Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

domenica 24 aprile 2011

"Bella ciao" è la storia. Cantatela e vi farete riconoscere.

di Maria R. Calderoni (Liberazione del 24/04/2011)
Cantate "Bella Ciao" e vi farete riconoscere. Un identikit. Un target. Una dichiarazione. "Bella Ciao" è quella. E' la storia e il senso della storia, uno solo. «E le genti che passeranno ti diranno che bel fior/ e questo è il fiore del partigiano morto per la libertà», impossibile fraintendere. Ed è rimasta quella, la canzone della Resistenza più cantata in assoluto; immutata ed evocatrice, ieri come oggi, oltre sessant'anni dopo.
Woody Allen è venuto a Roma appena un mese fa a presentare il suo nuovo film e nel corso del concerto all'Auditorium ha suonato una strepitosa "Bella Ciao" in versione jazz. Ormai canzone internazionale, nota in tutto il mondo. C'è anche una versione cinese; a Cuba è cantata nei campeggi giovanili, con la parola partigiano sostituita da guerrillero; nel Chiapas in molte comunità zapatiste. Ed è nota in quasi tutti i paesi europei; diffusissima negli anni Cinquanta a Berlino, Praga, Vienna, al seguito dei famosi Festival mondiali della gioventù. Una canzone-epopea, immortalata in Francia da Yves Montand e in Italia dalla nostra irripetibile "cantastorie" Giovanna Daffini.
Mai oscurata, mai fievole, sempre trascinatrice. Dalla storica incisione del Nuovo Canzoniere Italiano, che è del 1965, "Bella Ciao" l'hanno cantata Milva, Duo di Piadena, La Banda Bassotti, Modena City Ramblers, Thomas Fersen, Giorgio Gaber, Francesco De Gregori, Yo Yo Mundi; anche, in versione italiana, il Coro dell'Armata Rossa.
In sostanza "Bella Ciao" come inno ufficiale della Resistenza; ma un posto speciale nel cuore di tutti lo tiene anche "Fischia il vento", il canto «travolgente, una vera e propria arma contro i fascisti», come Beppe Fenoglio lo definisce nel suo libro Il partigiano Johnny.
Come tutte le canzoni partigiane, è nata sul campo, in battaglia. Un soldato italiano, Giacomo Sibilla, la sente nell'estate del 1942, mentre è a combattere sul fronte russo; è una canzone d'amore e si chiama Katjusha; se la ricorda quando, dopo l'8 settembre, quel soldato, col nome di battaglia Ivan, entra a far parte della banda partigiana operante nella zona di Imperia. E lì in montagna fa rinascere sulla sua chitarra quelle note lontane; su di esse un altro partigiano ligure - Felice Cascione, che è un medico ma anche un poeta - scrive le parole. Quelle struggenti di un canto che nasce con la Resistenza stessa, nel settembre del '43.
Anche "Fischia il vento" ha avuto innumerevoli incisioni; è per sempre lì, tra le canzoni immortali. «Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar, a conquistare la rossa primavera, dove sorge il sol dell'avvenir». Ma lui, Felice Cascione, non fa in tempo. Muore in uno scontro a fuoco coi fascisti il 24 gennaio 1944. Partigiano, comunista, medaglia d'oro della Resistenza: il ragazzo che ha scritto le parole di "Fischia il vento" - ha solo 26 anni quando è ucciso - ha una storia che merita di essere raccontata ancora una volta. Nasce ad Imperia da una famiglia modesta; la madre maestra elementare; il padre, Giobatta, fonditore di campane, viene ucciso in guerra nel '18, quando Felice ha pochi mesi. Antifascista attivo dal 1940, si laurea in medicina a Bologna nel 43; quando viene l'8 settembre, Felice Cascione è appena laureato, ma non ha esitazione: dopo la Repubblica di Salò entra nella Resistenza, a capo di una improvvisata brigata partigiana, la prima della zona, nome di battaglia u mégu, (il medico).
C'è uno scontro - la battaglia di Montegrazie - e gli uomini di Cascione catturano due militi delle brigate nere; si decide di eliminarli, ma u mégu ha un cuore generoso, interviene e ne impedisce l'esecuzione. In seguito i due riescono a fuggire e, raggiunti i loro camerati, danno l'assalto alla formazione partigiana. Accerchiato e ferito, il giovane comandante si lancia allo scoperto nel tentativo di salvare uno dei suoi uomini, ma cade crivellato di colpi. La sua brigata diventerà la Divisione Garibaldi "Felice Cascione", la stessa cui subito dopo aderirà Italo Calvino. Dal 27 aprile 2003 un monumento lo ricorda nel luogo in cui è caduto.
«Se ci coglie la crudele morte».
Canzoni partigiane, se ne contano oltre 100. Sono povero ma disertore. Con la guerriglia. Dopo tre giorni di strada asfaltata. Dalle belle città. Dai monti di Sarzana. La Brigata Garibaldi. Pietà l'è morta. I partigiani di Castellino. Noi della Val Camonica. L'Armata del popolo. Camicia rossa. Non ti ricordi quel 25 maggio. Sui monti di Valtrebbia. A morte la Casa Savoia. Compagni fratelli Cervi. Cosa rimiri mio bel partigiano. Marciam marciam (e tanti altri titoli).
«I canti della Resistenza italiana rappresentano il momento di più viva presenza del canto sociale e politico della storia postfascista», scrive Cesare Bermani; per Roberto Leydi «segnano, nella loro complessa e quasi disordinata prospettiva, il carattere degli uomini e dei movimenti che alla guerra contro i fascisti presero parte. In questa misura, ancora una volta, il canto spontaneo si definisce come mezzo d'indagine di un'epoca e di una situazione, più preciso e spietato, forse, di altri strumenti storiografici».
Canzoni «come riflesso dello spettro sociologico ampio dei nostri partigiani, che andava dallo studente, all'operaio e al contadino». Canzoni assai differenti, dunque, sia per i testi che per la musica. «I prodotti musicali che la canzone d'uso partigiana ha modificato - scrive sempre Cesare Bermani - sono i più disparati: canzoni narrative popolari o popolaresche, canti risorgimentali o quarantotteschi, repertori della prima e della seconda guerra mondiale, canti sociali legati al movimento operaio e alle organizzazioni rivoluzionarie del periodo prefascista, motivi in voga e canzonette di consumo, canzoni assunte da repertori di altri paesi (in particolare russe), canzoni goliardiche».
Poche le canzoni d'autore (è di Franco Antonicelli, "Un giorno Mussolini andò al balcone"; il testo di "Pietà l'è morta" è di Nuto Revelli); ma quelle partigiane sono essenzialmente canzoni appunto «nate per l'uso, non per il consumo o lo spettacolo. Tutti canti pervasi da quella particolare tensione felicemente ricordata nel ritornello di una canzone di Calvino, musicata da Sergio Liberovici: « Avevamo vent'anni e oltre il ponte/ oltre il ponte che è in mano nemica/ vedevam la riva, la vita/ tutto il bene del mondo oltre il ponte/ Tutto il male avevamo di fronte/ tutto il bene avevamo nel cuore/a vent'nni la vita è oltre il ponte/oltre il fuoco comincia l'amore».
Oltre il ponte.
«Da quei briganti neri fui catturato/ in una cella oscura fui portato/ Potete pure mettermi in una cella oscura/ io sono un partigiano/ non ho paura...Quelli che m'han portato alla tortura/ m'han detto se conosco i miei compagni./ Sì sì che li conosco/ ma non dirò chi sia/ io sono un partigiano/ non una spia. La povera mia mamma/ piangeva forte/ vedendo il suo partigiano/ andare a morte...»: canta Agostino Vebbia, ex combattente della Brigata Zelasco, Divisione Coduri, zona d'operazione Liguria.
E c'è anche un "Inno delle donne" («o donne d'Italia, o madri, o ragazze/ su presto, accorriamo, su tutte le piazze»; anche "Insorgete!"(sull'aria dell'"Inno del Komintern", «lasciate le fabbriche, le scuole, le case, correte correte uniti all'attacco»; e perfino "Su comunisti della capitale", «è giunto alfin il dì della riscossa /quando alzeremo sopra il Quirinale/bandiera rossa».

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