l seguente è un estratto da una trascrizione delle osservazioni di Joseph Stiglitz al congresso dell’AFL-CIO a Los Angeles, l’8 settembre.
Sono un economista. Studio come le economie funzionano e non funzionano. Da molto tempo mi è chiaro che la nostra economia è malata. Uno dei motivi per cui è malata è la disuguaglianza e ho deciso di scrivere un articolo e un libro al riguardo.
Due anni fa ho scritto un articolo per Vanity Fair intitolato “Dell’1%, a opera dell’1%, a favore dell’1%” che in effetti centrava il problema. Troppo a lungo chi lavora duro e rispetta le regole ha visto la propria paga avvizzire o restare la stessa, mentre chi infrange la legge ha accumulato profitti e ricchezze enormi. Ciò ha reso malata la nostra economia, e anche la nostra politica.
Voi tutti conoscete i fatti: mentre la produttività dei lavoratori statunitensi è esplosa, i salari sono rimasti stagnanti. Avete lavorato duro, dal 1979 la vostra produzione oraria è aumentata del 40%, ma le paghe sono a malapena aumentate. Contemporaneamente l’1% al vertice ha portato a casa più del 20% del reddito nazionale.
La Grande Recessione ha peggiorato le cose. Alcuni dicono che la recessione è finita nel 2009. Ma per la maggior parte degli statunitensi ciò semplicemente non è vero: il 95% dei profitti dal 2009 al 2012 è andato all’1% superiore. Il resto – il 99% – non ha mai realmente recuperato.
Più di venti milioni di statunitensi che vorrebbero un lavoro a tempo pieno ancora non possono averne uno, i redditi sono ancora inferiori a quelli che erano un decennio e mezzo fa, la ricchezza nella fascia media è tornata al livello di due decenni fa. I giovani statunitensi affrontano una montagna di debiti per gli studi e prospettive tetre di occupazione.
Siamo diventati il paese avanzato con il più elevato livello di disuguaglianza, con la più grande divisione tra ricchi e poveri. Siamo soliti vantarci: eravamo il paese in cui tutti appartenevano alla classe media. Oggi quella classe media sta arretrando e soffre.
Il messaggio centrale del mio libro ‘The Price of Inequality’ [Il prezzo della disuguaglianza] è che tutti noi, ricchi e poveri, paghiamo il prezzo di questo divario che si allarga. E che questa disuguaglianza non è inevitabile. Non è, come ha detto Rich ieri, come il tempo metereologico, qualcosa che semplicemente subiamo. Non è il risultato di leggi della natura o di leggi dell’economia. E’, piuttosto, qualcosa che creiamo noi, con le nostre politiche, con quello che facciamo.
Abbiamo creato questa disuguaglianza – l’abbiamo scelta, in realtà – con leggi che hanno indebolito i sindacati, che hanno eroso le paghe minime portandole al livello più basso, in termini reali, dagli anni ’50 a questa parte, con leggi che hanno consentito ai direttori generali di prendersi una fetta più grossa della torta dell’industria. Abbiamo reso quasi impossibile che l’indebitamento studentesco sia cancellato. Abbiamo sottoinvestito nell’istruzione. Abbiamo tassato i giocatori d’azzardo del mercato azionario con aliquote più basse di quelle dei lavoratori e incoraggiato investimenti all’estero piuttosto che in patria.
Diciamolo chiaramente: la nostra economia non funziona nel modo in cui dovrebbe funzionare un’economia che funzioni bene. Abbiamo vasti bisogni insoddisfatti, e tuttavia lavoratori e macchine inoperanti. Abbiamo studenti che hanno bisogno di un’istruzione del ventunesimo secolo ma stiamo licenziando gli insegnanti. Abbiamo case vuote e persone senzatetto. Abbiamo banche ricche che non finanziano le nostre piccole aziende ma invece usano la loro ricchezza e il loro ingegno per manipolare i mercati e sfruttare i lavoratori con prestiti predatori.
E’ evidente che la sola prosperità vera e sostenibile è una prosperità condivisa. Se potessimo garantire che chiunque voglia un lavoro e sia disponibile a lavorare duro potesse ottenerne uno, potremmo avere un’economia e una società che sia tanto egualitaria quanto più prospera.
Per ottenere ciò dobbiamo far crescere la nostra economia. Ma non possiamo farlo quando le paghe non crescono e mentre cresce l’insicurezza, con tagli incombenti all’assistenza sanitaria e all’assistenza sociale.
Se abbiamo regolatori o un capo della banca centrale che proteggono i posti di lavoro e i bonus dei banchieri piuttosto che i posti di lavoro e i diritti di tutti gli statunitensi, non realizzeremo ciò.
Non lo realizzeremo mediante irrazionali tagli alla spesa pubblica, che si tratti delle scuole, degli ospedali o dei vigili del fuoco. Questi sono modi per far restare malata la nostra economia. E un’economia in cui il 95% della crescita val all’1% al vertice può essere definita solo così: malata.
Ciò di cui abbiamo bisogno davvero e di investire nel nostro futuro: nell’istruzione, nella tecnologia e nelle infrastrutture.
E i nostri problemi sono più profondi di una crescita debole. Stiamo perdendo la capacità di definirci la terra delle opportunità. Eravamo così quando ciò che uno statunitense poteva ottenere nella vita era il risultato di quanto duramente lavorava. Oggi, dipende molto di più dalla famiglia in cui si nasce, dal suo reddito e dalle sue conquiste nell’istruzione. Ed è peggio negli Stati Uniti che quasi in ogni altro paese avanzato. Stiamo perdendo il ‘sogno americano’.
Se ridiventassimo la terra delle opportunità, potremmo trovare un modo per essere più uguali, più dinamici, più prosperi, e più equi.
Ma per ottenere questo abbiamo bisogno di mercati che funzionino come dovrebbero. Non possiamo permettere che monopolisti e l’1% utilizzino il loro potere per risucchiare ancor più del reddito del paese, di portarlo via agli statunitensi comuni.
La nostra democrazia è in pericolo. Alla disuguaglianza economica si accompagna la disuguaglianza politica. Abbiamo una Corte Suprema che dichiara che le imprese sono persone e dovrebbero avere il diritto incontrollato di spendere denaro per influenzare la politica. I nostri sindacati sono frenati. Piuttosto che un governo del popolo, stiamo diventando un governo dell’1%.
Sulla carta possiamo ancora sostenere l’uguaglianza e il principio ‘una persona – un voto’. Nella realtà alcune voci si sentono più forti – molto più forti – di altre. In conseguenza abbiamo sentito di gran lunga troppo da Wall Street, non abbastanza dalla gente comune e dai lavoratori statunitensi.
Piuttosto che la giustizia per tutti, ci stiamo dirigendo a un sistema di giustizia per quelli che possono permettersela. Abbiamo banche che sono non solo troppo grandi per fallire, ma troppo grandi per essere chiamate a rispondere delle loro responsabilità.
Centosessantacinque anni fa Lincoln disse: “Una casa divisa contro sé stessa non può stare in piedi”. Siamo diventati una casa divisa contro sé stessa, divisa tra il 99% e l’1%, tra i lavoratori, quelli e quelli che li sfruttano. Dobbiamo riunificare la casa, ma non è qualcosa che succederà da sé.
Succederà solo se i lavoratori si uniranno. Se si organizzeranno. Se si uniranno per combattere per ciò che sanno essere giusto, in ciascun luogo di lavoro e in tutti, in ciascuna comunità e in tutte, e in ogni capitale di stato e a Washington. Dobbiamo ripristinare non solo la democrazia a Washington, ma sul luogo di lavoro.
Accadrà solo quando i lavoratori si renderanno conto di essere proprietari di gran parte del capitale del nostro paese, attraverso i fondi pensione, ma che abbiamo permesso che questo capitale sia gestito in modi che sfruttano i lavoratori e i consumatori.
Noi accademici possiamo descrivere con le statistiche quello che sta succedendo, ma siete voi che sapete quello che sta succedendo attraverso quello che vedete e sperimentate ogni giorno.
La sfida che avete davanti è stata raramente più grande. Siete ancora una piccola frazione degli Stati Uniti. Ma siete in gruppo più vasto di rappresentanti della grande maggioranza degli statunitensi che lavorano duro e rispettano le regole.
Dovete far sì che altri si uniscano a voi, che collaborino con voi, che si organizzino con voi, che si battano con voi. Siete solo voi che potete far sentire la voce degli statunitensi comuni ed esigere ciò per cui avete lavorato così duramente. Insieme possiamo far crescere la nostra economia, rafforzare le nostre comunità, ripristinare il sogno americano e ripristinare la nostra democrazia: un governo non dell’1%, a favore dell’1% e ad opera dell’1%, bensì un governo di tutti gli statunitensi, per tutti gli statunitensi e ad opera di tutti gli statunitensi.
Joseph Stiglitz, Premio Nobel, è professore di economia alla Columbia University.
Fonte: http://www.zcommunications.org/stiglitz-inequality-is-making-our-politics-sick-by-joseph-stiglitz.html
Originale: Alternet
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
Sono un economista. Studio come le economie funzionano e non funzionano. Da molto tempo mi è chiaro che la nostra economia è malata. Uno dei motivi per cui è malata è la disuguaglianza e ho deciso di scrivere un articolo e un libro al riguardo.
Due anni fa ho scritto un articolo per Vanity Fair intitolato “Dell’1%, a opera dell’1%, a favore dell’1%” che in effetti centrava il problema. Troppo a lungo chi lavora duro e rispetta le regole ha visto la propria paga avvizzire o restare la stessa, mentre chi infrange la legge ha accumulato profitti e ricchezze enormi. Ciò ha reso malata la nostra economia, e anche la nostra politica.
Voi tutti conoscete i fatti: mentre la produttività dei lavoratori statunitensi è esplosa, i salari sono rimasti stagnanti. Avete lavorato duro, dal 1979 la vostra produzione oraria è aumentata del 40%, ma le paghe sono a malapena aumentate. Contemporaneamente l’1% al vertice ha portato a casa più del 20% del reddito nazionale.
La Grande Recessione ha peggiorato le cose. Alcuni dicono che la recessione è finita nel 2009. Ma per la maggior parte degli statunitensi ciò semplicemente non è vero: il 95% dei profitti dal 2009 al 2012 è andato all’1% superiore. Il resto – il 99% – non ha mai realmente recuperato.
Più di venti milioni di statunitensi che vorrebbero un lavoro a tempo pieno ancora non possono averne uno, i redditi sono ancora inferiori a quelli che erano un decennio e mezzo fa, la ricchezza nella fascia media è tornata al livello di due decenni fa. I giovani statunitensi affrontano una montagna di debiti per gli studi e prospettive tetre di occupazione.
Siamo diventati il paese avanzato con il più elevato livello di disuguaglianza, con la più grande divisione tra ricchi e poveri. Siamo soliti vantarci: eravamo il paese in cui tutti appartenevano alla classe media. Oggi quella classe media sta arretrando e soffre.
Il messaggio centrale del mio libro ‘The Price of Inequality’ [Il prezzo della disuguaglianza] è che tutti noi, ricchi e poveri, paghiamo il prezzo di questo divario che si allarga. E che questa disuguaglianza non è inevitabile. Non è, come ha detto Rich ieri, come il tempo metereologico, qualcosa che semplicemente subiamo. Non è il risultato di leggi della natura o di leggi dell’economia. E’, piuttosto, qualcosa che creiamo noi, con le nostre politiche, con quello che facciamo.
Abbiamo creato questa disuguaglianza – l’abbiamo scelta, in realtà – con leggi che hanno indebolito i sindacati, che hanno eroso le paghe minime portandole al livello più basso, in termini reali, dagli anni ’50 a questa parte, con leggi che hanno consentito ai direttori generali di prendersi una fetta più grossa della torta dell’industria. Abbiamo reso quasi impossibile che l’indebitamento studentesco sia cancellato. Abbiamo sottoinvestito nell’istruzione. Abbiamo tassato i giocatori d’azzardo del mercato azionario con aliquote più basse di quelle dei lavoratori e incoraggiato investimenti all’estero piuttosto che in patria.
Diciamolo chiaramente: la nostra economia non funziona nel modo in cui dovrebbe funzionare un’economia che funzioni bene. Abbiamo vasti bisogni insoddisfatti, e tuttavia lavoratori e macchine inoperanti. Abbiamo studenti che hanno bisogno di un’istruzione del ventunesimo secolo ma stiamo licenziando gli insegnanti. Abbiamo case vuote e persone senzatetto. Abbiamo banche ricche che non finanziano le nostre piccole aziende ma invece usano la loro ricchezza e il loro ingegno per manipolare i mercati e sfruttare i lavoratori con prestiti predatori.
E’ evidente che la sola prosperità vera e sostenibile è una prosperità condivisa. Se potessimo garantire che chiunque voglia un lavoro e sia disponibile a lavorare duro potesse ottenerne uno, potremmo avere un’economia e una società che sia tanto egualitaria quanto più prospera.
Per ottenere ciò dobbiamo far crescere la nostra economia. Ma non possiamo farlo quando le paghe non crescono e mentre cresce l’insicurezza, con tagli incombenti all’assistenza sanitaria e all’assistenza sociale.
Se abbiamo regolatori o un capo della banca centrale che proteggono i posti di lavoro e i bonus dei banchieri piuttosto che i posti di lavoro e i diritti di tutti gli statunitensi, non realizzeremo ciò.
Non lo realizzeremo mediante irrazionali tagli alla spesa pubblica, che si tratti delle scuole, degli ospedali o dei vigili del fuoco. Questi sono modi per far restare malata la nostra economia. E un’economia in cui il 95% della crescita val all’1% al vertice può essere definita solo così: malata.
Ciò di cui abbiamo bisogno davvero e di investire nel nostro futuro: nell’istruzione, nella tecnologia e nelle infrastrutture.
E i nostri problemi sono più profondi di una crescita debole. Stiamo perdendo la capacità di definirci la terra delle opportunità. Eravamo così quando ciò che uno statunitense poteva ottenere nella vita era il risultato di quanto duramente lavorava. Oggi, dipende molto di più dalla famiglia in cui si nasce, dal suo reddito e dalle sue conquiste nell’istruzione. Ed è peggio negli Stati Uniti che quasi in ogni altro paese avanzato. Stiamo perdendo il ‘sogno americano’.
Se ridiventassimo la terra delle opportunità, potremmo trovare un modo per essere più uguali, più dinamici, più prosperi, e più equi.
Ma per ottenere questo abbiamo bisogno di mercati che funzionino come dovrebbero. Non possiamo permettere che monopolisti e l’1% utilizzino il loro potere per risucchiare ancor più del reddito del paese, di portarlo via agli statunitensi comuni.
La nostra democrazia è in pericolo. Alla disuguaglianza economica si accompagna la disuguaglianza politica. Abbiamo una Corte Suprema che dichiara che le imprese sono persone e dovrebbero avere il diritto incontrollato di spendere denaro per influenzare la politica. I nostri sindacati sono frenati. Piuttosto che un governo del popolo, stiamo diventando un governo dell’1%.
Sulla carta possiamo ancora sostenere l’uguaglianza e il principio ‘una persona – un voto’. Nella realtà alcune voci si sentono più forti – molto più forti – di altre. In conseguenza abbiamo sentito di gran lunga troppo da Wall Street, non abbastanza dalla gente comune e dai lavoratori statunitensi.
Piuttosto che la giustizia per tutti, ci stiamo dirigendo a un sistema di giustizia per quelli che possono permettersela. Abbiamo banche che sono non solo troppo grandi per fallire, ma troppo grandi per essere chiamate a rispondere delle loro responsabilità.
Centosessantacinque anni fa Lincoln disse: “Una casa divisa contro sé stessa non può stare in piedi”. Siamo diventati una casa divisa contro sé stessa, divisa tra il 99% e l’1%, tra i lavoratori, quelli e quelli che li sfruttano. Dobbiamo riunificare la casa, ma non è qualcosa che succederà da sé.
Succederà solo se i lavoratori si uniranno. Se si organizzeranno. Se si uniranno per combattere per ciò che sanno essere giusto, in ciascun luogo di lavoro e in tutti, in ciascuna comunità e in tutte, e in ogni capitale di stato e a Washington. Dobbiamo ripristinare non solo la democrazia a Washington, ma sul luogo di lavoro.
Accadrà solo quando i lavoratori si renderanno conto di essere proprietari di gran parte del capitale del nostro paese, attraverso i fondi pensione, ma che abbiamo permesso che questo capitale sia gestito in modi che sfruttano i lavoratori e i consumatori.
Noi accademici possiamo descrivere con le statistiche quello che sta succedendo, ma siete voi che sapete quello che sta succedendo attraverso quello che vedete e sperimentate ogni giorno.
La sfida che avete davanti è stata raramente più grande. Siete ancora una piccola frazione degli Stati Uniti. Ma siete in gruppo più vasto di rappresentanti della grande maggioranza degli statunitensi che lavorano duro e rispettano le regole.
Dovete far sì che altri si uniscano a voi, che collaborino con voi, che si organizzino con voi, che si battano con voi. Siete solo voi che potete far sentire la voce degli statunitensi comuni ed esigere ciò per cui avete lavorato così duramente. Insieme possiamo far crescere la nostra economia, rafforzare le nostre comunità, ripristinare il sogno americano e ripristinare la nostra democrazia: un governo non dell’1%, a favore dell’1% e ad opera dell’1%, bensì un governo di tutti gli statunitensi, per tutti gli statunitensi e ad opera di tutti gli statunitensi.
Joseph Stiglitz, Premio Nobel, è professore di economia alla Columbia University.
Fonte: http://www.zcommunications.org/stiglitz-inequality-is-making-our-politics-sick-by-joseph-stiglitz.html
Originale: Alternet
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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