30/06/2010 di John King* in Controlacrisi
- Articolo in sostegno della "Lettera degli economisti" (www.economiaepolitica.it)
Un professore di economia politica sta concedendo una intervista radiofonica sulla grave situazione che il suo paese si trova a fronteggiare. È necessario incoraggiare la spesa dei consumatori, egli afferma, al fine di sostenere la produzione e l’occupazione. Se la società, al contrario, cerca di risparmiare maggiormente, il risultato sarà una caduta del reddito e una riduzione del risparmio. Questo è il “paradosso della parsimonia”.
La trasmissione ebbe luogo in Norvegia nel 1932, e l’intervistato era Ragnar Frisch, il quale nel 1969 avrebbe diviso il primo premio Nobel per l’economia con l’econometrista olandese Jan Tinbergen. L’argomentazione di Frisch è stata recentemente rievocata, con apprezzamento, da un altro premio Nobel, l’americano Lawrence Klein (2006, p. 171).
Nel 2008 sembrava che questa lezione keynesiana fosse stata appresa dai governi dell’Unione Europea, i quali incrementarono la loro spesa e si indebitarono per affrontare la Grande Recessione che minacciava di causare seri problemi alle loro economie.
Ora, nel 2010, quei governi sembrano avere dimenticato quella lezione, considerato che i ministri delle finanze, dalla Lettonia alla Grecia, dall’Ungheria all’Irlanda, stanno tagliando la spesa e incrementando le tasse in un vano tentativo di diminuire i deficit di bilancio e ridurre il debito pubblico.
Che questi sforzi saranno controproducenti è stato mostrato da Victoria Chick e Ann Pettibor nella loro eccellente analisi storica del debito pubblico inglese del Ventesimo secolo, la quale rivela che “la manovra fiscale restrittiva fa incrementare piuttosto che diminuire il livello del debito pubblico come quota del prodotto interno lordo ed è in generale associata a condizioni macroeconomiche avverse” (Chick e Pettifor 2010, p. 1).
Ciò è stato particolarmente vero per la “scure di Geddes” che fu utilizzata nei primi anni Venti. Le due autrici rivelano che nel 1946 il debito pubblico britannico era salito al 252% del prodotto interno lordo (ibid., p. 9) e che il successivo quarto di secolo costituì un’“età dell’oro” per l’economia britannica.
I suoi problemi derivavano da una cattiva amministrazione, ridotti investimenti, debole crescita della produttività nell’industria, una moneta sopravvalutata con le conseguenti difficoltà nella bilancia dei pagamenti; ma certo non dal debito del settore pubblico, che si mostrò irrilevante.
La giustificazione per la politica fiscale deflazionistica è presumibilmente fornita dal principio dell’“equivalenza ricardiana”, che in qualche modo corrisponde alla screditata dottrina delle “aspettative razionali”: si suppone che gli agenti economici calcolino le precise ricadute della spesa pubblica finanziata dal debito sui loro futuri obblighi fiscali, e conseguentemente incrementino i livelli di risparmio attuali e futuri.
Quel principio è stato decisamente confutato dall’esperienza dei pacchetti di “stimoli” fiscali introdotti nel 2008.
In effetti, lo stesso David Ricardo lo rigettò (Roberts 1942). Piuttosto, per ridurre il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, che nel 1815 (alla fine delle guerre napoleoniche) era effettivamente anormalmente alto, egli propose una imposta sul capitale.
La sua proposta fu ripresa un secolo più tardi da un altro grande economista liberale, A.C. Pigou. Egli affermò che non si trattava di “una rivoluzione rossa” (Pigou 1918, p. 156), ma che essa avrebbe assicurato che il peso dell’abbattimento del debito sarebbe ricaduto su coloro che erano in grado di sostenerlo, i ricchi, e non sui poveri.
Nel 2010, i governi “socialisti” e conservatori sembrano ugualmente decisi a fare il contrario. La storia suggerisce che non avranno successo, e che causeranno una gran quantità di inutili sofferenze e ingiustizie lungo la strada.
Bibliografia:
Chick, V. and Pettifor, A. 2010. ‘The economic consequences of Mr. Osborne’, www.debtonation.org/2010/06/the-economic-consequences-of-mr-osborne/ (consulted 10 June 2010).
Klein, L.R. 2006.’Paul Samuelson as a “Keynesian” economist’, in M. Szenberg, L. Ramrattan and A.A. Gottesman (eds), Samuelsonian Economics and the Twenty-First Century. Oxford: Oxford University Press, pp. 165-77.
Pigou, A.C. 1918. ‘A special levy to discharge war debt’, Economic Journal 28(110), June, pp. 135-56.
Roberts, R.O. 1942. ‘Ricardo’s theory of public debts’, Economica n.s. 9(35), August, pp. 257-66.
*La Trobe University, Australia. L’autore ha sottoscritto la Lettera degli economisti pubblicata da Economia e Politica. Per ogni informazione e per la versione inglese della lettera si rinvia al sito www.letteradeglieconomisti.it.
Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...
(di classe) :-))
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Francobolllo
Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.
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Europa, SVEGLIA !!
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