Le confessioni di chi sopporta una solitudine mascherata: disagi e incomprensioni diventano insopportabili nell'aria di festa che le scadenze rituali impongono alle abitudini. Scatole di regali ma scatole vuote di sentimenti
Quando la famiglia non parla: Natale e Capodanno feste della depressione
di Luisa Barbieri - Fonte: Domani-Arcoiris
“Odio le feste di Natale, e lo scatto della lancetta di San Silvestro non ha senso, è solo una ricorrenza commerciale, l’inneggiamento allo sperpero, al vuoto… certamente non esprime il significato della festa cristiana! Per fare un esempio: all’interno della mia famiglia di origine impera il conflitto, ma in questo periodo, a mio avviso, in maniera molto ipocrita… ci si adopera per lo scambio dei regali, per organizzare la cena della vigilia sorridendo sotto l’albero carico di doni e sfavillante di luci gioiose… queste cose io proprio non le sopporto, scapperei lontano da tutto questo e … forse lo farò sapendo di incorrere nelle ire di tutti. Sai, sbattere in faccia la verità smascherando l’ipocrisia è un atto di coraggio e non viene ripagato se non con l’emarginazione” (L.T.)
“sono sola e in questo periodo mi sento ancora più sola. É come se tutti noi fossimo obbligati ad essere felici solo perché è natale… io mi sento ancora più triste” (A.F.)
“Chissà perché per me il Natale non è cene o tradizioni da dover rispettare, ma è semplicemente uno dei tanti giorni in cui le persone dovrebbero stare vicino a chi non sta bene, a chi è solo, è uno dei tanti modi di volersi bene e di riuscire ad avere scambi senza nessuna etichetta…
Quando la famiglia non parla: Natale e Capodanno feste della depressione
di Luisa Barbieri - Fonte: Domani-Arcoiris
“Odio le feste di Natale, e lo scatto della lancetta di San Silvestro non ha senso, è solo una ricorrenza commerciale, l’inneggiamento allo sperpero, al vuoto… certamente non esprime il significato della festa cristiana! Per fare un esempio: all’interno della mia famiglia di origine impera il conflitto, ma in questo periodo, a mio avviso, in maniera molto ipocrita… ci si adopera per lo scambio dei regali, per organizzare la cena della vigilia sorridendo sotto l’albero carico di doni e sfavillante di luci gioiose… queste cose io proprio non le sopporto, scapperei lontano da tutto questo e … forse lo farò sapendo di incorrere nelle ire di tutti. Sai, sbattere in faccia la verità smascherando l’ipocrisia è un atto di coraggio e non viene ripagato se non con l’emarginazione” (L.T.)
“sono sola e in questo periodo mi sento ancora più sola. É come se tutti noi fossimo obbligati ad essere felici solo perché è natale… io mi sento ancora più triste” (A.F.)
“Chissà perché per me il Natale non è cene o tradizioni da dover rispettare, ma è semplicemente uno dei tanti giorni in cui le persone dovrebbero stare vicino a chi non sta bene, a chi è solo, è uno dei tanti modi di volersi bene e di riuscire ad avere scambi senza nessuna etichetta…
Ma lasciamo stare, questo è stato un motivo di discussione con persone, che vivono, a mio avviso, con paraocchi e che per tradizione devono riunirsi tra di loro in una giornata qualsiasi, per un pranzo qualsiasi in ristoranti senza, alla fine, pensare che forse il Natale può essere vissuto in tanti modi di raccoglimento, ma soprattutto dovrebbe essere visto come unione, come amore e come serenità.” (G.M.)
Le persone che vivono disagi relazionali si avvicinano alle feste natalizie con l’animo appesantito da quelle che parrebbero essere le “richieste” sociali derivanti dalle festività così come vengono proposte-imposte. La gioia imposta assume la connotazione della ghigliottina, in quanto chi di questa gioia effimera legata più al consumismo che all’essenza della festività religiosa, non si sente parte, quasi per definizione, vive una sorta di emarginazione. Lo stesso stato d’animo emerge dall’imposto modello mediatico di famigliola perfetta che contrasta con la realtà con la quale, invece, ognuno di noi deve obbligatoriamente confrontarsi.
Non è possibile vivere e proiettarsi nella virtualità costruita “in laboratorio” in quanto esacerba l’incontro-scontro con la reale quotidianità fatta di momenti di felicità, ma anche di bollette da pagare; di successi, ma anche di fallimenti… di bellezze patinate e stereotipate verso l’originalità della gradevolezza a 360° della persona nella sua interezza.
Da bambini il Natale era (o è ancora ?) quella magia supportata dal percepirsi stretti in un grande abbraccio famigliare: sorrisi, auguri, regali… la bellissima fiaba di babbo natale … l’attesa che si trasforma in un gioco che ha il potere di durare per giorni interi, dalla preparazione dell’albero carico di lucette e del presepe, allo spacchettamento dei doni che “qualcuno”, Gesù Bambino o Babbo Natale a seconda dell’input famigliare, mette sotto l’albero illuminato o, se vogliamo, tanto per non essere retorici… nel camino.
I mercatini tanto affollati quanto luminosi, il profumo del croccante, le mille e mille cianfrusaglie in vendita e delle quali in questi giorni pare non si possa fare a meno. Strani personaggi vestiti in modo buffo, come pastori di altri tempi, che suonano uno strumento chiamato zampogna che appare come per magia solo in questo periodo dell’anno… babbi natale ad ogni angolo, in ogni ipermercato … fanno da cornice alla folla confusa ed irritata alla ricerca della gioia natalizia dentro ogni pacchetto addobbato da nastri colorati e luminescenti.
Per i bambini le fiabe sono indispensabili, e come dice Bettelheim (Bruno Bettelhein, “Il mondo incantato” Feltrinelli, 1977):
rispondono agli interrogativi eterni: qual è la vera natura del mondo? Come dovrò vivere la mia vita? Come posso essere davvero me stesso? Le fiabe lasciano che il bambino faccia lavorare la propria fantasia e decida se e come applicare a se stesso quanto viene rivelato dalla storia circa la vita e la natura umana [...]. La fiaba si conforma al modo in cui il bambino pensa e percepisce il mondo”anche se subisce gli insegnamenti razionali degli adulti e, visto che il suo pensiero, come suggerisce Piaget, rimane animistico sino alla pubertà, altro non fa che seppellire la sua “vera conoscenza” nel profondo dell’animo dove non rischia di venire scalfita dalla razionalità adulta, rimane, quindi, potente il ruolo della fiaba che tende a passare messaggi tesi verso la comprensione della vita razionale filtrata dal suo incanto.
Un passo verso la consapevolezza, seppur rimanendo nel mondo della fantasia, lo regala la fiaba di Andersen “La piccola fiammiferaia” che mostra il mondo illusorio della borghesia radunata intorno ad una tavola imbandita a festeggiare la festa dell’amore cristiano senza accorgersi di quella bambina che sta morendo di freddo, riscaldata solo dai suoi sogni e dall’amore, quello vero. A mio avviso questa fiaba è una delle più belle espressioni di queste festività, so che per molte persone la morte della bambina è solo una gran tristezza, io credo invece che voglia rappresentare la morte dell’illusione, dell’ipocrisia, della borghesia cieca ed incapace di accogliere se non ciò che viene imposto come elemento sociale consolidato
La Piccola Fiammiferaia – Hans Christian Andersen – Walt Disney
I bambini diventano adulti e non possono più (??) avvalersi dello schermo protettivo fornito dalle fiabe, almeno non possono avvalersene per tutto, conseguentemente tutto appare diverso, ci si guarda intorno e si comprende cosa è illusione e cosa realtà, almeno così dovrebbe essere. Il problema è che ci si omologa ad un pensiero unico che, come di consueto, non riesce a non passare attraverso la cruna dell’ago del profitto, un pensiero che ci obbliga ad essere felici in questi giorni di festa. La spinta sociale delirante è tesa a negare la sofferenza sino ad esaltarla in maniera retorica per riempire i vuoti affettivo-emotivi che ci caratterizzano.
Se in quei giorni non si è felici si incorre in una colpa sociale, quasi un atteggiamento disonesto, una sorta di tradimento del vissuto comune: non è tollerabile l’infelicità a Natale! Tutti si devono amare … davanti al presepe… perché basta spostarsi un po’ più in là, magari “scorgere rannicchiata tra i cumuli di immondizia quella bambina che si scalda con i fiammiferi, ma soprattutto con i sogni” che svanisce ogni sentimento buonista e riemerge il fastidio intollerabile che ci procura “il diverso”.
Non posso, però come clinico, non considerare il passaggio dall’infelicità, dalla melanconia alla depressione clinica reattiva e/o esacerbata dalle festività; la psichiatria si è occupata ampiamente del fenomeno giungendo alla considerazione che il Natale rappresenti un evento stressante (come potrebbe essere una perdita) e soprattutto possa incidere sfavorevolmente sulle persone che già soffrono di depressione o che attraversano fasi particolarmente difficili di vita con conseguenti risposte ipertrofiche ed avvilenti agli eventi.
Sin dal 1981 quando venne pubblicato sugli Archives of General Psychiatry il famoso articolo “Christmas and psychopathology. Data from a psychiatric emergency room population” si considera “l’effetto Natale” quale spina irritativa agente sull’abbassamento del tono dell’umore di persone che per l’appunto possono attraversare condizioni di vita sfavorevoli oppure come tali interpretate. In questo periodo dell’anno aumenta la richiesta di ricoveri in ambienti protetti e comunque di richieste di aiuto clinico soprattutto per le persone che soffrono di disturbi di relazione.
Vorrei aggiungere che sicuramente lo scombussolamento emotivo che procura l’idealizzazione retorica del Natale influisce sfavorevolmente, ma non possiamo dimenticare che alle nostre latitudini questa festa arriva in inverno, stagione di per se predisponente un basso tono dell’umore. Sottolinea il neurologo Rosario Sorrentino:
Mai come in questo periodo si registra un’incidenza così alta di depressione, a causa del cambio di stagione e delle abitudini, della riduzione della luce e soprattutto del confronto fra l’euforia collettiva e il proprio malessere. Questo clima di felicità a tutti i costi aggrava il disagio psichico preesistente, la persona si avvita su se stessa, guarda in maniera pessimistica il proprio passato e si sente sola. Le festività vengono vissute come uno spettro, perché spesso aggravano la sindrome del nido vuoto.
In effetti ciò che fa davvero tanta paura è la solitudine, vissuta come abbandonica. Sorrentino prosegue invitando ad approfittare del Natale per riappropriarsi della propria interiorità e vivere la solitudine come un’opportunità di riflessione:
Magari pensando che chi corre in giro a fare regali, o passa da una cena di colleghi a una di parenti è solo condannato ad apparire felice, ma in realtà è vittima di un elevato carico di stress.
Le persone che vivono disagi relazionali si avvicinano alle feste natalizie con l’animo appesantito da quelle che parrebbero essere le “richieste” sociali derivanti dalle festività così come vengono proposte-imposte. La gioia imposta assume la connotazione della ghigliottina, in quanto chi di questa gioia effimera legata più al consumismo che all’essenza della festività religiosa, non si sente parte, quasi per definizione, vive una sorta di emarginazione. Lo stesso stato d’animo emerge dall’imposto modello mediatico di famigliola perfetta che contrasta con la realtà con la quale, invece, ognuno di noi deve obbligatoriamente confrontarsi.
Non è possibile vivere e proiettarsi nella virtualità costruita “in laboratorio” in quanto esacerba l’incontro-scontro con la reale quotidianità fatta di momenti di felicità, ma anche di bollette da pagare; di successi, ma anche di fallimenti… di bellezze patinate e stereotipate verso l’originalità della gradevolezza a 360° della persona nella sua interezza.
Da bambini il Natale era (o è ancora ?) quella magia supportata dal percepirsi stretti in un grande abbraccio famigliare: sorrisi, auguri, regali… la bellissima fiaba di babbo natale … l’attesa che si trasforma in un gioco che ha il potere di durare per giorni interi, dalla preparazione dell’albero carico di lucette e del presepe, allo spacchettamento dei doni che “qualcuno”, Gesù Bambino o Babbo Natale a seconda dell’input famigliare, mette sotto l’albero illuminato o, se vogliamo, tanto per non essere retorici… nel camino.
I mercatini tanto affollati quanto luminosi, il profumo del croccante, le mille e mille cianfrusaglie in vendita e delle quali in questi giorni pare non si possa fare a meno. Strani personaggi vestiti in modo buffo, come pastori di altri tempi, che suonano uno strumento chiamato zampogna che appare come per magia solo in questo periodo dell’anno… babbi natale ad ogni angolo, in ogni ipermercato … fanno da cornice alla folla confusa ed irritata alla ricerca della gioia natalizia dentro ogni pacchetto addobbato da nastri colorati e luminescenti.
Per i bambini le fiabe sono indispensabili, e come dice Bettelheim (Bruno Bettelhein, “Il mondo incantato” Feltrinelli, 1977):
rispondono agli interrogativi eterni: qual è la vera natura del mondo? Come dovrò vivere la mia vita? Come posso essere davvero me stesso? Le fiabe lasciano che il bambino faccia lavorare la propria fantasia e decida se e come applicare a se stesso quanto viene rivelato dalla storia circa la vita e la natura umana [...]. La fiaba si conforma al modo in cui il bambino pensa e percepisce il mondo”anche se subisce gli insegnamenti razionali degli adulti e, visto che il suo pensiero, come suggerisce Piaget, rimane animistico sino alla pubertà, altro non fa che seppellire la sua “vera conoscenza” nel profondo dell’animo dove non rischia di venire scalfita dalla razionalità adulta, rimane, quindi, potente il ruolo della fiaba che tende a passare messaggi tesi verso la comprensione della vita razionale filtrata dal suo incanto.
Un passo verso la consapevolezza, seppur rimanendo nel mondo della fantasia, lo regala la fiaba di Andersen “La piccola fiammiferaia” che mostra il mondo illusorio della borghesia radunata intorno ad una tavola imbandita a festeggiare la festa dell’amore cristiano senza accorgersi di quella bambina che sta morendo di freddo, riscaldata solo dai suoi sogni e dall’amore, quello vero. A mio avviso questa fiaba è una delle più belle espressioni di queste festività, so che per molte persone la morte della bambina è solo una gran tristezza, io credo invece che voglia rappresentare la morte dell’illusione, dell’ipocrisia, della borghesia cieca ed incapace di accogliere se non ciò che viene imposto come elemento sociale consolidato
La Piccola Fiammiferaia – Hans Christian Andersen – Walt Disney
I bambini diventano adulti e non possono più (??) avvalersi dello schermo protettivo fornito dalle fiabe, almeno non possono avvalersene per tutto, conseguentemente tutto appare diverso, ci si guarda intorno e si comprende cosa è illusione e cosa realtà, almeno così dovrebbe essere. Il problema è che ci si omologa ad un pensiero unico che, come di consueto, non riesce a non passare attraverso la cruna dell’ago del profitto, un pensiero che ci obbliga ad essere felici in questi giorni di festa. La spinta sociale delirante è tesa a negare la sofferenza sino ad esaltarla in maniera retorica per riempire i vuoti affettivo-emotivi che ci caratterizzano.
Se in quei giorni non si è felici si incorre in una colpa sociale, quasi un atteggiamento disonesto, una sorta di tradimento del vissuto comune: non è tollerabile l’infelicità a Natale! Tutti si devono amare … davanti al presepe… perché basta spostarsi un po’ più in là, magari “scorgere rannicchiata tra i cumuli di immondizia quella bambina che si scalda con i fiammiferi, ma soprattutto con i sogni” che svanisce ogni sentimento buonista e riemerge il fastidio intollerabile che ci procura “il diverso”.
Non posso, però come clinico, non considerare il passaggio dall’infelicità, dalla melanconia alla depressione clinica reattiva e/o esacerbata dalle festività; la psichiatria si è occupata ampiamente del fenomeno giungendo alla considerazione che il Natale rappresenti un evento stressante (come potrebbe essere una perdita) e soprattutto possa incidere sfavorevolmente sulle persone che già soffrono di depressione o che attraversano fasi particolarmente difficili di vita con conseguenti risposte ipertrofiche ed avvilenti agli eventi.
Sin dal 1981 quando venne pubblicato sugli Archives of General Psychiatry il famoso articolo “Christmas and psychopathology. Data from a psychiatric emergency room population” si considera “l’effetto Natale” quale spina irritativa agente sull’abbassamento del tono dell’umore di persone che per l’appunto possono attraversare condizioni di vita sfavorevoli oppure come tali interpretate. In questo periodo dell’anno aumenta la richiesta di ricoveri in ambienti protetti e comunque di richieste di aiuto clinico soprattutto per le persone che soffrono di disturbi di relazione.
Vorrei aggiungere che sicuramente lo scombussolamento emotivo che procura l’idealizzazione retorica del Natale influisce sfavorevolmente, ma non possiamo dimenticare che alle nostre latitudini questa festa arriva in inverno, stagione di per se predisponente un basso tono dell’umore. Sottolinea il neurologo Rosario Sorrentino:
Mai come in questo periodo si registra un’incidenza così alta di depressione, a causa del cambio di stagione e delle abitudini, della riduzione della luce e soprattutto del confronto fra l’euforia collettiva e il proprio malessere. Questo clima di felicità a tutti i costi aggrava il disagio psichico preesistente, la persona si avvita su se stessa, guarda in maniera pessimistica il proprio passato e si sente sola. Le festività vengono vissute come uno spettro, perché spesso aggravano la sindrome del nido vuoto.
In effetti ciò che fa davvero tanta paura è la solitudine, vissuta come abbandonica. Sorrentino prosegue invitando ad approfittare del Natale per riappropriarsi della propria interiorità e vivere la solitudine come un’opportunità di riflessione:
Magari pensando che chi corre in giro a fare regali, o passa da una cena di colleghi a una di parenti è solo condannato ad apparire felice, ma in realtà è vittima di un elevato carico di stress.
Nessun commento:
Posta un commento