Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

sabato 10 novembre 2012

L’Euro non come moneta unica ma come moneta comune

Christian Marazzi - sinistrainrete -

Intervento al convegno L'Europa verso la catastrofe?

Interverrò brevemente e direttamente in merito di quanto Klaus Busch ha, secondo me, realisticamente posto come problema, come dilemma, diciamo, come un rompicapo e cioè il fatto che l’euro sin dalla sua nascita è stata una costruzione monetaria, come dire, acefala. E di fatto ha funzionato come un veicolo di approfondimento delle divergenze all’interno della zona dell’euro fra paesi, diciamo, votati all’esportazione e paesi specializzati soprattutto in settori non esportabili, servizi. E che però proprio nella misura in cui ha portato alla situazione che conosciamo, rende addirittura difficile l’ipotesi di un suo superamento, di una uscita da questa moneta, da questa pseudo moneta che tanti problemi complicati sta creando e che è destinata a creare nel prossimo futuro.

Allora io sono d’accordo sulle difficoltà politiche di mobilitazione su un terreno che sia anche minimamente riformista, insomma. Le difficoltà dell’euro si ripercuotono anche sul piano interno degli stati membri e quindi anche dei movimenti. Ci sarà un passaggio, che credo sia essenziale, a maggio a Francoforte, ad una dimensione, ad un livello transnazionale che mi sembra assolutamente corretto e indispensabile, ma allo stesso tempo difficile. Questo vale anche se vogliamo ragionare, per esempio, sui punti messi a programma da Busch, e cioè una spinta in direzione della crescita. L’idea di instaurare gli eurobonds, queste obbligazioni di mutualizzazione del debito, del finanziamento del debito, le politiche di coordinamento dei salari, della spesa pubblica. Un governo comune dunque, e poi questo asse, che ora asse tanto non è, perché mi sembra che sia centrato prevalentemente sulla Germania. Poi da ultimo la regolazione dei mercati. Credo che questo però ci inviti ad essere piuttosto precisi su cosa sia l’euro e soprattutto quali siano i margini di riforma che l’euro concede o lascia anche solo intravedere. Ecco, io penso che qui si debba essere piuttosto chiari sul fatto che l’euro è la quintessenza di quello che i teorici neoclassici, i monetaristi, hanno da sempre teorizzato. Ricordo che l’euro di fatto è una specie di traduzione pratica delle teorie di Robert Mundell, scritte appunto alla fine degli anni sessanta, primi anni settanta, ed è una costruzione pratica, una traduzione pratica di una concezione della moneta per la quale la libera concorrenza, la libertà di movimento dei capitali, insomma, la dinamica dei prezzi esclude la necessità, il bisogno di una politica monetaria indipendente. Quindi da questo punto di vista c’è una coerenza, secondo me, perfetta nell’euro in quanto moneta diciamo “monetarista”, secondo i precetti e la teoria della moneta, della teoria monetaria neoclassica. Questo ha portato di fatto, in questo ultimo decennio, a pagare, a verificare tutta una serie di conseguenze di questo agire. Vorrei ricordare anche che questa concezione della moneta, per certi versi e paradossalmente, oggi scopriamo che ha pesato anche sulla sinistra. Per esempio, penso alle teorie basate sull’essenzialismo della moneta di Michel Aglietta e André Orléan, che vedevano (ma oggi si ricredono) nella moneta, nella sua centralità la possibilità tutto sommato di omogeneizzare ciò che in origine era eterogeneo, cioè di portare attraverso l’agire della moneta a superare queste divergenze su vari piani salariali, di produttività, di spese pubbliche. Ecco questo si è rivelato un approccio, una visione sbagliata. Noi sappiamo che negli ultimi dieci anni queste divergenze sono aumentate, pensate soltanto a cosa è successo ai bilanci commerciali, per esempio, dei vari stati del nord e del sud della zona euro che han visto veramente la forbice aprirsi ancora di più. Perché dico questo? Perché se vogliamo ragionare in termini di riforma dobbiamo in un certo senso prendere di petto la questione. La mia idea, la mia posizione è che questo euro non è riformabile. Non è riformabile non solo per le difficoltà politiche che appunto sono state richiamate, evocate da Klaus Busch. A parte il fatto che è una moneta che è inscritta, almeno le sue logiche sono inscritte, nella costituzione tedesca e adesso addirittura nelle varie costituzioni attraverso la questione del pareggio di bilancio. Però a parte questo aspetto che è fondamentale, una riforma di questo euro non è secondo me possibile perchè è stato concepito dal punto di vista strumentale della Germania. Io credo che sia importante tornare alle origini storiche dell’euro per vedere come l’uso tedesco dell’euro, così come l’abbiamo visto e così com’è stato costruito, era del tutto funzionale ad un certo tipo di situazione economica e sociale interna alla Germania. Guardate che è molto importante capire che c’è un legame strutturale fra le logiche dell’euro e quella che è la situazione economica e anche demografica. E’ sempre importante ricordare che la Germania è un paese vecchio, è un paese vecchio dal punto di vista demografico. Ha scelto già 14 anni fa la via di un sistema pensionistico a capitalizzazione, che non può accettare, ammettere un prelevamento del risparmio dall’esterno e che quindi esclude di fatto un trasferimento, un transfert union, l’ipotesi federalista del trasferimento di risorse e che quindi resiste duramente a qualsiasi ipotesi di politiche legate appunto alle misure di solidarietà tipiche, che esistono all’interno di ogni stato, di trasferimento di risorse dai settori o dalle regioni che tirano a quelle che invece si trovano in difficoltà. Quindi, c’è un problema serio che rende questo euro da una parte la quintessenza della moneta in termini neoclassici, ma dall’altra, allo stesso tempo una moneta che ha funzionato di fatto, fino alla crisi del 2008, per assicurare un determinato equilibrio basato sulle caratteristiche strutturali dell’economia tedesca. Quindi secondo me è per questo motivo che, per esempio, l’ipotesi degli eurobonds la scarterei in partenza, al di là di quello che si spera, cioè che questo comporterebbe una riduzione dei tassi di interesse a tutto vantaggio di coloro che oggi subiscono, che devono pagare dei tassi molto elevati. Questo non è vero, i mercati tirerebbero su i tassi d’interesse, forse un pochino meno, ma li tirerebbero o li farebbero alzare a dei livelli che sicuramente sono inaccettabili per un paese come la Germania o come l’Austria.

Quindi direi di non illudersi su queste ipotesi, che sono sì condivisibili, ma sono teoriche. I mercati non funzionano mica così, mettendo insieme le obbligazioni pubbliche di paesi diversi non ragionano in termini di media, ragionano in termini di aumento del rischio che comunque gli eurobonds non eliminerebbero. Diciamo che parlare di un’uscita dall’euro significa anche un’altra cosa, secondo me, significa probabilmente dover assumere l’ipotesi che questo euro salterà di per sé. Cioè, credo che ci stiamo avviando, di fatto, con questa scelta delle politiche di austerità, e con questa sindrome greca che si sta espandendo all’Italia, alla Spagna, al Portogallo, verso una rottura dell’euro. Poi io sostengo, so che Riccardo Bellofiore l’ha fatto già tempo fa, che comunque qui ci si avvia, e qui insisto, inevitabilmente, verso la rottura dell’euro in due zone euro. Penso in effetti che saranno gli stessi paesi del sud, Francia compresa, a chiedere alla Germania di uscire dall’euro, perché questa situazione non è sostenibile e lo sarà sempre di meno e quindi si arriverà ad uno scenario del genere. E’ semplicemente per dire che una delle difficoltà a riformare l’euro è che l’euro non sarà riformabile perché salterà prima ancora di poter essere riformato. L’ultima cosa che voglio dire è che, secondo me, i movimenti devono porsi (comunque deve affrontarla il pensiero critico) la questione di una riforma radicale del sistema monetario europeo, così come ce la siamo posta per anni per quanto riguarda il sistema monetario internazionale.

Credo per esempio che bisogna pensare non più all’euro come moneta unica ma all’euro come moneta comune. Penso che un modo sensato per porsi la questione del superamento delle contraddizioni dell’euro sia quello di pensare ad un sistema di monete, come dire, nazionali legate da tassi di cambio fissi ma aggiustabili, al quale si aggiunge la moneta comune, una sorta di bancor europeo, di eurobancor che garantisca la simmetria negli scambi e la possibilità di veicolare effettivamente il potere d’acquisto invece che di veicolare debiti non estinguibili. La butto lì questa cosa, è una cosa sulla quale economisti, studiosi del denaro, lavorano da tempo. Penso però che se vogliamo ragionare in termini di lotta contro gli effetti dell’euro dobbiamo anche porci sullo sfondo la questione della riforma del sistema monetario europeo in questa situazione. Allora, riassumo. Penso che combattere oggi all’interno del capitalismo finanziario contro il capitalismo finanziario significa combattere l’euro. Non è possibile distinguere le due cose. L’euro è una traduzione monetaria di quelle che sono le logiche, le ferree logiche del capitalismo finanziario. Lottare contro l’euro significa essere assolutamente dentro le lotte contro le misure di austerità, contro queste politiche recessive, ma allo stesso tempo significa prepararsi a scenari che sono effettivamente esplosivi. Io non sono tra quelli che considerano l’ipotesi della rottura dell’euro come un’ipotesi catastrofica. Penso che catastrofico sia restare nella situazione nella quale siamo oggi. Quindi penso che sia meglio qualsiasi cosa che non la situazione odierna, tanto è vero che una rottura dell’euro, sia intesa come due aree monetarie, sia addirittura come una concatenazione di uscite dall’euro, possa in effetti agevolare quel ritrovare di sentiero di crescita che tanti vorrebbero ma che oggi è costituzionalmente escluso, addirittura come possibilità di rilancio economico. Quindi penso che un ritorno delle politiche monetarie che favoriscano, per esempio, l’esportazione sia quello che renda questo scenario della rottura dell’euro uno scenario, come dire, migliore se vogliamo, certo migliore di quello attuale, di quello vigente. Certo è che sarà una situazione assolutamente destabilizzante.
Non sarà catastrofico ma sarà un momento di grande effervescenza, di grandi tensioni. Per questo è importante ragionare in termini di riforme del sistema monetario, nel senso di una ripresa del concetto di bancor di keynesiana memoria. Quello che io temo, e lo dico chiaramente, è un ripiegamento di tipo sovranista, di tipo nazionale, anche se non è da escludere. Quando Klaus Busch si pone il problema della rottura dell’euro, dice, e io sono perfettamente d’accordo, che il rischio è di ritornare a logiche nazionali e con la possibilità di una lotta di tutti contro tutti. Mi sembra comunque interessante quello che potrebbe succedere in Francia, dove per altro la destra e la sinistra hanno delle posizioni antieuro che sono comunque curiose, nella loro contrapposizione e complementarietà.

In un certo senso mi sento di ricordare un vecchio detto di Mario Tronti “vecchia tattica per una nuova strategia”. La destra considera il ritorno allo stato nazionale come una strategia, quindi esclude qualsiasi ipotesi di sovranismo a livello europeo. Io credo che la sinistra con disincanto deve in un certo senso assumere questo rischio come una tattica e però lavorare strategicamente sulla costruzione di una comunità europea dotata di una politica comune.

Svolgo alcune considerazioni riassuntive. Non auspico la creazione di due zone monetarie, so benissimo che questo comporterebbe dei problemi di aggiustamento e di coordinazione. Io, e qui mi trovo in una posizione strana rispetto alla mia indole, sono convinto, forse per eccesso di realismo, che stiamo andando in questa direzione e quindi il problema è di riuscire a capire in che misura, e in questo sono assolutamente d’accordo con Klaus Busch, le lotte che devono essere organizzate, le lotte che devono essere dure e di resistenza, si troveranno e già si stanno trovando confrontate con questo scenario. Questa è la prima cosa. Forse io pecco di un certo disincanto riguardo alle possibilità di riforme all’interno di questo euro, di questa moneta unica. Sono d’accordo con i cinque punti che Klaus Busch ha citato, con l’ipotesi di riforma del sistema monetario europeo. Devo dire tuttavia che non riesco assolutamente a vedere dei margini agibili all’interno di questa ipotesi di riforma. Questo è un problema che mi pongo, mi sembra che si stia ragionando in termini quasi teleologici. Sono d’accordo sulla necessità di un rilancio della spesa pubblica sociale, a partire anche da un ripensamento di quanto deve essere prodotto, come deve essere prodotto, quando deve essere prodotto. Però il problema, per come lo vedo io, è che siamo in una situazione dentro la quale siamo in un qualche modo costretti a passare attraverso una crisi feroce che è implicita nel funzionamento stesso di questo euro. Per questo mi sembra fondamentale, all’interno delle lotte, porre le questioni da una parte di una resistenza a tutto ciò che ha a che fare con le misure di austerità, una resistenza sul fronte del salario, una resistenza sul fronte del reddito nelle sue forme di reddito di base, ecc. Però allo stesso tempo sono parecchio pessimista perché non riesco a vedere fra l’altro una forza per portare effettivamente queste rivendicazioni di tipo riformista al giusto livello sul quale andrebbero poste. Mi piacerebbe che ci si muovesse in questa direzione, vedo però prima di tutto questo scenario di grande crisi dell’Europa e un ritardo preoccupante da parte del movimento operaio, ma del movimento critico in generale nell’elaborare delle pratiche di lotta, nel costruire dei fronti di lotta tali da poter in qualche modo orientare questa crisi. La mia posizione sicuramente è una posizione che esprime un disagio, forse sono troppo dentro a quella che è l’evoluzione e l’involuzione quotidiana dei mercati per vedere un esito o un percorso diverso da quello di rottura ma sta di fatto che questa impossibilità di tenere l’euro, proprio per la sua stessa architettura, mi sembra che sia la questione che dobbiamo porci per avere un approccio che sia col tempo realista ma allo stesso tempo consapevole delle difficoltà che abbiamo di fronte nella mobilitazione a livello europeo. Per quanto riguarda il pareggio di bilancio, penso che sia l’anticamera del nazismo. Questa è una battuta, ma non del tutto, perché costituzionalizzare il pareggio di bilancio significa mettersi nella condizione di non poter far fronte a delle situazioni che tra l’altro nel capitalismo finanziario alla Minksy sono assolutamente prevedibili nella loro imprevedibilità. Una crisi, o una catastrofe naturale, pone la questione della rigidità, della gabbia d’acciaio che ci costruiamo noi stessi e che rende estremamente difficile perseguire delle operazioni di reazione, di risposta contingenti a delle situazioni di crisi. È veramente un errore questa cosa, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, ed è una cosa di cui vedremo le conseguenze abbastanza presto.

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