«I deficit pubblici che osserviamo oggi sono una conseguenza e non la causa della crisi». Ecco la denuncia dell’errore di fondo, dell’equivoco generato dalle politiche di austerità, che un nutrito gruppo di economisti – su tutti Paul Krugman e Richard Layard – ha affidato alle pagine del Finacial Times. Si tratta di una vera e propria petizione in cui i firmatari si prefiggono di intaccare quelle idee che, avendo ormai messo «radici nella coscienza pubblica», assicurano un consenso «all’eccessivo rigore delle politiche fiscali di molti paesi». I tempi sono maturi, sostengono invece gli autori, perché gli economisti possano parlare direttamente ai cittadini e «offrire un’analisi più saldamente ancorata all’evidenza» dei problemi attuali, attraverso un manifesto.
«In un momento nel quale il settore privato è impegnato in uno sforzo di contenimento della spesa – dicono gli estensori del documento, tutti professori di Princeton e della London School of Economics – le politiche pubbliche dovrebbero agire come una forza stabilizzatrice, a sostegno della spesa». Di fronte alla crisi dei mutui, i privati – continuano – hanno reagito razionalmente tagliando i nuovi finanziamenti per rimborsare quelli vecchi. Tuttavia, se ciò poteva essere logico su scala individuale, si è rivelato controproducente a livello collettivo, dato che non spendendo più nessuno, nessuno nemmeno più guadagna. Precisamente quel tracollo della spesa cui gli autori della petizione sul Ft attribuiscono l’origine del peggioramento dei bilanci pubblici. Che quindi si colloca alla fine del meccanismo a catena della sfiducia e non all’inizio. Un processo che, affermano i partigiani delle riduzioni di bilancio, solo il contenimento della spesa pubblica può riuscire a disinnescare. Layard e Krugman però sostengono che non ci sia niente di più falso. «Dall’esperienza – ricordano – non emerge alcun caso rilevante di questo genere».
Anzi, rincarano la dose, lo stesso «Fondo monetario internazionale ha studiato 173 casi di tagli di bilancio in singoli paesi e in tutti ha riscontrato che hanno avuto un effetto essenzialmente depressivo» sull’economia. Infine, gli economisti anti-austerity demoliscono quello che chiamano l’«argomento strutturale» avanzato dai loro colleghi favorevoli al rigore. Secondo questi teorici della soluzione lacrime e sangue, un’espansione dell’offerta sarebbe impedita dal fatto che la produzione è in sofferenza, per ragioni di squilibrio interne al sistema, sul lato della domanda. Se fosse così però, ribattono Krugman e Layard, «la maggior parte delle nostre economie dovrebbe essere al massimo delle possibilità»: impossibile, con tassi di disoccupazione così alti.
L’intero testo della petizione è disponibile online sul sito del Financial Times.
«In un momento nel quale il settore privato è impegnato in uno sforzo di contenimento della spesa – dicono gli estensori del documento, tutti professori di Princeton e della London School of Economics – le politiche pubbliche dovrebbero agire come una forza stabilizzatrice, a sostegno della spesa». Di fronte alla crisi dei mutui, i privati – continuano – hanno reagito razionalmente tagliando i nuovi finanziamenti per rimborsare quelli vecchi. Tuttavia, se ciò poteva essere logico su scala individuale, si è rivelato controproducente a livello collettivo, dato che non spendendo più nessuno, nessuno nemmeno più guadagna. Precisamente quel tracollo della spesa cui gli autori della petizione sul Ft attribuiscono l’origine del peggioramento dei bilanci pubblici. Che quindi si colloca alla fine del meccanismo a catena della sfiducia e non all’inizio. Un processo che, affermano i partigiani delle riduzioni di bilancio, solo il contenimento della spesa pubblica può riuscire a disinnescare. Layard e Krugman però sostengono che non ci sia niente di più falso. «Dall’esperienza – ricordano – non emerge alcun caso rilevante di questo genere».
Anzi, rincarano la dose, lo stesso «Fondo monetario internazionale ha studiato 173 casi di tagli di bilancio in singoli paesi e in tutti ha riscontrato che hanno avuto un effetto essenzialmente depressivo» sull’economia. Infine, gli economisti anti-austerity demoliscono quello che chiamano l’«argomento strutturale» avanzato dai loro colleghi favorevoli al rigore. Secondo questi teorici della soluzione lacrime e sangue, un’espansione dell’offerta sarebbe impedita dal fatto che la produzione è in sofferenza, per ragioni di squilibrio interne al sistema, sul lato della domanda. Se fosse così però, ribattono Krugman e Layard, «la maggior parte delle nostre economie dovrebbe essere al massimo delle possibilità»: impossibile, con tassi di disoccupazione così alti.
L’intero testo della petizione è disponibile online sul sito del Financial Times.
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