Alcune volte, ristabilire il senso alle parole non è solo pedanteria terminologica. È un’operazione di verità. Le questioni terminologiche nascondono più profondi dissidi di concetto. E il concetto che sta dietro alla parola è una cosa seria. Ci permette di dare senso al mondo. Ordinarlo. Comprenderlo. Ma soprattutto trasformarlo. Dare forma coerente alla prassi. Tanto più adesso. Che invasi dalla fantasmagoria della forma merce e dalle maglie infrangibili dell’ordinamento capitalistico, siamo incapaci di intravedere alternative.
Salti storici. Viviamo in un eterno presente. Tutto ci sembra così immobile nella sua infinita liquidità. Il capitalismo assoluto-totalitario pone se stesso, viene a corrispondere al proprio concetto. Non lasciando spazio a nessun’altra forma, in un’inedita sussunzione reale. È in questo deserto concettuale che parole come ‘economia’ se da un lato invadono il nostro mondo verbale, dall’altro perdono ogni orizzonte di senso. De-concettualizzandosi. Intendiamoci. L’economia non è una cosa reale. È una disciplina. Né più né meno come l’astrologia. Un modo di dare senso al mondo e di dominarlo, nato tra XV e XVIII secolo. Il fatto che sia quantificabile, che la potenza delle formule matematiche gli dia senso, non ne fa un vincolo concreto.
I Greci banalmente, distinguevano tra oikonomia e kremata. L’una aveva a che fare con la gestione della casa, la riproduzione della famiglia. Aveva come campo semico il valore d’uso. Riguardava l’uomo, la società più in genere, la gestione della città, della polis. Il secondo termine aveva a che fare con il mondo delle cose, con il valore di scambio. Si configura come l’arte di accumulare ricchezza. All’origine della nascita della polis greca, con le sue leggi, i suoi ordinamenti, le sue spettacolari forme artistiche, letterarie e filosofiche, vi fu il ristabilimento della misura (metron) all’arricchimento smisurato (apeiron) prodotto dall’economia mercantile. Nessun miracolo greco, ma un prodotto delle condizioni socio-politiche dell’epoca. In quella spettacolare interazione tra idee e condizioni materiali della produzione.
Le prime riforme democratiche varate da Solone (638 a.C.-558 a.C.), riguardavano l’abolizione della schiavitù per debiti e l’allargamento della cittadinanza. Erano misure tese al ristabilimento del senso della totalità sociale perduta, basata su un nuovo principio politico fondato sul demos e sull’applicazione concreta del metron a tutti gli ambiti della vita collettiva e individuale. Ristabiliva il primato della politica sulla crematistica. Dell’economia (oikonomia) sul mondo delle cose. Del valore d’uso su quello di scambio. Della misura sul cattivo infinito. Questa misura era sì morale, etica. Era un atteggiamento dell’animo. Ma era soprattutto misura reale e concreta. Tendeva da un lato a controllare i consumi e forme di accumulazione (una sorta di comunismo ante litteram) e dall’altra ad indirizzare la produzione (come il socialismo) verso forme di ridistribuzione.
Il primato della politica sull’economia come oggi la intendiamo, fu all’origine di quelle straordinarie manifestazioni culturali e civiche con cui ancora oggi ci confrontiamo. E questo ci dà la misura della forza innovativa che oggi potrebbe generare una simile presa di posizione nel mondo. Sembra banale affermare questo primato in tempi di crisi manifesta. Ma ristabilire l’ordine dei termini a volte è propedeutico. Per immaginare il futuro. A partire dal passato.
Ciò che oggi chiamiamo economia non esiste. È un’astrazione non meno impalpabile della «fiducia» dei mercati. Esiste solo l’economia-politica, come già aveva intuito Marx. L’uomo, con tutte le sue manifestazioni ideali e materiali, produttore di società per vivere, nell’appropriazione del mondo delle cose. È questione di ristabilire le corrette gerarchie. In questo i Greci, possono ancora darci lezioni. Di oikonomia.
Salti storici. Viviamo in un eterno presente. Tutto ci sembra così immobile nella sua infinita liquidità. Il capitalismo assoluto-totalitario pone se stesso, viene a corrispondere al proprio concetto. Non lasciando spazio a nessun’altra forma, in un’inedita sussunzione reale. È in questo deserto concettuale che parole come ‘economia’ se da un lato invadono il nostro mondo verbale, dall’altro perdono ogni orizzonte di senso. De-concettualizzandosi. Intendiamoci. L’economia non è una cosa reale. È una disciplina. Né più né meno come l’astrologia. Un modo di dare senso al mondo e di dominarlo, nato tra XV e XVIII secolo. Il fatto che sia quantificabile, che la potenza delle formule matematiche gli dia senso, non ne fa un vincolo concreto.
I Greci banalmente, distinguevano tra oikonomia e kremata. L’una aveva a che fare con la gestione della casa, la riproduzione della famiglia. Aveva come campo semico il valore d’uso. Riguardava l’uomo, la società più in genere, la gestione della città, della polis. Il secondo termine aveva a che fare con il mondo delle cose, con il valore di scambio. Si configura come l’arte di accumulare ricchezza. All’origine della nascita della polis greca, con le sue leggi, i suoi ordinamenti, le sue spettacolari forme artistiche, letterarie e filosofiche, vi fu il ristabilimento della misura (metron) all’arricchimento smisurato (apeiron) prodotto dall’economia mercantile. Nessun miracolo greco, ma un prodotto delle condizioni socio-politiche dell’epoca. In quella spettacolare interazione tra idee e condizioni materiali della produzione.
Le prime riforme democratiche varate da Solone (638 a.C.-558 a.C.), riguardavano l’abolizione della schiavitù per debiti e l’allargamento della cittadinanza. Erano misure tese al ristabilimento del senso della totalità sociale perduta, basata su un nuovo principio politico fondato sul demos e sull’applicazione concreta del metron a tutti gli ambiti della vita collettiva e individuale. Ristabiliva il primato della politica sulla crematistica. Dell’economia (oikonomia) sul mondo delle cose. Del valore d’uso su quello di scambio. Della misura sul cattivo infinito. Questa misura era sì morale, etica. Era un atteggiamento dell’animo. Ma era soprattutto misura reale e concreta. Tendeva da un lato a controllare i consumi e forme di accumulazione (una sorta di comunismo ante litteram) e dall’altra ad indirizzare la produzione (come il socialismo) verso forme di ridistribuzione.
Il primato della politica sull’economia come oggi la intendiamo, fu all’origine di quelle straordinarie manifestazioni culturali e civiche con cui ancora oggi ci confrontiamo. E questo ci dà la misura della forza innovativa che oggi potrebbe generare una simile presa di posizione nel mondo. Sembra banale affermare questo primato in tempi di crisi manifesta. Ma ristabilire l’ordine dei termini a volte è propedeutico. Per immaginare il futuro. A partire dal passato.
Ciò che oggi chiamiamo economia non esiste. È un’astrazione non meno impalpabile della «fiducia» dei mercati. Esiste solo l’economia-politica, come già aveva intuito Marx. L’uomo, con tutte le sue manifestazioni ideali e materiali, produttore di società per vivere, nell’appropriazione del mondo delle cose. È questione di ristabilire le corrette gerarchie. In questo i Greci, possono ancora darci lezioni. Di oikonomia.
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