DI VLADIMIRO GIACCHE’ da ilfattoquotidiano.it
Sino a non molto tempo fa un viaggio in Cina era l’occasione per misurare le molte distanze tra “noi” e “loro”. Oggi se ne misura soprattutto un’altra: quella tra l’immagine della Cina offerta dai nostri media e la realtà di quel Paese.
La Cina che ho incontrato a luglio in un viaggio che ha toccato Pechino e diverse altre città, nel corso del quale ho potuto visitare numerose imprese e impianti industriali e discutere (molto apertamente) con esponenti del mondo della politica e dell’economia, è molto distante da quell’immagine. Soprattutto dal punto di vista economico.
La competizione non è più sul costoCominciamo dalla competitività delle imprese cinesi. Noi continuiamo a pensare che sia basata esclusivamente sul bassissimo costo del lavoro. È senz’altro vero che la Cina, con una popolazione di oltre 1 miliardo e 300 milioni di persone, ha potuto giovarsi per anni di abbondante manodopera a basso costo. È stato questo che ha attratto le 690 mila imprese straniere (400 le grandi multinazionali) che oggi hanno uffici e soprattutto fabbriche in Cina. In questi anni la crescita dell’economia è stata spettacolare.Ma lo è stata anche quella del reddito disponibile per la popolazione: nel 2009 è stato più che doppio nelle città rispetto a quello del 2002, e nelle campagne i poveri sono scesi dai 250 milioni del 1978 ai 20 milioni attuali. Inoltre quest’anno scioperi e proteste hanno investito molte fabbriche. E sono stati coronati da successo: alla Foxconn, gli aumenti salariali sono stati del 40%, cifre non molto inferiori sono state ottenute alla Honda e alla Omron.
La stampa ufficiale (il “Quotidiano del popolo” e il “China Daily”) ha preso apertamente posizione per gli scioperanti, e lo stesso hanno fatto diversi esponenti del partito comunista. La cosa non sorprende. Questi aumenti infatti non rispondono soltanto ad ovvie logiche di equità: sono funzionali alla creazione di un mercato interno. Puntare sul suo sviluppo è fondamentale per ridurre la dipendenza dell’economia cinese dalle esportazioni, ed è un obiettivo esplicito del governo. Non è un caso che negli ultimi mesi siano state più volte rilanciate dalla stampa ipotesi di un progetto governativo per un raddoppio delle retribuzioni in 5 anni.Yao Jian, portavoce del Ministero del commercio, già adesso non ha dubbi: “la forza lavoro a buon mercato non è più il maggiore vantaggio comparato della Cina per attrarre gli investimenti stranieri”.
Dopo aver visto come funzionano alcune aree di attrazione di quegli investimenti, penso che abbia ragione.Beibei, per esempio, è uno dei nove distretti della municipalità di Chongqing (33 milioni di abitanti), e si trova nella parte centro-occidentale della Cina, tuttora in ritardo di sviluppo rispetto all’est e alla zona costiera.
I potenziali investitori ricevono un volume con dettagliate informazioni sul distretto, i suoi istituti universitari, le tipologie di imprese già presenti negli 8 parchi industriali dell’area (oltre 2000, 345 delle quali di grandi dimensioni), le infrastrutture attuali e quelle che si stanno costruendo, i prezzi dei vari fattori di produzione (costo medio dei salari, ma anche prezzo di acqua, elettricità, gas) e le agevolazioni previste per chi investe. Nell’area è presente letteralmente di tutto: da grandi estensioni di terreno dedicate all’agricoltura biologica a un centro di acquacoltura gestito da una cooperativa agricola di produzione e vendita; da industrie farmaceutiche a fabbriche di motori e automobili.L’ossessione per l’energia verdeHo visitato la fabbrica di automobili Lifan. Privata, fondata nel 1992 con 9 dipendenti e un investimento di appena 200.000 renminbi (1 euro è pari a circa 8 rmb), oggi impiega 13.200 persone e costruisce auto, motori, motociclette, fuoristrada e autocarri. Nel 2009 il fatturato è stato di 13,3 miliardi di rmb, con profitti pari al 10% del fatturato. I suoi prodotti sono esportati in 160 nazioni, e quest’anno nel suo settore la Lifan è stata seconda solo a Chery quanto ad esportazioni.
Lifan ha già anche numerose fabbriche all’estero: in Vietnam, Thailandia, Turchia, Russia, Egitto ed Etiopia. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono pari al 4% del fatturato e in questi anni hanno consentito alla società di registrare qualcosa come 4448 brevetti. L’impianto di assemblaggio non ha nulla da invidiare a quelli occidentali, tanto in termini di macchinari utilizzati quanto di condizioni di lavoro.
Stessa musica a migliaia di chilometri di distanza, nella zona di sviluppo per industrie hi-tech di Weifang, nella penisola di Shandong: anche in quest’area di 39 kmq specializzata in elettronica, software e servizi avanzati, dove sono già insediate 130 imprese, ho trovato industrie di avanguardia. La Goer-Tek produce componentistica audio per imprese quali Nokia, Samsung, LG, Panasonic, Harman. Fondata nel 2001, fatturato e profitti sono decuplicati dal 2005 al 2008. In questo caso l’utile netto è superiore al 10% del fatturato.
Ha numerosi centri di ricerca e sviluppo, e quest’anno stima di riuscire a registrare 200 nuovi brevetti. La AOD (Advanced Optronic Devices) è invece specializzata in sistemi di illuminazione avanzata. Il Vicepresidente e Chief Operating Officer, Keen Chen, mi spiega che la società è stata fondata nel 2004 da un cinese residente all’estero, grazie alle particolari agevolazioni statali previste per il rientro degli espatriati. Oggi l’organico è di 600 persone. Le lampade a led prodotte da AOD consentono un risparmio di energia sino al 70% e durano cinquanta volte di più di una lampada normale (e 10 volte di più delle usuali lampade a basso consumo). L’illuminazione stradale che mi aveva colpito al mio arrivo a Weifang è tutta a led ed è il risultato delle lampade di AOD.
È facile immaginare cosa questo significhi in termini di risparmio energetico per una città di 8 milioni e 700 mila abitanti. L’attenzione a produzioni eco-compatibili accomuna le imprese del parco tecnologico di Weifang. Nella direzione generale della Weichai Power, società che costruisce motori diesel per automezzi, navi e generatori di energia (ma anche autocarri e componentistica per auto), ad esempio, un’intera sala è dedicata al motore “verde” a basse emissioni messo in produzione nel 2005. La Weichai Power è una società a prevalente partecipazione pubblica: quotata alle borse di Hong Kong e di Shanghai, ha lo Stato come primo azionista, con il 14% delle azioni. Esporta in Europa dagli anni Ottanta e nel 2009 ha acquisito una società francese, la Moteurs Baudouin. L’utile netto atteso per il 2010 dovrebbe superare il 12% dei ricavi (15 miliardi di rmb).
È invece privato il capitale della Byvin, un’impresa che costruisce biciclette, motocicli e auto con motore elettrico. Queste produzioni non sono un’eccezione. La Chery, il maggiore produttore cinese di automobili, sviluppa automezzi ibridi dal 2001, e dal 2009 ha prodotto la sua prima macchina completamente elettrica. Lo stesso ha fatto la Byd (che ha Warren Buffett tra i suoi azionisti).Sempre nello Shandong, a Qingdao, si trovano la direzione generale e gli stabilimenti di Haier.
Si tratta di una grande multinazionale cinese, quotata a Hong Kong ma tuttora di proprietà pubblica. Fondata nel 1984, ha cominciato ad internazionalizzarsi nel 1998. Oggi ha 29 impianti industriali nel mondo, di cui 24 all’estero, anche se i tre quarti del fatturato provengono dalla Cina. Nel 2009 è risultata prima al mondo nella vendita di elettrodomestici bianchi (frigoriferi e lavatrici), con una quota del 5,1% del mercato mondiale, battendo la Whirlpool.
Han Zhendong, membro del consiglio di sorveglianza, mi spiega che Haier ha raggiunto una quota di mercato del 10% nelle vendite di frigoriferi in Francia, ma – cosa molto più importante – nel 2009 ha accresciuto del 50% la quota di mercato dei propri prodotti di punta in Cina, grazie a 100.000 (!) punti vendita nelle campagne. Ha otto centri di ricerca e sviluppo tecnologico. Per la sua attenzione ai problemi ambientali ha ricevuto già nel 2000 il “Global Climate Award” dal programma UNDP dell’Onu.
Produce tra l’altro lavatrici a basso consumo di acqua e di energia, pannelli solari per riscaldamento e condizionatori d’aria a energia solare. Obiettivo: attirare capitali esteriUna prima conclusione: in Cina, a differenza di quanto siamo portati a credere, l’emergenza ambientale è presa molto sul serio. E non soltanto da parte delle imprese più avanzate. Anche la skyline di diverse città cinesi lo conferma. Dal treno ad alta velocità che mi riportava da Weifang a Pechino ho notato che praticamente tutte le case della città di Dezhou avevano il tetto coperto di pannelli solari: e in effetti il 95% delle abitazioni di quella città è dotato di scaldabagni ad alimentazione solare. Il produttore di pannelli è una società locale, la Himin Solar Energy.
La superficie della sua produzione ha già superato i 2 milioni di mq di pannelli, ossia il totale dei pannelli solari in uso nell’intera Unione Europea.Anche le multinazionali che operano in Cina sono state chiamate a fare la loro parte. Il 13 aprile scorso il governo ha pubblicato le "Opinioni su come continuare a fare un buon lavoro nell'utilizzo degli investimenti esteri". Il titolo del documento, come spesso accade in Cina, è piuttosto generico e indiretto: ma vi si delinea una vera e propria nuova politica nei confronti degli investimenti esteri in Cina.
Si intende incoraggiare gli investitori stranieri ad investire in produzioni manifatturiere di qualità, nei servizi, nell’energie alternative e nella protezione ambientale, e al contempo esercitare serie restrizioni sulle produzioni che comportano “inquinamento elevato, alto consumo di energia e elevata dipendenza dalle risorse naturali”.Siamo insomma di fronte ad una complessiva strategia nei confronti del problema ambientale.
Che può essere riassunta in uno slogan: trasformare il problema in opportunità. Si vuole fare della questione ambientale una leva per accelerare il progresso tecnologico, creare occupazione e accrescere la competitività. Per questo una parte non piccola dello stimolo economico messo in campo tra 2008 e 2009 contro la crisi è stata destinata a progetti ambientali, e adesso l’Amministrazione Nazionale dell’Energia ha fissato un piano di investimento nelle energie alternative per 5.000 miliardi di rmb tra il 2011 e il 2020. Si tratta di una cifra enorme, che consentirà di dotare la Cina, ed in particolare le sue aree di nuova industrializzazione, di tecnologie e infrastrutture di avanguardia a livello mondiale.
In questo campo, del resto, la Cina vanta già dei primati: i 6.920 km di linee ferroviarie ad alta velocità, ad esempio, sono già superiori a quelli di ogni altro Stato del mondo, ma li si vuole raddoppiare entro il 2012 con un investimento di 800 miliardi di rmb; i treni sono già i più veloci del mondo (350 km/h), ma nei prossimi anni la velocità massima sarà portata a 380 km/h. L’opportunità della crisiSul volo che mi riporta in un aeroporto del terzo mondo (Fiumicino) provo a tirare le somme di quello che ho visto. Crescente utilizzo di alta tecnologia a basso impatto ambientale, competitività sempre più basata sulla elevata produttività del lavoro anziché sul basso costo della forza-lavoro, manodopera qualificata, aumenti salariali al fine di creare un grande mercato interno, efficienza delle infrastrutture fisiche e amministrative (come lo sportello unico per le imprese che ho visto nel Comune di Qingdao: un solo interlocutore e 8 giorni per avviare un’impresa). In una parola: il contrario di quanto sta accadendo da noi.
La Cina ha trasformato la crisi mondiale in opportunità per ridurre la propria dipendenza dalle esportazioni e puntare sulla crescita accelerata del mercato interno, così come sta rovesciando il problema ambientale in opportunità per conquistare un primato tecnologico. Conclusione: la nostra immagine di una Cina che vince grazie al basso costo del lavoro e all’uso irresponsabile delle risorse naturali non è soltanto sbagliata, ma pericolosa. Perché ci impedisce di capire su quali nuovi terreni si gioca oggi la competizione globale. Molte imprese tedesche hanno capito la situazione e stanno riemergendo dalla crisi proprio grazie alle esportazioni in Cina. Da noi, invece, c’è ancora qualcuno che pensa di recuperare competitività abbassando i salari e peggiorando le condizioni di lavoro, anziché aumentando gli investimenti in ricerca. O producendo automobili in Serbia (a spese della Bers e del governo di Belgrado) per venderle in Italia.
Tanti auguri.
Vladimiro Giacchè
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/15.08.2010
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/15.08.2010
Nessun commento:
Posta un commento