Joyce.
Mi sono divertito come un pazzo a scrivere i pezzi di Dedalus. Ricordo che un po’ di anni dopo Fanfani mi incontrò, agitando la mano e facendo,garbatamente, finta di volermi picchiare. La ragione? Qualche tempo prima sul manifesto avevo scritto: «L’onorevole Fanfani, passeggiandonervosamente sotto il letto…». Altra polemica con Montanelli quando,attaccando la Cederna, aveva scritto che «annusa l’afrore deglianarchici sotto le ascelle». Scrissi: «una volta i polemisti portavanola penna all’altezza del cuore; tu, Indro, sei sceso molto più inbasso». Poi Montanelli mi mandò un suo libro con la dedica: «In memoriadi un colpo basso ».
Era un uomo di spirito.
Ma in questi quarant’anni ci sono stati grossi cambiamenti.Quali?Sono stati totali. Il crollo del muro di Berlino, la fine delle ideologie e, di seguito, la fine dei partiti e anche la crisi del manifesto che non ha più nessuno con cui confrontarsi alla sua sinistra.
Vuoi dire che quando facevamo polemica con il Pci avevamo un ascolto eadesso che il Pci non c’è più chi ci sente?
Il cambiamento è stato enorme. Alla fine della seconda guerra mondiale ipartiti governavano. In Italia la Dc, il Pci e gli altri ancora. Con lacrisi delle ideologie i partiti si sono dissolti in Italia come inFrancia, ma paesi come la Francia, appunto, si sono salvati perché lìc’è uno stato, mentre in Italia lo stato è debolissimo. E quindi inItalia siamo senza governo, nelle mani di una anarchia o di minoranzeparacriminali, non perché uccidono gente per strada, ma perché sonofuori da ogni legalità.Ma, tornando indietro, ricordo che un’altraragione della mia collaborazione al manifesto stava nella polemicacontro i gruppuscoli, che erano perl’astensionismo. Per quante simpatie si potessero avere con ilcosiddetto movimento, la rinuncia al voto era inaccettabile. Ricordo che mi chiesero di dirigere Lotta continua: cercavano qualcuno che avessein tasca la tessera dell’ordine dei giornalisti, disposto ad andare ingalera. Risposi di no, perché collaboravo con il manifesto, e non potevotenere il piede in due staffe. Il manifesto era ovviamente legato alclima del movimento, ma apparteneva pur sempre a una sinistra parlamentare. Certo il manifesto sembra aver perduto la sua funzione storica, come il Pci e tutti i gruppi di sinistra. Direi che non sietepiù un partito ma resistete ancora in questo generale tracollo come unacoscienza culturale.Io lo vorrei ancora.
Bisogna pensarci, nell’attuale carenza di proposte positive,nell’assenza della sinistra: tutto è possibile e tutto è più difficile.
Discutevo ieri della bizzarra proposta del colpo di stato di Asor Rosa.Il problema non è cacciare Berlusconi con un colpo di stato, contro il75 per cento degli italiani, al quale in fondo le cose vanno bene così.Il 75%, esageri proprio.Non dico quelli che votano direttamente Pdl, ma quella maggioranza naturalmente berlusconiana che non vuole pagare le tasse, ha voglia diandare a 150 chilometri all’ora sulle autostrade, vuole evitare carabinieri e giudici, trova giustissimo che uno se può se la spassi conRuby, trova naturale che un deputato vada dove meglio gli conviene.Questa è lamoralità dominante. Berlusconi è un abile e geniale piazzista, che ha capito la sostanza e gli umori dell’attuale mercatopolitico.
Mi torna in mente il famoso errore di Benedetto Croce, secondo il qualeMussolini era caduto dal cielo e non partorito da noi italiani.
Berlusconi è stato partorito dall’Italia di oggi e ha capito la natura profonda del nostro popolo che non si è mai identificato con lo Stato,che si è sempre massacrato nello scontro tra città e città. Non a casoabbiamo tra i nostri pensatori un Guicciardini. Quindi anche se domani facessi un colpo di stato (che in ogni caso è sempre una cosa cattiva –non ho mai visto colpi di stato «buoni») non cambieresti gli umori delpaese. Per cambiarli ci vorrebbe un’azione più profonda, di persuasioneed educazione, e di vere proposte alternative. Ed ecco che tornerebbebuona, se ci fosse, la politica. Però mi pare che la presa di posizione polemica di Asor Rosa nasca dal sentimento (e dalla frustrazione) che il colpo di stato strisciante è già in atto (ma dalla parteopposta) con l’umiliazione del parlamento, la sua riduzione a un manipolo di yes-men, la delegittimazione della magistratura e quindi la distruzione dell’equilibrio dei poteri, l’occupazione progressiva ditutti i centri della comunicazione. Scrivevo negli anni Sessanta cheormai per fare un colpo di stato non era necessario muovere i carriarmati: bastava occupare le televisioni. Lo si sapeva già negli anniSessanta.
E la differenza tra apocalittici e integrati? Ti ricordi?
È una distinzione molto vecchia, del 1964, superata. Allora c’era unanetta divisione tra i critici del sistema delle comunicazioni dimassa(pensa a Adorno) e quelli che si identificavano con il nuovosistema della comunicazione. Questa divisione si è enormementemodificata, pensa alla Pop art, un’arte d’avanguardia che si abbevera alla comunicazione di massa.
La Pop art? Spiegati meglio.
La Pop art ha usato i fumetti, e non per criticarli (come sarebbeaccaduto agli apocalittici del decennio precedente). Quindi, ha fattoprovocazione d’élite basandosi su materiali una volta considerati bassi.
Oppure pensa ai Beatles che – come ha poi intuito Cathy Berberian –potevano essere ricantati come se fossero la musica di Purcell che in qualche modo li aveva ispirati. Musica di intrattenimento,ma coltissima.
Pensa a Benigni: fa parte della cultura di massa o della culturad’élite? Non hai risposta: riesce a fare passare Dante davanti aventimila persone e cammina come un clown. Ai tempi di apocalittici eintegrati non sarebbe potuto accadere. Pensa anche al romanzo poliziesco che ancora negli anni Cinquanta era roba da vendere nelle edicole, leggere e buttare, e oggi Camilleri fa romanzi accessibili alle grandi masse, ma mediante una forte sperimentazione linguistica.
Visto che ci siamo: confini tra cultura alta e cultura bassa?
Le differenze sono infinite e difficili da identificare. È quasi come inpolitica: potrebbe essere un gioco di società trovare personaggi didestra all’interno del Pd e di sinistra (ma è impossibile trovarne)all’interno del Pdl.
Quelli di sinistra è proprio difficile trovarli.Sì, perché anche la nozione di sinistra si è disfatta. Qualcuno, nonricordo chi, ha scritto che la sinistra ufficiale sta facendo l’unicapolitica conservatrice possibile: difesa della Costituzione, difesa della magistratura, e così via. Difesa anche dei carabinieri, pensa tuse ce lo avessero detto al tempo del Piano Solo. Ma dall’altra parte c’è di peggio. Certo: c’è l’attacco alle istituzioni e dunque è naturale che a sinistrasi diventi conservatori. I tempi cambiano, vuoi mica che ancora oggiesista la differenza tra cavouriani e mazziniani? La polizia di Scelbamanganellava i lavoratori e quella di oggi cerca di salvare i neri dainaufragi.
Gli apocalittici cosa sono diventati?
Gli apocalittici, pian piano, son diventati meno rigidi nel loro rifiuto. Pensa solo a come è andata con il fumetto, che era una dellecose più popolari, diretto a persone di cultura bassa. Poi, proprio noiintellettuali lo abbiamo riscoperto e ne abbiamo fatto un mito. Erano le letture della nostra infanzia, ma anche l’unico modo nel quale abbiamo potuto capire qualcosa dell’America. Ormai il fumetto è diventato unaforma di cultura alta, perfino difficile da leggere. Certo i bambini leggono ancora Topolino che resta, più o meno, come una volta. Ma tutte le nuove forme… il fumetto cartonato che si vende nelle librerie, certe volte faccio fatica a leggerlo tanto è raffinato. Quindi quelli che una volta erano i mezzi di massa, contro cui si scagliavano gli apocalittici, oggi possono essere interpretati solo da gente che ha letto Joyce.
Carta stampata e Internet.Un duello aperto. Sono stufo di sentirmi rivolgere questa domanda. Dueanni fa ho pubblicato un libro con Jean-Claude Carrière, Non sperate disbarazzarvi dei libri. Ovviamente sono un utente di Internet, ho ben otto computer nelle varie case dove capito, ma difendo i diritti e il futuro del libro per una ragione semplicissima: abbiamo la prova scientifica che un libro può durare 550 anni. Prendi un incunabolo, lo apri, sembra stampato ieri e ti permette persino la previsione che forse, se lo lasci in un ambiente poco umido, può durare altri 500-1000 anni.
Non abbiamo nessuna prova scientifica che un dischetto, una chiavetta possano durare più di dieci anni, non tanto perché si possono smagnetizzare, ma perché nel frattempo sarà cambiato il tipo di computer.
I computer di oggi non leggono più i dischetti di quindici anni fa.
Certo, per me è una grande comodità viaggiare con una chiavetta che contiene tutta la mia biblioteca, però l’unica garanzia del fatto che l’informazione si conservi sta ancora nel libro cartaceo. Detto questo, Internet è una cosa utilissima, pensa a cosa sta cambiando nell’Africa del nord: senza Internet non sarebbe successo niente.
Il manifesto attraversa una nuova crisi. Tu, dicevi, perché ha perdutola sponda del Pci.
Ma non è più solo per questo. Innanzitutto c’è una generale crisi politica. Poi sono in crisi tutti i quotidiani. I giovani non comprano più i quotidiani, preferiscono leggere il giornale gratuito che si prende alla stazione. È un fenomeno generale: se è in crisi anche il Corriere della Sera, che può pagare centinaia di inviati speciali in tutto il mondo, come può non essere in crisi il manifesto? Se è vero che i giovani sono più attenti ai contenuti culturali, l’unica possibilità del manifesto è quella disettimanalizzarsi, non nel senso di diventare settimanale ma in quello di fare continuamente azione di approfondimento. Ha poco senso che ilmanifesto esca oggi dicendo quel che è accaduto ieri, perché lo ha già detto la televisione. Insomma, ripeto: un quotidiano di approfondimento.
Amodo suo Il foglio lo è. Quindi il manifesto dovrebbe essere sempre più un quotidiano di commento, di proposte. È l’unica possibilità di sopravvivenza. Ripeto una mia vecchia polemica: il quotidiano di 64pagine non mi dà più nessuna notizia perché non faccio in tempo aleggerlo. Nel 1990 mi trovavo nelle isole Fiji dove usciva – lo davano gratis negli hotel – il Fiji Journal, che aveva otto pagine di cui sei di pubblicità, due di notizie locali e una pagina di brevissime notizie.
Con quella pagina il Fiji Journal mi ha tenuto perfettamente informato su quanto accadeva in Italia e nel mondo. Allora, o tu diventi il Fiji, quattro pagine al giorno a 20 centesimi, oppure fai 10-12 pagine di approfondimenti, discussioni critiche, polemiche. Non ce la fai a emulare il Corriere della Sera o Repubblica dando più notizie di loro, piuttosto fai una critica dei loro articoli.
Torneresti a collaborare al manifesto?
Non riesco più a tener testa a tutte le cose che devo fare e da quando sono andato in pensione lavoro tre volte tanto. Comunque, lasciami passare l’estate.
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