Portogallo, un anno con la troika -
Crisi del debito, intervento europeo, cambio di governo, protettorato tedesco sulla politica economica. Viaggio in un anno disastri per l'economia e la politica di Lisbona, quasi un paese modello per le politiche di austerità imposte della'Europa
Lo tsunami della crisi dei debiti sovrani si abbatte sul Portogallo a partire dall’ultimo trimestre del 2010 per raggiungere il suo apice nel marzo del 2011. Nel volgere di pochi giorni il governo cade, il parlamento è sciolto e, con un annuncio a sorpresa, il primo ministro dimissionario José Socrates, centrosinistra, dichiara lo stato di insolvenza e chiede l’intervento esterno della Troika – Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione Europea.
Questo significa che il negoziato per la concessione del prestito con la Troika si svolge al di fuori delle più elementari regole del gioco democratico. Né il vecchio parlamento, né il nuovo possono pronunciarsi su di un patto, il Memorandum, concordato tra un primo ministro dimissionario – che secondo la lettera delle costituzione avrebbe dovuto limitarsi al disbrigo dell’ordinaria amministrazione – dirigenti di partito e burocrati.
Dato il contesto in cui si è svolta la campagna elettorale, aprile-giugno 2011, la destra ha gioco facile a vincere anche se, in realtà, la vittoria è meno ampia di quanto ci si sarebbe potuti immaginare. Il Partido Social Democratico (Psd) governa ora in coalizione con l’altro partito di destra, il Centro Democratico Social (Cds-Pp) e ha una maggioranza parlamentare sicura.
Il prestito concesso dalla Troika è di 78 miliardi di euro, di cui 12 da convogliare al settore bancario e un’altra trentina dovrebbero servire allo stato per garantire i crediti emessi dalle banche; poi ci sono gli interessi che si dovranno pagare sul prestito: 5% per le tranches in arrivo dall’Fmi e 4% per il Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria.
Le politiche del governo si sono fin qui concentrate, sulla base del memorandum, sui tagli di spesa, sull’aumento delle entrate fiscali e su un ampio piano di privatizzazioni. Sul primo versante, i settori più colpiti riguardano welfare state, trasporto pubblico e stipendi pubblici. Questi ultimi sono stati ridotti, a seconda degli scaloni, di un 20% circa attraverso la cancellazione di tredicesime e quattordicesime – un provvedimento recentemente revocato dalla Corte costituzionale – a cui occorre aggiungere il 10% di taglio sui salari già effettuato dal precedente governo. Sul piano delle entrate fiscali la principale misura adottata è stata quella di aumentare, significativamente, le aliquote dell’Iva, contribuendo a ridurre il potere di acquisto di stipendi pubblici e privati e, quindi, a deprimere il consumo interno.
Quali sono stati gli esiti di un anno all’insegna delle politiche imposte dalla Troika? I risultati sono pessimi, gli indicatori economici sono unanimi. Ma, nonostante risultati al di sotto delle attese, la situazione di Lisbona viene vista bene, anzi, secondo il ministro dell’economia tedesco Philipp Rösler ciò che il governo di centro-destra guidato da José Passos Coelho sta facendo dovrebbe essere preso a mo’ di esempio dalla “pestifera” Grecia. Così, nonostante numeri da brivido, i leader mondiali si mostrano soddisfatti con i risultati ottenuti dal Portogallo: da Li Keqiang, vice-premier cinese, a Christine Lagarde direttrice del Fondo Monetario, passando per Olli Rehn, commissario agli Affari economici e monetari, e Herman Van Rompuy presidente del Consiglio d’Europa.
Vediamo i dati dell’economia, forniti dai siti del Banco de Portugal, dell’Instituto Nacional de Estatistica e dall’Instituto de Gestão da Tesouraria e do Crédito Público.
Gli elogi vanno all’aumento delle esportazioni? È vero, le esportazioni sono aumentate, ma l’indice della produzione industriale diminuisce del 6,7%. Il Portogallo ha esportato in aprile 2011 beni e servizi per 3.440.000 euro e, nell’aprile del 2012 per 3.535.000.
Due i prodotti che maggiormente hanno influenzato lo scorso trimestre l’aumento delle esportazioni: oro (+84%) e derivati dal petrolio (+26%). È un paradosso perché il Portogallo non ha né miniere né pozzi. Come può succedere? Semplice, il consumo interno di benzina diminuisce drasticamente e quindi la Galp, proprietaria della Petrogal, vende all’estero quello che una volta vendeva in casa. Per l’oro il discorso è più grave: una fitta rete di “compro oro” e la crisi dei bilanci familiari fa sì che le vere miniere siano le tasche vuote dei portoghesi, disposti a vendere i gioielli di famiglia, che si trasformano in esportazioni di metallo prezioso.
Il miglioramento del disavanzo nella bilancia dei pagamenti è in gran parte dovuto alla drastica riduzione delle importazioni che dai 5 miliardi dell’aprile dello scorso anno passano a 4 miliardi e mezzo nell’aprile scorso. La diminuzione riguarda un po’ tutti i settori, ma in alcuni mostra differenze più marcate: “materiale di trasporto e altri accessori” (-27%, da 2 miliardi circa a uno e mezzo) ma anche prodotti alimentari (-2,2%) e prodotti industriali di vario genere e tipo (-6,7% da 4,5 miliardi a 4 circa). Il consumo interno di prodotti alimentari si è ridotto nell’ultimo anno di quasi il 3%. Il risultato non è confortante e, con la diminuzione del potere di acquisto, le vendite al dettaglio sono calate del 5%.
Col calo della produzione, sale il tasso di disoccupazione, ora al 15%, e scendono i già bassi salari, ora pari in media a 808 euro al mese. Per far ripartire la produzione, in assenza di investimenti, si prova a scaricare sui lavoratori tutto il costo di un sistema arretrato; come ricorda Alvaro dos Santos Pereira, il ministro dell’economia venuto dal Canada, la riforma del lavoro entrata in vigore il 1º agosto 2012 porterà a una riduzione dei salari del 5,23% attraverso tagli di giornate festive (4, 2 laiche e 2 religiose), meno giornate di ferie (da 25 a 22), riduzione della remunerazione delle ore straordinarie, riduzione del sussidio di disoccupazione e riduzione dell’indennizzo per licenziamento senza giusta causa, che passa da una compensazione di 30 giorni di salario, a 20, per ogni anno lavorato.
Insomma, a trarne giovamento sarà l’indice di disuguaglianza che, nel 2011, ultimi dati disponibili, ci segnalavano come il 20% più ricco guadagnasse 5,7 volte più del 20% più povero; nel 2010 era al 5,6 e in Italia è al 5,2.
Intanto il Pil registra ulteriori record negativi: -1,2% nel trimestre aprile-giugno 2012, peggior risultato dal 2009, e una variazione di -3,3% su base annua. Ma non basta, il tasso di inflazione è al 3,3%, peggior dato dal 2004 e, quindi, anche gli affitti verranno ritoccati al rialzo del 3% (aumento che riguarda circa 650 mila nuclei familiari).
Economia di guerra in uno stato che, contrariamente a quanto accade in Grecia e, in parte, anche in Italia, si mostra solido e questo, ci sembra essere il punto vero di tutta la questione. Al momento, all’orizzonte dei cieli lusitani non sembrerebbe prospettarsi nessuna crisi e questo, paradossalmente, potrebbe salvare il Portogallo dal default, ma non i portoghesi dalla miseria ma, si sa, i due discorsi non sempre coincidono. Questo perché Vitor Gaspar, ministro delle finanze, sta facendo diligentemente tutti i compiti che gli sono stati prescritti, molto probabilmente con un qualche coordinamento con il ministero delle finanze tedesco.
Altro punto sottolineato da Rösler è il consenso che il governo ha saputo creare. Consenso non è la parola più appropriata, perché in realtà i portoghesi sono semplicemente terrorizzati e al momento il dissenso non ha ancora assunto forme consistenti, ma questo è quanto basta a un’Europa che ha un’idea molto particolare di democrazia.
Un dialogo, oramai datato, tra il ministro della finanze tedesco Wolfgang Schäuble e quello portoghese Vitor Gaspar, tutt’ora disponibile su Youtube, potrebbe forse fornire alcune chiavi interpretative. Il video era stato ripreso di nascosto durante una riunione dell’Eurogruppo dello scorso febbraio. Schäuble si mostra soddisfatto delle misure adottate dal suo omologo portoghese e promette un aiuto; una revisione dei tempi e dei modi per la restituzione del debito? Quel che è certo è che la Germania si mostrava disponibile con quello che è senza dubbio il suo allievo prediletto.
La sensazione è che, a meno di un crollo generalizzato dell’economia e, quindi, dell’euro, sia molto improbabile che Berlino lascerà precipitare il suo alunno prediletto negli inferi nei quali sta ora bruciando la Grecia. La Germania sta già aiutando il Portogallo a “riprendersi”, lo fa, ad esempio, aumentando la produzione, passata da 100 mila autovetture (Volkswagen) nel 2010 a 133 mila nel 2011 nello stabilimento di Palmela (produzione che rappresenta circa il 5% del totale delle esportazioni). Altri investimenti potrebbero arrivare, visto che un operaio portoghese riceve un salario medio di 650 euro.
Il problema è sia economico che politico. Economico perché la Germania cerca la sua Cina in Europa, non gli servono paesi granché sviluppati, purché abbiano forza lavoro a buon mercato e una classe dirigente compiacente. Non servono grandi intelligenze, maestranze preparate, perché nello stabilimento portoghese si assembla ciò che è progettato da altre parti. Probabilmente interessano poco i livelli di deficit, di disoccupazione, povertà o debito pubblico, perché in fondo questi dati sono un pretesto per imporre politiche favorevoli alla propria idea di Europa. E poi c’è un secondo aspetto che vale la pena tenere sempre a mente: politicamente, chi sostiene un’Europa su misura del liberismo più ortodosso, ha bisogno di un caso di successo e, apparentemente, sembrerebbe averlo trovato nel Portogallo.
Questo significa che il negoziato per la concessione del prestito con la Troika si svolge al di fuori delle più elementari regole del gioco democratico. Né il vecchio parlamento, né il nuovo possono pronunciarsi su di un patto, il Memorandum, concordato tra un primo ministro dimissionario – che secondo la lettera delle costituzione avrebbe dovuto limitarsi al disbrigo dell’ordinaria amministrazione – dirigenti di partito e burocrati.
Dato il contesto in cui si è svolta la campagna elettorale, aprile-giugno 2011, la destra ha gioco facile a vincere anche se, in realtà, la vittoria è meno ampia di quanto ci si sarebbe potuti immaginare. Il Partido Social Democratico (Psd) governa ora in coalizione con l’altro partito di destra, il Centro Democratico Social (Cds-Pp) e ha una maggioranza parlamentare sicura.
Il prestito concesso dalla Troika è di 78 miliardi di euro, di cui 12 da convogliare al settore bancario e un’altra trentina dovrebbero servire allo stato per garantire i crediti emessi dalle banche; poi ci sono gli interessi che si dovranno pagare sul prestito: 5% per le tranches in arrivo dall’Fmi e 4% per il Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria.
Le politiche del governo si sono fin qui concentrate, sulla base del memorandum, sui tagli di spesa, sull’aumento delle entrate fiscali e su un ampio piano di privatizzazioni. Sul primo versante, i settori più colpiti riguardano welfare state, trasporto pubblico e stipendi pubblici. Questi ultimi sono stati ridotti, a seconda degli scaloni, di un 20% circa attraverso la cancellazione di tredicesime e quattordicesime – un provvedimento recentemente revocato dalla Corte costituzionale – a cui occorre aggiungere il 10% di taglio sui salari già effettuato dal precedente governo. Sul piano delle entrate fiscali la principale misura adottata è stata quella di aumentare, significativamente, le aliquote dell’Iva, contribuendo a ridurre il potere di acquisto di stipendi pubblici e privati e, quindi, a deprimere il consumo interno.
Quali sono stati gli esiti di un anno all’insegna delle politiche imposte dalla Troika? I risultati sono pessimi, gli indicatori economici sono unanimi. Ma, nonostante risultati al di sotto delle attese, la situazione di Lisbona viene vista bene, anzi, secondo il ministro dell’economia tedesco Philipp Rösler ciò che il governo di centro-destra guidato da José Passos Coelho sta facendo dovrebbe essere preso a mo’ di esempio dalla “pestifera” Grecia. Così, nonostante numeri da brivido, i leader mondiali si mostrano soddisfatti con i risultati ottenuti dal Portogallo: da Li Keqiang, vice-premier cinese, a Christine Lagarde direttrice del Fondo Monetario, passando per Olli Rehn, commissario agli Affari economici e monetari, e Herman Van Rompuy presidente del Consiglio d’Europa.
Vediamo i dati dell’economia, forniti dai siti del Banco de Portugal, dell’Instituto Nacional de Estatistica e dall’Instituto de Gestão da Tesouraria e do Crédito Público.
Gli elogi vanno all’aumento delle esportazioni? È vero, le esportazioni sono aumentate, ma l’indice della produzione industriale diminuisce del 6,7%. Il Portogallo ha esportato in aprile 2011 beni e servizi per 3.440.000 euro e, nell’aprile del 2012 per 3.535.000.
Due i prodotti che maggiormente hanno influenzato lo scorso trimestre l’aumento delle esportazioni: oro (+84%) e derivati dal petrolio (+26%). È un paradosso perché il Portogallo non ha né miniere né pozzi. Come può succedere? Semplice, il consumo interno di benzina diminuisce drasticamente e quindi la Galp, proprietaria della Petrogal, vende all’estero quello che una volta vendeva in casa. Per l’oro il discorso è più grave: una fitta rete di “compro oro” e la crisi dei bilanci familiari fa sì che le vere miniere siano le tasche vuote dei portoghesi, disposti a vendere i gioielli di famiglia, che si trasformano in esportazioni di metallo prezioso.
Il miglioramento del disavanzo nella bilancia dei pagamenti è in gran parte dovuto alla drastica riduzione delle importazioni che dai 5 miliardi dell’aprile dello scorso anno passano a 4 miliardi e mezzo nell’aprile scorso. La diminuzione riguarda un po’ tutti i settori, ma in alcuni mostra differenze più marcate: “materiale di trasporto e altri accessori” (-27%, da 2 miliardi circa a uno e mezzo) ma anche prodotti alimentari (-2,2%) e prodotti industriali di vario genere e tipo (-6,7% da 4,5 miliardi a 4 circa). Il consumo interno di prodotti alimentari si è ridotto nell’ultimo anno di quasi il 3%. Il risultato non è confortante e, con la diminuzione del potere di acquisto, le vendite al dettaglio sono calate del 5%.
Col calo della produzione, sale il tasso di disoccupazione, ora al 15%, e scendono i già bassi salari, ora pari in media a 808 euro al mese. Per far ripartire la produzione, in assenza di investimenti, si prova a scaricare sui lavoratori tutto il costo di un sistema arretrato; come ricorda Alvaro dos Santos Pereira, il ministro dell’economia venuto dal Canada, la riforma del lavoro entrata in vigore il 1º agosto 2012 porterà a una riduzione dei salari del 5,23% attraverso tagli di giornate festive (4, 2 laiche e 2 religiose), meno giornate di ferie (da 25 a 22), riduzione della remunerazione delle ore straordinarie, riduzione del sussidio di disoccupazione e riduzione dell’indennizzo per licenziamento senza giusta causa, che passa da una compensazione di 30 giorni di salario, a 20, per ogni anno lavorato.
Insomma, a trarne giovamento sarà l’indice di disuguaglianza che, nel 2011, ultimi dati disponibili, ci segnalavano come il 20% più ricco guadagnasse 5,7 volte più del 20% più povero; nel 2010 era al 5,6 e in Italia è al 5,2.
Intanto il Pil registra ulteriori record negativi: -1,2% nel trimestre aprile-giugno 2012, peggior risultato dal 2009, e una variazione di -3,3% su base annua. Ma non basta, il tasso di inflazione è al 3,3%, peggior dato dal 2004 e, quindi, anche gli affitti verranno ritoccati al rialzo del 3% (aumento che riguarda circa 650 mila nuclei familiari).
Economia di guerra in uno stato che, contrariamente a quanto accade in Grecia e, in parte, anche in Italia, si mostra solido e questo, ci sembra essere il punto vero di tutta la questione. Al momento, all’orizzonte dei cieli lusitani non sembrerebbe prospettarsi nessuna crisi e questo, paradossalmente, potrebbe salvare il Portogallo dal default, ma non i portoghesi dalla miseria ma, si sa, i due discorsi non sempre coincidono. Questo perché Vitor Gaspar, ministro delle finanze, sta facendo diligentemente tutti i compiti che gli sono stati prescritti, molto probabilmente con un qualche coordinamento con il ministero delle finanze tedesco.
Altro punto sottolineato da Rösler è il consenso che il governo ha saputo creare. Consenso non è la parola più appropriata, perché in realtà i portoghesi sono semplicemente terrorizzati e al momento il dissenso non ha ancora assunto forme consistenti, ma questo è quanto basta a un’Europa che ha un’idea molto particolare di democrazia.
Un dialogo, oramai datato, tra il ministro della finanze tedesco Wolfgang Schäuble e quello portoghese Vitor Gaspar, tutt’ora disponibile su Youtube, potrebbe forse fornire alcune chiavi interpretative. Il video era stato ripreso di nascosto durante una riunione dell’Eurogruppo dello scorso febbraio. Schäuble si mostra soddisfatto delle misure adottate dal suo omologo portoghese e promette un aiuto; una revisione dei tempi e dei modi per la restituzione del debito? Quel che è certo è che la Germania si mostrava disponibile con quello che è senza dubbio il suo allievo prediletto.
La sensazione è che, a meno di un crollo generalizzato dell’economia e, quindi, dell’euro, sia molto improbabile che Berlino lascerà precipitare il suo alunno prediletto negli inferi nei quali sta ora bruciando la Grecia. La Germania sta già aiutando il Portogallo a “riprendersi”, lo fa, ad esempio, aumentando la produzione, passata da 100 mila autovetture (Volkswagen) nel 2010 a 133 mila nel 2011 nello stabilimento di Palmela (produzione che rappresenta circa il 5% del totale delle esportazioni). Altri investimenti potrebbero arrivare, visto che un operaio portoghese riceve un salario medio di 650 euro.
Il problema è sia economico che politico. Economico perché la Germania cerca la sua Cina in Europa, non gli servono paesi granché sviluppati, purché abbiano forza lavoro a buon mercato e una classe dirigente compiacente. Non servono grandi intelligenze, maestranze preparate, perché nello stabilimento portoghese si assembla ciò che è progettato da altre parti. Probabilmente interessano poco i livelli di deficit, di disoccupazione, povertà o debito pubblico, perché in fondo questi dati sono un pretesto per imporre politiche favorevoli alla propria idea di Europa. E poi c’è un secondo aspetto che vale la pena tenere sempre a mente: politicamente, chi sostiene un’Europa su misura del liberismo più ortodosso, ha bisogno di un caso di successo e, apparentemente, sembrerebbe averlo trovato nel Portogallo.
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