di Michel Husson* Fonte: AttacItalia.
Pubblicato domenica 16 Gennaio 2011
Gli effetti globali della crisi sono stati aggravati da quanto sta succedendo in Europa. Per trent’anni le contraddizioni del capitalismo sono state superate con l’aiuto di un enorme accumulo di diritti fantasma del plusvalore.
La crisi ha minacciato di distruggerli. I governi borghesi hanno deciso di preservarli affermando che dobbiamo salvare le banche. Si sono fatti carico dei debiti delle banche e non hanno chiesto praticamente nulla in cambio. Eppure sarebbe stato possibile condizionare questo salvataggio ad alcune garanzie. Avrebbero potuto vietare strumenti finanziari speculativi e abolire le scappatoie fiscali. Avrebbero persino potuto insistere sul fatto che si prendevano la responsabilità di parte del debito pubblico su cui ha gravato pesantemente questo salvataggio.
Ora siamo nella seconda fase. Avendo spostato il debito dal settore private a quello pubblico è la classe lavoratrice che ne paga lo scotto.
Ora siamo nella seconda fase. Avendo spostato il debito dal settore private a quello pubblico è la classe lavoratrice che ne paga lo scotto.
Questa terapia d’urto è applicata con piani di austerità che sono tutti molto simili – tagli alle spese socialmente utili e aumenti vertiginosi delle tasse più ingiuste. Non c’è alternativa a questa forma di violenza sociale tranne quella di far pagare azionisti e creditori. È evidente ed è una cosa che capiscono tutti.
Il Collasso del Piano della Classe Dirigente.
Ma alla classe lavoratrice europea viene anche chiesto di pagare per il collasso del progetto della classe dirigente a livello europeo. La classe dirigente ha pensato di aver trovato un buon sistema con una singola moneta, il patto di stabilità di bilancio (“Patto di Stabilità e Crescita”) e la totale deregolamentazione della finanza e del movimento del capitale. Creare concorrenza tra modelli sociali e lavoratori dipendenti tramite la riduzione dei salari è diventato l’unico modo di regolamentare la concorrenza inter-capitalistica e aumentare le ineguaglianze di cui ha beneficiato solo una minima parte della popolazione a livello sociale.
Tuttavia questo modello ha messo il carro dinanzi ai buoi e non era attuabile. Presupponeva che le economie europee dovessero essere più omogenee di quanto non siano in realtà. Le differenze tra gli stati sono aumentate per via della loro posizione sul mercato globale e della loro sensibilità al tasso di cambio dell’euro. I tassi d’inflazione non convergevano e i tassi d’interesse hanno favorito bolle speculative e così via. Tutte le contraddizioni di un programma ridotto d’integrazione europea che i liberali dell’Euro si trovano ad affrontare esistevano prima della crisi. Ma questi stanno andando in pezzi per via di attacchi speculativi contro i debiti sovrani dei paesi più deboli.
Dietro il concetto astratto di “mercati finanziari” ci sono soprattutto istituti finanziari europei che specula usando il capitale che gli stati prestano loro a tassi d’interesse particolarmente bassi. Questa speculazione è possibile soltanto per via della politica di non intervento dei singoli stati e la dobbiamo vedere come una pressione applicata a governi consenzienti per stabilizzare i bilanci a scapito dei popoli europei e per difendere gli interessi delle banche.
Due Compiti Immediati.
Dal punto di vista della classe lavoratrice è ovvio ciò che deve essere fatto: dobbiamo contrastare l’offensiva di austerità e rifiutarci di pagare il debito che non è altro che il debito derivante dalla crisi bancaria. Il piano alternativo su cui basare questa resistenza richiede un nuovo modo di condividere la ricchezza sociale. Questa è una domanda coerente. In realtà è contro l’abbassamento dei salari, in altre parole contro l’appropriazione di una parte crescente di plusvalore da parte del capitale.
L’alternativa richiede una vera riforma fiscale che si riprenda le concessioni che per anni sono state fatte a industriali e ricchi. Implica anche la cancellazione del debito. Il debito e gli interessi della maggioranza della popolazione sono incompatibili. Non ci può essere un’uscita progressiva dalla crisi che non metta in discussione il debito, sia attraverso la sua cancellazione o la sua ristrutturazione. In ogni caso alcuni stati probabilmente saranno inadempienti ed è importante quindi anticipare questa situazione e stabilire come debba essere gestita.
Lasciare l’Euro?
L’offensiva cui sono sottoposte le popolazioni europee è innegabilmente aggravata dai vincoli a livello europeo. Esempio: la Banca Centrale Europea, al contrario della Federal Reserve degli Stati Uniti, non può monetizzare il debito pubblico tramite l’acquisto di buoni del tesoro. Lasciare l’euro consentirà di alleggerire i vincoli? Questo è ciò che alcuni di sinistra come Costas Lapavitsas e compagni stanno suggerendo per la Grecia come passo immediato. Lui propone che venga fatto immediatamente senza aspettare che la sinistra si unisca per cambiare l’eurozona, qualcosa che pensa sia impossibile da realizzare.
Questa idea è avanzata in altre parti d’Europa e incontra l’obiezione immediata che anche se il Regno Unito non fa parte dell’eurozona questo non lo ha protetto dal clima di austerità. È anche facile da capire perché l’estrema destra, come il Front National in Francia, voglia lasciare l’euro. Al contrario è difficile capire quali possano essere i vantaggi di un simile slogan per la sinistra radicale. Se un governo liberale fosse costretto a prendere una simile misura in seguito alla pressione degli eventi è chiaro che sarebbe il pretesto per un’austerità ancora maggiore di quella che abbiamo sperimentato finora. Inoltre non ci consentirebbe di istituire un nuovo bilanciamento di forze che sia più favorevole alla classe lavoratrice. Questa è la lezione che possiamo trarre dalle esperienze passate.
Per un governo di sinistra lasciare l’euro sarebbe un errore strategico madornale. La nuova moneta si svaluterebbe poiché, dopotutto, è quello l’obiettivo desiderato. Ma questo lascerebbe immediatamente modo ai mercati finanziari di iniziare un’offensiva speculativa.Scatenerebbe un ciclo di svalutazione, inflazione e austerità. E come se non bastasse, il debito, che fino al quel momento era stato valutato in euro o in dollari subirebbe un aumento improvviso per via di questa svalutazione. Ogni governo di sinistra che decidesse di prendere misure a favore della classe lavoratrice subirebbe certamente un’enorme pressione da parte del capitalismo internazionale. Ma da un punto di vista tattico sarebbe meglio in questa prova di forza usare l’appartenenza all’eurozona come fonte di conflitto.
È fondamentalmente vero che il progetto europeo basato su una singola moneta è incoerente e incompleto. Rimuove una variabile di adeguamento, il tasso di cambio, dall’insieme dei vari prezzi e salari all’interno dell’eurozona. In questo modo gli stati periferici hanno la scelta tra il modello tedesco di blocco dei salari o affrontare una riduzione della concorrenza e perdita di mercati. Questa situazione porta a una sorta di impasse e non ci sono soluzioni che possono essere applicate contestualmente: tornare indietro getterebbe l’Europa in una crisi che colpirebbe maggiormente gli stati più deboli; e iniziare un nuovo progetto europeo al momento sembra fuori portata.
Se l’eurozona esplode, le economie più fragili verrebbero destabilizzate da attacchi speculativi. Neanche la Germania avrebbe molto da guadagnare perché la sua valuta aumenterebbe di valore senza controllo e il paese sperimenterebbe ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di imporre a parecchi stati con la loro politica monetaria.[1]
Esistono altre soluzioni che richiedono una completa ristrutturazione dell’Unione Europea: un bilancio che sia finanziato da una tassa comune sul capitale e che finanzi i fondi di armonizzazione e investimento socialmente ed ecologicamente utili e gli stati più ricchi devono aiutare quelli poveri a pagare il debito pubblico. Ma di nuovo questo risultato non è possibile nel breve periodo, non per la mancanza di piani alternativi ma perché la loro implementazione richiede un cambiamento radicale nel bilanciamento di forze a livello europeo.
Cosa dobbiamo fare in un momento così difficile?
Lottare contro i piani di austerità e rifiutare di pagare il debito sono i punti di partenza di una controffensiva. Dobbiamo quindi fare in modo di rafforzare la resistenza sostenendo un progetto alternativo e stilando un programma che offre sia risposte “pratiche” che una spiegazione generale del contenuto di classe della crisi.[2]
Il compito specifico di una sinistra radicale internazionalista è di collegare le lotte sociali portate avanti nei singoli paesi alle argomentazioni a favore di un’Europa diversa. Cosa stanno facendo le classi dirigenti? Stanno tenendo fede alle politiche da seguire perché difendono interessi che sono ancora in larga maggioranza su base nazionale e contraddittori. Eppure quando devono imporre misure di austerità alle proprie classi lavoratrici, presentano un fronte particolarmente unito.
Ci sono cose più importanti da rilevare che le vere differenze esistenti tra le nazioni. Quello che è in gioco è avere un punto di vista internazionalista sulla crisi europea. L’unico modo di opporsi davvero all’ascesa dell’estrema destra è suggerire altri obiettivi rispetto ai soliti capri espiatori. Possiamo istituire una vera solidarietà internazionale con i popoli che soffrono di più a causa della crisi chiedendo che i debiti siano condivisi equamente dai paesi europei. Quindi dobbiamo presentare un progetto alternativo di Europa rispetto a quello della borghesia europea che sta facendo arretrare ogni paese a livello sociale. Com’è possibile non capire che le nostre mobilitazioni, che si trovano davanti il coordinamento della classe dirigente a livello europeo, si devono basate su un progetto costruito autonomamente? È evidente che le lotte portate avanti a livello nazionale sarebbero rafforzate da una simile prospettiva invece di essere indebolite o portate in vicoli ciechi nazionalisti. Gli studenti che dimostravano a Londra cantando “Lottiamo tutti insieme, lottiamo tutti insieme” sono un simbolo di questa speranza vivente.
Il compito specifico di una sinistra radicale internazionalista è di collegare le lotte sociali portate avanti nei singoli paesi alle argomentazioni a favore di un’Europa diversa. Cosa stanno facendo le classi dirigenti? Stanno tenendo fede alle politiche da seguire perché difendono interessi che sono ancora in larga maggioranza su base nazionale e contraddittori. Eppure quando devono imporre misure di austerità alle proprie classi lavoratrici, presentano un fronte particolarmente unito.
Ci sono cose più importanti da rilevare che le vere differenze esistenti tra le nazioni. Quello che è in gioco è avere un punto di vista internazionalista sulla crisi europea. L’unico modo di opporsi davvero all’ascesa dell’estrema destra è suggerire altri obiettivi rispetto ai soliti capri espiatori. Possiamo istituire una vera solidarietà internazionale con i popoli che soffrono di più a causa della crisi chiedendo che i debiti siano condivisi equamente dai paesi europei. Quindi dobbiamo presentare un progetto alternativo di Europa rispetto a quello della borghesia europea che sta facendo arretrare ogni paese a livello sociale. Com’è possibile non capire che le nostre mobilitazioni, che si trovano davanti il coordinamento della classe dirigente a livello europeo, si devono basate su un progetto costruito autonomamente? È evidente che le lotte portate avanti a livello nazionale sarebbero rafforzate da una simile prospettiva invece di essere indebolite o portate in vicoli ciechi nazionalisti. Gli studenti che dimostravano a Londra cantando “Lottiamo tutti insieme, lottiamo tutti insieme” sono un simbolo di questa speranza vivente.
Per una Strategia europea
Il compito è difficile come il periodo aperto dalla crisi. Tuttavia la sinistra radicale non si deve trovare di fronte a una scelta impossibile e iniziare la rischiosa avventura di lasciare l’euro e una utopica idea di armonizzazione della valuta. Si potrebbe facilmente lavorare su alcuni obiettivi intermedi che sfidano le istituzioni europee. ad esempio:
· I paesi dell’Unione Europea dovrebbero prendere prestiti direttamente dalla Banca Centrale Europea (ECB) a un tasso di interesse molto basso e le banche del settore privato dovrebbero essere obbligate a farsi carico di una parte del debito pubblico.
· Dovrebbe essere implementato un meccanismo automatico che consenta al debito del settore pubblico di essere ammortizzato in proporzione alle agevolazioni fiscali per i ricchi e i soldi spesi per il salvataggio delle banche.
· La stabilizzazione del bilancio deve essere rivista tramite una riforma fiscale che tassa i movimenti di capitale, le transazioni finanziarie, i dividendi, le grandi fortune, i salari più alti e i redditi da capitale a un tasso standard in tutta Europa.
Dobbiamo capire che questi obiettivi non sono più vicini o lontani di una “uscita dall’euro” che andrebbe a vantaggio della classe lavoratrice. Sarebbe totalmente assurdo aspettarsi un’uscita simultanea e coordinata da parte di ogni paese europeo. L’unica ipotesi strategica che è possibile avanzare quindi si deve basare sull’esperienza di una trasformazione sociale che ha inizio in un singolo paese. Il governo del paese in questione adotta delle misure, ad esempio imponendo una tassa sul capitale. Se ha le idee chiare anticiperà la ritorsione di cui sarà oggetto e imporrà controlli sul capitale. L’adozione di una simile misura di riforma fiscale è apertamente in conflitto con le regole del gioco europeo. Non ha alcun interesse a lasciare unilateralmente l’euro. Questo sarebbe un madornale errore strategico perché la nuova valuta ricadrebbe immediatamente sotto attacco allo scopo di indebolire l’economia del paese “ribelle”.
Dobbiamo abbandonare l’idea che ci sono scorciatoie “tecniche”, pensare che il conflitto è inevitabile e costruire un equilibrio di forze favorevole di cui la dimensione europea è parte integrante. Un punto a favore è la capacità di ledere gli interessi capitalistici. Il paese che inizia può ristrutturare il debito, nazionalizzare capitale estero ecc. o minacciare di farlo.
I governi di “sinistra” di Papandreou in Grecia o Zapatero in Spagna non se lo sono neanche sognati.
Il principale punto a favore viene dal prendere misure comuni. Questo è completamente diverso dal classico protezionismo, che in pratica cerca sempre di guadagnare terreno erodendo parti del mercato globale. Ogni misura graduale d’altra parte è efficace al punto da essere condivisa da più paesi. Dobbiamo quindi parlare di una strategia basata su questa idea: siamo pronti a tassare il capitale e faremo i passi necessari per proteggere noi stessi. Ma speriamo anche che le misure da noi proposte siano adottate in tutta Europa.
Possiamo riassumere dicendo che piuttosto che vederli in opposizione tra loro dobbiamo riflettere attentamente sul collegamento tra la rottura del progetto neoliberale europeo e il nostro progetto di creare una nuova Europa.
Il principale punto a favore viene dal prendere misure comuni. Questo è completamente diverso dal classico protezionismo, che in pratica cerca sempre di guadagnare terreno erodendo parti del mercato globale. Ogni misura graduale d’altra parte è efficace al punto da essere condivisa da più paesi. Dobbiamo quindi parlare di una strategia basata su questa idea: siamo pronti a tassare il capitale e faremo i passi necessari per proteggere noi stessi. Ma speriamo anche che le misure da noi proposte siano adottate in tutta Europa.
Possiamo riassumere dicendo che piuttosto che vederli in opposizione tra loro dobbiamo riflettere attentamente sul collegamento tra la rottura del progetto neoliberale europeo e il nostro progetto di creare una nuova Europa.
Note
1 Michael Hudson, “U.S. ‘Quantitative Easing’ Is Fracturing the Global Economy”.
2 Bloco de Esquerda (Left Bloc) Portugal: “On the crisis and how to overcome it”, 23 maggio 2010.
Michel Husson is a frequent contributor to Global Research. Global Research, 10 gennaio 2011
http://socialistresistance.org
(traduzione di Flavia Vendittelli)
Fonte: http://www.contropiano.org/
Pubblicato domenica 16 Gennaio 2011
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