Fonte: libreidee
Ultima legge-capestro, il pareggio di bilancio da inserire addirittura nella Costituzione. Norma che il 30 novembre alla Camera è stata votata senza batter ciglio dalle anime morte del Pd e del Pdl, che contro ogni evidenza si ostinano a scommettere sulla manovra di Mario Monti: recuperare il disavanzo con una chimera ormai tragicamente ridicola, la “crescita”, e far pagare a lavoratori e pensionati gli interessi di un disastro perfetto, costruito dalla rendita finanziaria basata sul debito-truffa e dalla più gigantesca evasione fiscale d’Europa. In arrivo una “cura” drastica, ingiusta e soprattutto inutile, protesta il sociologo Guido Viale: per “rimedi” come quelli prospettati da Monti servirebbero tassi di crescita come quelli della Cina, mentre l’Italia è ormai in recessione e il resto dell’Europa sta per entrarci.
Illusione ottica, sperare di “guarire” con lo stesso farmaco che ha causato la malattia: il liberismo. Vendetta storica del grande capitale e risposta vincente alle rivendicazioni democratiche di quarant’anni fa, l’élite industriale-finanziaria «ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale», scrive Viale sul “Manifesto”. Trasferimento epocale, «favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili», ma soprattutto «frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali». Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato investito, se non in minima parte, in attività produttive: «E’ andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato», fino a diventare 10-20 volte più grande del Pil mondiale.
Se la Bce è oggi inerte di fronte alla speculazione sui titoli di Stato, i cosiddetti debiti sovrani, è per via del suo statuto che le vieta di “creare moneta”, per frenare rivendicazioni salariali e spese per il welfare. «Una scelta consapevole quanto miope – scrive Viale – che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto». E mentre la finanza pubblica è alle corde, quella privata tiene in pugno gli Stati, dimissionando esecutivi e creando governi tecnici, forte di quella «montagna di denaro» che si è letteralmente «auto-riprodotto», come in una catena di Sant’Antonio: denaro fittizio ma oggi determinante, che «si crea con il debito e si moltiplica pagando il debito con altro debito».
In questa spirale infernale, aggiunge Viale, sono state coinvolte direttamente le famiglie con i famigerati mutui subprime ma anche con carte di credito, vendite a rate e “prestiti d’onore”. Ci sono dentro fino al collo le imprese, le banche, le assicurazioni, le casse degli Stati: «Una volta messi in moto, quei debiti rimbalzano dagli uni agli altri: dai mutui alle banche, da queste ai circuiti finanziari, e poi di nuovo alle banche, e poi ai governi accorsi in aiuto delle banche, e dalle banche di nuovo agli Stati. E non se ne esce, se non – probabilmente – con una generale bancarotta».
Prendiamo l’Italia: quest’anno paghiamo 70 miliardi di interessi sul debito pubblico. E l’anno prossimo saranno di più, perché gli interessi da pagare aumentano con lo spread. Per tagliare gli interessi che ci stanno stritolando, basterebbe colpire l’evasione fiscale: che ammonta a qualcosa come 120 miliardi. «Senza neanche scomodare i costi della politica, della corruzione o della malavita organizzata – dice Viale – bastano quindici anni di evasione fiscale per spiegare i 1900 miliardi del debito italiano: aggiungi che coloro che hanno evaso le tasse sono in buona parte gli stessi che hanno incassato gli interessi sul debito, e il cerchio si chiude».
La spesa pubblica a deficit? Strategica, purché impiegata per riattivare risorse: lavoratori disoccupati e industrie ferme. Nulla di tutto ciò è in vista: il governo Monti pensa a tagliare il welfare. Ingiusto, certo. Ma soprattutto: inutile. «Per distruggere scuola e università è bastato tagliare pochi miliardi di euro all’anno, e da una “riforma” anche molto severa delle pensioni si può ricavare solo qualche miliardo». Briciole, in confronto alla montagna dell’evasione. «Non si ricava molto di più neppure dalla svendita degli immobili dello Stato e dei servizi pubblici locali», peraltro necessari. E si arriva al massimo a qualche decina di miliardi se si procede al massacro finale, cioè alla «liquidazione di Eni, Enel, Ferrovie, Finmeccanica, Fincantieri e quant’altro, come improvvidamente suggerito nel luglio scorso dai bocconiani Perotti e Zingales (l’economista di riferimento, quest’ultimo, di Matteo Renzi ma anche di Sarah Palin)».
Meno servizi per i cittadini? Senz’altro. E poi la svendita dei “gioielli di famiglia”: operazione che comporterebbe il trasferimento «in mani ignote», magari «quelle della mafia», delle leve dell’economia reale di un intero paese. «Il rigore promesso dal governo potrà fare male ai molti che non se lo meritano, ma non ha grandi prospettive di successo», insiste Viale: «Affrontare con queste armi il deficit pubblico, o addirittura il debito, è un’impresa votata al fallimento. O una truffa». Per questo, aggiunge l’editorialista del “Manifesto”, è urgente effettuare un audit del debito italiano, cioè un inventario preciso: «Perché tutti possano capire come si è formato, chi ne ha beneficiato e chi lo detiene».
Dettagli decisivi, che oggi l’opinione pubblica non conosce, mentre assiste col fiato sospeso ai primi giorni del governo Monti, che ha spiegato innanzitutto ai padroni d’Europa a quale “trattamento” intende sottoporre gli ignari italiani. Quale che sia lo specifico formulario, avverte Viale, la ricetta è votata all’insuccesso, non fosse che per «l’altro inganno che domina il delirio pubblico promosso dagli economisti mainstream», e in primis dai bocconiani come Monti: la “crescita”. Tutto il piano di “risanamento”, infatti, si basa su una utopia rovinosa: il pareggio di bilancio imposto dalla Bce sarà raggiunto grazie al solo prelievo fiscale, che però sarà addirittura diminuito, magicamente, dalla nuova “crescita” del Pil messa in moto dalle misure neoliberiste in arrivo, quelle che i precedenti governi non avrebbero saputo o voluto adottare: liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro alla Marchionne, meno burocrazia e “grandi opere”, magari completamente inutili come la Tav Torino-Lione.
«Per raggiungere obiettivi del genere con l’aumento del Pil – rileva Viale – ci vorrebbero tassi di crescita “cinesi”». Ipocrita anche solo pensarlo, «in un periodo in cui l’Italia viene ufficialmente dichiarata in recessione, tutta l’Europa sta per entrarci, l’euro traballa, gli Stati Uniti sono fermi e l’economia dei paesi emergenti sta ripiegando». La verità è l’esatto opposto: «È il mondo intero a essere in balia di una crisi finanziaria che va ad aggiungersi a quella ambientale, di cui nessuno vuole più parlare». C’è da tremare, a partire dal catastrofico sconvolgimento dei mercati delle materie prime: sulle risorse alimentari oggi «si riversano i capitali speculativi che stanno ritirandosi dai titoli di Stato, non solo italiani».
La realtà purtroppo è questa, eppure la recita continua: «Interrogati in separata sede, sono pochi gli economisti che credono che nei prossimi anni possa esserci una qualche crescita», osserva Viale. «Molti prevedono esattamente il contrario, ma nessuno osa dirlo: questa farsa deve finire». L’utopia è quella dei “risanatori”, e rasenta la truffa. Non c’è niente di utopico, invece, nel ripensare il mondo: ormai è una necessità stringente, drammatica. «È ora di progettare seriamente un mondo capace di soddisfare i bisogni di tutti e di consentire a ciascuno una vita dignitosa anche senza “crescita”. Semplicemente valorizzando le risorse umane, il patrimonio dei saperi, le fonti energetiche e le risorse materiali rinnovabili, gli impianti e le attrezzature che già ci sono», imparando a «fare meglio, con meno». Anche perché un piano-B, semplicemente, non esiste: come purtroppo l’imminente fallimento di Mario Monti dimostrerà, a nostre spese.
Illusione ottica, sperare di “guarire” con lo stesso farmaco che ha causato la malattia: il liberismo. Vendetta storica del grande capitale e risposta vincente alle rivendicazioni democratiche di quarant’anni fa, l’élite industriale-finanziaria «ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale», scrive Viale sul “Manifesto”. Trasferimento epocale, «favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili», ma soprattutto «frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali». Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato investito, se non in minima parte, in attività produttive: «E’ andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato», fino a diventare 10-20 volte più grande del Pil mondiale.
Se la Bce è oggi inerte di fronte alla speculazione sui titoli di Stato, i cosiddetti debiti sovrani, è per via del suo statuto che le vieta di “creare moneta”, per frenare rivendicazioni salariali e spese per il welfare. «Una scelta consapevole quanto miope – scrive Viale – che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto». E mentre la finanza pubblica è alle corde, quella privata tiene in pugno gli Stati, dimissionando esecutivi e creando governi tecnici, forte di quella «montagna di denaro» che si è letteralmente «auto-riprodotto», come in una catena di Sant’Antonio: denaro fittizio ma oggi determinante, che «si crea con il debito e si moltiplica pagando il debito con altro debito».
In questa spirale infernale, aggiunge Viale, sono state coinvolte direttamente le famiglie con i famigerati mutui subprime ma anche con carte di credito, vendite a rate e “prestiti d’onore”. Ci sono dentro fino al collo le imprese, le banche, le assicurazioni, le casse degli Stati: «Una volta messi in moto, quei debiti rimbalzano dagli uni agli altri: dai mutui alle banche, da queste ai circuiti finanziari, e poi di nuovo alle banche, e poi ai governi accorsi in aiuto delle banche, e dalle banche di nuovo agli Stati. E non se ne esce, se non – probabilmente – con una generale bancarotta».
Prendiamo l’Italia: quest’anno paghiamo 70 miliardi di interessi sul debito pubblico. E l’anno prossimo saranno di più, perché gli interessi da pagare aumentano con lo spread. Per tagliare gli interessi che ci stanno stritolando, basterebbe colpire l’evasione fiscale: che ammonta a qualcosa come 120 miliardi. «Senza neanche scomodare i costi della politica, della corruzione o della malavita organizzata – dice Viale – bastano quindici anni di evasione fiscale per spiegare i 1900 miliardi del debito italiano: aggiungi che coloro che hanno evaso le tasse sono in buona parte gli stessi che hanno incassato gli interessi sul debito, e il cerchio si chiude».
La spesa pubblica a deficit? Strategica, purché impiegata per riattivare risorse: lavoratori disoccupati e industrie ferme. Nulla di tutto ciò è in vista: il governo Monti pensa a tagliare il welfare. Ingiusto, certo. Ma soprattutto: inutile. «Per distruggere scuola e università è bastato tagliare pochi miliardi di euro all’anno, e da una “riforma” anche molto severa delle pensioni si può ricavare solo qualche miliardo». Briciole, in confronto alla montagna dell’evasione. «Non si ricava molto di più neppure dalla svendita degli immobili dello Stato e dei servizi pubblici locali», peraltro necessari. E si arriva al massimo a qualche decina di miliardi se si procede al massacro finale, cioè alla «liquidazione di Eni, Enel, Ferrovie, Finmeccanica, Fincantieri e quant’altro, come improvvidamente suggerito nel luglio scorso dai bocconiani Perotti e Zingales (l’economista di riferimento, quest’ultimo, di Matteo Renzi ma anche di Sarah Palin)».
Meno servizi per i cittadini? Senz’altro. E poi la svendita dei “gioielli di famiglia”: operazione che comporterebbe il trasferimento «in mani ignote», magari «quelle della mafia», delle leve dell’economia reale di un intero paese. «Il rigore promesso dal governo potrà fare male ai molti che non se lo meritano, ma non ha grandi prospettive di successo», insiste Viale: «Affrontare con queste armi il deficit pubblico, o addirittura il debito, è un’impresa votata al fallimento. O una truffa». Per questo, aggiunge l’editorialista del “Manifesto”, è urgente effettuare un audit del debito italiano, cioè un inventario preciso: «Perché tutti possano capire come si è formato, chi ne ha beneficiato e chi lo detiene».
Dettagli decisivi, che oggi l’opinione pubblica non conosce, mentre assiste col fiato sospeso ai primi giorni del governo Monti, che ha spiegato innanzitutto ai padroni d’Europa a quale “trattamento” intende sottoporre gli ignari italiani. Quale che sia lo specifico formulario, avverte Viale, la ricetta è votata all’insuccesso, non fosse che per «l’altro inganno che domina il delirio pubblico promosso dagli economisti mainstream», e in primis dai bocconiani come Monti: la “crescita”. Tutto il piano di “risanamento”, infatti, si basa su una utopia rovinosa: il pareggio di bilancio imposto dalla Bce sarà raggiunto grazie al solo prelievo fiscale, che però sarà addirittura diminuito, magicamente, dalla nuova “crescita” del Pil messa in moto dalle misure neoliberiste in arrivo, quelle che i precedenti governi non avrebbero saputo o voluto adottare: liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro alla Marchionne, meno burocrazia e “grandi opere”, magari completamente inutili come la Tav Torino-Lione.
«Per raggiungere obiettivi del genere con l’aumento del Pil – rileva Viale – ci vorrebbero tassi di crescita “cinesi”». Ipocrita anche solo pensarlo, «in un periodo in cui l’Italia viene ufficialmente dichiarata in recessione, tutta l’Europa sta per entrarci, l’euro traballa, gli Stati Uniti sono fermi e l’economia dei paesi emergenti sta ripiegando». La verità è l’esatto opposto: «È il mondo intero a essere in balia di una crisi finanziaria che va ad aggiungersi a quella ambientale, di cui nessuno vuole più parlare». C’è da tremare, a partire dal catastrofico sconvolgimento dei mercati delle materie prime: sulle risorse alimentari oggi «si riversano i capitali speculativi che stanno ritirandosi dai titoli di Stato, non solo italiani».
La realtà purtroppo è questa, eppure la recita continua: «Interrogati in separata sede, sono pochi gli economisti che credono che nei prossimi anni possa esserci una qualche crescita», osserva Viale. «Molti prevedono esattamente il contrario, ma nessuno osa dirlo: questa farsa deve finire». L’utopia è quella dei “risanatori”, e rasenta la truffa. Non c’è niente di utopico, invece, nel ripensare il mondo: ormai è una necessità stringente, drammatica. «È ora di progettare seriamente un mondo capace di soddisfare i bisogni di tutti e di consentire a ciascuno una vita dignitosa anche senza “crescita”. Semplicemente valorizzando le risorse umane, il patrimonio dei saperi, le fonti energetiche e le risorse materiali rinnovabili, gli impianti e le attrezzature che già ci sono», imparando a «fare meglio, con meno». Anche perché un piano-B, semplicemente, non esiste: come purtroppo l’imminente fallimento di Mario Monti dimostrerà, a nostre spese.
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