La decisione salva-spread della Banca renderà inutile l’intervento. Sicuramente fino a novembre; poi non si sa
La notizia che la Bce acquisterà titoli in quantità illimitata non è una notizia. Quando un banchiere centrale di fronte a un attacco speculativo al ribasso dice, come fece Draghi a fine luglio, che farà «tutto il necessario» per difendere l’euro, gli arzigogoli interpretativi sono superflui; non poteva voler dire altro che farà quello che solo adesso ha detto che farà. Il resto è tattica e sceneggiate.
Ma sono comunque interessanti le clausole della dichiarazione. E’ vero infatti che ha usato l’aggettivo «illimitato» per le quantità, cruciale per definire l’azione del «prestatore di ultima istanza». Ma ha limitato le scadenze ai soli titoli fino a tre anni. Le ragioni possono essere diverse: forse una maggiore sensibilità dei titoli con scadenze basse a fattori di rischio speculativi; o forse perché, essendo già nei portafogli delle banche come riserva, una loro conversione in conti correnti presso la Banca centrale non aumenta la base monetaria e quindi non minaccia, stante i timori della Bundesbank, fiammate inflazionistiche; o forse con l’intenzione di ammansire la Bundesbank delimitando l’ampiezza dell’intervento.
Draghi ha inoltre insistito molto sulla condizionalità, cioè sull’esigenza che i paesi i cui titoli necessitano di essere sostenuti debbano richiederlo ai due fondi di stabilizzazione, accettando le condizioni sulle politiche e sulle riforme. Nulla di nuovo anche qui. Draghi è un sostenitore convinto delle politiche di compressione sociale, taglio del welfare e dei salari; dall’intervista al Wall Street Journal di febbraio in poi ha ripetuto più volte che spetta ai governi, la «seconda gamba», attuare le cosiddette riforme. Eppure c’è un aspetto poco chiaro. Come aveva detto di recente, la Dichiarazione del 6 settembre riguarda interventi di emergenza per situazioni di emergenza. Ora, se ci fosse un attacco, difficilmente gli Stati coinvolti richiederebbero l’intervento, dato il costo politico della richiesta – l’intervento della Troika: Bruxelles, Fmi e Bce – prima che la situazione diventi insostenibile.
Ma a quel punto sarebbe improbabile che ci fosse tempo per tutta l’istruttoria; è più probabile che, data l’urgenza, la Bce intervenga prima che tutta la procedura del Memorandum d’intesa sia completata. Cosa succederebbe se ci fossero condizioni che un paese non fosse disposto ad accettare? La Bce lascerebbe affondare l’euro? Improbabile. Per di più c’è nella Dichiarazione un oscuro riferimento a programmi di intervento dei Fondi di stabilizzazione sul mercato primario, e non solo su quello secondario.
Restava un’unica linea difensiva anti-Draghi, per quanto pretestuosa. E cioè che l’acquisto di titoli di debiti sovrani, che comporta la creazione di moneta da parte della banca centrale, possa avere come conseguenza una crescita dell’inflazione. Ma Draghi ha neutralizzato in anticipo la critica dichiarando che, contestualmente, provvederà a sterilizzare l’eventuale aumento della quantità di moneta. Cioè se, da un lato, acquistasse titoli spagnoli o italiani da banche spagnole o italiane, contemporaneamente metterà in atto operazioni che riducano la quantità di moneta negli stessi paesi. Peraltro è difficile capire come, ad esempio, liquidare in euro i titoli di un fondo giapponese faccia aumentare i prezzi degli alimentari a Roma o a Madrid. Inoltre, si è già visto che l’aumento di liquidità delle banche dovuto alla precedente azione di Draghi, quella del rifinanziamento triennale, non si è trasformata in credito all’economia, e quindi in ripresa con tensioni sui prezzi.
Interessante è stata la reazione dei mercati alle dichiarazioni di Draghi, non tanto per la crescita delle borse italiane e spagnole, ovvia, quanto per l’asta andata male dei Bund tedeschi. Si tratta di una chiara conferma del fatto che vendere spagnolo o italiano, nei mesi scorsi, e acquistare tedesco non aveva nulla a che fare con i differenziali nei fondamentali macroeconomici o fiscali, bensì con l’aspettativa che la zona euro si rompesse. In questo caso, chi avesse acquistato Bund si sarebbe trovato in mano un titolo rivalutato. Se la prospettiva si fa dubbia non ha più senso, almeno per il momento, comprare tedesco.
La Dichiarazione di Draghi, come tutti si aspettano, renderà inutile l’intervento. Sicuramente fino a novembre; poi non si sa. Il punto dolente è che l’austerità sta marciando, e non si capisce proprio come i suoi effetti, che si svilupperanno con forza in inverno, potranno essere rovesciati a primavera, visti i nuovi tagli di bilancio già previsti per il 2013; pace Monti e il suo ottimismo. Stavolta è la dinamica recessiva reale che potrebbe retroagire sulle condizioni finanziarie e bancarie, peggiorandole, e quindi favorire una nuova stagione di attacco all’euro. Ma non prima dell’anno nuovo.
Ma sono comunque interessanti le clausole della dichiarazione. E’ vero infatti che ha usato l’aggettivo «illimitato» per le quantità, cruciale per definire l’azione del «prestatore di ultima istanza». Ma ha limitato le scadenze ai soli titoli fino a tre anni. Le ragioni possono essere diverse: forse una maggiore sensibilità dei titoli con scadenze basse a fattori di rischio speculativi; o forse perché, essendo già nei portafogli delle banche come riserva, una loro conversione in conti correnti presso la Banca centrale non aumenta la base monetaria e quindi non minaccia, stante i timori della Bundesbank, fiammate inflazionistiche; o forse con l’intenzione di ammansire la Bundesbank delimitando l’ampiezza dell’intervento.
Draghi ha inoltre insistito molto sulla condizionalità, cioè sull’esigenza che i paesi i cui titoli necessitano di essere sostenuti debbano richiederlo ai due fondi di stabilizzazione, accettando le condizioni sulle politiche e sulle riforme. Nulla di nuovo anche qui. Draghi è un sostenitore convinto delle politiche di compressione sociale, taglio del welfare e dei salari; dall’intervista al Wall Street Journal di febbraio in poi ha ripetuto più volte che spetta ai governi, la «seconda gamba», attuare le cosiddette riforme. Eppure c’è un aspetto poco chiaro. Come aveva detto di recente, la Dichiarazione del 6 settembre riguarda interventi di emergenza per situazioni di emergenza. Ora, se ci fosse un attacco, difficilmente gli Stati coinvolti richiederebbero l’intervento, dato il costo politico della richiesta – l’intervento della Troika: Bruxelles, Fmi e Bce – prima che la situazione diventi insostenibile.
Ma a quel punto sarebbe improbabile che ci fosse tempo per tutta l’istruttoria; è più probabile che, data l’urgenza, la Bce intervenga prima che tutta la procedura del Memorandum d’intesa sia completata. Cosa succederebbe se ci fossero condizioni che un paese non fosse disposto ad accettare? La Bce lascerebbe affondare l’euro? Improbabile. Per di più c’è nella Dichiarazione un oscuro riferimento a programmi di intervento dei Fondi di stabilizzazione sul mercato primario, e non solo su quello secondario.
Restava un’unica linea difensiva anti-Draghi, per quanto pretestuosa. E cioè che l’acquisto di titoli di debiti sovrani, che comporta la creazione di moneta da parte della banca centrale, possa avere come conseguenza una crescita dell’inflazione. Ma Draghi ha neutralizzato in anticipo la critica dichiarando che, contestualmente, provvederà a sterilizzare l’eventuale aumento della quantità di moneta. Cioè se, da un lato, acquistasse titoli spagnoli o italiani da banche spagnole o italiane, contemporaneamente metterà in atto operazioni che riducano la quantità di moneta negli stessi paesi. Peraltro è difficile capire come, ad esempio, liquidare in euro i titoli di un fondo giapponese faccia aumentare i prezzi degli alimentari a Roma o a Madrid. Inoltre, si è già visto che l’aumento di liquidità delle banche dovuto alla precedente azione di Draghi, quella del rifinanziamento triennale, non si è trasformata in credito all’economia, e quindi in ripresa con tensioni sui prezzi.
Interessante è stata la reazione dei mercati alle dichiarazioni di Draghi, non tanto per la crescita delle borse italiane e spagnole, ovvia, quanto per l’asta andata male dei Bund tedeschi. Si tratta di una chiara conferma del fatto che vendere spagnolo o italiano, nei mesi scorsi, e acquistare tedesco non aveva nulla a che fare con i differenziali nei fondamentali macroeconomici o fiscali, bensì con l’aspettativa che la zona euro si rompesse. In questo caso, chi avesse acquistato Bund si sarebbe trovato in mano un titolo rivalutato. Se la prospettiva si fa dubbia non ha più senso, almeno per il momento, comprare tedesco.
La Dichiarazione di Draghi, come tutti si aspettano, renderà inutile l’intervento. Sicuramente fino a novembre; poi non si sa. Il punto dolente è che l’austerità sta marciando, e non si capisce proprio come i suoi effetti, che si svilupperanno con forza in inverno, potranno essere rovesciati a primavera, visti i nuovi tagli di bilancio già previsti per il 2013; pace Monti e il suo ottimismo. Stavolta è la dinamica recessiva reale che potrebbe retroagire sulle condizioni finanziarie e bancarie, peggiorandole, e quindi favorire una nuova stagione di attacco all’euro. Ma non prima dell’anno nuovo.
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