di Galapagos * in Il Manifesto. Fonte: contropiano
Tra il 1979 e il 2007 il reddito dell'1% della popolazione più ricca è salito negli Usa del 275%. Quello del 20% più povero di appena il 18%
John Kenneth Galbraith nel suo celebre saggio «Il grande crollo», dedicato alla crisi del '29, identificava nella profonda sperequazione nella distribuzione dei redditi (l'1% della popolazione Usa si prendeva una fetta di torta del reddito pari a un terzo del Prodotto lordo) la causa prima di quella crisi. Insomma, non furono gli imbrogli finanziari (anche allora abbondanti) o la mancanza di controlli a far esplodere la grande crisi. Negli anni successivi al «grande crollo» le politiche di Roosvelt portarono a un parziale riequilibrio delle distribuzione dei redditi. E nel dopoguerra, la paura del comunismo e la diffusione delle politiche di welfare diedero un nuovo impulso positivo. Ma da una ventina di anni stiamo tornando alla situazione della fine degli anni '20. Secondo uno studio del Cbo,l'Ufficio di bilancio del Congresso, pubblicato ieri negli Usa, dal 1979 al 2007 la media dei redditi dell'1% delle famiglie più ricche si è quasi triplicato, aumentando del 275%, mentre quello della middle class è cresciuto di appena il 40%. Ovviamente, tutti i dati sono stati depurati della componente prezzi. Si tratta cioè di redditi reali. Anche se, come è noto, l'inflazione non è mai neutrale e tende a penalizzare categorie di redditi (persone) in base ai consumi.
Escluso l'1% più ricco, il reddito del 20% delle famiglie ai vertici della scala sociale è invece cresciuto del 60%. Sul versante opposto, il 20% della popolazione più povera ha visto aumentare negli stessi anni il suo reddito solo del 18%, ovvero poco più dello 0,5% l'anno. Insomma, gli indignati che rappresentano il «99%» della popolazione, hanno materiale in abbondanza per dimostrare la giustezza della loro protesta: ci sono masse di popolazione che non hanno reddito, lavoro e proprietà. E sono loro, i derelitti, le persone alle quali si vorrebbe far pagare una crisi nata con l'esplosione della finanza globale.
Ai dati sul reddito delle famiglie statunitensi non sono esaustive dei profondi squilibri non sole negli Usa, ma in tutto il mondo. Un recente Studio del Credit Suisse (una banca che di queste cose se ne intende) ha rivelato che meno dell'1% della popolazione mondiale nel 2011 controlla il 39% della ricchezza totale. In un solo anno la ricchezza dei più ricchi è salita del 3,4%. Il dato assoluto ci dice che 27,9 milioni di persone (e relative famiglie, ma in ogni caso meno dell'1% della popolazione mondiale) hanno una ricchezza superiore al milioni di dollari e posseggono un patrimonio complessivo di 89 trilioni di dollari. Ovvero, 89 mila miliardi di dollari con un incremento in un solo anno (non di crescita tumultuosa) di 20 mila miliardi di dollari.
Dove si trovano tutti questi milionari? La prima sorpresa è che nel 2011 il Vecchio Continente ha scavalcato gli Stati uniti per numero di milionari. Il 37,2% del totale mondiale infatti ha casa in Europa, contro il 37% che risiede in Nord America. Eppure, anche (e soprattutto) in Europa tutte le politiche economiche correttive sono indirizzate a far pagare la crisi ai ceti popolari, come dimostra quanto fatto in Grecia, in Portogallo, in Irlanda e come si cerca di fare in Italia.
Le cifre ci dicono, dunque, che il 74,2% dei ricchi del globo è concentrato in Europa e nel Nord America. Si tratta, in totale, di oltre 22 milioni di persone. Nel ricco Giappone, invece, i milionari (sempre in dollari) sono 3,1 milioni (l'11% del totale) mentre anche in Cina i milionari avanzano: sono 1 milione, oltre il 3% del totale, la stessa percentuale dell'Australia. Che, tuttavia, vista la popolazione, è il continente dove si conta il maggior numero di super ricchi.
Secondo calcoli del Credit Suisse, nei prossimi cinque anni la ricchezza mondiale dovrebbe crescere di circa il 50% (a 345 trilioni) e saranno i paesi emergenti quelli nei quali la crescita della ricchezza e dei milionari sarà più rapida. La globalizzazione, quindi, non produrrà un benessere diffuso, come molti cercano di dimostrare, ma porterà una profonda sperequazione, affossando in una vita senza speranza centinaia di milioni di persone.
da "il manifesto" del 27 ottobre 2011
Tra il 1979 e il 2007 il reddito dell'1% della popolazione più ricca è salito negli Usa del 275%. Quello del 20% più povero di appena il 18%
John Kenneth Galbraith nel suo celebre saggio «Il grande crollo», dedicato alla crisi del '29, identificava nella profonda sperequazione nella distribuzione dei redditi (l'1% della popolazione Usa si prendeva una fetta di torta del reddito pari a un terzo del Prodotto lordo) la causa prima di quella crisi. Insomma, non furono gli imbrogli finanziari (anche allora abbondanti) o la mancanza di controlli a far esplodere la grande crisi. Negli anni successivi al «grande crollo» le politiche di Roosvelt portarono a un parziale riequilibrio delle distribuzione dei redditi. E nel dopoguerra, la paura del comunismo e la diffusione delle politiche di welfare diedero un nuovo impulso positivo. Ma da una ventina di anni stiamo tornando alla situazione della fine degli anni '20. Secondo uno studio del Cbo,l'Ufficio di bilancio del Congresso, pubblicato ieri negli Usa, dal 1979 al 2007 la media dei redditi dell'1% delle famiglie più ricche si è quasi triplicato, aumentando del 275%, mentre quello della middle class è cresciuto di appena il 40%. Ovviamente, tutti i dati sono stati depurati della componente prezzi. Si tratta cioè di redditi reali. Anche se, come è noto, l'inflazione non è mai neutrale e tende a penalizzare categorie di redditi (persone) in base ai consumi.
Escluso l'1% più ricco, il reddito del 20% delle famiglie ai vertici della scala sociale è invece cresciuto del 60%. Sul versante opposto, il 20% della popolazione più povera ha visto aumentare negli stessi anni il suo reddito solo del 18%, ovvero poco più dello 0,5% l'anno. Insomma, gli indignati che rappresentano il «99%» della popolazione, hanno materiale in abbondanza per dimostrare la giustezza della loro protesta: ci sono masse di popolazione che non hanno reddito, lavoro e proprietà. E sono loro, i derelitti, le persone alle quali si vorrebbe far pagare una crisi nata con l'esplosione della finanza globale.
Ai dati sul reddito delle famiglie statunitensi non sono esaustive dei profondi squilibri non sole negli Usa, ma in tutto il mondo. Un recente Studio del Credit Suisse (una banca che di queste cose se ne intende) ha rivelato che meno dell'1% della popolazione mondiale nel 2011 controlla il 39% della ricchezza totale. In un solo anno la ricchezza dei più ricchi è salita del 3,4%. Il dato assoluto ci dice che 27,9 milioni di persone (e relative famiglie, ma in ogni caso meno dell'1% della popolazione mondiale) hanno una ricchezza superiore al milioni di dollari e posseggono un patrimonio complessivo di 89 trilioni di dollari. Ovvero, 89 mila miliardi di dollari con un incremento in un solo anno (non di crescita tumultuosa) di 20 mila miliardi di dollari.
Dove si trovano tutti questi milionari? La prima sorpresa è che nel 2011 il Vecchio Continente ha scavalcato gli Stati uniti per numero di milionari. Il 37,2% del totale mondiale infatti ha casa in Europa, contro il 37% che risiede in Nord America. Eppure, anche (e soprattutto) in Europa tutte le politiche economiche correttive sono indirizzate a far pagare la crisi ai ceti popolari, come dimostra quanto fatto in Grecia, in Portogallo, in Irlanda e come si cerca di fare in Italia.
Le cifre ci dicono, dunque, che il 74,2% dei ricchi del globo è concentrato in Europa e nel Nord America. Si tratta, in totale, di oltre 22 milioni di persone. Nel ricco Giappone, invece, i milionari (sempre in dollari) sono 3,1 milioni (l'11% del totale) mentre anche in Cina i milionari avanzano: sono 1 milione, oltre il 3% del totale, la stessa percentuale dell'Australia. Che, tuttavia, vista la popolazione, è il continente dove si conta il maggior numero di super ricchi.
Secondo calcoli del Credit Suisse, nei prossimi cinque anni la ricchezza mondiale dovrebbe crescere di circa il 50% (a 345 trilioni) e saranno i paesi emergenti quelli nei quali la crescita della ricchezza e dei milionari sarà più rapida. La globalizzazione, quindi, non produrrà un benessere diffuso, come molti cercano di dimostrare, ma porterà una profonda sperequazione, affossando in una vita senza speranza centinaia di milioni di persone.
da "il manifesto" del 27 ottobre 2011
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