Fonte: senzasoste
Pubblichiamo una interessante analisi apparsa su infoaut.org direttamente da Londra. Una testimonianza diretta che spiega la composizione sociale dei rivoltosi in strada, la geografia del saccheggio e le motivazioni che vanno oltre l'uccisione del giovane da parte della polizia. Polizia che tra l'altro ha già ammesso che lo scontro a fuoco fu unilaterale perchè il ragazzo ucciso non sparò al poliziotto. Ci immaginamo se ciò fosse successo in Italia durante le rivolte e per mesi ed anni successivi la verità sarebbe stata prima nascosta e poi insabbiata. Ma a parte questo, l'approccio ad una prima analisi della jacquerie londinese deve innanzitutto, come ha scritto Nique la police nel suo ultimo editoriale, liberare il campo da preconcetti o categorie ormai indatte a spiegare questi fenomeni: i riot londinesi non sono un fenomeno totalmente asociale e impolitico, semplice pretesto per esprimere aggressività, esibizionismo e appropriazione di merci secondo una logica consumista ma nemmeno devono essere letti come il "sol dell'avvenire" o la resa dei conti delle masse verso il capitalismo. Questi riot sono fenomeni innanzitutto metropolitani anche se, come accaduto in Francia nelle banlieue, si espandono poi nelle maggiori città del paese. E' la rabbia cova sotto la cenere per anni, spesso decenni, per poi esplodere improvvisamente in occasione di un fatto che fa da detonatore. Ma, come spiega l'articolo che riportiamo qui sotto, non è nemmeno un caso che questi episodi accadano ciclicamente quando c'è un attacco significativo al welfare e ai sistemi redistributivi che chiude ancora di più ogni prospettiva a masse di poveri.
Siamo convinti che nei prossimi giorni il primo pensiero del ministero degli Interni inglese non sarà tanto quello di mantenere l'ordine e rassicurare la popolazione, questo si può fare in modo automatico aumentando la presenza di polizia nelle strade e con un buon marketing televisivo. Il pensiero dell'intelligence si concentrerà sull'impedire una qualsiasi saldatura tra questo tipo di proteste e una prospettiva politica. Faranno di tutto per impedire che la rabbia esca dal ghetto, che dopo la rabbia ci siano bagliori di consapevolezza o emancipazione, che dopo i quartieri il fuoco non arrivi nella City, cuore finanziario e criminale britannico. red. 11 agosto 2011
Ecco l'articolo che Federico Campagna ha scritto per Infoaut da Londra
Sono quasi quattrocento anni che una rivolta di queste dimensioni non si verifica a Londra. Quest’inverno, durante le manifestazioni degli studenti inglesi, la stampa internazionale aveva parlato di ‘riots’, di subbugli, di insurrezione. Un tipico caso di esagerazione giornalistica. Stavolta no.
Ma stavolta è diverso.
Le riots di questi giorni, iniziate sabato 7 agosto durante una manifestazione di protesta per l’uccisione di un giovane da parte della polizia, hanno un tono che ricorda più le banlieues parigine che la guerriglia urbana dei black bloc. Da tre giorni la capitale Britannica è attraversata da un’ondata di jacquerie semi-fantascientifiche, in cui i moti di folla da ancien regime si incontrano con i messaggi istantanei lanciati dai BlackBerries.
E così le riots si spandono nel nord e nel sud della città, come un’epidemia o una festa. Hackney, Seven Sisters, Camden, Peckham, Wood Green, Tottenham, Woolwich, Brixton, Ealing, Catford, Croydon e perfino Notting Hill. E poi anche fuori da Londra, a Birmingham, Leeds, Bristol e Liverpool. E non è ancora finita.
Ma chi sono queste migliaia di riottosi, intenti da giorni a incendiare palazzi, saccheggiare negozi e combattere la polizia? Ieri notte, nel quartiere di Peckham, al sud est della città, la risposta sembrava lampante. Sono giovani e vecchi, uomini e donne, bianchi e neri. Un segmento della popolazione veramente trasversale. Anni luce dalle manifestazioni degli studenti, in maggioranza bianca e middle class. La middle class, questa volta, se ne sta a casa, barricata dietro le finestre. Dei rivoltosi di questi giorni, se si vuole racchiuderli in un’unica definizione, si può dire una cosa soltanto: sono poveri. Vivono nei council estates, tragici casermoni di edilizia (im)popolare, nelle zone con il più alto tasso di povertà infantile (Croydon), contagio di AIDS (Peckham) e disoccupazione giovanile del paese. Nonché con il più alto tasso Europeo di famiglie di ragazze madri.
Ieri notte, intere famiglie sono scese per strada. I ragazzi, incappucciati, hanno bombardato con sassi e molotov la polizia, hanno scassinato gioiellerie, negozi di scommesse, filiali di prestiti di cash istantaneo, supermercati, catene di negozi di vestiti o di fast food. I ragazzi spaccavano le vetrine, la folla urlava, e, a centinaia, giovani e vecchi, donne e uomini, si lanciavano a saccheggiare quanto più possibile. Davanti una gioielleria su Rye Lane, un accrocchio di vecchi incitava le torme di adolescenti a scardinare le saracinesce. A missione compiuta, le loro voci flebili si sono unite agli ululati della folla. La gente vuole la roba. La vuole e basta. Come se non ci fosse altro modo per averla. O forse perché non c’è altro modo.
Ma quale roba? Niente di pirandelliana memoria. E nemmeno il pane. Non è un assalto ai forni. Si rubano vestiti di marca, schermi al plasma, forni a microonde, stereo, oltre, ovviamente, al denaro contante. Dopo decenni di pubblicità martellanti, di desideri gonfiati con marketing agli steroidi, la gente vuole le cose di ‘lusso’. Ma non ha i soldi per comprarla, il lavoro per avere i soldi, o l’educazione per avere un lavoro. Però ha le spranghe e i piedi di porco, che con le saracinesche dei negozi funzionano meglio di una carta di credito.
La polizia per strada è poca, sta nascosta dietro gli scudi e cerca di fare il minimo indispensabile per mantenere la calma. Di fronte a folle ben più agguerrite dei famigerati ‘anarchici’ dei moti studenteschi, i celerini giocano di ripiego, sotto una grandine di fuochi di artificio, bastoni, mattoni e quant’altro. Così facendo, per fortuna, in quartieri dove il ‘gun crime’ è alle stelle non si ancora è visto sparare un solo colpo di pistola contro le forze dell’ordine. Per ora, almeno. Da domani, si dice, la polizia arriverà armata.
Nel frattempo, nei telegiornali, politici di destra e di sinistra si affannano a condannare i disordini. Il leader della cosiddetta opposizione, Ed Milliband, invoca una risposta massiccia della polizia. Tutti convengono: quello che sta succedendo in Inghilterra è una questione di crimine generalizzato, non di politica. Strano, dal momento che la coincidenza tra queste rivolte e i tagli alla spesa sociale decisi dal governo conservato è quantomeno sospetta. Ancora più sospetta, se osserviamo come le principali rivolte degli ultimi trent’anni (1981, 1985-1986, 1991, 2011) sono tutte avvenute, immancabilmente, quando il governo è stato in mano ai Conservatives e le loro politiche hanno tagliato con brutalità ogni forma di Welfare e di redistribuzione.
E in tutto questo, la città resta col fiato sospeso. I negozianti barricano le porte e si raggruppano in squadre, armati di mazze da baseball e di spranghe. I ragazzi incappucciati appaiono e scompaiono a drappelli nelle zone più disparate della capitale. La polizia minaccia di usare le armi. Le famiglie fanno capolino dentro i negozi devastati e arraffano le ultime cose rimaste sugli scaffali. La middle class condanna con voce ferma. La working class (e la ‘unemployed class’, ben più numerosa), come al solito, non dice niente. Perché la classi più povere, da che mondo è mondo, non dicono mai niente. E quando parlano, lo fanno con voce sguaiata, spaventosa. Come diceva un acuto osservatore, negli anni ’60, ‘a riot is the language of the unheard’. Peccato che oggi, nel panorama politico Britannico, manchi un Martin Luther King in grado di capirlo. E di dirlo.
Federico Campagna, 9 Agosto 2011, London
Link: Inghilterra, crisi sociale senza precedenti
Link: I rivoltosi londinesi e il diritto al lusso
Link: La miccia accesa dell'impoverimento
Link: Daily Telegraph: "La rivolta degli ultimi"
Pubblichiamo una interessante analisi apparsa su infoaut.org direttamente da Londra. Una testimonianza diretta che spiega la composizione sociale dei rivoltosi in strada, la geografia del saccheggio e le motivazioni che vanno oltre l'uccisione del giovane da parte della polizia. Polizia che tra l'altro ha già ammesso che lo scontro a fuoco fu unilaterale perchè il ragazzo ucciso non sparò al poliziotto. Ci immaginamo se ciò fosse successo in Italia durante le rivolte e per mesi ed anni successivi la verità sarebbe stata prima nascosta e poi insabbiata. Ma a parte questo, l'approccio ad una prima analisi della jacquerie londinese deve innanzitutto, come ha scritto Nique la police nel suo ultimo editoriale, liberare il campo da preconcetti o categorie ormai indatte a spiegare questi fenomeni: i riot londinesi non sono un fenomeno totalmente asociale e impolitico, semplice pretesto per esprimere aggressività, esibizionismo e appropriazione di merci secondo una logica consumista ma nemmeno devono essere letti come il "sol dell'avvenire" o la resa dei conti delle masse verso il capitalismo. Questi riot sono fenomeni innanzitutto metropolitani anche se, come accaduto in Francia nelle banlieue, si espandono poi nelle maggiori città del paese. E' la rabbia cova sotto la cenere per anni, spesso decenni, per poi esplodere improvvisamente in occasione di un fatto che fa da detonatore. Ma, come spiega l'articolo che riportiamo qui sotto, non è nemmeno un caso che questi episodi accadano ciclicamente quando c'è un attacco significativo al welfare e ai sistemi redistributivi che chiude ancora di più ogni prospettiva a masse di poveri.
Siamo convinti che nei prossimi giorni il primo pensiero del ministero degli Interni inglese non sarà tanto quello di mantenere l'ordine e rassicurare la popolazione, questo si può fare in modo automatico aumentando la presenza di polizia nelle strade e con un buon marketing televisivo. Il pensiero dell'intelligence si concentrerà sull'impedire una qualsiasi saldatura tra questo tipo di proteste e una prospettiva politica. Faranno di tutto per impedire che la rabbia esca dal ghetto, che dopo la rabbia ci siano bagliori di consapevolezza o emancipazione, che dopo i quartieri il fuoco non arrivi nella City, cuore finanziario e criminale britannico. red. 11 agosto 2011
Ecco l'articolo che Federico Campagna ha scritto per Infoaut da Londra
Sono quasi quattrocento anni che una rivolta di queste dimensioni non si verifica a Londra. Quest’inverno, durante le manifestazioni degli studenti inglesi, la stampa internazionale aveva parlato di ‘riots’, di subbugli, di insurrezione. Un tipico caso di esagerazione giornalistica. Stavolta no.
Ma stavolta è diverso.
Le riots di questi giorni, iniziate sabato 7 agosto durante una manifestazione di protesta per l’uccisione di un giovane da parte della polizia, hanno un tono che ricorda più le banlieues parigine che la guerriglia urbana dei black bloc. Da tre giorni la capitale Britannica è attraversata da un’ondata di jacquerie semi-fantascientifiche, in cui i moti di folla da ancien regime si incontrano con i messaggi istantanei lanciati dai BlackBerries.
E così le riots si spandono nel nord e nel sud della città, come un’epidemia o una festa. Hackney, Seven Sisters, Camden, Peckham, Wood Green, Tottenham, Woolwich, Brixton, Ealing, Catford, Croydon e perfino Notting Hill. E poi anche fuori da Londra, a Birmingham, Leeds, Bristol e Liverpool. E non è ancora finita.
Ma chi sono queste migliaia di riottosi, intenti da giorni a incendiare palazzi, saccheggiare negozi e combattere la polizia? Ieri notte, nel quartiere di Peckham, al sud est della città, la risposta sembrava lampante. Sono giovani e vecchi, uomini e donne, bianchi e neri. Un segmento della popolazione veramente trasversale. Anni luce dalle manifestazioni degli studenti, in maggioranza bianca e middle class. La middle class, questa volta, se ne sta a casa, barricata dietro le finestre. Dei rivoltosi di questi giorni, se si vuole racchiuderli in un’unica definizione, si può dire una cosa soltanto: sono poveri. Vivono nei council estates, tragici casermoni di edilizia (im)popolare, nelle zone con il più alto tasso di povertà infantile (Croydon), contagio di AIDS (Peckham) e disoccupazione giovanile del paese. Nonché con il più alto tasso Europeo di famiglie di ragazze madri.
Ieri notte, intere famiglie sono scese per strada. I ragazzi, incappucciati, hanno bombardato con sassi e molotov la polizia, hanno scassinato gioiellerie, negozi di scommesse, filiali di prestiti di cash istantaneo, supermercati, catene di negozi di vestiti o di fast food. I ragazzi spaccavano le vetrine, la folla urlava, e, a centinaia, giovani e vecchi, donne e uomini, si lanciavano a saccheggiare quanto più possibile. Davanti una gioielleria su Rye Lane, un accrocchio di vecchi incitava le torme di adolescenti a scardinare le saracinesce. A missione compiuta, le loro voci flebili si sono unite agli ululati della folla. La gente vuole la roba. La vuole e basta. Come se non ci fosse altro modo per averla. O forse perché non c’è altro modo.
Ma quale roba? Niente di pirandelliana memoria. E nemmeno il pane. Non è un assalto ai forni. Si rubano vestiti di marca, schermi al plasma, forni a microonde, stereo, oltre, ovviamente, al denaro contante. Dopo decenni di pubblicità martellanti, di desideri gonfiati con marketing agli steroidi, la gente vuole le cose di ‘lusso’. Ma non ha i soldi per comprarla, il lavoro per avere i soldi, o l’educazione per avere un lavoro. Però ha le spranghe e i piedi di porco, che con le saracinesche dei negozi funzionano meglio di una carta di credito.
La polizia per strada è poca, sta nascosta dietro gli scudi e cerca di fare il minimo indispensabile per mantenere la calma. Di fronte a folle ben più agguerrite dei famigerati ‘anarchici’ dei moti studenteschi, i celerini giocano di ripiego, sotto una grandine di fuochi di artificio, bastoni, mattoni e quant’altro. Così facendo, per fortuna, in quartieri dove il ‘gun crime’ è alle stelle non si ancora è visto sparare un solo colpo di pistola contro le forze dell’ordine. Per ora, almeno. Da domani, si dice, la polizia arriverà armata.
Nel frattempo, nei telegiornali, politici di destra e di sinistra si affannano a condannare i disordini. Il leader della cosiddetta opposizione, Ed Milliband, invoca una risposta massiccia della polizia. Tutti convengono: quello che sta succedendo in Inghilterra è una questione di crimine generalizzato, non di politica. Strano, dal momento che la coincidenza tra queste rivolte e i tagli alla spesa sociale decisi dal governo conservato è quantomeno sospetta. Ancora più sospetta, se osserviamo come le principali rivolte degli ultimi trent’anni (1981, 1985-1986, 1991, 2011) sono tutte avvenute, immancabilmente, quando il governo è stato in mano ai Conservatives e le loro politiche hanno tagliato con brutalità ogni forma di Welfare e di redistribuzione.
E in tutto questo, la città resta col fiato sospeso. I negozianti barricano le porte e si raggruppano in squadre, armati di mazze da baseball e di spranghe. I ragazzi incappucciati appaiono e scompaiono a drappelli nelle zone più disparate della capitale. La polizia minaccia di usare le armi. Le famiglie fanno capolino dentro i negozi devastati e arraffano le ultime cose rimaste sugli scaffali. La middle class condanna con voce ferma. La working class (e la ‘unemployed class’, ben più numerosa), come al solito, non dice niente. Perché la classi più povere, da che mondo è mondo, non dicono mai niente. E quando parlano, lo fanno con voce sguaiata, spaventosa. Come diceva un acuto osservatore, negli anni ’60, ‘a riot is the language of the unheard’. Peccato che oggi, nel panorama politico Britannico, manchi un Martin Luther King in grado di capirlo. E di dirlo.
Federico Campagna, 9 Agosto 2011, London
Link: Inghilterra, crisi sociale senza precedenti
Link: I rivoltosi londinesi e il diritto al lusso
Link: La miccia accesa dell'impoverimento
Link: Daily Telegraph: "La rivolta degli ultimi"
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